MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

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Pubblicato il 12/10/2023

Anniversario della nascita al Cielo di Maria Valtorta

     

Cari amici e amiche in Cristo nostro unico Signore e Maestro eterno, ci è gradito oggi parteciparvi la ricorrenza della nascita di Maria Valtorta.
   In occasione del suo anniversario, abbbiamo pensato dunque di riportare la breve biografia pubblicata sul sito ufficiale dell'Editore, e quindi, aggiungervi alcuni brani tratti dai Quaderni, ovvero le più importanti Opere Minori, per tratteggiare la speciale comunione che il 'Piccolo Giovanni' aveva con il Signore, i colloqui con la Trinità, la Mamma Celeste e i santi, lo speciale afflato mistico che intercorreva, da cui abbiamo ereditato le ' Parole di Vita Eterna' che Egli stesso, attraverso la costante obbedienza e fedeltà della Santa, ha voluto donarci, per conforto e Luce di Vita certa e potente.
   Auguri da tutti gli estimatori e devoti, tra cui io sono, alla 'Violetta di Gesù' che ora profuma in Cielo per il Signore nostro, mentre a noi restano le Luci Superne delle Rivelazioni sublimi.

                     Breve Biografia di Maria Valtorta

   Maria Valtorta nacque il 14 marzo 1897 a Caserta, dove i genitori, che erano lombardi, si trovavano temporaneamente. Era figlia unica di un maresciallo di Cavalleria, uomo buono e remissivo, e di una insegnante di francese, donna bisbetica e severa. Dopo aver rischiato di morire nel nascere, la piccina venne affidata ad una balia di cattivi costumi, che arrivava al punto di lasciarla per ore tra i solchi di grano nella campagna assolata.
   I frequenti trasferimenti della famiglia, causati dagli spostamenti del Reggimento nel quale il padre prestava servizio, la portarono a trascorrere i primi anni di vita a Faenza, in Romagna, e successivamente a Milano, dove Maria andava all’asilo dalle suore Orsoline. Fu qui che, in età precoce, ebbe l’intuizione mistica che l’avrebbe segnata per sempre: quella di vedere il dolore associato in modo indissolubile con l’amore, tanto da desiderare di “consolare Gesù facendosi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore“.
   Pure a Milano iniziò le scuole elementari dalle suore Marcelline, divenendo la prima della classe. Nello stesso Istituto ricevette, nel 1905, il sacramento della Cresima dalle mani del cardinale Andrea Ferrari (oggi Beato), che la chiamava “Valtortino” per aver notato un’impronta di forza virile nella formazione del suo carattere. Continuò le elementari a Voghera, nelle scuole comunali, e sempre a Voghera prendeva lezioni di lingua francese da alcune Suore espulse dalla Francia per una legge anticlericale. Le stesse Suore la prepararono alla prima Comunione, che poté fare a Casteggio nell’ottobre 1908, ma senza la presenza del padre, ritenuta inutile dalla madre.
   Legata a suo padre da grande affetto, soffrì molto quando, all’età di 12 anni, dovette sottostare all’arbitraria decisione materna di staccarla da casa per mandarla in collegio. In compenso si trattava del prestigioso Collegio Bianconi di Monza, tenuto dalle Suore di Maria Ss. Bambina. Lo considerò il suo “nido di pace“, che per quattro anni appagò il suo amore allo studio e alla disciplina. Al momento di uscirne, sedicenne, la predica di un Vescovo le fece capire che il Signore le chiedeva una vita di amorosa penitenza ma rimanendo nel mondo.
   A casa trovò il padre menomato nel fisico e nella mente, tanto che egli andò in pensione anzitempo e la famiglia si trasferì a Firenze.
   Maria si trovava bene nella città della cultura e dell’arte. Spesso usciva a visitarla in compagnia del padre. Ma vi subì il dolore di vedere troncato sul nascere, dalla durezza della mamma, il promettente fidanzamento con un distinto giovane, appena conosciuto. Sempre a Firenze, nel 1917, in piena guerra mondiale, entrò nel corpo delle infermiere volontarie (le cosiddette Samaritane) che negli ospedali militari curavano i soldati feriti; e quell’esperienza la edificò.
   Ma nel 1920 fu colpita per strada da un sovversivo comunista, che le sferrò una mazzata alle reni predisponendola all’infermità.
   Ebbe allora la fortunata opportunità di trascorrere due anni a Reggio Calabria, ospite di cugini della mamma, che erano facoltosi proprietari di due alberghi. Il loro sincero affetto e la bellezza naturale del luogo la ritemprarono. Durante quella vacanza avvertì nuove spinte verso una vita radicata in Cristo. Ma la mamma, pur da lontano, la ferì ancora nei suoi sentimenti di donna, e il ritorno a Firenze, nel 1922, la risommerse nei “ricordi amari“.

   Nel 1924 i genitori acquistarono una casa a Viareggio, dove la famiglia andò a stabilirsi e dove ebbe inizio per Mariaun’inarrestabile ascesi, che si esprimeva con propositi fermi e culminava in eroiche offerte di sé per amore a Dio e all’umanità. Nello stesso tempo ella si impegnava in parrocchia come delegata di cultura per le giovani di Azione Cattolica e teneva conferenze che erano seguite anche da non praticanti.
   Ma le era sempre più difficile muoversi. Il 4 gennaio 1933 uscì di casa per l’ultima volta, con estrema fatica, e dal 1° aprile 1934, giorno di Pasqua, non si levò più dal letto.
   l 24 maggio 1935 fu presa in casa una giovane rimasta orfana e sola, Marta Diciotti, che diventerà la sua assistente e confidente per tutto il resto della vita. Dopo un mese, il 30 giugno, moriva il padre amatissimo, e Maria fu sul punto di morirne per il dolore. La madre, che lei amò sempre per dovere naturale e con sentimento soprannaturale, come più volte attesta nei suoi scritti, morirà il 4 ottobre 1943 senza avere mai smesso di vessare la figlia.

 

Dai Quaderni di Maria Valtorta

   26 dicembre 1943

Dice Gesù:

   «Ricordati che non sarai grande per le contemplazioni e le rivelazioni, ma per il tuo sacrificio. 
   
Le prime te le concede iddio non per tuo merito ma per sua infinita bontà. Il secondo è fiore del tuo spirito ed è quello che ha merito agli occhi miei. Aumentalo senza considerazioni umane sino al limite delle tue forze fisiche e spirituali. Più ti alzerai e più ti rapirò in alto.
   
E non temere. E non ti affliggere se l’interno traspare. Anche vedere un rapito in Dio è santificazione per i fratelli. Tu di tuo non mettervi nulla. Non inquinare mai questa polla di vita mistica con elementi umani. E lasciami fare anche in questo.
   Non ti dico di più. Bèati in mia Madre.»

   25 gennaio 1944

   Dice poi Gesù a me:
   «Quando io ti vedo così attenta alle mie lezioni, mi sembri una scolara diligente e affezionata del suo maestro che per essa è lo "scibile" intiero. Quando invece da te scopri delle parti nuove, fai delle osservazioni (e questo nelle visioni), mi fai pensare ad un bambino buono che il suo padre tiene per la manina conducendolo davanti a ciò che vuole che il bambino veda per crescere nell’intelligenza, ma che nel contempo non interviene, per dare al suo piccolo la gioia di scoprire qualche cosa di nuovo e di sentirsi crescere nel concetto di sé.
   Per fare questo, tu devi essere sempre sgombra di sollecitudini umane. Sempre più sgombra. Devi essere sempre più sicura per camminare disinvolta per i sentieri della contemplazione e sempre più tranquilla e fiduciosa in Me che ti tengo per mano.
   Un papà non se ne fa accorgere, ma con mille arti amorose fa tanto finché la sua creatura vede quella data cosa che egli vuole che il bambino veda. Oh! io sono il più amoroso dei padri e il più paziente dei maestri per i miei piccoli, e quando posso tenerne uno per mano, docile e attento, io sono felice. Felice d’esser Maestro e Padre.
   È tanto difficile che le mie creature mi mettano con fiducia la mano nella mia mano per essere condotte, istruite da Me, e per dirmi: "Ti amo sopra tutte le cose e con tutta me stessa!". A quelle poche che sono così tutte "mie", senza riserve, io apro i tesori delle rivelazioni e delle contemplazioni e mi do senza riserva.
   Però, Maria, siccome vi eleggo al ruolo di divulgatrici della mia Divinità, nelle sue diverse manifestazioni, presso coloro che hanno bisogno d’esser risvegliati e condotti ad intravvedere Dio, ricorda di essere scrupolosa al sommo nel ripetere quanto vedi. Anche una inezia ha un valore e non è tua, ma mia. Perciò non ti è lecito trattenerla. Sarebbe disonesto ed egoista. Ricordati che sei la cisterna dell’acqua divina, alla quale essa acqua si versa perché tutti ne vengano ad attingere.
   Per i dettati sei giunta alla fedeltà più fedele. Nelle contemplazioni osservi molto, ma nella fretta di scrivere, e per le tue speciali condizioni di salute e di ambiente, ti avviene di omettere qualche particolare. Non lo devi fare. Mettili in calce, ma ségnali tutti. Non è un rimprovero, è un dolce consiglio del tuo Maestro.
   Giorni sono mi hai detto: "Che gli uomini ti amino un poco di più, attraverso a me, giustifica e ripaga tutta la mia fatica e la mia vita; fosse anche un solo uomo che torna a Te per mezzo della tua ‘violetta nascosta’14, essa sarebbe felice".
   Più sarai attenta ed esatta e più sarà numeroso il numero di coloro che vengono a Me, e più grande la tua felicità spirituale presente e la tua felicità eterna futura.
   Va’ in pace. Il tuo Signore è con te.»

 

   28 dicembre 1944

   Dice Gesù:
   «Scrivi:
   "Re santissimo, Cuore adorabile, Maestro mio e mio Signore, ti prego esser Tu il Re di questa mia casa. Il tuo Cuore pieno di misericordia sparga in essa le sue misericordie, in essa e su chi in essa abita. La tua Sapienza vi ammaestri i cuori nella scienza del Bene, del tuo Bene. E la tua Potenza sola vi regni; né pensiero, atto o desiderio umano mai si sostituisca a ciò che Tu vuoi. Da questo momento, e per sempre in futuro, qui Tu solo sii Colui che comanda, Colui che dirige, Colui che consiglia. A Te ci doniamo con l'anima e col corpo. Tuoi, sempre tuoi, per la Terra e sulla Terra, per il Cielo e nel Cielo.
   E tu, Maria, Madre amabilissima, Giglio della Trinità, fiorisci in questa dimora col tuo sorriso e il tuo profumo di grazia, raccogli all'ombra della tua purezza i nostri cuori, chiudili nel calice del tuo materno amore, difendici dall'Inferno e dalle sue legioni crudeli stringendoci sul Tuo Seno inviolato e sul Tuo Cuore Immacolato e trafitto. Madre e Regina, sii la nostra Mamma e la Regina nostra.
   Giuseppe, custode fedele dei due più Santi, custodisci noi che di Essi vogliamo essere. Vigile e operoso, conducici e aiutaci sui sentieri della Salute e nei pericoli della vita.
   Gesù, Maria, Giuseppe, fate, per la vostra costante presenza, di questa dimora una casa di Nazaret. Cuore di Gesù, Cuore di Maria, Cuore di Giuseppe, dateci il vostro amore, prendete il nostro. Salvateci ora e nell'ora della morte. Così sia".
   Dirai questa per riconsacrare la casa e farai benedire ogni e singolo ambiente. E ricòrdati, tu e chi è con te, che dove Noi siamo nulla vi deve essere che possa ferire la nostra santità.»

 

   16 luglio 1945

   [Precede il capitolo 220 dell'opera L'EVANGELO]

   E ora dovrei dirle una cosa perché altrimenti me ne viene una fissazione.
   È un 15 giorni, forse più, che la cara Voce mi pungola nel cuore così:
   «Ricordati i fratelli separati. Ricordati che anche per essi sei vittima. Ricordati che essi erano sostenuti dalla tua amica Gabriella della Trappa. Ricordati che l'ostacolo della guerra è cessato. Ricordati che le anime vanno aiutate non solo con la preghiera. Ricordati che Io sono il Cristo di tutti, e che tutti i cristiani sono del Cristo. Ricordati che la missione tua va molto al di là del sangue e degli affetti. Sei la portatrice della Voce, e la Voce andava a tutti. Non la puoi negare. Ricordati che sono amato – tu stessa l'hai intuito – con più riverenza nelle altre confessioni che da voi. Non c'è che un passo da fare per entrare a fare un solo Ovile sotto un unico pastore. E ci vuole una mano che si tenda al di là del ruscello che divide per aiutarli a venire. La sete di Me è ben viva là…»
   Ma io che posso fare? Perderci il sonno che mi resta per questo trivello di ammonizione che non tace mai nel mio pensiero. Perderci la tranquillità, perché non so come fare, perché sono contraria a fare, perché sento che dispiaccio a Gesù col non fare. Di fratelli separati io non conosco, che di nome, quelli della Nashdom Abbey. E come faccio? E che dico? Io non so l'inglese. E perché Gesù vuole da me cose così superiori alle mie capacità e alle mie tendenze? Mi aiuti, perché, sa?, quando Lui vuole, vuole, e non si cheta finché non lo si accontenta.
   Gesù dice: «Per l'unione che manca fra i popoli ci sia almeno una unione fra i cristiani, perché le epoche anticristiane sono imminenti e ci vuole che il predetto si compia.»
   E va bene… Ma come?… Io intanto do tutto quello che soffro, serbandone un pizzichino per altri motivi. Ma pare che non basti, e io non posso aggiungere altre sofferenze a quelle proprie del male. E allora?


   8 febbraio 1946

   Dolce, candida, bonaria, la figura del Papa santo, Pio X, mi appare al momento della S. Comunione. Viene avanti così come certo era negli ultimi suoi giorni. Un poco obeso, appesantito dagli acciacchi, il passo silenzioso lievemente strascicante, le spalle un poco curve, tonde, sorreggenti sul breve collo la testa inargentata dai capelli, già annimbata di splendore, con una giovinezza di carni nel volto senile e una dolcezza verginale di sguardi nei limpidi occhi sereni. È nella veste bianca dei pontefici ma senza mantellina rossa, senza camauro. Oh no! È un sacerdote vestito di bianco anziché di nero, nulla di più. Ma è così "lui" che è venerabile più che se fosse nei fulgori delle apoteosi pontificie, fra stendardi e flabelli, guardie splendenti, porpore cardinalizie e così via. È il Papa santo.
   Alza la mano corta e grassoccia a benedirmi. Parla:
   «Benedeta del Signor e della Vergine Immacolata, che il Signore e Maria siano sempre con ti.
 No te la prendere, benedeta! Continua, continua per la tua via. La piase al Signor. Sii semplice, sempre più semplice, come un putelo. Uno di quei puteleti che il nostro benedeto Signor amava tanto. Nutriti di Eucarestia perché ti, ti xe l'ostia piccina la qual no se consacra altro che quando nell'Ostia grande se transustanzia il nostro Ss. Signore Gesù Cristo. Perciò ti più ti nutri della Ss. Eucarestia e più ti diventi ostia con Lui.
   Oh benedeta! Se gero mi sul soglio di Pietro e mi avessero detto che ghe xera una creatura che la xera divenuta "voce" dopo esser stata "volontaria croce", no te lassavo in questa ambascia. Ma ti avria confortata con la mia benedision, leggendo in zenocio le pagine benedete.
   Resta putela, sasto? Sempre puteleta. Un picolo, picolo Giovanni, coi oci liberi da ogni malisia, el cor libero da ogni superbia, per capire sempre il beatissimo Maestro che ti istruisce per il ben di molti. Eucarestia e semplicità. La strada dei putei d'amor. Di S. Teresina, e anca de mi, povero servo del Signor che ancor se stupisse che da prete abbia potuto diventar Pontefice» (e piange dolcemente, umile, santo nel suo pianto come santo è nel suo sorriso).
   Rialza il capo. Mi guarda di nuovo, un grande "putelo" anche lui, tanto è pura la sua espressione. Mi sorride di nuovo.
   «Ti do la mia benedizione. Sei contenta? Ti benedico, anima del Signor e di Maria Ss. Continua con pazienza e fede. In Paradiso no se ricorda più altro che di aver sempre fato la Volontà Ss. di Dio, e di ciò si è beati. Tanto belo il Paradiso che niente delle bele cose che vedi xe ugual! No potresti veder il Paradiso quale è perché ti scoppierebbe el cor.
   Quando ne avrai il modo manda la mia benedision a quela benedeta anima di Suor Giuseppina2. Dighe che el so Patriarca si ricordasempre degli Istituti de Maria Ss. Bambina, e specie de queli, cossì cari, del so Veneto. La pace, la pace a quei luoghi e a chi xe in essi!
   E la pace a ti, putelina del mio Gesù. Addio. Ricordati sempre del Pontefice dei putei e dell'Eucarestia.»
   E alza nuovamente la mano a benedire, e il candore della veste di lana si muta in una incandescenza nella quale si trasfigura il Santo Pio X, e scompare. E ora posso dire di avere visto io pure un Pontefice! E che Pontefice!
   Avrò scritto bene le parole venete? Ho cercato di rendere le sue parole come le sentivo pronunciare. Ma io non so il dialetto veneto. Sono stata in Romagna, Lombardia (milanesato), Pavia, Firenze, Reggio di Calabria e Viareggio, ma niente Veneto. Perciò… Ma sono stata molto contenta che abbia parlato così alla buona, come un buon parroco, come quando lo era nel suo Veneto – e già era santo e grande al cospetto di Dio – come quando, patriarca e poi pontefice, si intratteneva famigliarmente con gli intimi… coi semplici, coi quali si doveva trovare tanto bene l'umilissimo e santo Papa Pio X…


   11 febbraio 1946   

   Alle ragazze di Narni e a Emma e Pia.
   Dice Gesù:
   «"Colui che, messa la mano all'aratro, si volge indietro a guardare il passato e le possibilità del passato, o guarda ai lati e si attarda a meditare su ciò che è esposto di allettante su essi, non è adatto al Regno di Dio". È detto ancora: "Chi, volendo costruire una torre, non calcola prima la spesa e le difficoltà che incontrerà per portarla a termine, sarà beffato dovendo lasciare in tronco il lavoro". È detto ancora: "Il sale è buono, ma se perde il sapore a che serve più? A nulla, e viene gettato e calpestato". E potrei continuare con le mie parole antiche per ricordarvi che non è questo il modo con cui si risponde all'amore di Dio.
   Vi ricordo lo splendido elogio da Me fatto al Battista: "Che siete andati a vedere in un deserto? Una canna agitata dai venti?" ed è sottinteso che non una canna inutile e svagata ma più che un uomo, più che un profeta erano andati a vedere. Un "angelo". L'angelo che per la sua fermezza nel servire il Signore dalla nascita alla morte meritò di preparare le vie del Signore. In verità, in verità voi parete aver costrutto la vostra casa sulla rena e non sulla roccia. Non mi avete amato per Mein Me. Non mi avete detto "sì" per amore ma per leggerezza e calcolo. E il vento delle contrarietà, che avviva coloro che sono fiamme vere, raffredda voi.
   Volete meritare di sentirvi dire: "Io non vi conosco" quando verrete al mio cospetto? Volete che siano applicate a voi le parole dell'Apocalisse: "So le tue opere e che tu hai nome di vivo, ma sei morto. Sii vigilante e rafferma il resto che sta per morire… Ricordati di quello che hai ricevuto – la mia elezione, il nome, che cancella ogni ignominia, di 'sposa di Cristo' – ricordati ciò che hai udito – la fiamma del mio amore che ti diceva: 'Vieni' – e osservalo, e fa' penitenza"? E ancora: "Poiché sei tiepido, né freddo né caldo, Io comincerò a vomitarti da Me"?
   Oh! che in verità Io sto alla porta dei cuori vostri e picchio e dico: "Aprimi, o sorella, o mia sposa!". Ma la piccola porta, aperta sulla strada aspra per la quale viene l'Amatore per farvi percorrere la "sua" strada e condurvi al Cielo, voi la chiudete; mentre aprite la porta larga, sulla comoda e allettante via del mondo, sulla quale sono apparenze di gioia dietro le quali è la realtà di un'inquietudine, di pene, di scherni, di condanne, ultima fra tutte la mia, quando vi dirò: "Io non vi conosco". E potrei dire così per carità, perché se fossi senza carità dovrei allora dirvi: "Via da Me, voi che mi avete tradito e sprezzato!".
   Svegliatevi, agite, siate sante. Non mi piace la vostra condotta. Non avete carità né per Gesù né per la madre vostra. L'avete crocifissa e ora la ribadite sulla croce senza pietà, senza apertura con essa, dimentiche di ciò che le costate, ingrate per ciò che soffre e soffrirà per voi. Ma ogni santo ha i suoi nemici, e i più nemici sono sempre i più amati fra i suoi. Ebbene, almeno siate sincere, siate decise nel vostro agire. Io dico a voi ciò che dissi a Giuda Iscariota: "Ciò che vuoi fare, fàllo presto". Ve lo dico.
   E tu, tu che soffri, ti raccolgo sul Cuore. Io non ti mancherò se anche tutto il mondo ti manca. Io non ti condannerò, o mia incoronata sposa del mio spinoso serto. Se anche hai errato come creatura, la tua sofferenza attuale di tutto ti assolve. E sta' certa. La mia pace sarà il fiume di gaudio che ti inebrierà quando sarà finito il dolore.
   E anche a te che espii, o Pia, che forse tremi di aver meritato il mio biasimo, Io dico: "Io sono il Pastore buono". La sofferenza è espiazione. Ma Dio la dà a quelli che ama e vuole perdonati nell'ora della morte.
   State con la mia pace voi due. Con la mia pace…»
   

   
   26 maggio 1946

   Domenica 5° dopo Pasqua

   La spiegazione di Azaria, che certo verrà, è preceduta in questa domenica dal sorriso della Vergine Immacolata, perché [appare] in tale veste bianca come nelle apparizioni di Lourdes e Fatima ma senza fascia azzurra o cordone dorato: un semplice cordone bianco come la veste gliela tiene raccolta alla cintura e il dolce oro dei capelli appare perché non ha né velo, né manto. È la Soave bianco-vestita come lo era sovente nelle estati a Nazaret. Solo che ora la sua veste è splendida più di tutte le stoffe terrene e pare di un lino veramente ultraterreno. È da ieri sera che mi conforta e sorride, e nei miei dolori che mi impediscono ogni sonno — che sarebbe evasione per qualche ora dai troppi crucci che mi opprimono — la ritrovo sempre presente ad ogni uscire dal dormiveglia interrotto, che è l'unico riposo della carne stanca, sfinita, e che non può veramente riposare in un vero sonno. Il suo candore, l'emanazione candida del suo Corpo glorificato e l'inesprimibile espressione del suo Volto raggiano come stella nella stanza buia e nel mio cuore afflitto. Passa così la notte, e la Madre soave è ancora qui al mattino e poi nelle ore che procedono nel giorno. Sola con Lei, la venero con le mute parole dello spirito e non chiedo nulla perché so che sa tutto, perché so che è qui per consolarmi e non è necessario che io glielo chieda perché la Madre precorre ogni richiesta di quelli che sa suoi figli… In questi pensieri passo le ore.
   Molti diranno: "Io avrei chiesto questo e questo". Io, se un latente chiedere è in me, posso avere soltanto questo: "Fa' tu ciò che sai meglio". Io non chiedo, per me, nulla di nulla. Dio sa quale è il meglio, Maria sa quale è il meglio. Perciò io dico: "Fate Voi per il meglio…" ed è la pace assoluta. Una pace che galleggia al di sopra di tutto quanto gli uomini scatenano con le loro cattiverie, egoismi, viltà, menzogne e simili brutte cose soffiando queste brutte cose sul piccolo mare del mio spirito che di suo è placido perché riflette il Cielo. Penso: quale castigo avranno quelli che turbano gli spiriti dedicati tutti al servizio del Signore?
   E la Madre Purissima mi risponde:
   «Quello che Gesù ti ha spiegato in molti dettati. E che, nel tuo caso, hai già notato verificarsi più volte. Perché è inutile dare altri nomi a ciò che avviene a questo o a quello che hanno mancato alla loro missione presso di te o ti hanno dato dolore e turbamento. Il nome è quello che sai.
   Figlia mia, ti ricordi quell'ora di mesta pace nella quale ti apparii in veste di Servita e ti attrassi a me, sotto al manto nero, a proteg­gerti mentre piangevo guardando verso settentrione? Ora ti spie­go il significato di quella profetica visione.
   Mio Figlio, e non posso per ora spiegartene le ragioni, ti aveva messa sotto la tutela dei Servi di Maria perché sola non puoi stare, figlia mia, col tuo grande tesoro. Anche a me l'Eterno aveva dato la tutela di uno sposo, inutile per il generare, necessario per tutelare, quando stava per scendere in me il Tesoro del cielo e del mondo. Ben avrebbe potuto compiersi la mia divina Maternità anche senza Giuseppe. Ma, e per lo scandalo di una non sposata generante un figlio, e per il segnale che questa maternità in una innocente avrebbe dato a quell'instancabile scrutatore di anime che è Satana, ed infine per la necessità che un pargolo ha di un padre a protettore, la Sapienza Ss. mi impose lo sposo. Tutte le ragioni suddette mi si illuminarono dal momento in cui lo Spirito Santo mi si infuse facendomi Madre. Allora compresi la giustizia del mio matrimonio che fino allora avevo accettato per ubbidienza.
   Ebbene, figlia mia, anche a te Gesù aveva dato una tutela. Quella tutela. Non indagare perché fu quella e non altra. Tanto varrebbe voler indagare perché il dodicesimo apostolo fu Giuda di Keriot e non, ad esempio, uno dei santi ed umili pastori. Ebbene, io ti ho accolta sotto il manto nero di Servita, io che in quella veste piangevo perché vedevo — e puoi capire dove guardassi — perché vedevo che troppo si contravveniva ai decreti del mio Gesù sull'Opera, sullo strumento e sul modo di trattare quella e questo. Perché tu non sentissi troppo vuoto là dove per un suo speciale e sempre adorabile motivo il mio Gesù ti aveva messa, io, a farti sentire tutta la protezione della Regina dell'Ordine e dei figli di quest'Ordine che per una vita perfetta sono meco in Cielo, ti ho attratta a me, presso il mio cuore, protetta dal mio manto mentre piangevo per coloro che mancavano al loro compito.
   Ma, o figlia mia, tu non ti sconfortare. Abbi presente la Mamma anche in questa contingenza. Come sei simile alla tua Mamma quando, forestiera in Betlemme e carica della Parola incarnata, invano bussava alle porte chiedendo aiuto, ricovero, pietà! Pietà più per la Parola che portava che per se stessa, povera donna pesante di maternità e stanca del lungo cammino… Il nostro Giovanni la dice2 la grande verità su queste ripulse, su queste sordità a comprendere, su queste tiepidezze o geli ad accogliere la Parola: "Il Verbo, la Luce, splendé nelle tenebre ma le tenebre non la compresero. Il Verbo, la vera Luce, era nel mondo, ma il mondo non la conobbe. Venne alla sua casa e i suoi non lo ricevettero". E per non ricevere Lui respinsero anche Colei che lo portava e che, agli occhi di Israele, non era che una povera donna alla quale "era impossibile che Dio si fosse concesso". Perciò era una truffatrice, una menzognera che cercava con menzogna protezioni e onori immeritati.
   È sempre così, figlia diletta. Noi siamo invise, perseguitate, schernite, incomprese, perché portiamo la Parola che il mondo non vuole accogliere. E noi andiamo, stanche, addolorate, di cuore in cuore, chiedendo: "Per pietà, accoglieteci! Pietà di voi. Non già di noi. Perché noi, in questo dono che portiamo, abbiamo, è vero, il nostro peso, la nostra croce di creature, ma anche la nostra pace e gloria di spiriti e non chiediamo di più. Ma della Parola, della Parola che vi portiamo perché sia data, perché è Vita, a coloro per cui è stata in noi deposta, noi siamo sollecite e affannate…". Quanti, in Be­tlem, dopo che la gloria del Signore si manifestò con la Risurrezio­ne, e la sua Dottrina si diffondeva nel mondo, non avrebbero voluto aver accolto la Portatrice della Parola in quella gelida notte di ca­sleu per poter dire: "Noi l'abbiamo riconosciuta". Ma ormai era tardi! Il momento di Dio viene e passa. Ed i rimpianti tardivi non ri­parano l'errore. Questo andrebbe ricordato a chi di dovere.
   Ma tu non ti affliggere. Agli occhi di Dio sei giustificata così come lo ero io per dare alla luce il Re dei re in una spelonca fetida. Non nostra la colpa del non onorare degnamente il Verbo che si effonde, ma di coloro che ci vietano di onorarlo pubblicamente. L'incenso della nostra amorosa e segreta adorazione è sufficiente a sostituire ogni altro onore che ci si nega di dare al Verbo in noi deposto. Sorridi, figlia mia, e spera ricordando che l'Onnipotente può suscitare figli di Abramo anche dalle pietre e non ti lascerà senza conforto e aiuto di guide sacerdotali, suscitando chi di dovere per questo dovere così come ti ha concesso, proprio al giusto momento, il maestro angelico a tuo aumentato conforto…»
   E Maria Ss. splende più che mai gloriosa e dolce mentre riceve il saluto angelico di Azaria, la cui luminosa presenza par tenue rispetto alla luminosissima Vergine. E Azaria parla stando inginocchiato con le braccia incrociate sul petto, a capo chino, di fronte a Maria come fosse di fronte ad un altare.

 

   17 novembre 1947

   Dice Gesù:
   «Eccomi! La mia pace sia con te.
   Sono venuto a dirti questo. I medici possono capire quel tanto che possono, ossia ciò che ha aspetto umano. Ma sotto il velo dell'umano in te c'è il mio volere che purifica, abbella, santifica, consuma, ti fa ostia per molti e gemma per Me.
   I nomi delle malattie… sono nomi messi ad etichetta e a spiegazione dei patti corsi fra noi due, dei tuoi doni d'amore, dei miei baci d'amore.
   Il tuo cuore, sì, si è ammalato nella lotta che hai combattuta contro la cattiveria umana. Ma chi te lo ha ferito a morte è stato il mio amore. Era troppo brutto che tu avessi a morire per causa degli uomini, tu che Io amavo di un amore eterno. Tu devi morire per gli uomini, mio specchio fedele. Non per causa di essi, ma per causa di essere imitatrice di Me.
   Venerdì Santo del 1930. Venerdì Santo del 1934… e, sul mistero d'amore, dei nomi, dei nomi posticci di malattie. No. Tua malattia: il nostro reciproco amore.
   I tuoi polmoni: me li hai dati per salvare un'anima di padre, e sul sacrificio un nome, un qualunque nome clinico… una spiegazione che gli uomini si vogliono dare per spiegare ciò che non possono spiegare, ossia che potrebbero spiegare solo con la fede, con l'alzare lo sguardo a sfere soprannaturali.
   Il male nel tuo seno… oh! non ricordi perché pregavi nei sabati? Ecco, è riparazione per quelle creature. Tu soffri, tu paghi, tu ripari ciò che mi offende nella donna.
   Il tuo dolore, il tuo indurimento al costato, tu sai… lo volesti… lo hai avuto.
   Il tuo cuore dilatato… Non cerchino gli uomini il perché. L'amore dilata sino a spezzare le fibre.
   I dolori dei tuoi nervi: ne sai la verità.
   Maria, Maria, sei mia, come tu sei perché sei con Me, come Me, per amore di Me crocifissa, folle d'amore sino a non saper calcolare più. Anima mia, non possono gli uomini capire, indovinare i continui miracoli di Gesù nei suoi diletti. Sta' in pace.»
   Gesù è venuto. In questi giorni non poteva venire perché un motivo di cui io soffrivo atrocemente lo teneva lontano. Ho capito molte cose in questi giorni. La sua assenza mi fu lezione sul come è necessario avere il vero pentimento per avere Gesù. Io non c'entravo. Io contemplavo la rovina di un cuore, soffrivo perché a questa sofferenza si univa la mancanza di Gesù. E ieri visita medica… e oggi mie riflessioni in merito. Ed ecco Gesù a darmi risposta e gioia. È tornato. Non mi pesa la croce perché Egli è con me.

'Piccolo Giovanni', veglia, prega e assistici sempre dalla Gerusalemme Celeste!