MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

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Pubblicato il 15/08/2023

Il Beato Transito e l'Assunzione in Cielo della Vergine Maria come descritta e spiegata nell'Opera Maggiore di Maria Valtorta

     

   Cari amici e amiche in Cristo nostro Unico Signore, l'Opera titanica voluta dalla Sua Divina Bontà e dal Suo Amore - per la Gloria di Dio Uno e Trino, e nostro maggior Bene - trasmessa al fedele 'Piccolo Giovanni', si inizia e conclude con l'ammirata e magnifica contemplazione della Vergine Maria, Madre di Dio e nostra, con la Sua Nascita nel Divino Pensiero, e il Suo Beato Transito ed Assunzione in Cielo.
   Così Maria Santissima è anche principio e perfezionamento certo, vivificante e corroborante, di ogni percorso di fede che porta infallibilmente e luminosamente al Cuore Divino del Figlio Dilettissimo, quindi a Dio, nella Pace del Suo Amore: Arca Eterna di Vita Vera!
   E' la Madre! E con la fiducia di figli riconoscenti e fidenti, La benediciamo e invochiamo:
   'Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Assunta Regina in Cielo, noi ci affidiamo a Te!
   Per sempre!

 Dall' Evangelo come mi è stato rivelato:
 

   Cap. DCXLIX. Transito beato di Maria Ss.

   21 novembre 1951.
 
 1 Maria, nella sua stanzetta solitaria, alta sulla terrazza, tutta vestita di candido lino, sia nella veste che le copre le membra, sia nel manto che, fermato alla radice del collo, le scende dietro le spalle, sia nel velo sottilissimo che le scende dal capo, sta ordinando le vesti sue e di Gesù, che ha sempre conservate. Sceglie le migliori. E sono poche. Delle sue prende la veste e il manto che aveva sul Calvario; di quelle del Figlio, una veste di lino che Gesù usava portare nei giorni estivi e il manto ritrovato nel Getsemani, ancora macchiato del sangue sgorgato col sudore sanguigno di quell'ora tremenda.
   Dopo avere ben piegati questi indumenti e baciato il manto sanguinoso del suo Gesù, si dirige al cofano dove sono, ormai da anni, raccolte e conservate le reliquie dell'ultima Cena e della Passione. Raduna tutte queste su di un unico piano, quello superiore, e depone tutte le vesti in quello inferiore.
 2 Sta chiudendo il cofano quando Giovanni, salito silenziosamente sulla terrazza — e affacciatosi a guardare cosa facesse Maria, forse impressionato dalla sua lunga assenza dalla cucina — dove deve esser salita a passare le ore del mattino, la fa volgere di scatto col chiederle: «Che fai, Madre?».
   «Ho messo a posto tutto quanto è bene conservare. Tutti i ricordi… Tutto quanto è testimonianza del suo amore e dolore infiniti».
   «Perché, o Madre, riaprirti le ferite del cuore col rivedere quelle tristi cose? Sei pallida, e la tua mano trema… Tu dunque soffri nel vederle», le dice Giovanni venendole vicino, quasi temesse che Ella, così pallida e tremante come è, abbia a sentirsi male e cadere per terra.
   «Oh! non è per questo che son pallida e tremo. Non è perché mi si riaprono le ferite… Esse, in verità, non si sono mai chiuse completamente. Ma pure la pace e il gaudio sono in me, e mai come ora sono stati completi».
   «Mai come ora? Non capisco… A me la vista di quelle cose, piene di atroci ricordi, mi ridesta l'angoscia di quelle ore. E io non sono che un suo discepolo. Tu sei la Madre…».
   «E come tale dovrei soffrire di più, vuoi dire. E, umanamente, dici giusto. Ma così non è.
 3 Io sono abituata a sopportare il dolore delle separazioni da Lui. Sempre dolore, perché la sua presenza e vicinanza erano il mio Paradiso in terra. Ma anche sempre volonterosamente e serenamente subite, perché ogni sua azione era voluta dal Padre suo, era ubbidienza alla Volontà divina, e quindi io l'accettavo perché io pure ho sempre ubbidito ai voleri e disegni di Dio per me. Quando Gesù mi lasciava, soffrivo. Certo. Mi sentivo sola. Il mio dolore quando Egli, fanciullo, mi lasciò occultamente, per la disputa coi dottori del Tempio, solo Dio l'ha misurato nella sua più vera intensità. Ma pure, tolta la domanda giusta che io, madre, gli feci per avermi lasciata così, non gli dissi altro. E così pure non lo trattenni quando mi lasciò per divenire il Maestro… ed ero già vedova dello sposo mio, e quindi sola, in una città che, salvo rare persone, non mi amava. E non mostrai stupore per la sua risposta al banchetto di Cana. Egli faceva la volontà del Padre. Io lo lasciavo libero di farla. Potevo giungere ad un consiglio o ad una preghiera. Consiglio sui discepoli, preghiera per qualche infelice. Ma più di così, no. Soffrivo quando Egli mi lasciava per andare tra il mondo, ostile a Lui e peccatore al punto che il vivervi in mezzo, per Lui, era sofferenza. Ma quanta gioia quando Egli tornava a me! In verità essa era così profonda che mi compensava settanta volte sette del dolore della separazione. Straziante il dolore della separazione conseguente alla sua Morte, ma con quali parole potrei dirti il gaudio che provai quando m'apparì risorto? Immensa la pena della separazione, che non avrebbe avuto fine altro che quando la mia vita terrena fosse compiuta, per la sua ascesa al Padre.
 4 Ora io sono nel gaudio, immenso gaudio come immensa fu la pena, perché sento che la mia vita è compiuta. Ho fatto quanto dovevo fare. Ho finito la mia missione terrena. L'altra, quella celeste, sarà senza fine. Dio mi ha lasciata sulla Terra sinché io pure, come il mio Gesù, ho tutto compiuto di quanto dovevo compiere. E ho in me quella segreta gioia, unica goccia di balsamo nei suoi amarissimi estremi strazi, che ebbe Gesù quando poté dire: "Tutto è compiuto"».
   «Gioia in Gesù? In quell'ora?».
   «Sì, Giovanni. Una gioia incomprensibile agli uomini. Ma comprensibile agli spiriti già viventi nella luce di Dio e vedenti le cose profonde, nascoste sotto i veli che l'Eterno stende sui suoi segreti di Re, in grazia di quella luce. Io, così angosciata, sconvolta da quegli eventi, consocia a Lui, al Figlio mio, nel­l'ab­bandono del Padre, non compresi, allora. La Luce s'era spenta per tutto il mondo in quell'ora, per tutto il mondo che non l'aveva voluta accogliere. E anche per me. Non per giusta punizione, ma perché, dovendo essere Corredentrice, dovevo io pure patire l'angoscia dell'abbandono dei conforti divini, la tenebra, la desolazione, la tentazione di Satana di non farmi più credere possibile ciò che Egli aveva detto, tutto quanto Lui pure patì, nello spirito, dal Giovedì al Venerdì. Ma poi compresi. Quando la Luce, risorta per sempre, mi apparì, compresi. Tutto. Anche la segreta, estrema gioia del Cristo quando poté dire: "Tutto ho compiuto di quanto il Padre voleva che compissi. Ho colmato la misura della carità divina amando il Padre sino al sacrificio di Me, amando gli uomini sino a morire per loro. Tutto ho compiuto di quanto dovevo. Muoio contento nello spirito, benché straziato nella mia carne innocente". Io pure ho tutto compiuto di quanto, ab aeterno, era scritto che compissi. Dalla generazione del Redentore all'aiuto a voi, suoi sacerdoti, perché vi formaste perfettamente.
 5 La Chiesa è ormai formata e forte. Lo Spirito Santo la illumina, il sangue dei primi martiri la cementa e moltiplica, l'aiuto mio ha cooperato a fare di Essa un organismo santo, che la carità verso Dio e i fratelli alimenta e sempre più fortifica, e dove gli odi, i rancori, le invidie, le maldicenze, malvagie piante di Satana, non allignano. Dio è contento di ciò, e vuole che lo sappiate dalle mie labbra, come vuole che io vi dica di continuare a crescere nella carità per poter crescere nella perfezione, e così anche in numero di cristiani, ed in potenza di dottrina. Perché la dottrina di Gesù è dottrina d'amore. Perché la vita di Gesù, ed anche la mia, furono sempre guidate e mosse dall'amore. Non respingemmo nessuno, perdonammo a tutti. Ad un solo non potemmo dare perdono, perché egli, ormai servo dell'Odio, non volle il nostro amore senza limiti. Gesù, nel suo ultimo addio avanti la morte, vi dette comando d'amarvi fra voi. E vi ha dato anche la misura dell'amore che dovevate avere fra voi, dicendovi: "Amatevi gli uni con gli altri come Io vi ho amato. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli". La Chiesa, per vivere e crescere, ha bisogno della carità. Carità soprattutto nei suoi ministri. Se non vi amaste fra voi con tutte le vostre forze, e similmente non amaste i fratelli vostri nel Signore, la Chiesa si sterilirebbe. E stenta e scarsa sarebbe la ricreazione e supercreazione degli uomini al loro grado di figli dell'Altissimo e coeredi del Regno del Cielo, perché Iddio cesserebbe di aiutarvi nella missione. Dio è Amore. Ogni sua azione è stata azione d'amore. Dalla creazione all'Incarnazione. Da questa alla Redenzione. Da questa ancora alla fondazione della Chiesa. E infine da questa alla Gerusalemme celeste, che raccoglierà tutti i giusti perché giubilino nel Signore.
 6 Le dico a te, queste cose, perché tu sei l'Apostolo dell'amore e le puoi capire meglio degli altri…».
   Giovanni l'interrompe dicendo: «Anche gli altri amano e si amano».
   «Sì. Ma tu sei l'Amante per eccellenza. Ognun di voi ebbe sempre una sua caratteristica, come del resto lo è di ogni creatura. Tu, nei dodici, fosti sempre l'amore, il puro e soprannaturale amore. Forse, anzi, certamente perché sei così puro, sei così amante. Pietro, invece, fu sempre l'uomo, e l'uomo schietto e impetuoso. Suo fratello, Andrea, fu il silenzioso e timido quanto l'altro non lo era. Giacomo, tuo fratello, l'impulsivo, tanto che Gesù lo disse figlio del tuono. L'altro Giacomo, fratello di Gesù, il giusto ed eroico. Giuda d'Alfeo, suo fratello, il nobile e leale, sempre. La discendenza di Davide era palese in lui. Filippo e Bartolomeo erano i tradizionalisti. Simone Zelote il prudente. Tommaso il pacifico. Matteo l'umile che, memore del suo passato, cercava di passare inosservato. E Giuda di Keriot, ahimé!, la pecora nera del gregge di Cristo, il serpe scaldato dal suo amore, fu il satanico menzognero, sempre. Ma tu, tutto amore, puoi capire meglio e farti voce d'amore agli altri tutti, ai lontani, per dire ad essi questo mio ultimo consiglio. Dirai loro che si amino e amino tutti, anche i loro persecutori, per essere una sol cosa con Dio, come io lo fui, al punto da meritare di essere eletta sposa dell'Amore eterno perché concepissi il Cristo.
 7 Io mi son data a Dio senza misura, pur comprendendo subito quanto dolore mi sarebbe venuto da ciò. I profeti erano presenti alla mia mente, e la luce divina mi rendeva chiarissime le loro parole. Quindi dal mio primo "fiat" all'Angelo seppi di consacrarmi al più grande dolore che madre potesse patire. Ma nulla mise limite al mio amore, perché so che esso è, per chiunque lo usi, forza, luce, calamita che attrae verso l'alto, fuoco che purifica e fa bello quanto incendia, trasformando e trasumanando quanti prende nel suo abbraccio.
 8 Sì. L'amore è realmente fiamma. La fiamma che, pur distruggendo quanto è caduco, sia esso un rottame, un detrito, uno straccio d'uomo, ne fa uno spirito purificato e degno del Cielo. Quanti rottami, quanti uomini macchiati, corrosi, finiti, troverete sulla vostra via di evangelizzatori! Non sprezzatene alcuno. Ma anzi amateli, perché pervengano all'amore e si salvino. Infondete in essi la carità. Molte volte l'uomo diviene malvagio perché nessuno l'amò mai, o lo amò male. Voi amateli, perché lo Spirito Santo venga a riabitare, dopo la purificazione, quei templi che molte cose fecero vuoti e sozzi. Dio, per creare l'uomo, non prese un angelo né materie elette. Prese del fango, la materia più vile. Poi, infondendo in essa il suo alito, ossia ancora il suo amore, elevò la materia vile al grado eccelso di figlio adottivo di Dio. Il Figlio mio, sulla sua via, trovò molti rottami d'uomo caduti nel fango. Non li calpestò con sprezzo. Ma anzi con amore li raccolse e accolse, e li mutò in eletti del Cielo. Ricordatevelo sempre. E fate come Egli fece.
 9 Ricordatevi tutto. Atti e parole del Figlio mio. Ricordatevi le sue dolci parabole. Vivetele, ossia mettetele in pratica. E scrivetele, perché restino ai futuri sino alla fine dei secoli e siano sempre di guida agli uomini di buona volontà, per conseguire la vita e gloria eterna. Non potrete certo ripetere tutte le luminose parole dell'eterna Parola di Vita e Verità. Ma scrivetene quante più potete scriverne. Lo Spirito di Dio, sceso su me perché dessi al mondo il Salvatore, e che è sceso anche su voi, una e una volta, vi aiuterà nel ricordare e nel parlare alle turbe, in modo da convertirle al Dio vero. Continuerete così quella maternità spirituale che io iniziai sul Calvario per dare molti figli al Signore. E lo stesso Spirito, parlando nei ricreati figli del Signore, li fortificherà in modo per cui sarà loro dolce il morire tra i tormenti, il patire esilio e persecuzione, pur di confessare il loro amore a Cristo e raggiungerlo nei Cieli, come già fecero Stefano e Giacomo, il mio Giacomo, ed altri ancora…
 10Quando sarai rimasto solo, salva questo cofano…».
   Giovanni, impallidendo e turbandosi, più ancora di quanto già non sia impallidito da quando Maria disse di sentire compiuta la sua missione, la interrompe esclamando e chiedendo: «Madre! Perché parli così? Stai male?».
   «No».
   «Mi vuoi lasciare, allora?».
   «No. Starò con te sinché sarò sulla Terra. Ma preparati, Giovanni mio, ad esser solo».
   «Ma allora tu stai male e me lo vuoi celare!…».
   «No, credilo. Non mi sono mai sentita così in forze, in pace, in letizia, come ora. Ma ho in me un tal giubilo, una tal pienezza di vita soprannaturale che… Sì, che penso di non poterla sopportare continuando a vivere. Non sono eterna, del resto. Lo devi capire. Eterno è il mio spirito. La carne no. Ed è soggetta, come ogni carne d'uomo, alla morte».
   «No! No! Non lo dire. Tu non puoi, non devi morire! Il tuo corpo immacolato non può morire come quello dei peccatori!».
   «Sei in errore, Giovanni. È morto mio Figlio! Io pure morrò. Non conoscerò la malattia, l'agonia, lo spasimo del morire. Ma morire, morirò. E del resto sappi, figlio mio, che se ho un desiderio mio, tutto e solo mio, e che dura da quando Lui mi lasciò, è proprio questo. Questo è il mio primo, potente desiderio tutto mio. Posso anzi dire: il mio primo volere. Ogni altra cosa della mia vita non fu che consentimento della mia volontà al Volere divino. Volere di Dio, messo nel mio cuore di bambina da Lui stesso, il voler esser vergine. Volere suo le mie nozze con Giuseppe. Volere suo la mia Maternità verginale e divina. Tutto, nella mia vita, fu volere di Dio e ubbidienza mia al suo volere. Ma questo, di voler riunirmi a Gesù, è un volere tutto mio. Lasciare la Terra per il Cielo, per essere con Lui in eterno e di continuo! Il mio desiderio di tanti anni! E ora lo sento prossimo a divenire realtà.
 11Non turbarti così, Giovanni! Ascolta piuttosto i miei estremi voleri. Quando il mio corpo, privo ormai dello spirito vitale, giacerà in pace, non mi sottoporre alle imbalsamazioni d'uso tra gli ebrei. Già non sono più l'ebrea, ma la cristiana, la prima cristiana, se ben si riflette, perché per la prima ebbi Cristo, Carne e Sangue, in me, perché ne fui la prima discepola, perché fui con Lui Corredentrice e sua continuatrice qui, tra voi, suoi servi. Nessun vivente, eccettuati il padre e la madre mia e quanti assistettero alla mia nascita, vide il mio corpo. Tu mi chiami sovente: "Arca vera che contenne la Parola divina". Ora tu sai che l'Arca può esser vista soltanto dal Sommo Sacerdote. Tu sei sacerdote, e molto più santo e puro del Pontefice del Tempio. Ma io voglio che solo l'eterno Pontefice possa vedere, al giusto tempo, il mio corpo. Perciò non mi toccare. Del resto, lo vedi? Mi sono già purificata ed ho messo la veste monda, la veste delle nozze eterne…
 12Ma perché piangi, Giovanni?».
   «Perché la tempesta del dolore si scatena in me. Capisco che sto per perderti! Come farò a vivere senza di te? Mi sento straziare il cuore a questo pensiero! Non resisterò a questo dolore!».
   «Resisterai. Dio ti aiuterà a vivere, e a lungo, come aiutò me. Perché, se Egli non mi avesse aiutata, e sul Golgota e sull'Uliveto, quando Gesù morì e ascese, io sarei morta, come morì Isacco. Ti aiuterà a vivere ed a ricordare quanto ti ho detto prima, per il bene di tutti».
   «Oh! ricorderò. Tutto. E farò quanto tu vuoi, anche per il tuo corpo. Capisco anche io che i riti ebraici non servono più per te, cristiana, e per te, Purissima, che, ne sono certo, non avrai corruzione di carne. Non può il tuo corpo, deificato come nessun altro corpo di mortale, e per esser tu stata esente dalla Colpa d'origine, e più ancora perché oltre la pienezza della Grazia contenesti in te la Grazia stessa, il Verbo, per cui tu sei la reliquia più vera di Lui, conoscere il disfacimento, la putredine di ogni carne morta. Sarà questo l'ultimo miracolo di Dio su te, in te. Tu sarai conservata qual sei…».
   «E non piangere, allora!», esclama Maria guardando il volto sconvolto dell'apostolo, tutto lavato dalle lacrime. E aggiunge: «Se mi conserverò qual sono, non mi perderai. Non angosciarti, dunque!».
   «Ti perderò ugualmente, anche se tu resterai incorrotta. Lo sento. E mi sento come preso in un uragano di dolore. Un uragano che mi schianta e mi abbatte. Tu eri il mio tutto, specie da quando i miei parenti sono morti e sono lontani gli altri fratelli, di sangue e di missione, anche il diletto Marziam che Pietro s'è preso seco. Ora resto solo, e nella tempesta più forte!», e Giovanni le cade ai piedi piangendo ancor più fortemente.
 13 Maria si curva su di lui, gli pone la mano sul capo scosso dai singhiozzi e gli dice: «No. Così no. Perché mi dài dolore? Fosti così forte sotto la Croce, ed era una scena d'orrore senza pari, e per la potenza del suo martirio e per l'odio satanico del popolo! Tanto forte e confortatore suo e mio, allora! Ed oggi, anzi, in questa sera di sabato, così serena e calma, e davanti a me che gioisco per l'imminente gaudio che presentisco, ti sconvolgi così?! Calmati. Imita, anzi unificati a quanto è intorno a noi e in me. Tutto è pace. Abbi pace tu pure. Solo gli ulivi rompono, col loro tenue fruscio, la calma assoluta dell'ora. Ma è così dolce questo tenue rumore, che sembra un volo d'angeli intorno alla casa. E forse realmente ci sono. Perché sempre gli angeli mi furono vicino, uno o molti, quando ero in un momento speciale di mia vita. Vi furono a Nazaret, quando lo Spirito di Dio rese fecondo il mio vergine seno. E furono da Giuseppe, quando era turbato ed incerto per il mio stato e sul come comportarsi con me. E a Betlem una e una volta, quando nacque Gesù, e quando dovemmo fuggire in Egitto. E in Egitto, quando ci dettero ordine di tornare in Palestina. E — se non a me, perché il Re degli angeli stesso era a me venuto, non appena risorto — e angeli apparvero alle pie donne all'alba del primo dì dopo il sabato e dettero ordine di dire a te e Pietro ciò che dovevate fare. Angeli e luce sempre nei momenti decisivi della mia vita e di quella di Gesù. Luce ed ardore d'amore che univano, scendendo dal trono di Dio a me, sua ancella, e salendo dal mio cuore a Dio, mio Re e Signore, me a Dio e Lui a me, perché si compisse quanto era scritto che si compisse, ed anche per creare un velario di luce steso sui segreti di Dio, onde Satana e i suoi servi non conoscessero, prima del tempo giusto, il compiersi del mistero sublime dell'Incarnazione.
 14Anche questa sera io sento, sebbene non li veda, gli angeli intorno a me. E sento crescere in me, entro me la luce, una insostenibile luce, quale quella che m'avvolse quando concepii il Cristo, quando lo detti al mondo. Luce che viene da un empito d'amore più potente del mio solito. Per una simile potenza d'amore strappai anzitempo dai Cieli il Verbo, perché divenisse l'Uomo e il Redentore. Per una simile potenza d'amore, quale è quella che m'investe questa sera, io spero che il Cielo mi rapisca e trasporti là dove anelo di andare con lo spirito mio per cantare, in eterno, col popolo dei santi e i cori degli angeli, il mio imperituro "Magnificat" a Dio per le grandi cose che ha fatto a me, Sua Ancella».
   «Non col solo spirito, probabilmente. E a te risponderà la Terra, che coi popoli suoi e le sue nazioni ti glorificherà e darà onore e amore sinché il mondo sarà, come ben predisse, pur velatamente, di te Tobia, perché Colei che veramente portò in sé il Signore tu sei, e non il Santo dei santi. Tu desti a Dio, da sola, tanto amore quanto tutti i Sommi Sacerdoti e gli altri tutti del Tempio non dettero in secoli e secoli. Amore ardente e purissimo. Per questo Dio ti farà beatissima».
   «E compirà il mio unico desiderio, il mio unico volere. Perché l'amore, quando è tanto totale da esser quasi perfetto come quello del mio Figlio e Dio, tutto ottiene, anche ciò che parrebbe, a giudizio umano, impossibile ad ottenersi. Ricordalo, Giovanni.
 15E di' anche questo ai fratelli tuoi. Sarete tanto combattuti! Ostacoli d'ogni genere vi faranno temere una sconfitta, stragi da parte dei persecutori e defezione da parte di cristiani, dalla morale… iscariotica, vi deprimeranno lo spirito. Non temete. Amate, e non temete. In proporzione di come amerete, Dio vi aiuterà e vi farà trionfatori su tutto e su tutti. Tutto si ottiene, se si diviene serafini. Allora l'anima, questa mirabile, eterna cosa che è lo stesso soffio di Dio, da Lui infuso in noi, si slancia al Cielo, cade come fiamma ai piedi del divino trono, parla ed è ascoltata da Dio, e ottiene dall'Onnipotente ciò che vuole. Se gli uomini sapessero amare come ordina l'antica Legge e come amò ed insegnò ad amare il Figlio mio, tutto otterrebbero.
 16Io amo così. Per questo sento che cesserò d'essere sulla Terra, io per eccesso d'amore, come Egli morì per eccesso di dolore. Ecco! La misura della mia capacità di amare è colma. La mia anima e la mia carne non la possono più contenere! L'amore ne trabocca, mi sommerge e mi solleva insieme verso il Cielo, verso Dio, mio Figlio. E la sua voce mi dice: "Vieni! Esci! Sali al nostro trono e al nostro trino abbraccio!". La Terra, quanto mi circonda, sparisce nella gran luce che dal Cielo mi viene! I rumori sono coperti da questa voce celeste! È giunta per me l'ora dell'abbraccio divino, Giovanni mio!».
 17Giovanni, che s'era un poco calmato, pur restando turbato, ascoltando Maria, e che nell'ultima parte del suo discorso la guardava estatico e quasi rapito lui pure, pallidissimo in volto quanto Maria, il cui pallore però si muta lentamente in luce candidissima, le accorre vicino per sorreggerla e intanto esclama: «Sei come Gesù quando si trasfigurò sul Tabor! La tua carne splende come luna, le tue vesti rilucono come lastra di diamante posta davanti ad una fiamma bianchissima! Non sei più umana, Madre! La pesantezza e l'opacità della carne è sparita! Tu sei luce! Ma non sei Gesù. Egli, essendo Dio oltre che Uomo, poteva reggersi anche da Sé, là sul Tabor, come qui, sull'Uliveto, nell'ascendere. Tu non puoi. Non reggi. Vieni. Ti aiuto io a posare il tuo corpo stanco e beato sul tuo lettuccio. Riposati». E, amorosissimamente, la conduce presso il povero letto, sul quale Maria si stende senza levarsi neppure il manto.
 18Raccogliendo le braccia sul petto, abbassando le palpebre sui suoi dolci occhi, fulgidi d'amore, dice a Giovanni curvo su di Lei: «Io sono in Dio. E Dio è in me. Mentre io lo contemplo e ne sento l'abbraccio, di' i salmi e quante altre pagine della Scrittura a me si addicono, specie in quest'ora. Lo Spirito di Sapienza te li indicherà. Recita poi l'orazione del Figlio mio, ripetimi le pa­role dell'Arcangelo annunziante e di Elisabetta a me, e il mio inno di lode… Ti seguirò con quanto ancor ho di me sulla Terra…».
   Giovanni, lottando contro il pianto che gli sale dal cuore, sforzando di dominare l'emozione che lo turba, con la sua bellissima voce, che col passare degli anni s'è fatta molto simile a quella di Cristo — cosa che Maria nota con un sorriso, dicendo: «Mi sembra di aver al mio fianco il mio Gesù!», — intona il salmo 118, che dice quasi per intero, poi i tre primi versetti del salmo 41, i primi otto del salmo 38, il salmo 22 e il salmo 1°. Dice poi il Pater, le parole di Gabriele ed Elisabetta, il cantico di Tobia, il capitolo 24° dell'Ecclesiastico, dai versetti 11-46. Per ultimo intona il "Magnificat". Ma, giunto al nono versetto, si accorge che Maria non respira più, pur essendo rimasta naturale nella posa e nell'aspetto, sorridente, placida, come non avesse avvertito il cessare della vita.
   Giovanni, con un grido di strazio, si getta a terra, contro la sponda del lettuccio, e chiama, chiama Maria. Non sa persuadersi che Ella non possa rispondergli più, che il suo corpo sia ormai senza l'anima vitale. Ma deve ben arrendersi all'evidenza! Si curva sul suo volto, rimasto fisso in un'espressione di gaudio soprannaturale, e lacrime e lacrime piovono dai suoi occhi su quel volto soave, su quelle pure mani, così dolcemente incrociate sul petto. È l'unico lavacro che abbia il corpo di Maria: il pianto dell'Apostolo dell'amore e del suo figlio d'adozione per volere di Gesù.
 19Passato il primo impeto di dolore, Giovanni, ricordando il desiderio di Maria, raccoglie i lembi dell'ampio manto di lino, che pendevano dalle sponde del lettuccio, e quelli del velo, pure pendenti dal guanciale, e li stende sul corpo i primi, sul capo i secondi. Maria è ora simile ad una statua di candido marmo, stesa sul coperchio di un sarcofago. Giovanni la contempla a lungo, e ancora delle lacrime cadono dai suoi occhi nel guardarla.
   Poi dà un'altra disposizione alla stanza, levandovi ogni suppellettile superflua. Lascia soltanto il letto, la piccola tavola contro la parete, su cui posa il cofano contenente le reliquie, uno sgabello che colloca tra la porta che dà sulla terrazza e il letto dove giace Maria, e una mensola su cui sta la lucerna, che Giovanni accende perché ormai sta per venire la sera.
 Si affretta poi a scendere nel Getsemani per cogliervi quanti fiori può trovare e dei rami d'ulivo, dalle ulive già formate. Risale nella cameretta e al lume della lucerna dispone i fiori e le fronde intorno al corpo di Maria, come esso fosse al centro di una grande corona.
 20Mentre fa questo lavoro, parla alla giacente come se Maria potesse udirlo. Dice: «Tu fosti sempre giglio della convalle, rosa soave, uliva speciosa, vigna fruttifera, spiga santa. Ci hai dato i tuoi profumi, e l'Olio di vita, e il Vino dei forti, e il Pane che preserva lo spirito, di coloro che degnamente se ne nutrono, da morte. Ben stanno intorno a te questi fiori, come te semplici e puri, come te ornati di spine, e come te pacifici. Ora avviciniamo questa lucerna. Così, presso il tuo letto, perché ti vegli e mi faccia compagnia mentre ti veglio, in attesa di uno almeno dei miracoli che attendo e per il compimento dei quali prego. Il primo è che, secondo il suo desiderio, Pietro e gli altri che manderò ad avvisare dal servo di Nicodemo possano vederti ancora una volta. Il secondo è che tu, come avesti in tutto sorte simile a quella del Figlio tuo, abbia come Lui, entro il terzo dì, a destarti, per non fare di me l'orfano due volte. Il terzo è che Dio mi dia pace se, ciò che io spero avvenga per te, come avvenne per Lazzaro che non t'era simile, non avesse a compiersi. Ma perché non dovrebbe compiersi? Ritornarono vivi la figlia di Giairo, il giovane di Naim, il figlio di Teofilo… Vero è che allora operò il Maestro… Ma Egli è con te, anche se non in modo palese. E tu non sei morta di malattia come i risorti per opera di Cristo. Ma sei proprio morta tu? Morta come ogni uomo muore? No. Sento che no. Il tuo spirito non è più in te, nel tuo corpo, e in tal senso la tua potrebbe dirsi morte. Ma, per il modo come il tuo transito avvenne, io penso che la tua non è che transitoria separazione della tua anima senza colpa e piena di grazia dal tuo purissimo e verginale corpo. Deve essere così! È così! Come e quando la riunione avverrà e la vita tornerà in te, non so. Ma tanto sono certo di questo che resterò qui, al tuo fianco, sino a che Dio, o con la sua parola, o con la sua azione, mi mostrerà la verità sulla tua sorte».
   Giovanni, che ha finito di disporre ogni cosa, si siede sullo sgabello, ponendo in terra, presso il lettuccio, la lucerna; e contempla, pregando, la giacente.

 

   Cap. DCL. Assunzione gloriosa di Maria Ss.

   8 dicembre 1951.
 
 1 Quanti giorni sono passati? È difficile stabilirlo con sicurezza. Se si giudica dai fiori che fanno corona intorno al corpo esanime, si dovrebbe dire che sono passate poche ore. Ma se si giudica dalle fronde d'ulivo su cui posano i fiori freschi, fronde dalle foglie già appassite, e dagli altri fiori vizzi, posati come tante reliquie sul coperchio del cofano, si deve concludere che sono passati dei giorni ormai.
   Ma il corpo di Maria è quale era appena spirata. Nessun segno di morte è sul suo volto, sulle piccole mani. Nessun odore sgradevole è nella stanza. Anzi aleggia in essa un profumo indefinibile che sa d'incenso, di gigli, di rose, di mughetti e di erbe montane, insieme mescolati.
   Giovanni, che chissà mai da quanti giorni veglia, si è addormentato, vinto dalla stanchezza, stando seduto sullo sgabello, con le spalle appoggiate al muro, presso la porta aperta che dà sulla terrazza. La luce della lanterna, posata al suolo, lo illumina da sotto in su e permette di vedere il suo volto stanco, pallidissimo, meno che intorno agli occhi arrossati dal piangere.
 L'alba deve essere ormai incominciata, perché il suo debole chiarore rende visibili all'occhio la terrazza e gli ulivi che circondano la casa, chiarore che si fa sempre più forte e che, penetrando dalla porta, fa più distinti anche gli oggetti della camera, quelli che, per essere lontani dalla lucernetta, prima si intravvedevano appena.
 2 Ad un tratto una gran luce empie la stanza, una luce argentea, sfumata d'azzurro, quasi fosforica, e sempre più cresce, annullando quella dell'alba e quella della lucerna. Una luce uguale a quella che innondò la grotta di Betlemme al momento della Natività divina. Poi, in questa luce paradisiaca, si palesano delle creature angeliche, luce ancor più splendida nella luce già tanto potente apparsa per prima. Come già avvenne quando gli angeli apparvero ai pastori, una danza di scintille d'ogni colore si sprigiona dalle loro ali dolcemente mosse, dalle quali viene come un mormorio armonico, arpeggiato, dolcissimo.
   Le creature angeliche si dispongono a corona intorno al lettuccio, si curvano su di esso, sollevano il corpo immobile e, con un più forte agitar d'ali, che aumenta il suono già esistente prima, per un varco apertosi prodigiosamente nel tetto, come prodigiosamente s'aprì il Sepolcro di Gesù, se ne vanno, portando seco loro il corpo della loro Regina, santissimo, è vero, ma non ancora glorificato e perciò ancora soggetto alle leggi della materia, soggezione a cui non era più soggetto il Cristo perché già glorificato quando risorse da morte. Il suono dato dalle ali angeliche aumenta, ed è ora potente come un suono d'organo.
 3 Giovanni, che s'era già, pur rimanendo addormentato, smosso due o tre volte sul suo sgabello, come fosse disturbato dalla gran luce e dal suono delle ali angeliche, si desta totalmente per quel suono potente e per una forte corrente d'aria che, scendendo dal tetto scoperchiato ed uscendo dalla porta aperta, forma come un gorgo che agita le coperture del letto ormai vuoto e le vesti di Giovanni, spegnendo la lucerna e chiudendo con un forte picchio la porta aperta.
   L'apostolo si guarda intorno, ancor mezzo assonnato, per rendersi conto di ciò che avviene. Si accorge che il letto è vuoto e che il tetto è scoperto. Intuisce che un prodigio è avvenuto. Corre fuori sulla terrazza e, come per un istinto spirituale o per un richiamo celeste, alza il capo, facendosi solecchio con la mano per guardare senza avere l'ostacolo del nascente sole negli occhi.
 4 E vede. Vede il corpo di Maria, ancor privo di vita ed in tutto uguale a quello di persona dormente, che sale sempre più in alto, sostenuto dallo stuolo angelico. Come per un ultimo saluto, un lembo del manto e del velo si agitano, forse per azione del vento suscitato dalla rapida assunzione e dal moto delle ali angeliche, e dei fiori, quelli che Giovanni aveva disposti e rinnovati intorno al corpo di Maria, e certo rimasti tra le pieghe delle vesti, piovono sulla terrazza e sulla terra del Getsemani, mentre l'osanna potente dello stuolo angelico si fa sempre più lontano e quindi più lieve.
   Giovanni continua a fissare quel corpo che sale verso il Cielo e, certo per un prodigio concessogli da Dio, per consolarlo e per premiarlo del suo amore alla Madre adottiva, egli vede, distintamente, che Maria, avvolta ora dai raggi del sole che è sorto, esce dall'estasi che le ha separata l'anima dal corpo, torna viva, sorge in piedi, perché ora Lei pure fruisce dei doni propri ai corpi già glorificati.
   Giovanni guarda, guarda. Il miracolo che Dio gli concede gli dà potere, contro ogni legge naturale, di vedere Maria quale è ora mentre sale ratta verso il Cielo, circondata, ma non più aiutata a salire, dagli angeli osannanti. E Giovanni è rapito da quella visione di bellezza che nessuna penna d'uomo, né parola umana, né opera di artista potrà mai descrivere o riprodurre, perché è di una bellezza indescrivibile.
   Giovanni, stando sempre appoggiato al muretto della terrazza, continua a fissare quella splendida e splendente forma di Dio — perché realmente può dirsi così Maria, formata in modo unico da Dio, che la volle immacolata, perché fosse forma al Verbo incarnato — che sale sempre più in alto. E un ultimo, supremo prodigio concede Iddio-Amore a questo suo perfetto amatore: quello di vedere l'incontro della Madre Ss. col suo Ss. Figlio che, Lui pure splendido e splendente, bello di una bellezza indescrivibile, scende ratto dal Cielo, raggiunge la Madre, se la stringe sul cuore, e insieme, più fulgenti di due astri maggiori, con Lei ritorna da dove è venuto.
 5 Il vedere di Giovanni è finito. Egli abbassa il capo. Sul suo volto stanco sono presenti e il dolore per la perdita di Maria e il gaudio per la sua gloriosa sorte. Ma ormai il gaudio supera il dolore.
   Egli dice: «Grazie, mio Dio! Grazie! Io presentivo che questo sarebbe accaduto. E volevo vegliare, per non perdere nessun episodio della sua Assunzione. Ma erano ormai tre giorni che non dormivo! Il sonno, la stanchezza, congiunti alla pena, mi hanno abbattuto e vinto proprio quando era imminente l'Assunzione… Ma forse Tu stesso l'hai voluto, o Dio, perché io non turbassi quel momento e non soffrissi troppo… Sì. Certo Tu lo hai voluto, come ora volesti che io vedessi ciò che senza un tuo miracolo non avrei potuto vedere. Mi hai concesso di vederla ancora, benché già tanto lontana, già glorificata e gloriosa, come mi fosse vicina. E rivedere Gesù! Oh! visione beatissima, insperata, insperabile! O dono dei doni di Gesù-Dio al suo Giovanni! Grazia suprema! Rivedere il mio Maestro e Signore! Vedere Lui presso la Madre! Lui simile a sole e Lei a luna, splendidissimi entrambi, e per esser gloriosi e per esser felici d'esser riuniti in eterno! Che sarà il Paradiso ora che Voi vi splendete, Voi, astri maggiori della Gerusalemme celeste? Quale il gaudio degli angelici cori e dei santi? È tale la gioia che m'ha dato il vedere la Madre col Figlio, cosa che annulla ogni sua pena, ogni loro pena, anzi, che anche la mia cessa, e in me subentra la pace. Dei tre miracoli che avevo chiesti a Dio, due si sono compiuti. Ho visto tornare la vita in Maria, e la pace la sento tornare in me. Ogni mia angoscia cessa, perché vi ho visti riuniti nella gloria. Grazie di ciò, o Dio.
 6 E grazie per avermi dato modo, anche per una creatura, santissima ma sempre umana, di vedere quale è la sorte dei santi, quale sarà dopo l'ultimo giudizio, e la risurrezione delle carni, e la loro rincongiunzione, la loro fusione con lo spirito, salito al Cielo all'ora della morte. Non avevo bisogno di vedere per credere. Perché io ho sempre creduto fermamente ad ogni parola del Maestro. Ma molti dubiteranno che, dopo secoli e millenni, la carne, fatta polvere, possa tornare corpo vivente. A costoro io potrò dire, giurandolo sulle cose più eccelse, che non solo il Cristo tornò vivo, per suo proprio potere divino, ma che anche la Madre sua, tre dì dopo la morte, se morte può dirsi tal morte, riprese vita, e con la carne riunita all'anima prese la sua eterna dimora in Cielo, al fianco del Figlio. Potrò dire: "Credete, o cristiani tutti, nella risurrezione della carne, alla fine dei secoli, e alla vita eterna e dell'anima e dei corpi, vita beata per i santi, orrenda per i colpevoli impenitenti. Credete e vivete da santi, come da santi vissero Gesù e Maria, per avere la loro stessa sorte. Io ho visto i loro corpi salire al Cielo. Ve lo posso testimoniare. Vivete da giusti per potere un giorno essere nel nuovo mondo eterno, in anima e corpo, presso Gesù-Sole e presso Maria, Stella di tutte le stelle". Grazie ancora, o Dio! 7 Ed ora raccogliamo quanto resta di Lei. I fiori caduti dalle sue vesti, le fronde degli ulivi rimaste sul letto, e conserviamoli. Serviranno… Sì, serviranno a dare aiuto e consolazione ai miei fratelli, invano attesi. Prima o poi li ritroverò…».
   Raccoglie anche i petali dei fiori sfogliatisi nel cadere, rientra nella stanza tenendoli in un lembo della veste.
 8 Nota allora più attentamente l'apertura del tetto ed esclama: «Un altro prodigio! E un'altra mirabile proporzione nei prodigi della vita di Gesù e Maria! Egli, Dio, da Sé risorse, e col suo solo volere ribaltò la pietra del Sepolcro, e col suo solo potere ascese al Cielo. Da solo. Maria, santissima ma figlia dell'uomo, per aiuto angelico ebbe aperto il varco per la sua assunzione al Cielo e, sempre per aiuto angelico, è stata assunta là. Nel Cristo lo spirito tornò ad animare il Corpo mentre esso era ancora sulla Terra, perché così doveva essere, per far tacere i suoi nemici e per confermare nella fede i suoi seguaci tutti. In Maria lo spirito è tornato quando il Corpo santissimo era già sulle soglie del Paradiso, perché per Lei non era necessario più altro. Potenza perfetta dell'infinita Sapienza di Dio!…».
 9 Giovanni ora raccoglie in un telo i fiori e le fronde rimasti sul lettuccio, vi unisce quelli raccolti fuori e li depone tutti sul coperchio del cofano. Poi lo apre e vi colloca il guancialetto di Maria, la coperta del lettuccio; scende nella cucina, raccoglie altri oggetti usati da Lei — il fuso e la conocchia, le sue stoviglie — e le unisce alle altre cose.
 10Chiude il cofano e si siede sullo sgabello esclamando: «Ora tutto è compiuto anche per me! Ora posso andare, liberamente, là dove lo Spirito di Dio mi condurrà. Andare! Seminare la divina Parola che il Maestro mi ha data perché io la dia agli uomini. Insegnare l'Amore. Insegnarlo perché credano nell'Amore e nella sua potenza. Far loro conoscere cosa ha fatto Dio-Amore per gli uomini. Il suo Sacrificio e il suo Sacramento e Rito perpetui, per cui, sino alla fine dei secoli, noi potremo essere uniti a Gesù Cristo per l'Eucarestia e rinnovare il rito e il sacrificio come Egli comandò di fare. Tutti doni dell'Amore perfetto! Far amare l'Amore, perché credano in Esso come noi vi abbiamo creduto e crediamo. Seminare l'Amore perché sia abbondante la messe e la pesca, per il Signore. L'amore tutto ottiene, mi ha detto Maria nel suo ultimo discorso, a me, da Lei giustamente definito, nel collegio apostolico, colui che ama, l'amante per eccellenza, l'antitesi dell'Iscariota che fu l'odio, come Pietro l'irruenza e Andrea la mitezza, i figli d'Alfeo la santità e sapienza congiunta a nobiltà di modi, e così via. Io, l'amoroso, ora che non ho più il Maestro e la Madre da amare in Terra, andrò a spargere l'amore tra le genti. L'amore sarà la mia arma e dottrina. E con esso vincerò il demonio, il paganesimo, e conquisterò molte anime. Continuerò così Gesù e Maria, che furono l'amore perfetto in Ter­ra».

 

   Cap. DCLI. Riflessioni sul Transito di Maria Ss., sulla sua Assunzione e sulla sua Regalità.

   18 aprile 1948.
 
 1 [Dice Maria:]
   «Io morii? Sì, se si vuol chiamare morte la separazione della parte eletta dello spirito dal corpo. No, se per morte si intende la separazione dell'anima vivificante dal corpo, la corruzione della materia non più vivificata dall'anima e, prima, la lugubrità del sepolcro e, per prima tra tutte queste cose, lo spasimo della morte.
   Come morii, o meglio, come trapassai dalla Terra al Cielo, prima con la parte immortale, poscia con quella peribile? Come era giusto per Colei che non conobbe macchia di colpa.
 2 Quella sera, già s'era iniziato il riposo sabatico, parlavo con Giovanni. Di Gesù. Delle cose sue. L'ora vespertina era piena di pace. Il sabato aveva spento ogni rumore di opere umane. E l'ora spegneva ogni voce d'uomo o di uccello. Soltanto gli ulivi intorno alla casa frusciavano al vento della sera, e sembrava che un volo d'angeli sfiorasse le mura della casetta solitaria.
   Parlavamo di Gesù, del Padre, del Regno dei Cieli. Parlare della Carità e del Regno della Carità è accendersi del fuoco vivo, consumare i serrami della materia per liberare lo spirito ai suoi voli mistici. E se il fuoco è contenuto nei limiti che Dio mette per conservare le creature sulla Terra, al suo servizio, vivere ed ardere si può, trovando nell'ardore non consumazione ma completamento di vita. Ma quando Dio toglie i limiti e lascia libertà al Fuoco divino di investire e attirare a Sé lo spirito senza più misura, allora lo spirito, a sua volta rispondendo senza misura all'Amore, si stacca dalla materia e vola là dove l'A­more lo sprona ed invita. Ed è la fine dell'esilio e il ritorno alla Patria.
   Quella sera, all'ardore incontenibile, alla vitalità senza misura del mio spirito, si unì un dolce languore, un misterioso senso di allontanamento della materia da quanto la circondava, come se il corpo si addormentasse, stanco, mentre l'intelletto, ancor più vivo nel suo ragionare, si inabissava nei divini splendori.
   Giovanni, amoroso e prudente testimone di ogni mio atto da quando mi era divenuto figlio d'adozione, secondo il volere del mio Unigenito, dolcemente mi persuase a trovare riposo sul lettuccio e mi vegliò pregando. L'ultimo suono che sentii sulla Terra fu il mormorio delle parole del vergine Giovanni. Mi furono come la ninna-nanna di una madre presso la cuna. E accompagnarono il mio spirito nell'ultima estasi, troppo sublime per esser detta. Me lo accompagnarono sino al Cielo.
 3 Giovanni, unico testimone di questo mistero soave, da solo mi compose, avvolgendomi nel manto bianco, senza mutarmi veste e velo, senza lavacri e imbalsamazioni. Lo spirito di Giovanni, come appare chiaro dalle sue parole del secondo episodio di questo ciclo che va dalla Pentecoste alla mia Assunzione, già sapeva che non mi sarei corrotta, ed istruì l'apostolo sul da farsi. Ed egli, casto, amoroso, prudente verso i misteri di Dio e i compagni lontani, pensò di custodire il segreto e di attendere gli altri servi di Dio, perché mi vedessero ancora e, da quella vista, trarre conforto e aiuto per le pene e le fatiche della loro missione. Attese, come fosse sicuro della loro venuta.
   Ma diverso era il decreto di Dio. Buono come sempre per il Prediletto. Giusto come sempre per tutti i credenti. Appesantì al primo le palpebre, perché il sonno gli risparmiasse lo strazio di vedersi rapire anche il mio corpo. Donò ai credenti una verità di più che li confortasse a credere nella risurrezione della carne, nel premio di una vita eterna e beata concessa ai giusti, nelle verità più potenti e dolci del Nuovo Testamento: la mia immacolata Concezione, la mia divina Maternità verginale, nella Natura divina e umana del Figlio mio, vero Dio e vero Uomo, nato non per voler carnale ma per sponsale divino e per divino seme deposto nel mio seno; e infine perché credessero che nel Cielo è il mio Cuore di Madre degli uomini, palpitante di trepido amore per tutti, giusti e peccatori, desideroso di avervi tutti seco nella Patria beata, per l'eternità.
 4 Quando dagli angeli fui tratta dalla casetta, già il mio spirito era tornato in me? No. Lo spirito non doveva più ridiscendere sulla Terra. Era, adorante, davanti al trono di Dio. Ma quando la Terra, l'esilio, il tempo e il luogo della separazione dal mio Uno e Trino Signore furono per sempre lasciati, lo spirito mi tornò a splendere al centro dell'anima, traendo la carne dalla sua dormizione, onde è giusto dire che fui assunta in Cielo in anima e corpo, non per capacità mia propria, come avvenne per Gesù, ma per aiuto angelico. Mi destai da quella misteriosa e mistica dormizione, sorsi, volai infine, perché ormai la mia carne aveva conseguito la perfezione dei corpi glorificati. E amai. Amai il mio ritrovato Figlio e mio Signore, Uno e Trino, lo amai come è destino di tutti gli eterni viventi».

   5 gennaio 1944.
 
 5 [Dice Gesù:]
   «Venuta la sua ultima ora, come un giglio stanco che, dopo aver esalato tutti i suoi profumi, si curva sotto le stelle e chiude il suo calice di candore, Maria, mia Madre, si raccolse sul suo giaciglio e chiuse gli occhi a tutto quanto la circondava per raccogliersi in un'ultima serena contemplazione di Dio.
   Curvo sul suo riposo, l'angelo di Maria attendeva trepido che l'urgere dell'estasi separasse quello spirito dalla carne, per il tempo segnato dal decreto di Dio, e lo separasse per sempre dalla Terra, mentre già dai Cieli scendeva il dolce e invitante comando di Dio.
   Curvo, a sua volta, su quel misterioso riposo, Giovanni, angelo terreno, vegliava a sua volta la Madre che stava per lasciarlo. E quando la vide spenta vegliò ancora, perché inviolata da sguardi profani e curiosi rimanesse, anche oltre la morte, l'immacolata Sposa e Madre di Dio, che dormiva così placida e bella.
 6 Una tradizione dice che nell'urna di Maria, riaperta da Tommaso, vi furono trovati solo dei fiori. Pura leggenda. Nessun sepolcro inghiottì la salma di Maria, perché non vi fu mai una salma di Maria, secondo il senso umano, dato che Maria non morì come muore chiunque ebbe vita.
   Ella si era soltanto, per decreto divino, separata dallo spirito, e con lo stesso, che l'aveva preceduta, si ricongiunse la sua carne santissima. Invertendo le leggi abituali, per le quali l'estasi finisce quando cessa il rapimento, ossia quando lo spirito torna allo stato normale, fu il corpo di Maria che tornò a riunirsi allo spirito, dopo la lunga sosta sul letto funebre.
   Tutto è possibile a Dio. Io sono uscito dal Sepolcro senz'altro aiuto che il mio potere. Maria venne a Me, a Dio, al Cielo, senza conoscere il sepolcro col suo orrore di putredine e di lugubrità. È uno dei più fulgidi miracoli di Dio. Non unico, in verità, se si ricordano Enoc ed Elia, che, perché cari al Signore, furono rapitialla Terra senza conoscere la morte e trasportati altrove, in un luogo noto a Dio solo e ai celesti abitanti dei Cieli. Giusti erano, ma sempre un nulla rispetto a mia Madre, inferiore, in santità, solo a Dio.
   Per questo non ci sono reliquie del corpo e del sepolcro di Maria. Perché Maria non ebbe sepolcro, e il suo corpo fu assunto in Cielo».

   8 e 15 luglio 1944.
 
 7 [Dice Maria:]
 «Un'estasi fu il concepimento del Figlio mio. Una più grande estasi il darlo alla luce. L'estasi delle estasi il mio transito dalla Terra al Cielo. Soltanto durante la Passione nessuna estasi rese sopportabile l'atroce mio soffrire.
 8 La casa, da dove fui assunta al Cielo, era una delle innumerevoli generosità di Lazzaro per Gesù e la Madre sua. La piccola casa del Getsemani, presso il luogo della sua Ascensione. Inutile cercarne i resti. Nella distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani fu devastata e le sue rovine furono disperse nel corso dei secoli».
           

   18 dicembre 1943.
 
 9 [Dice Maria:]
   «Come mi fu estasi la nascita del Figlio e, dal rapimento in Dio, che mi prese in quell'ora, tornai presente a me stessa e alla Terra col mio Bambino fra le braccia, così la mia impropriamente detta "morte" fu un rapimento in Dio.
   Fidando nella promessa avuta nello splendore del mattino di Pentecoste, io pensavo che l'avvicinarsi del momento della venuta ultima dell'Amore, per rapirmi con Sé, dovesse manifestarsi con un aumento del fuoco d'amore che sempre m'ardeva. Né feci errore.
   Da parte mia, più la vita passava, più aumentava in me il desiderio di fondermi all'eterna Carità. Mi spronava a ciò il desiderio di riunirmi al Figlio mio e la certezza che mai avrei fatto tanto per gli uomini come quando fossi stata, orante e operante per essi, ai piedi del trono di Dio. E con moto sempre più acceso e accelerato, con tutte le forze dell'anima mia, gridavo al Cielo: "Vieni, Signore Gesù! Vieni, eterno Amore!".
 10L'Eucarestia, che era per me come una rugiada per un fiore assetato, era, sì, vita, ma più il tempo passava e più diveniva insufficiente a soddisfare l'incontenibile ansia del mio cuore. Non mi bastava più ricevere in me la mia divina Creatura e portarla nel mio interno nelle sacre Specie, come l'avevo portata nella mia carne verginale. Tutta me stessa voleva il Dio uno e trino, ma non sotto i veli scelti dal mio Gesù per nascondere l'ineffabile mistero della Fede, ma quale era, è e sarà nel centro del Cielo. Lo stesso mio Figlio, nei suoi trasporti eucaristici, mi ardeva con abbracci di desiderio infinito, e ogni volta che a me veniva, con la potenza del suo amore, quasi svelleva l'anima mia nel primo impeto, poi rimaneva, con tenerezza infinita, chiamandomi "Mamma!", ed io lo sentivo ansioso di avermi con Sé.
   Non desideravo più altro. Neppure il desiderio di tutelare la nascente Chiesa era più in me, negli ultimi tempi del mio vivere mortale. Tutto era annullato nel desiderio di possedere Dio, per la persuasione che avevo di tutto potere quando lo si possiede.
 11Giungete, o cristiani, a questo totale amore. Tutto quanto è terreno perda valore. Mirate solo Dio. Quando sarete ricchi di questa povertà di desiderio, che è immisurabile ricchezza, Dio si chinerà sul vostro spirito per istruirlo prima, per prenderlo poi, e voi ascenderete con esso al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, per conoscerli ed amarli per la beata eternità e per possedere le loro ricchezze di grazie per i fratelli. Non si è mai tanto attivi per i fratelli come quando non si è più tra di essi, ma si è luci ricongiunte alla divina Luce.
 12L'avvicinarsi dell'Amore eterno ebbe il segno che pensavo. Tutto perse luce e colore, voce e presenza sotto il fulgore e la Voce che, scendendo dai Cieli, aperti al mio sguardo spirituale, si abbassavano su me per cogliere l'anima mia.
   Suol dirsi che io avrei giubilato d'essere assistita, in quel­l'ora, dal Figlio mio. Ma il mio dolce Gesù era ben presente col Padre quando l'Amore, ossia lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità eterna, mi dette il suo terzo bacio nella mia vita, quel bacio così potentemente divino che in esso l'anima mia si esalò, perdendosi nella contemplazione come goccia di rugiada aspirata dal sole nel calice di un giglio. Ed io ascesi col mio spirito osannante ai piedi dei Tre che avevo sempre adorato.
   Poi, al giusto momento, come perla in castone di fuoco, aiutata prima, seguita poi dalla teoria degli spiriti angelici venuti ad assistermi nel mio eterno celeste natale, attesa già prima delle soglie dei Cieli dal mio Gesù, e sulle soglie di essi dal mio giusto sposo terreno, dai Re e Patriarchi della mia stirpe, dai primi santi e martiri, entrai Regina, dopo tanto dolore e tanta umiltà di povera ancella di Dio, nel regno del gaudio senza limite.
   E il Cielo si rinchiuse sulla gioia di avermi, di avere la sua Regina, la cui carne, unica tra tutte le carni mortali, conosceva la glorificazione avanti la risurrezione finale e l'ultimo giudi­zio».

    Dicembre 1943.
 
 13[Dice Maria:]
   «La mia umiltà non poteva farmi permettere di pensare che tanta gloria mi fosse riserbata in Cielo. Nel mio pensiero era la quasi certezza che la mia umana carne, fatta santa dall'aver portato Dio, non avrebbe conosciuto la corruzione, poiché Dio è Vita e, quando di Sé stesso satura ed empie una creatura, questa sua azione è come aroma preservatore da corruzione di morte.
  Io non soltanto ero rimasta immacolata, non solo ero stata unita a Dio con un casto e fecondo abbraccio, ma m'ero saturata, sin nelle mie più profonde latebre, delle emanazioni della Divinità nascosta nel mio seno e intenta a velarsi di carni mortali. Ma che la bontà dell'Eterno avesse riserbato alla sua ancella il gaudio di risentire sulle sue membra il tocco della mano del Figlio mio, il suo abbraccio, il suo bacio, e di riudire con le mie orecchie la sua voce, di vedere col mio occhio il suo volto, questo non potevo pensare che mi venisse concesso, né lo desideravo. Mi sarebbe bastato che queste beatitudini venissero concesse al mio spirito, e di ciò sarebbe stato già pieno di felicità beata il mio io.
 14Ma, a testimonianza del suo primo pensiero creativo a riguardo dell'uomo, da Lui, Creatore, destinato a vivere, trapassando senza morte dal Paradiso terrestre a quello celeste, nel Regno eterno, Dio volle me, Immacolata, in Cielo in anima e corpo. Subito che fosse cessata la mia vita terrena.
   Io sono la testimonianza certa di ciò che Dio aveva pensato e voluto per l'uomo: una vita innocente e ignara di colpe, un placido passaggio da questa vita alla Vita eterna, per cui, come uno che passa la soglia di una casa per entrare in un reggia, l'uomo, col suo essere completo, fatto di corpo materiale e di anima spirituale, sarebbe passato dalla Terra al Paradiso, aumentando la perfezione del suo io, a lui data da Dio, con la perfezione completa, e della carne e dello spirito, che era, nel pensiero divino, destinata ad ogni creatura che fosse rimasta fedele a Dio e alla Grazia. Perfezione che sarebbe stata raggiunta nella luce piena che è nei Cieli, e li empie, venendo da Dio, Sole eterno che li illumina.
 15Davanti ai Patriarchi, Profeti e Santi, davanti agli Angeli e ai Martiri, Dio pose Me, assunta in anima e corpo alla gloria del Cielo, e disse:
   "Ecco l'opera perfetta del Creatore.
   Ecco ciò che Io creai a mia più vera immagine e somiglianza fra tutti i figli dell'uomo, frutto di un capolavoro divino e creativo, meraviglia dell'universo, che vede chiuso in un solo essere il divino nello spirito eterno come Dio e come Lui spirituale, intelligente, libero, santo, e la creatura materiale nella più innocente e santa delle carni, alla quale ogni altro vivente, nei tre regni del creato, è costretto ad inchinarsi.
   Ecco la testimonianza del mio amore per l'uomo, per il quale volli un organismo perfetto e una beata sorte di eterna vita nel mio Regno.
   Ecco la testimonianza del mio perdono all'uomo al quale, per la volontà di un Trino Amore, ho concesso riabilitazione e ricreazione agli occhi miei.
   Questa è la mistica pietra di paragone, questa è l'anello di congiunzione tra l'uomo e Dio, questa è Colei che riporta i tempi ai giorni primi e dà ai miei occhi divini la gioia di contemplare un'Eva quale Io la creai, ed ora fatta ancor più bella e santa, perché Madre del mio Verbo e perché Martire del più gran perdono.
   Per il suo Cuore immacolato che non conobbe mai macchia alcuna, neanche la più lieve, Io apro i tesori del Cielo, e per il suo Capo che mai conobbe superbia, del mio fulgore faccio un serto e l'incorono, poiché mi è santissima, perché sia vostra Regina".
 16Nel Cielo non vi sono lacrime. Ma in luogo del gioioso pianto, che avrebbero avuto gli spiriti se ad essi fosse concesso il pianto — umore che stilla spremuto da un'emozione — vi fu, dopo queste divine parole, uno sfavillare di luci, un trascolorare di splendori in più vividi splendori, un ardere di incendi caritativi in un più ardente fuoco, un insuperabile ed indescrivibile suonare di celesti armonie, alle quali si unì la voce del Figlio mio, in laude a Dio Padre e alla sua Ancella in eterno beata».

   1 maggio 1946.
 
 17[Dice Gesù:]
   «Vi è differenza tra la separazione dell'anima dal corpo per morte vera, e momentanea separazione dello spirito dal corpo e dall'anima vivificante per estasi o rapimento contemplativo.
   Mentre il distacco dell'anima dal corpo provoca la vera morte, la contemplazione estatica, ossia la temporanea evasione dello spirito fuor dalle barriere dei sensi e della materia, non provoca la morte. E questo perché l'anima non si distacca e separa totalmente dal corpo, ma lo fa solo con la sua parte migliore, che si immerge nei fuochi della contemplazione.
   Tutti gli uomini, finché sono in vita, hanno in sé l'anima, morta o viva che sia per peccato o per giustizia; ma soltanto i grandi amanti di Dio raggiungono la contemplazione vera.
   Questo sta a dimostrare che l'anima, conservante l'esistenza sinché è unita al corpo — e questa particolarità è in tutti gli uomini uguale — ha in se stessa una parte più eletta: l'anima dell'anima, o spirito dello spirito, che nei giusti sono fortissimi, mentre in coloro che disamano Dio e la sua Legge, anche solo con la loro tiepidezza e i peccati veniali, si fanno deboli, privando la creatura della capacità di contemplare e conoscere, per quanto lo può fare un'umana creatura, a seconda del grado di perfezione raggiunta, Dio ed i suoi eterni veri. Più la creatura ama e serve Dio con tutte le sue forze e possibilità, e più la parte più eletta del suo spirito aumenta la sua capacità di conoscere, di contemplare, di penetrare le eterne verità.
 18L'uomo, dotato d'anima razionale, è una capacità che Dio empie di Sé. Maria, essendo la più santa d'ogni creatura dopo il Cristo, fu una capacità colma — sino a traboccare sui fratelli in Cristo di tutti i secoli, e per i secoli dei secoli — di Dio, delle sue grazie, carità e misericordie.
   Trapassò sommersa dalle onde dell'amore. Ora, nel Cielo, fatta oceano d'amore, trabocca sui figli a Lei fedeli, e anche sui figli prodighi, le sue onde di carità per la salvezza universale, Lei che è Madre universale di tutti gli uomini».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Assunta in Cielo quale Regina Universale,
noi ci affidiamo per sempre a Te!