MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

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Pubblicato il 17/03/2024

Triduo in Onore di San Giuseppe con riferimenti alle Opere di Maria Valtorta: Secondo Giorno

TRIDUO IN ONORE DI SAN GIUSEPPE   

   Da recitarsi tutto intero per tre giorni di seguito a partire dal 16 Marzo o dal 28 Aprile oppure ogni volta che si desidera esprimere la propria devozione al santo o domandare qualche Grazia speciale


   Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen 

   O Dio vieni a salvarmi

   Signore vieni presto in mio aiuto

   Gloria al padre

   Credo

   Santissimo sposo di Maria, mi prostro ai piedi del tuo altare con il cuore pieno di filiale riconoscenza verso di te, padre amoroso, che tanto benignamente accogliesti ed esaudisti le mie povere preghiere. Sia ringraziata la tua paterna bontà, che sempre esaudisce chi  ti supplica e non lascia nessuno deluso nella sua speranza. Sì, o caro Santo, tu fosti l'aiuto mio nella tribolazione: a te son ricorso fiducioso e fui esaudito. 
   Accogli ora il grido di gratitudine del mio cuore, come già accogliesti il gemito e la preghiera nel giorno della tribolazione.
 

   Padre nostro 

   Ave Maria 

   Gloria al Padre

   Insuperabile Custode del Verbo Incarnato, accogli benigno i ringraziamenti che vengo a porgerti per averti trovato tanto benefico in mio favore. Sia benedetto, o san Giuseppe, il momento che io volsi lo sguardo ed il pensiero a te e sospirai implorando il tuo soccorso. La mia preghiera fu esaudita; ed ora, eccomi dinanzi a te a sciogliere il mio tributo di gratitudine e di lode. Sii tu infinitamente benedetto, o capo augusto della Santa Famiglia.

   Padre nostro

   Ave Maria

   Gloria al Padre

   O eccelso taumaturgo, quanto mi è caro ringraziarti con questo nome, che dimostra tutta la tua potenza presso Gesù e Maria.
O caro san Giuseppe, in ringraziamento del beneficio ottenuto, ti prometto di diffondere la devozione verso di te e di aumentare le opere che, nel tuo nome, sorgono a sollievo di tanti infelici.

   Padre nostro 

   Ave Maria 

   Gloria al Padre


Maria Valtorta: L'Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. XIII. Sposalizio della Vergine con Giuseppe, istruito dalla Sapienza ad essere custode del Mistero 

  5 settembre 1944

  1Come è bella Maria nelle sue vesti di sposa, fra le amiche e maestre festanti! Vi è anche, fra queste, Elisabetta.

  Tutta vestita di candidissimo lino, così setoso e fino che pare una seta preziosa. Una cintura in oro e argento lavorato a bulino, fatta tutta a medaglioni tenuti insieme da catenelle — e ogni medaglione è un ricamo di linee d'oro fra il pesante argento che il tempo ha brunito — le cinge la vita sottile e, forse perché troppo larga per Lei, ancor giovinetta gentile, le pende davanti coi tre ultimi medaglioni, scendendo fra le pieghe della veste amplissima e lievemente a strascico tanto è lunga. Ai piedini, sandali di pelle bianchissima con fibbie in argento.
  Al collo la veste è tenuta da una catenella a rosette d'oro e di filigrana d'argento, che riprendono in piccolo il motivo della cintura, e che passa fra larghe asole che sono all'ampia scollatura, riunendola perciò in crespe che formano come una piccola gala. Il collo di Maria emerge da quel candore pieghettato con la grazia di uno stelo avvolto in una garza preziosa, e pare ancor più esile e bianco, uno stelo di giglio terminante nel viso liliale, ancor più pallido per l'emozione e più puro. Un viso di ostia purissima.
  I capelli non pendono più sulle spalle. Sono vezzosamente disposti a nodo di trecce, e delle preziose forcine di argento brunito, tutte fatte a ricamo di filigrana nell'arco del sommo, le tengono a posto. Il velo materno è posato su queste trecce e ricade con belle pieghe al disotto della lamina preziosa, che stringe la fronte bianchissima. Scende sino ai fianchi, perché Maria non è alta come sua madre, e il velo le sorpassa le anche, mentre ad Anna giungeva alla cintura.
  Alle mani nulla, ai polsi braccialetti. Ma sono così sottili questi polsi, che i pesanti braccialetti materni le ricadono fin sul dorso e forse, se scuotesse le mani, cadrebbero al suolo.

  2Le compagne la rimirano in tutti i sensi e l'ammirano. Fanno un gaio cinguettio di passerette con le loro domande e le loro frasi di ammirazione.
  «Son di tua madre?».
  «Antichi, vero?».
  «Che bella, Sara, questa cintura!».
  «E questo velo, Susanna? Ma guarda che finezza! Ma guarda questi gigli tessuti in esso!».
  «Fammi vedere i bracciali, Maria! Erano di tua madre?».
  «Li portò. Ma sono della madre di Gioacchino mio padre».
  «Oh! guarda! Hanno il sigillo di Salomone intrecciato con esili rametti di palma e d'ulivo, e fra questi son gigli e rose. Oh! chi ha fatto sì perfetto e minuto lavoro?».
  «Sono della casa di Davide», spiega Maria. «Li mettono da secoli le donne della stirpe che vanno a spose, e restano in retaggio all'erede».
  «Già! Tu sei figlia erede…».
  «Ti hanno portato tutto da Nazareth?».
  «No. Quando morì mia madre, mia cugina portò il corredo nella sua casa per conservarlo senza guasto. Ora me lo ha portato».
  «Dove è? dove è? Mostralo alle amiche».
  Maria non sa come fare… Vorrebbe esser cortese, ma vorrebbe anche non smuovere tutta la roba, disposta in tre pesanti cofani.
  In suo aiuto intervengono le maestre. «Lo sposo sta per giungere. Non è tempo di metter confusione. Lasciatela stare, ché la stancate, e andate a prepararvi».
  Lo sciame garrulo si allontana un po' imbronciato. Maria può godersi in pace le sue maestre, che le dicono parole di lode e benedizione.

  3Anche Elisabetta si è fatta vicina. E poiché Maria, commossa, piange perché Anna di Fanuel la chiama: «Figlia!», e la bacia con un affetto veramente materno, Elisabetta le dice: «Maria, tua madre non c'è, ma c'è. Il suo spirito esulta presso il tuo. E, guarda, le cose che tu porti ti ridanno la sua carezza. Vi trovi ancora il sapore dei suoi baci. Un giorno lontano, il giorno in cui tu venisti al Tempio, ella mi disse: "Le ho preparato le vesti e il corredo di sposa, perché voglio esser sempre io quella che le fila i lini e le fa le vesti di sposa, per non esser assente nel giorno della sua gioia". E, sai? Negli ultimi tempi, quando io l'assistevo, ella voleva ogni sera carezzare le tue prime vesti e queste che ora porti, e diceva: "Qui sento l'odore di gelsomino della mia piccina, e qui voglio Ella senta il bacio di sua mamma". Quanti baci a questo velo che ti ombreggia la fronte! Più baci che fili!… E, quando metterai le tele da lei tessute, pensa che, più che lo stame, le ha formate l'amor di tua madre. E questi monili… Anche in ore penose furono salvati dal padre per te, per farti bella, come a principessa di Davide spetta, in quest'ora. Sii lieta, Maria. Non sei orfana, ché i tuoi sono teco e hai uno sposo che ti è padre e madre, tanto è perfetto…».
  «Oh! sì! Questo è vero. Di lui non mi posso certo rammaricare. In men di due mesi è venuto due volte, ed oggi viene per la terza, sfidando piogge e tempo ventoso, per prendere ordini da me… Pensa: ordini! Io che sono una povera donna e di lui tanto più giovane! E non mi ha negato nulla. Anzi neppure attende che io chieda. Pare che un angelo gli dica ciò che io desidero, e me lo dice lui prima che io parli. L'ultima volta ha detto: "Maria, io penso che tu preferisca stare nella tua casa paterna. Dato che sei figlia erede, lo puoi fare, se credi. Io verrò in casa tua. Solo, per osservare il rito, tu andrai per una settimana in casa di Alfeo, mio fratello. Maria ti ama tanto già. E da là partirà la sera delle nozze il corteo che ti porterà a casa". Non è gentile? Non gli è importato neppure di far dire alla gente che egli non ha una casa che mi piaccia… A me sarebbe sempre piaciuta, perché vi è lui, tanto buono. Ma certo… preferisco la mia casa,… per i ricordi… Oh! è buono Giuseppe!».
  «Che ha detto del voto? Ancora non mi dicesti nulla».
  «Nulla ha opposto. Anzi, saputene le ragioni, ha detto: "Io unirò il mio sacrificio al tuo"».
  «È un giovane santo!», dice Anna di Fanuel.

  4Il «giovane santo» entra in questo punto accompagnato da Zaccaria.
  È letteralmente splendido. Tutto in giallo oro, pare un sovrano orientale. Una splendida cintura sorregge borsa e pugnale, l'una di marocchino a ricami in oro, l'altro in guaina pure di marocchino a fregi d'oro. In capo un turbante, ossia il solito telo messo a cappuccio come ancora lo hanno certi popoli dell'Africa, i beduini per esempio, tenuto a posto da un cerchio prezioso, un filo d'oro sottile al quale sono legati mazzetti di mirto. Ha un manto nuovissimo, pieno di frange, nel quale si drappeggia con maestà, ed è sfolgorante di gioia. Fra le mani ha mazzetti di mirto in fiore.
  «Pace a te, sposa mia!», saluta. «Pace a tutti». E, avuto il saluto di risposta, dice: «Ho visto la tua gioia quel giorno che ti ho dato il ramo del tuo orto. Ho pensato portarti il mirto, colto presso la grotta a te tanto cara. Volevo portarti le rose, che già mettono i primi fiori contro la tua casa. Ma le rose non durano in più giorni di viaggio… Sarei arrivato con sole spine. Ed io a te, diletta, voglio offrire solo rose, e di fiori morbidi e profumati spargere il cammino, perché su essi tu posi il piede senza incontrare sozzura o asprezza».
  «Oh! grazie a te, buono! Come hai potuto farlo giungere fresco così?».
  «Ho legato un vaso alla sella e dentro vi ho messo i rami dei fiori in boccio. Lungo il cammino sono fioriti. Eccoteli, Maria. La tua fronte si inghirlandi di purezza, simbolo della sposa, ma sempre, sempre tanto minore a quella che t'è in cuore».
  Elisabetta e le maestre ornano Maria della fiorita ghirlandetta, che si forma fissando al cerchio prezioso i ciuffetti candidi del mirto, e intersecano piccole, candide rose, prese da un vaso posto su un cofano.
  Maria fa per prendere il suo ampio manto candido per metterlo puntato sulle spalle. Ma lo sposo la precede nel gesto e l'aiuta a fissare con due fibbie d'argento l'ampio mantello al sommo delle spalle. Le maestre dispongono le pieghe con amore e grazia.

  5Tutto è pronto. Mentre attendono non so che, Giuseppe dice (lo dice appartandosi un poco con Maria): «Ho pensato in questo tempo al tuo voto. Io ti ho detto che lo condivido. Ma più vi penso e più comprendo che non basta il nazareato temporaneo, sebbene rinnovato più volte. Ti ho compresa, Maria. Non ancora merito la parola della Luce. Ma un murmure me ne viene. E questo mi fa leggere il tuo segreto, almeno nelle linee più forti. Sono un povero ignorante, Maria. Sono un povero operaio. Non so di lettere e non ho tesori. Ma ai piedi tuoi metto il mio tesoro. In perpetuo. La mia castità assoluta, per esser degno di starti accanto, Vergine di Dio, "sorella mia sposa, chiuso giardino, fonte sigillata", come dice l'Avo nostro(Ct 4,12.), che forse scrisse il Cantico vedendo te… Io sarò il guardiano di questo giardino d'aromi, in cui sono le più preziose frutta e da cui sgorga una polla d'acqua viva con impeto soave: la tua dolcezza, o sposa che col tuo candore mi hai conquiso lo spirito, o tutta bella. Bella più di un'aurora, sole che splendi poiché ti splende il cuore, o tutta amore per il tuo Dio e per il mondo, a cui vuoi dare il Salvatore col tuo sacrificio di donna. Vieni, mia amata», e la prende delicatamente per mano, guidandola verso la porta.
  Li seguono tutti gli altri, e fuori si uniscono le compagne festanti e tutte in bianco e con veli.

  6Vanno per cortili e portici, fra la folla che osserva, sino ad un punto che non è il Tempio, ma pare quasi una sala data al culto, perché vi sono lampade e rotoli di pergamena come nelle sinagoghe. Gli sposi vanno fin contro ad un alto leggio, quasi una cattedra, e attendono. Gli altri si mettono dietro a loro in bell'ordine. Altri sacerdoti e curiosi si assiepano in fondo.
  Entra solenne il Sommo Sacerdote. Brusio fra i curiosi: «È lui che sposa?».
  «Sì, perché è di casta regale e sacerdotale. Fiore di Davide e Aronne la sposa, e vergine del Tempio. Lo sposo è della tribù di Davide».
  Il Pontefice mette la destra della sposa in quella dello sposo e li benedice solennemente: «Il Dio d'Abramo, Isacco e Giacobbe sia con voi. Egli vi unisca e si adempia in voi la sua benedizione, dandovi la sua pace e numerosa posterità con lunga vita e morte beata nel seno di Abramo». E poi si ritira, solenne come è entrato.
  La promessa è scambiata. Maria è sposa a Giuseppe.
  Tutti escono e, sempre in bell'ordine, vanno in una sala, dove viene steso il contratto di nozze, in cui si dice che Maria, figlia-erede di Gioacchino di Davide e Anna di Aronne, porta in dote allo sposo la sua casa e annessi beni e il suo personale corredo e ogni altro bene, che ha dal padre ereditato.
  Tutto è compiuto.

  7Gli sposi escono nel cortile e da questo passano oltre, verso l'uscita che è presso il quartiere delle donne adibite al Tempio. Un comodo, pesante carro attende. Su esso è stesa una tenda a riparo e sono già i pesanti cofani di Maria.
  Commiati, baci e lacrime, benedizioni, consigli, raccomandazioni, e poi Maria sale con Elisabetta e si pone nell'interno del carro, e sul davanti si mettono Giuseppe e Zaccaria. Hanno levato i manti di festa e sono tutti avvolti in un mantellone scuro.
  Il carro parte al trotto pesante di un cavallone scuro. Le mura del Tempio si allontanano, e poi quelle della città, ed ecco la campagna, nuova, fresca, fiorita nei primi soli di primavera, coi grani alti un buon palmo dal suolo e che paiono smeraldi ridotti a foglioline ondeggianti ad una brezza leggera, che sa di fiori di pesco e melo, che sa di trifogli in fiore e di mentucce selvagge.
  Maria piange piano, sotto al suo velo, e ogni tanto scosta la tenda e guarda ancora il Tempio lontano, la città lasciata…
  La visione cessa così.
 

    8Dice Gesù:

    «Che dice(Sp 7,22-27) il libro della Sapienza cantando le lodi di essa? "Nella sapienza è infatti lo spirito d'intelligenza, santo, unico, molteplice, sottile". E continua enumerandone le doti, terminando il periodo con le parole:"...che tutto può, tutto prevede, che comprende tutti gli spiriti, intelligente, puro, sottile. La sapienza penetra con la sua purezza, è vapore della virtù di Dio... per questo nulla in lei vi è d'impuro... immagine della bontà di Dio. Pur essendo unica può tutto, immutabile come è rinnovella ogni cosa, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i profeti" 

  9Tu hai visto come Giuseppe, non per cultura umana ma per istruzione soprannaturale, sappia leggere nel libro sigillato della Vergine intemerata, e come rasenti le profetiche verità col suo "vedere" un mistero soprumano là dove gli altri vedevano unicamente una grande virtù. Impregnato di questa sapienza, che è vapore della virtù di Dio e certa emanazione dell'Onnipotente, si dirige con spirito sicuro nel mare di questo mistero di grazia che è Maria, si intona con Lei con spirituali contatti in cui, più che le labbra, sono i due spiriti che si parlano nel sacro silenzio delle anime, dove ode voci unicamente Dio e le percepiscono coloro che a Dio sono grati, perché servi a Lui fedeli e di Lui pieni.

  La sapienza del Giusto, che aumenta per l'unione e vicinanza con la Tutta Grazia, lo prepara a penetrare nei segreti più alti di Dio e a poterli tutelare e difendere da insidie d'uomo e di demone. E intanto lo rinnovella. Del giusto fa un santo, del santo il custode della Sposa e del Figlio di Dio.
  Senza sollevare il sigillo di Dio, egli, il casto, che ora porta la sua castità ad eroismo angelico, può leggere la parola di fuoco scritta sul diamante virginale dal dito di Dio, e vi legge quello che la sua prudenza non dice, ma che è ben più grande di quel che lesse Mosè sulle tavole di pietra. E, perché occhio profano non sfiori il Mistero, egli si pone, sigillo sul sigillo, arcangelo di fuoco sulla soglia del Paradiso, entro il quale l'Eterno prende le sue delizie "passeggiando al rezzo della sera" e parlando con Quella che è il suo amore, bosco di gigli in fiore, aura profumata di aromi, venticello di freschezza mattutina, vaga stella, delizia di Dio. La nuova Eva è lì, davanti a lui, non osso delle sue ossa né carne della sua carne, ma compagna della sua vita, Arca viva di Dio, che egli riceve in tutela e che a Dio egli deve rendere pura come l'ha ricevuta.
  "Sposa a Dio" era scritto in quel libro mistico dalle pagine immacolate… E quando il sospetto, nell'ora della prova, gli fischiò il suo tormento, egli, come uomo e come servo di Dio, soffrì, come nessuno, per il sospettato sacrilegio. Ma questa fu la prova futura. Ora, in questo tempo di grazia, eglivede e mette sé al servizio più vero di Dio. Dopo verrà la bufera della prova, come per tutti i santi, per esser provati e resi coadiutori di Dio.

 10Cosa si legge(Lv 16,2-4) nel Levitico? "Dì ad Aronne tuo fratello di non entrare in ogni tempo nel santuario che è dietro al Velo dinanzi al propiziatorio che copre l'Arca, per non morire - ché Io apparirò nella nuvola sopra l'oracolo - se prima non avrà fatto queste cose: offrirà un vitello per il peccato e un montone in olocausto, indosserà la tunica di lino e con brache di lino coprirà la sua nudità".
    E veramente Giuseppe entra, quando Dio vuole e quanto Dio vuole, nel santuario di Dio, oltre il velo che cela l'Arca sulla quale si libra lo Spirito di Dio, e offre sé e offrirà l'Agnello, olocausto per il peccato del mondo e l'espiazione di esso peccato. E questo fa, vestito di lino e con mortificate le membra virili per abolirne il senso, che una volta, al principio dei tempi, ha trionfato ledendo il diritto di Dio sull'uomo, e che ora sarà conculcato nel Figlio, nella Madre e nel padre putativo, per tornare gli uomini alla Grazia e rendere a Dio il suo diritto sull'uomo. Fa questo con la sua castità perpetua.
  Non vi era Giuseppe sul Golgota? Vi pare non sia fra i corredentori? In verità vi dico che egli ne fu il primo e che grande è perciò agli occhi di Dio. Grande per il sacrificio, la pazienza, la costanza e la fede. Quale fede più grande di questa, che credette senza aver visto i miracoli del Messia?

  11Sia lode al mio padre putativo, esempio a voi di ciò che in voi più manca: purezza, fedeltà e perfetto amore. Al magnifico lettore del Libro sigillato, istruito dalla Sapienza a saper comprendere i misteri della Grazia ed eletto a tutelare la Salvezza del mondo contro le insidie di ogni nemico». 

San Giuseppe, padre putativo di Gesù, io mi affido per sempre a Te!