MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

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Pubblicato il 20/05/2023

Secondo giorno della Novena di Pentecoste con riferimenti alle Opere di Maria Valtorta

   

   Inno allo Spirito Santo

   
   Vieni o Spirito Creatore, visita le nostre menti, 

riempi della tua grazia i cuori che hai creato.  

   
   O dolce Consolatore,

acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell'anima.  

 
   Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore, 

irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. 

   Sii luce all'intelletto, fiamma ardente nel cuore; 

sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. 
 

   Difendici dal nemico, reca in dono la pace, 

la tua guida invincibile ci preservi dal male. 
 

   Luce d'eterna sapienza, svelaci il grande mistero 

di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore. 

Amen.
  

   Meditazione e preghiera

   “Non c’è dunque nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rm 8,1-2).

   Spirito del Signore e celeste donatore, con la più profonda umiltà, ma anche con tutta la potenza dei miei ardenti desideri, chiedo i tuoi santi doni, particolarmente la sapienza e la pietà. Accresci in me questi doni fino al loro sviluppo completo affinché l’anima mia sia docile ed obbediente a Te, Maestro interiore, ed io viva abitualmente dei tuoi doni e nella contemplazione intima e soave di Te e di tutta la Trinità.

   Rosario allo Spirito Santo oppure 7 Padre, 7 Ave, 7 Gloria al Padre


   Preghiera finale
 

   O Dio, che hai istruito i Tuoi fedeli

illuminando i loro cuori con la Luce dello Spirito Santo,

concedi a noi di avere nello stesso Spirito il gusto del bene,

e di godere sempre del Suo conforto.

   Per Cristo nostro Signore.

   Amen.

Dalle 'Lezioni sull'Epistola di Paolo ai Romani',
Lezione 26ª 12 giugno - 14 giugno 1948 Ai Romani c. 8.

   Dice il Dolce Ospite:

   «Come Dio dà la predestinazione alla Grazia a tutti gli uomini, e la predestinazione alla gloria a coloro tra gli uomini che rimangono fedeli alla Grazia, così dà la giustificazione a quelli che con ferma volontà sanno rendere attivi in loro i doni gratuiti dati, o lasciati, o restituiti, per Gesù Cristo. Ed essendo cristiani non soltanto di nome e per alcuni segni ricevuti ma non più vitali in essi - perché i peccati in materia grave e la permanenza negli stessi li hanno distrutti - ma cristiani di fatto per la loro volontaria fedeltà alla legge spirituale, rinascono in spirito e per lo Spirito Santo e per l’acqua, segno della Grazia che monda e seppellisce l’uomo morto restituendo l’uomo nuovo, e per lo Spirito d’Amore e il Sangue, che purifica e lava dalle colpe in cui possono esser caduti.
   Con la loro volontà costoro operano la loro seconda creazione, o “ricreazione” in Cristo e per Cristo, instancabilmente, senza sconforti o stanchezze, si formano, si modellano sull’esempio e somiglianza di Cristo, Capo del Corpo del quale essi sono membra. Né, per riconoscersi umilmente e sinceramente membra deboli o anche ignobili, cessano di sforzarsi ad assumere l’ordinata bellezza che splende dal Corpo Mistico e specie dal Capo di esso, Gesù, ma anzi, appunto perché tali si riconoscono, indefessamente lavorano ad imitare il Cristo, prendendo sempre più la somiglianza dell’Uomo perfetto il quale, nella sua perfezione, fu vera immagine e somiglianza di Dio, tanto da poter dire: “Chi vede Me vede il Padre mio”.
   Uniti a Lui, fedeli a Lui, volonterosi, per amore di Lui, di “non camminare secondo la carne”, voi, cristiani di fatto, da Lui siete giustificati, e le vostre azioni, anche se ancora imperfette, divengono buone perché Egli le riveste dell’abbondanza dei suoi meriti infiniti.
   Più ancora: per lo spirito di Dio che abita in voi, e che in voi nuovamente torna ad abitare ogni qualvolta il Sangue divino vi riconsacra templi in cui può abitare la Grazia-Dio, voi venite rinnovellati, ricreati, risuscitati, guariti, dopo esser stati morti o feriti dal peccato attuale più o meno grave.
   Tutto dunque vi viene da Lui e per Lui, che ha tutto dato e tutto patito per amore di voi, e insieme alla sua Carne innocente, fatta ostia pura, santa e immacolata, ha crocifisso e consumato il Peccato sulla Croce. 

   Continuando il dettato del 12 giugno, oggi 14 giugno.

   E tutti i peccati ha scontato nel suo Ss. Corpo. E perché voi poteste rivestirvi della veste di nozze, veste monda e ornata, s’è rivestito Egli di piaghe, trafitture, lividure e sangue.
   L’ira di Dio si è abbattuta su di Lui, l’ira per i vostri infiniti peccati, dal primo Peccato, padre d’ogni altro, all’ultimo che sarà compiuto, e la Giustizia ha inchiodato ogni colpa e l’ha spenta sul suo Corpo innocente. Come cerbiatto inseguito da una torma di arcieri, così Egli, inseguito dalle frecce di Dio, perché ogni colpa fosse espiata col suo Sangue.
   Dalla testa dove non erano stati che pensieri santi e dalla quale non erano uscite che parole di sapienza, giustizia, amore, ai suoi miti piedi di Messaggero di pace, di Colui che, per venire, aveva superato distanze e disceso valli quali nessun uomo mai supererà e scenderà - avendo valicato la distanza abissale che è tra la sua natura divina e quella umana, ed era disceso sino alla profondissima, stretta, buia, contaminata valle di peccato e dolore che è la Terra, così diversa dall’Empireo senza confini, tutto luce, purezza, armonia, gaudio, superiori ad ogni concezione umana, per trovare in essa, dopo tante prove, fatiche e pene, la Croce - dalla testa ai piedi non fu più che una sola ferita.
   E se non si possono contare le stelle sparse nell’immensità dei cieli, neppure si poterono contare le ferite sparse sull’Immenso che si fece limitato in una Carne espiatoria. Perché ogni piaga e lividura era la somma di molte ferite e percosse patite da Colui che, per sua natura divina, non era passibile al dolore e alla morte, ma che si fece Uomo per consumare i peccati del mondo, fare le offerte che riscattano ogni impurità, conoscere il dolore e la morte, abbandonarsi ad essi per dare ai morti alla grazia la Vita, e ai fedeli ad essa la pace dei figli di Dio sulla Terra e la gloria gaudiosissima in Cielo.
   Poteva Dio essere pago con altri sacrifici del suo Figlio diletto, che non fossero quelli atroci ed infamanti della flagellazione e della croce, supplizi da malfattori e da schiavi. Il solo mortificarsi del Verbo in una Carne, il suo vivere soggetto alle necessità dell’uomo, il suo vivere tra peccatori, bestemmiatori, falsi adoratori di Dio, lussuriosi, violenti, menzogneri, per santificarli con il suo passaggio tra loro, poteva saziare il Padre.
   La conversione dell’uomo dal disordine del peccato all’ordine della Legge poteva avvenire, sì, poteva avvenire per mezzo del solo ammaestramento di Cristo. La fondazione della religione cristiana poteva avverarsi per la sola permanenza dell’Emanuele in Palestina. Altri hanno fondato religioni che resistono ai secoli, ed erano semplici uomini. A maggior ragione si sarebbe potuta avere la fondazione della religione cristiana per mezzo del Cristo, Verbo di Dio fattosi Uomo, durante il suo soggiorno tra gli uomini, ché nessuno fu Maestro più Maestro di Lui. Dio avrebbe anche potuto scegliere di fra gli uomini il più giusto di essi e ad esso unire temporaneamente lo Spiritosa azione nella sua reale sostanza. Per cui il Cristo-Uomo e Dio fu, durante il tempo, ancora e sempre Dio, Uno col Padre e con lo Spirito Santo, come lo era avanti l’Incarnazione, e fu veramente Uomo per esser stato fatto da Donna, per opera di Spirito Santo, senza concupiscenza di carne, senza soggezione alla Colpa originale o a qualsivoglia altra colpa.
   Oh! se sarebbero bastate quelle gocce di Sangue divino a redimere l’Umanità, senza giungere all’effusione totale di esso fra tanti martirî! Ma nella reale unione delle due natura in una sola persona, nell’annichilimento di un Dio in una carne prima, in una immolazione totale poi, sta la misura dell’immensità dell’amore divino e della gravità della Colpa, così come nella Risurrezione sta la prova innegabile della vera personalità di Gesù di Nazaret, il Cristo, l’Emanuele, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, senza possibilità di dubbio o di errore. Perché solo un Dio poteva da Sé risuscitare Se stesso nella sua parte umana, dopo tal morte e tal sepoltura, e risuscitare glorioso, senza tracce di ferite, fuor che quelle salutifere delle Cinque Piaghe, fatto bellissimo - Egli che già era il “Bello tra i figli degli uomini” non solo per eredità di bellezza materna e per esenzione da tare conseguenti alla Colpa, ma anche per dono divino, necessario alla sua missione e al suo fine - fatto bellissimo, ancor più maestoso e potente, della bellezza dei corpi glorificati.
   Tutto avrebbe potuto bastare al Padre per raggiungere il fine di rendere la Grazia all’uomo decaduto, e tutto il Padre avrebbe potuto compiere senza giungere a quell’abisso di annichilimento e a quel vertice di dolore che volle per suo Figlio onde fosse cancellata la Colpa e riaperto il Cielo ai figli adottivi di Dio.  Ma quali conseguenze ne  sarebbero  venute? Quelle di nuovi peccati di ribellione, di disordine, di superbia, di durezza, di negazione, che avrebbero riprecipitato nell’abisso l’Umanità tratta da esso dal Redentore, e nulla sarebbe stata la sua opera di Maestro, Fondatore, Santificatore degli uomini.
   L’umanità superba, quella d’Israele più di ogni altra, avrebbe forse chinato la fronte davanti alla dottrina, alla giustizia, alle dichiarazioni di un uomo, e uomo del popolo, del figlio del falegname di Nazaret, se non si è arresa ai prodigi dei suoi miracoli e della sua Risurrezione ed Ascensione? La potenza di un uomo anche santissimo al quale si fosse temporaneamente unito Dio, avrebbe conseguito lo scopo di fare accettare una religione così contraria, nelle sue dottrine, alla sensualità triplice che morde, brucia, rende insani gli uomini? Era conveniente e giusto che la Religione perfettissima venisse predicata e fondata per la sola permanenza dell’Emanuele in Palestina? È da pensarsi un mondo convertito dall’ammaestramento di un uomo ancorché sapientissimo?
   Nulla di queste cose può avere risposta affermativa. Non sarebbe stato possibile, né giusto, né conveniente.  Perché  l’uomo  l’avrebbe  resa  nulla  e  impossibile  a  seguirsi  con  i  suoi  cavilli, incredulità, scandali ingiusti, ironie stolte ed irriverenti.
   Perché la Religione di Cristo doveva essere universale, e tale fu sempre contemplata dal Pensiero divino; perciò doveva esser appoggiata, suffragata e riconosciuta unica e perfetta, perpetua sino alla fine dei secoli, degna d’esser seguita da tutti i popoli, non soltanto da quello palestinese, già “Popolo di Dio”, ma mutatosi, nel corso dei secoli, e specie negli ultimi tre anni della vita terrena del Verbo Incarnato, in “Popolo di antidio”.
   Perché troppo grande sarebbe stata la sproporzione tra la colpa e l’espiazione, fra l’oceano delle colpe passate, presenti, future dell’Umanità tutta, da Adamo all’ultimo vivente, e la misura del sacrificio, se questo non fosse stato di immolazione totale.
   Perché troppo deboli sarebbero state, per i troppi increduli, le prove della vera Personalità di Gesù Cristo, se Egli fosse tornato  al Padre, dopo  aver compiuto la sua missione di Maestro.
   Fondatore, Santificatore, senza prima esser stato torturato e ucciso, in quella maniera, alla presenza delle moltitudini d’ogni nazione, convenute in Gerusalemme per la Pasqua, di modo che sia gli israeliti prevaricatori e deicidi, che i Gentili ignoranti il Dio vero, divennero, loro malgrado, testimoni e testimoniatori della vera Personalità di Gesù Cristo, Dio e Uomo, che da Se stesso risorse e apparve a molti dopo la risurrezione, dopo esser stato catturato, torturato, ucciso da quelli del suo Popolo e confermato morto dalla lanciata del romano, e che ascese al Cielo, per forza propria, ancora alla vista di molti, accorsi di nuovo a Gerusalemme, per l’imminente festa delle messi o delle sette settimane, detta poi Pentecoste, da ogni parte della Diaspora, sia che fossero israeliti puri o proseliti, o famiglie miste composte di gentili e di ebrei.
   Nulla è senza ragione nelle cose stabilite o permesse da Dio. E ragione perfetta e buona. Per questo, Cristo fu immolato nel venerdì pasquale, risuscitò mentre ancora durava l’affollamento della Pasqua, ascese quaranta dì dopo, quando novellamente la città era affollata di pellegrini che tornavano per la Pentecoste o che vi avevano sostato per compiere il duplice rito di presentazione di ogni maschio nel Tempio, per le due feste di primavera.
   Quei pellegrini, spargendosi poi per tornare alle loro città della Diaspora, e anche altrove, avrebbero sparso ovunque abitavano la novella dei prodigi visti, e a loro stessa insaputa avrebbero servito a divulgare nel mondo la verità che Gesù di Nazaret era il Figlio di Dio, il Predetto dai Profeti, l’atteso Messia, il Salvatore e Redentore; come servì allo stesso scopo Ponzio Pilato col suo rapporto a Caio Tiberio Cesare sul processo e la condanna di “un ebreo di Nazaret, di nome Gesù, ucciso per volontà di popolo perché accusato di sovvertire la nazione e di istigare il popolo a non pagare i tributi a Cesare, poiché un sol re era sulla Terra e quello era Lui: Gesù”; come servì Longino e gli altri legionari, che ne videro la mansuetudine e la maestà tralucente anche sotto la veste di ferite che sfiguravano il Martire, ne sentirono le parole solenni nell’interrogatorio del Proconsole, e lungo la via dolorosa e dalla croce assistettero ai prodigi che accompagnarono la sua Morte.
   Tutto e tutti servirono a testimoniare che Gesù di Nazaret era il Figlio di Dio.
   Osservate e meditate, o uomini, in quali tempi avvennero i principali eventi del Cristo. La Nascita avvenne quando l’editto di un Cesare richiama gli ebrei sparsi per la Terra alle loro città d’origine per essere censiti. La Morte, la Risurrezione, l’Ascensione, avvengono quando i comandi della Legge mosaica raccolgono gli sparsi figli d’Israele intorno al Santo del Tempio, nella Città santa.
   È l’Umanità che deve essere salvata da quell’Infante vagente in una mangiatoia. E l’Umanità, rappresentata non solo da palestinesi ma da ebrei esuli in altre nazioni, si aduna, per quel tempo, nella nazione dove Egli viene alla luce.
   È l’Umanità, che deve esser redenta dall’innocente Agnello di Dio morente sulla Croce, che si aduna nella città deicida e omicida per quel tempo in cui Egli viene immolato, per essere presente al delitto compiuto nel tempo e nel modo predetti dai Profeti per il Re Messia: Uomo Dio.
   È ancora l’Umanità, che è agitata da turbamenti e rimorsi, da dubbi e affermazioni, e che deve essere confermata nella Fede, che è presente quando, tra lo scuotimento del secondo terremoto, l’Ucciso risorge mentre il Sepolcro si svuota del Vivente inutilmente ucciso, ed ha la risposta del Dio Uno e Trino, risposta placante o torturante, sull’Uomo di Nazaret.
   È ancora l’Umanità, tuttora dubbiosa, perché sempre superba e proterva, che è presente nel fulgido mattino di nisan, quando Colui che non si volle riconoscere per ciò che era né ascoltare, che anzi venne messo a morte sperando spegnerne la voce, ascende al Cielo, Parola e Carità eterna che sempre parlerà, che sempre accenderà gli uomini, di buona volontà, di amore per Lui, e l’Umanità lo vede ascendere nella luce del sole, più splendente di esso per la luminosa bellezza e proprietà dei corpi gloriosi.
   È infine l’Umanità, ancora titubante dopo tante prove, che è presente al miracolo pentecostale, alla epifania della Chiesa docente, la quale Chiesa, non per capacità propria, ma per essere stata fatta ripiena di Spirito Santo, dell’incorporea Terza Persona della Triade Eterna, discesa sulla Terra

- come la Seconda Persona aveva detto prima di consumare il suo Sacrificio e prima di ascendere al Cielo, al Cielo dal quale era scesa per volere della Prima Persona, e per un unico trino amore che vuole, in Uno, ciò che gli altri Due vogliono, essendo Essi un’unica Unità in tre Persone - inizia il suo magistero sapiente ed infallibile nelle verità della Religione.
   Le opere di Dio sono opere di verità e di luce. Nella luce si compiono, nella verità si affermano.
   La verità ama e cerca la luce. La luce fa splendere la verità anche alle pupille che vogliono essere cieche. E questo perché non possano dire: “Non abbiamo visto”, e perché la condanna che verrà loro data dal Giudice divino sia condanna motivata dalla loro malvagia volontà, e volontariamente meritata per essersi ostinatamente fatte cieche per non riconoscere la verità.
   Dio, nella sua amorosa volontà, agisce in modo che tutti possano vedere il Vero per avere il modo di salvarsi. La salvezza di tutti è il desiderio di Dio.   
   La gloria per tutti è il suo eterno sospiro. Il respingere salute e gloria da parte di troppi è il suo infinito dolore.
   Onde tutti coloro che sono di buona volontà abbiano giustificazione, salute e gloria, Egli ha mandato il suo Verbo tra gli uomini, lo ha vestito di Carne pura, santa e immacolata, perché la Sapienza di Dio parlasse alle turbe e le ammaestrasse, e l’Agnello di Dio fosse immolato, e così redimesse l’Umanità dalla Colpa che la privava della Grazia, e gli uomini ricreati alla vita soprannaturale potessero camminare nella via di Cristo e raggiungere il Regno celeste, la conoscenza e visione di Dio, la Vita eterna e gloriosa per il cui fine il Creatore li ha creati.»

   Lezione 30ª, 29 - 1 - 1950,
   
Ai Romani c. 8°.

   «L’Apostolo si rivolge ai figli di Dio. L’Amore pure si rivolge ad essi, quello stesso Amore che ispirò Paolo e che ispira, ammaestra e santifica coloro che hanno amore a Dio. Anche in essi è “la legge del peccato”, congenita alla carne da quando essa volle gustare il frutto proibito.
   Nessuno dei servi di Dio ignorò questo giogo, questa catena, questo “aculeo” di cui parla lo stesso Paolo, che pur fu rapito al terzo Cielo e udì parole arcane, ma non per questo fu risparmiato dagli assalti “di un angelo di Satana”, eccitatore crudele, invido della santità dell’Apostolo, degli stimoli della carne.
   E l’ispirato Apostolo, che è penetrato nei misteri di Dio senza poter ripetere quelle “parole arcane” che glieli hanno svelati, non leva lamenti per questi assalti e stimoli, non leva rimproveri al Signore che li ha permessi, ma “avendo lo spirito di Cristo in lui” comprende la ragione soprannaturale di amore e di giustizia che permise quegli assalti e quello stimolo dopo “la grandezza delle rivelazioni”, accetta la risposta di Dio e proclama: “Dunque mi glorierò delle mie infermità affinché in me abiti la potenza di Cristo”.
   Ecco come l’uomo in cui è natura carnale e natura spirituale, legge carnale e legge spirituale, può vivere secondo lo spirito: avendo in sé la potenza dello spirito di Cristo. La Grazia e la buona volontà contribuiscono a tenere ordine fra le parti carnale e spirituale in contrasto tra loro. Ma quello che afferma, conferma, stabilisce nella legge dello spirito, nella vita dello spirito, è l’avere il Cristo inabitante nell’uomo, ossia la vita in Cristo Vita. In Cristo, mistica Vite che alimenta i tralci. In Cristo, Capo del mistico Corpo la cui composizione è data dall’unione di tutti i cattolici vivi per la Grazia divinamente data, per la buona volontà eroicamente praticata, per l’unione, anzi: la fusione col Cristo, agendo in ogni momento e azione in Lui, come Lui e per Lui.
   Tutta la dottrina di Gesù, tutta la dottrina di Paolo, si ritrovano in questa lezione.
   “Io sono la vera Vite e voi i tralci. Il tralcio non può dar frutto se non rimane unito alla vite. Se uno rimane in Me ed Io in lui, questo porta molto frutto, e potrà fare le opere che Io faccio e anche delle maggiori, perché il Padre mio farà ciò che voi gli domanderete in mio Nome. Io stesso farò in voi ciò che in mio Nome mi chiederete. E anche lo Spirito di verità che procede dal Padre, abiterà in voi, vi insegnerà in ogni vero”.
   E ciò disse dopo uscito il Traditore che non era degno di sentire altre, le più sublimi, parole di Vita, essendo già un morto, un impuro, essendolo sempre stato un impuro, un patteggiatore fra Cristo e Satana. La Parola era Vita a chi l’accoglieva acquistando con ciò il diritto di divenire “figlio di Dio”. Ma era Morte a chi, avendola conosciuta, non l’aveva accolta con purità d’intenzione, ma anzi, dopo averne sperato utile e gloria umana, la condannava e vendeva.
   Veramente anche ora è così. Coloro che della Parola fanno un mezzo di gloria umana e di umano utile, o tentano farlo, muoiono più ancora di quelli che la Parola non hanno conosciuta, ai quali, davanti agli occhi giustissimi di Dio, sarà mezzo di premio anche la legge naturale e le buone opere compite secondo la religione da essi conosciuta per onorare la divinità, così come ad essi era dato di conoscerla.
   Guai a chi “molto ha avuto” senza aver molto dato! Guai a chi tenta servire Dio e Mammona nello stesso tempo! Guai a chi avendo ricevuto, direttamente od indirettamente, un dono straordinario di Dio, lo avvilisce a mezzo di baratto e contratto per concupiscenza di gloria umana e di denaro!
   Anche la dottrina di Paolo è in questa lezione. La profonda dottrina del Corpo mistico.
   Voi siete il corpo di Cristo e membri uniti ai membri... Come il corpo è uno ed ha molte membra, e tutte, sebbene sian molte, formano un sol corpo, così è del Corpo mistico di Cristo... che è Capo nel Corpo della Chiesa... E anche le membra che sembrano più deboli sono le più necessarie... avendo  Dio  disposto  il  corpo  in  maniera  da  dare  maggior  onore  alle  membra  che  non  ne avevano... ma che sono divenute degne d’onore per  l’inabitazione nel Corpo mistico e per l’inabitazione del Cristo in loro, del Cristo in cui è la pienezza della divinità e dell’unione col Padre e con lo Spirito Santo, quello stesso Spirito “che chiede (per le membra) con gemiti ineffabili”, mentre il Padre “conosce quel che brami il suo Spirito Santo”, mentre il Figlio diletto, vivente vero cristiano, grida, col suo spirito infuso nei cuori dei figli di Dio: “Abba – Padre”.
   Ed ecco così possibile all’uomo, nonostante il contrasto tra carne e spirito, e leggi di carne e spirito, e assalti satanici, mantenersi nell’ordine, nell’armonia, nell’amore, e raggiungere la perfezione ed il Cielo.   
   Il corpo sarà sempre corpo e conoscerà gli stimoli, come conoscerà la morte alla fine dei suoi giorni. Ma il corpo sarà reso suddito allo spirito che il Cristo inabitante in esso rende forte, giusto, vivo della seconda e soprannaturale vita che non conosce morte.
   Non perirà quindi chi vive in Cristo, per Cristo, con Cristo. Non precipiterà nell’abisso. Potrà esser combattuto, ed anche talvolta atterrato, ma non resterà tale. Risorgerà, dopo ogni assalto, più forte di prima, sino all’ultima risurrezione senza termine.
   Anche il Cristo parve vinto più volte, posto in fuga, costretto a ritirarsi, durante la vita pubblica.
   Anche il Cristo parve abbattuto per sempre nel Venerdì santo. Ma quel suo completo annichilimento fece più completo il suo trionfo. Proprio per essere stato per qualche ora “il reo” meritevole del supplizio della croce, per essere stato accusato d’essere “il bestemmiatore, il sacrilego, l’obbrobrio del Popolo santo”, fu poi il Vincitore, il Santo dei santi, il Pontefice eterno, la Gloria del Popolo cristiano.
   Egli ha vinto la tentazione, il peccato, la morte. Chi vive in Lui e per Lui, come Lui sopporta la tentazione e la vince, anche se cade non muore restando nel peccato. Non resta nella morte, ma risorge. Sempre risorge, anche se è morto per improvviso sopravvento carnale, purché voglia esser di Cristo e vivere nella legge sua, che è legge dello spirito. Perché Egli, il Cristo Salvatore, che istituì i Sacramenti per ridare vita agli spiriti e morì per redimere, e insegnò ai suoi Apostoli a perdonare settanta volte sette alle debolezze umane che si pentono d’aver peccato, è là, presso la porta del cuore dal quale un peccato lo ha escluso, e bussa per entrare nuovamente e riportare “Vita e Luce”.
   Ed è la dottrina di Pietro in questa lezione: “... Al quale (il Signore)... accostandovi, siete anche voi come pietre vive, edificate sopra di Lui, per essere casa spirituale (del Signore, essendo che il corpo di un giusto è tempio allo Spirito di Dio), sacerdozio santo per offrire vittime spirituali (essendo che ogni uomo giusto offre se stesso in perpetua immolazione di ubbidienza alla Legge per amore a Dio e può essere maestro spirituale, con la parola e l’esempio, che porta a Dio altri uomini)... La divina potenza di Cristo ci ha donato tutto ciò che riguarda la vita e la pietà... per farvi partecipi della divina natura”.
   Ed è la dottrina di Giovanni in questa lezione: Se diciamo d’aver comunione con Lui e camminiamo  nelle tenebre, siamo bugiardi e non pratichiamo la verità. Se invece camminiamo nella luce, siamo in comunione scambievole e il Sangue di Gesù Cristo suo Figlio ci purifica d’ogni peccato... Abbiamo un avvocato presso il Padre,  Gesù  Cristo,  il Giusto...  Chi dice di stare in  Lui (Dio)  deve  vivere come Gesù  ha vissuto... Chiunque è nato da Dio (per aver creduto e accolto Gesù e la sua Legge) non commette il peccato, perché tiene in sé il germe vitale di Dio… Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figliuolo. Chi ha il Figliuolo (in sé) ha la vita, chi non lo ha, non ha la vita... La divina generazione lo conserva (quello che ha in sé Cristo Vita)... Il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere il vero Dio ed essere nel suo vero Figliuolo”.
   Veramente dunque per “vivere” la vera vita che non conosce termine, l’uomo deve avere “lo spirito di Cristo”. In tal modo la carne, schiava del peccato, sarà doppiamente schiava dello spirito animato dallo spirito di Gesù Ss. Che ha reso soggetti peccato e carne, e non potrà dare morte allo spirito. Ma anzi, in grazia della santità di esso, anche la carne avrà, alla fine dei secoli, resa la vita per giubilare essa pure nel Regno eterno.»