MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 61



LXI. Gesù benefica i poveri dopo aver detto la parabola del cavallo amato dal re.

   4 novembre 1944.

   61.1Gesù è montato su un mucchio di ceste e cordami sulla soglia dell’orto della casa della suocera di Pietro. L’orto è stipato di gente, e altra ve ne è sul greto del lago, parte seduta sulla riva, parte sulle barche tirate in secco. Sembra che già parli da qualche tempo, perché il discorso è avviato. Io odo:
   «…Di certo voi molte volte in cuor vostro avrete pensato così. Ma così non è. Il Signore non ha mancato di benignità col suo popolo. Nonostante che questo abbia mancato di fedeltà a Lui mille e diecimila volte.
   Udite questa parabola. Vi aiuterà a capire.
   Un re aveva molti e molti splendidi cavalli nelle sue scuderie. Ma uno ne amava di speciale amore. Lo aveva vagheggiato prima ancora di averlo; poi, avutolo, lo aveva posto in luogo di delizie, e ad esso andava, con l’occhio e col cuore, riguardando quel suo prediletto, sognando di farne la meraviglia del suo reame. E quando il cavallo, ribellandosi ai comandi, aveva disubbidito ed era fuggito sotto altro padrone, pur nel suo dolore e nel suo rigore, il re aveva promesso al ribelle perdono dopo il castigo. E fedele a questo, pur da lontano, sul suo prediletto vegliava, mandandogli doni e custodi che lo tenessero col suo ricordo nel cuore.
   Ma il cavallo, pur soffrendo del suo esilio dal regno, non era costante, come lo era il re, nell’amare e nel volere il perdono completo. E a tratti era buono, a tratti cattivo; né il buono era maggior del cattivo. Anzi l’opposto era. Eppure il re pazientava, e con rimproveri e con carezze cercava fare del suo cavallo più caro un docile amico. Più il tempo passava, più la bestia si faceva restìa. Invocava il suo re, piangeva per la sferza degli altri padroni, ma non voleva esser veramente del re. Non aveva la volontà d’esserlo. Sfinito, oppresso, gemente, non diceva: “Per colpa mia sono tale”, ma ne faceva accusa al suo re.
   Questo, dopo aver tutto tentato, ricorse alla sua ultima prova. “Finora”, disse, “ho mandato messi e amici. Or manderò il mio stesso figlio. Egli ha il mio stesso cuore e parlerà con l’amore mio stesso, e avrà carezze e doni simili a quelli che io avevo, anzi più dolci ancora, perché mio figlio è me stesso, ma sublimato dall’amore”. E mandò il figlio.
   Questa la parabola.

   61.2Ora voi dite. Vi pare che quel re amasse la sua bestia preferita?».
   La gente dice ad una voce: «Infinitamente l’amava».
   «Poteva la bestia lamentarsi del suo re per tutto il male che aveva sofferto per averlo lasciato?».
   «No, non poteva», risponde la folla.
   «Rispondete ancora a questo: quel cavallo come vi pare avrà accolto il figlio del suo re, che veniva per riscattarlo, guarirlo e portarlo da capo nel luogo di delizie?».
   «Con gioia, è naturale, con riconoscenza e affetto».
   «Ma se il figlio del re avrà detto al cavallo: “Io sono venuto per questo e per farti questo, ma tu devi esser ora buono, ubbidiente, volonteroso, a me fedele”, che dite abbia detto il cavallo?».
   «Oh! non c’è da chiederlo! Avrà detto, ora che sapeva cosa gli costava esser espulso dal regno, che voleva essere come il figlio del re diceva».
   «Allora, secondo voi, quale era il dovere di quel cavallo?».
   «Di essere ancor più buono di quanto gli veniva chiesto, più affettuoso, più docile, per farsi perdonare del male passato, per riconoscenza per il bene avuto».
   «E se non avesse fatto così?».
   «Sarebbe degno di morte, perché peggiore di una belva selvaggia».
   «Amici, avete ben giudicato. Fate però pure voi come vorreste facesse quel cavallo. Voi uomini, creature predilette del Re dei Cieli, Dio, Padre mio e vostro; voi, a cui dopo i Profeti viene mandato da Dio lo stesso suo Figlio, siate, oh! siate — ve ne scongiuro per vostro bene, e perché vi amo come solo un Dio può amare, quel Dio che è in Me per operare il miracolo della Redenzione — siate almeno come voi giudicate debba essere quell’animale. Guai a chi abbassa sé, uomo, a un grado inferiore dell’animale! Ma, se ancora poteva esservi scusa per coloro che sino al momento presente peccavano — perché troppo tempo e troppa polvere di mondo sono trascorsi da quando fu data la Legge e su questa si è posata — ora non più. Io sono venuto per riportarvi la parola di Dio. Il Figlio dell’uomo è fra gli uomini per riportarli a Dio. Seguitemi. Io sono la Via, la Verità, la Vita».

   61.3Il solito brusio fra la folla.
   Gesù ordina ai discepoli: «Fate che i poveri vengano avanti. Per loro ho ricca offerta di uno che ad essi si raccomanda per ottenere perdono da Dio».
   Vengono avanti tre vecchietti cenciosi, due ciechi e un rattratto, e poi una vedova con sette bambini macilenti.
   Gesù li guarda fisso uno per uno, sorride alla vedova e specie agli orfanelli. Anzi ordina a Giovanni: «Costoro siano messi là, nell’orto. Voglio parlare con essi». Ma diviene severo, e con l’occhio fiammeggiante, quando a Lui si presenta un vecchietto. Però non dice nulla, per il momento.
   Chiama Pietro e si fa dare la borsa ricevuta poco avanti ed un’altra piena di monetine minori, oboli diversi raccolti fra i buoni. Rovescia tutto sulla panchina che è presso al pozzo, conta e divide. Fa sei parti. Una molto grossa, tutta di monete d’argento, e cinque minori per mole e con molto bronzo e solo qualche grossa moneta. Chiama poi i poverelli malati e chiede: «Non avete nulla da dirmi?».
   I ciechi tacciono, il rattratto dice: «Che Colui da cui Tu vieni ti protegga». Nulla di più.
   Gesù gli pone nella mano sana l’obolo.
   L’uomo dice: «Te ne compensi Dio. Ma, più di questo, ecco, io da Te vorrei guarigione».
   «Non l’hai chiesta».
   «Sono povero, un verme che i grandi calpestano, non osavo sperare Tu avessi pietà del mendico».
   «Io sono la Pietà che si curva su ogni miseria che mi chiama. Non ricuso nessuno. Non chiedo che amore e fede per dire: ti ascolto».
   «Oh! Signore mio! Io credo e ti amo! Salvami, allora! Guarisci il tuo servo!».
   Gesù pone la sua mano sul dorso curvato, la fa scorrere come per carezza e dice: «Voglio tu sia sanato».
   L’uomo si raddrizza, agile e integro, con benedizioni infinite.

   61.4Gesù dà l’obolo ai ciechi e attende un attimo a congedarli… poi li lascia andare.
   Chiama i vecchi. Fa al primo l’elemosina e lo conforta e aiuta a porre nella cintura le monete.
   Si interessa pietoso alle sventure del secondo, che gli racconta la malattia di una figlia: «Non ho che lei! E ora mi muore. Che sarà di me? Oh? se Tu venissi! Lei non può, non si regge. Vorrebbe… ma non può. Maestro, Signore, Gesù, pietà di noi!».
   «Dove stai, padre?».
   «A Corazim. Chiedi di Isacco di Giona, detto l’Adulto. Verrai proprio? Non ti dimenticherai della mia sventura? E me la guarirai la figlia?».
   «Puoi credere che Io la possa guarire?».
   «Oh! se lo credo! Per questo te ne parlo».
   «Va’ a casa, padre. Tua figlia sarà sull’uscio a salutarti».
   «Ma è a letto e non può alzarsi da tre… Ah! ho compreso! Oh! grazie, Rabboni! Benedetto Te e Colui che ti ha mandato! Lode a Dio e al suo Messia!». Il vecchio va piangendo, arrancando il più lesto che può. Ma, quando è quasi fuor dall’orto, dice: «Maestro, ma verrai lo stesso nella mia povera casa? Isacco ti attende per baciarti i piedi, lavarteli col pianto e offrirti il pane dell’amore. Vieni, Gesù, dirò ai cittadini di Te».
   «Verrò. Va’ in pace e sii felice».

   61.5Viene avanti il terzo vecchietto, che pare il più cencioso. Ma Gesù non ha più che il grosso mucchio di monete. Chiama forte: «Donna, vieni coi tuoi piccini».
   La donna, giovane e macilenta, viene avanti a capo chino. Pare una triste chioccia fra la sua triste chiocciata.
   «Da quando sei vedova, donna?».
   «Sono tre anni alla luna di tisri».
   «Quanti anni hai?».
   «Ventisette».
   «Son tutti tuoi figli?».
   «Sì, Maestro, e… e non ho più nulla. Tutto finito… Come posso lavorare se nessuno mi vuole, con tutti questi piccini?».
   «Dio non abbandona neppure il verme che ha creato. Non ti abbandonerà, donna. Dove stai?».
   «Sul lago. A tre stadi fuor di Betsaida. Lui mi ha detto di venire… Mio marito è morto nel lago, era pescatore…». “Lui” è Andrea, che diventa rosso e vorrebbe scomparire.
   «Bene hai fatto, Andrea, a dire alla donna di venire a Me».
   Andrea si rinfranca e mormora: «L’uomo era mio amico, era buono, ed è morto nella tempesta perdendo anche la barca».
   «Tieni, donna. Questo ti aiuterà per molto tempo, e poi verrà altro sole sul tuo giorno. Sii buona, alleva nella Legge i tuoi figli e non ti mancherà l’aiuto di Dio. Ti benedico, te e i tuoi piccoli», e li carezza uno per uno con pietà grande.
   La donna se ne va col suo tesoro stretto sul cuore.

   61.6«E a me?», chiede il vecchietto ultimo rimasto.
   Gesù lo guarda e tace.
   «Nulla per me? Non sei giusto! A lei hai dato sei volte più degli altri, e a me nulla. Ma già… era donna!».
   Gesù lo guarda e tace.
   «Guardate tutti se c’è giustizia! Vengo da lontano, perché mi hanno detto che qui si dà denaro, e poi, ecco, vedo che c’è chi ha troppo e a me niente. Un povero vecchio che è malato! E vuole che si creda in Lui!…».
   «Vecchio, non ti vergogni di mentire così? Hai la morte alle spalle, e menti e cerchi di rubare a chi ha fame. Perché vuoi derubare ai fratelli l’obolo che Io ho preso per darlo con giustizia?».
   «Ma io…».
   «Taci! Avresti dovuto capire dal mio silenzio e dal mio atto che ti avevo conosciuto, e seguire il mio esempio di silenzio. Perché vuoi che ti svergogni?».
   «Io sono povero».
   «No. Sei avaro e ladro. Vivi per il denaro e per l’usura».
   «Non ho mai prestato ad usura. Dio m’è testimone».
   «E non è usura questa, della più feroce, rubare a chi ha veramente bisogno? Va’. Pentiti. Perché Dio ti perdoni».
   «Ti giuro…».
   «Taci! Te lo comando! È detto: “Non giurare il falso”. Se non portassi rispetto alla tua canizie, ti frugherei e nel seno troverei la borsa piena d’oro: il tuo vero cuore. Va’ via!».
   Ma ormai il vecchietto, svergognato, vedendosi scoperto nel suo segreto, se ne va senza bisogno del tuono che è nella voce di Gesù.
   La folla lo minaccia e schernisce, lo insulta come ladro.
   «Tacete! Se egli ha sbagliato, non vogliate voi pure sbagliare. Egli manca verso la sincerità, è un disonesto. Voi, insultandolo, mancate alla carità. Al fratello che manca non va fatto insulto. Ognuno ha il suo peccato. Nessuno è perfetto fuorché Dio. Ho dovuto svergognarlo perché non è lecito esser ladri mai, e men che mai ladri coi poveri. Ma solo il Padre sa se di dover far questo ho sofferto. Voi pure abbiatene sofferenza, vedendo che un d’Israele manca alla Legge cercando defraudare il povero e la vedova. Non siate cupidi. Il vostro tesoro sia l’anima, non il denaro. Non siate spergiuri. Il vostro linguaggio sia schietto e onesto come le vostre azioni. La vita non è eterna, e l’ora della morte viene. Vivete in modo che nell’ora della morte la pace possa essere nel vostro spirito. La pace di chi è vissuto da giusto. Andate alle vostre case…».

   61.7«Pietà, Signore! Questo mio figlio è muto per un demonio che lo vessa».
   «E questo mio fratello è simile a bestia immonda, e si avvoltola nel fango e mangia escrementi. A questo lo porta un maligno spirito e, non volendo, fa cose immonde».
   Gesù va verso il gruppo che lo implora. Alza le braccia e ordina: «Uscite da costoro. Lasciate a Dio le creature sue».
   Fra urla e strepiti si guariscono i due infelici. Le donne che li conducevano si prostrano benedicendo.
   «Andate alle case e siate riconoscenti a Dio. La pace a tutti. Andate».
   La folla se ne va, commentando i fatti. I quattro discepoli si serrano al Maestro.
   «Amici, in verità vi dico che in Israele sono tutti i peccati, e i demoni vi hanno messo dimora. Né sono uniche possessioni quelle che fanno mute le labbra e spingono a vivere da bruti, mangiando lordure. Ma le più vere e numerose sono quelle che fanno muti i cuori all’onestà e all’amore, e fanno dei cuori una sentina di vizi immondi. Oh! Padre mio!». Gesù si siede accasciato.
   «Sei stanco, Maestro?».
   «Non stanco, Giovanni mio. Ma desolato per lo stato dei cuori e per la poca volontà di emendarsi. Io sono venuto… ma l’uomo… l’uomo… Oh! Padre mio!…».
   «Maestro, io ti amo, noi tutti ti amiamo…».
   «Lo so. Ma tanto pochi siete… e il mio desiderio di salvare è tanto grande!».
   Gesù ha abbracciato Giovanni e tiene il capo sul suo. È triste. Pietro, Andrea, Giacomo, attorno a Lui, lo guardano con amore e tristezza.
   E la visione cessa così.