MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 64



LXIV. Il paralitico guarito a Cafarnao.

   9 novembre 1944.

   […].
   Lo stesso giorno 9 novembre, subito dopo.

   64.1Vedo le rive del lago di Genezaret. E vedo le barche dei pescatori tratte a riva; sulla riva e addossati ad esse sono Pietro e Andrea, intenti a rassettare le reti, che i garzoni portano loro stillanti dopo averle sciacquate nel lago dai detriti rimasti impigliati in esse. A una distanza di un dieci metri Giovanni e Giacomo, curvi sulla barca loro, sono intenti a mettere ordine nella stessa, aiutati da un garzone e da un uomo sui cinquanta o cinquantacinque anni, che penso esser Zebedeo, perché il garzone lo chiama «padrone» e perché è somigliantissimo a Giacomo.
   Pietro e Andrea, con le spalle alla barca, lavorano silenziosi a riannodare fili e i sugheri di segnale. Solo ogni tanto scambiano qualche parola circa il loro lavoro che, a quel che capisco, è stato infruttuoso.
   Pietro se ne rammarica non per la borsa vuota né per la fatica inutile, ma dice: «Mi spiace perché… come faremo a dare un cibo a quei poverelli? A noi non vengono che rade offerte, e quei dieci denari e sette dramme che abbiamo raccolto in questi quattro giorni io non le tocco. Solo il Maestro mi deve indicare a chi e come vanno date quelle monete. E fino a sabato Egli non torna! Se avevo fatto buona pesca!… Il pesce più minuto me lo cucinavo e lo davo a quei poveri… e se c’era chi brontolava in casa non me ne faceva niente. I sani possono andare a cercarlo. Ma i malati!…».
   «Quel paralitico, poi!… Hanno già fatto tanta strada per portarlo qui…», dice Andrea.
   «Senti, fratello. Io penso… che non si può stare divisi e non so perché il Maestro non ci voglia sempre con Lui. Almeno… non vedrei più questi poverini che non posso soccorrere, e quando li vedessi potrei dire loro: “Egli è qui”».

   64.2«Qui sono!». Gesù si è avvicinato camminando piano sulla rena molle.
   Pietro e Andrea fanno un balzo. Hanno un grido: «Oh! Maestro!» e chiamano: «Giacomo! Giovanni! Il Maestro! Venite!».
   I due accorrono. E tutti si stringono a Gesù. Chi gli bacia la veste e chi le mani, e Giovanni osa passargli un braccio intorno alla vita e posargli il capo sul petto. Gesù lo bacia sui capelli.
   «Di che parlavate?».
   «Maestro… dicevamo che ti avremmo voluto».
   «Perché, amici?».
   «Per vederti e amarti vedendoti, e poi per dei poveri e malati. Ti attendono da due e più giorni… Io ho fatto quel che potevo. Li ho messi là, vedi quel capanno in quel campo incolto? Là gli artieri della barca lavorano alle riparazioni. Vi ho messi in ricovero un paralitico, un che ha grande febbre e un bambino che muore sul seno della madre. Non potevo mandarli alla tua ricerca».
   «Hai fatto bene. Ma come hai potuto soccorrere loro e chi li ha condotti? Mi hai detto che sono poveri!».
   «Certo, Maestro. I ricchi hanno carri e cavalli. I poveri, le gambe solo. Non possono venirti dietro solleciti. Ho fatto come ho potuto. Guarda: questo è l’obolo che ho avuto. Ma non ne ho toccato un solo pìcciolo[139]. Tu lo farai».
   «Pietro, tu potevi farlo lo stesso. Certo… Pietro mio, mi spiace che per Me tu abbia rimproveri e fatiche».
   «No, Signore. Non devi spiacerti di questo. Io non ne ho dolore. Solo di non aver potuto avere maggior carità mi spiace. Ma credi, ho fatto, tutti abbiamo fatto quanto abbiamo potu­to».
   «Lo so. So che hai lavorato e senza scopo. Ma se non c’è cibo, la carità tua resta: viva, attiva, santa agli occhi di Dio».

   64.3Dei bambini sono accorsi gridando: «C’è il Maestro! C’è il Maestro! Ecco Gesù, ecco Gesù!» e si stringono a Lui, che li carezza pur parlando coi discepoli.
   «Simone, entro nella tua casa. Tu e voi andate a dire che Io sono venuto e poi portatemi i malati».
   I discepoli vanno rapidi in direzioni diverse. Ma che Gesù sia giunto tutta Cafarnao lo sa, per merito dei piccini che paiono api sciamanti dall’alveare ai diversi fiori: le case, in questo caso, le vie, le piazze. Vanno, vengono festosi, portando l’annuncio alle mamme, ai passeggeri, ai vecchi seduti al sole, e poi tornano a farsi accarezzare ancora da Colui che li ama; e uno, audace, dice: «Parla a noi, per noi, Gesù, oggi. Ti vogliamo bene, sai, e siamo meglio degli uomini».
   Gesù sorride al piccolo psicologo e promette: «Parlerò proprio per voi». E seguito dai piccoli va alla casa ed entra salutando col suo saluto di pace: «La pace sia a questa casa».
   La gente si affolla nello stanzone posteriore adibito alle reti, canapi, ceste, remi, vele e provviste. Si vede che Pietro l’ha messo a disposizione di Gesù, ammucchiando tutto in un angolo per fare posto. Il lago non si vede da qui. Se ne ode solo il fiotto lento. E si vede invece solo il muretto verdastro dell’orto, dalla vecchia vite e dal fico fronzuto. Gente è persino nella strada, traboccando dalla stanza nell’orto e da questo alla via.

   64.4Gesù comincia a parlare. In prima fila — si sono fatti largo con prepotenza di gesto e in grazia del timore che la folla popolana ha di loro — sono cinque persone… altolocate. Paludamenti, ricchezza di vesti e superbia li denunciano per farisei e dottori. Gesù però vuole avere intorno i suoi piccoli. Una corona di visetti innocenti, di occhi luminosi, di sorrisi angelici, alzati a guardare Lui. Gesù parla, e nel parlare carezza di tanto in tanto la testolina ricciuta di un bambinello che gli si è seduto ai piedi e che gli tiene la testa appoggiata sulle ginocchia, sul braccino ripiegato. Gesù parla seduto su un gran mucchio di ceste e reti.
   «“Il mio diletto è disceso nel suo giardino, all’aiuola degli aromi, a pascersi tra i giardini e a cogliere gigli… egli che si pasce fra i gigli”, dice Salomone[140] di Davide da cui vengo, Io, Messia d’Israele.
   Il mio giardino! Quale giardino più bello e più degno di Dio, del Cielo dove sono fiori gli angeli creati dal Padre? Eppure no. Un altro giardino ha voluto il Figlio unigenito del Padre, il Figlio dell’uomo perché per l’uomo Io ho carne, senza la quale non potrei redimere[141] le colpe della carne dell’uomo. Un giardino che avrebbe potuto esser di poco inferiore al celeste, se dal Paradiso terrestre si fossero effusi, come dolci api da un’arnia, i figli di Adamo, i figli di Dio, per popolare la Terra di santità destinata tutta al Cielo. Ma triboli e spine ha seminato il Nemico nel cuore di Adamo, e triboli e spine da esso cuore sono traboccati sulla Terra. Non più giardino, ma selva aspra e crudele in cui stagna la febbre e si annida il serpe.
   Ma pure il Diletto del Padre ha ancora un giardino in questa Terra su cui impera Mammona. Il giardino in cui va a pascersi del suo cibo celeste: amore e purezza; l’aiuola da cui coglie i fiori a Lui cari, in cui non è macchia di senso, di cupidigia, di superbia. Questi. (Gesù carezza quanti più piccoli può, passando la sua mano sulla corona di testoline attente, un’unica carezza che li sfiora e fa sorridere di gioia). Ecco i miei gigli.
   Non ebbe Salomone, nella sua ricchezza, veste più bella del giglio che profuma la convalle, né diadema di più aerea e splendida grazia di quello che ha il giglio nel suo calice di perla. Eppure al mio cuore non vi è giglio che valga un di questi. Non vi è aiuola, non vi è giardino di ricchi, tutto a gigli coltivato, che mi valga quanto un sol di questi puri, innocenti, sinceri, semplici pargoli.
   O uomini, o donne d’Israele! O voi, grandi ed umili per censo e per carica, udite! Voi qui siete per volermi conoscere e amare. Or dunque sappiate la condizione prima per essere miei. Io non vi dico parole difficili. Non vi do esempi più difficili ancora. Vi dico: “Prendete questi ad esempio”.
   Quale fra voi che non abbia un figlio, un nipote, un piccolo fratello nella puerizia, nella fanciullezza, per casa? Non è un riposo, un conforto, un legame fra sposi, fra parenti, fra amici, un di questi innocenti, la cui anima è pura come alba serena, il cui viso fuga le nubi e mette speranze, e le cui carezze asciugano le lacrime e infondono forza di vita? Perché in loro tanto potere? In loro: deboli, inermi, ignoranti ancora? Perché hanno in sé Dio, hanno la forza e la sapienza di Dio. La vera sapienza: sanno amare e credere. Sanno credere e volere. Sanno vivere in questo amore e in questa fede. Siate come essi: semplici, puri, amorosi, sinceri, credenti.
   Non vi è sapiente in Israele che sia maggiore al più piccolo di questi, la cui anima è di Dio e di essa è il suo Regno. Benedetti dal Padre, amati dal Figlio del Padre, fiori del mio giardino, la mia pace sia su voi e su coloro che vi imiteranno per mio amore».
   Gesù ha finito.

   64.5«Maestro», grida Pietro di fra la calca, «qui vi sono i malati. Due possono attendere che Tu esca, ma questo è pigiato fra la folla e poi… non può più stare. E passare non possiamo. Lo rimando?».
   «No. Calatelo dal tetto».
   «Dici bene. Lo facciamo subito».
   Si sente scalpicciare sul tetto basso dello stanzone che, non essendo vera parte della casa, non ha sopra la terrazza cementata, ma solo un tettuccio di fascine coperte da scaglie simili a lavagna. Non so che pietra fosse. Si forma un’apertura, e a mezzo di corde viene calata la barellina su cui è l’infermo. Viene proprio calata davanti a Gesù. La gente si aggruppa più ancora per vedere.
   «Hai avuto gran fede e con te chi ti ha portato!».
   «Oh! Signore! Come non averla in Te?».
   «Orbene, Io ti dico: figlio (l’uomo è molto giovane), ti sono rimessi tutti i tuoi peccati».
   L’uomo lo guarda piangendo… Forse resta un poco male perché sperava guarire nel corpo.
   I farisei e dottori bisbigliano fra loro arricciando naso, fronte e bocca con sdegno.
   «Perché mormorate, più ancor nel cuore che sul labbro? Secondo voi è più facile dire al paralitico: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, oppure: “Alzati, prendi il lettuccio e cammina”? Voi pensate che solo Dio può rimettere i peccati. Ma non sapete rispondere quale è la più grande cosa, perché costui, perduto in tutto il corpo, ha speso sostanze senza poter essere sanato. Non lo può se non da Dio. Or perché sappiate che tutto Io posso, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere sulla carne e sull’anima, sulla Terra e nel Cielo, Io dico a costui: “Alzati. Prendi il tuo letto e cammina. Va’ a casa tua e sii santo”».
   L’uomo ha una scossa, un grido, si alza in piedi, si getta ai piedi di Gesù, li bacia e carezza, piange e ride e con lui i parenti e la folla, che poi si divide per farlo passare come in trionfo e lo segue festante. La folla, non i cinque astiosi che se ne vanno tronfi e duri come pioli.

   64.6Così può entrare la madre col piccino: un bambino ancora lattante, scheletrito. Lo tende, dice solo: «Gesù, Tu li ami questi. Lo hai detto. Per questo amore e per tua Madre!…», e piange.
   Gesù prende il poppante, proprio moribondo, se lo pone contro il cuore, se lo tiene un momento col visuccio cereo dalle labbruzze violacee e le palpebre già calate, contro la bocca. Un momento lo tiene così… e quando lo stacca dalla sua barba bionda, il visetto è roseo, la bocchina fa un incerto sorriso d’infante, gli occhietti guardano intorno vispi e curiosi, le manine, prima serrate e abbandonate, annaspano fra i capelli e la barba di Gesù, che ride.
   «Oh! figlio mio!», grida la mamma beata.
   «Prendi, donna. Sii felice e buona».
   E la donna prende il rinato e se lo stringe al seno, e il piccolo reclama subito i suoi diritti di cibo, fruga, apre, trova e poppa, poppa, poppa, avido e felice.
   Gesù benedice e passa. Va sulla soglia dove è il malato di gran febbre.
   «Maestro! Sii buono!».
   «E tu pure. Usa la salute nella giustizia». Lo carezza ed esce.

   64.7Torna sulla riva, seguito, preceduto, benedetto da molti che supplicano: «Noi non ti abbiamo udito. Non potevamo entrare. Parla a noi pure».
   Gesù fa cenno di sì e, siccome la folla lo stringe sino a soffocarlo, monta sulla barca di Pietro. Non basta. L’assedio è incalzante. «Metti la barca in mare e scostati alquanto».
   La visione cessa qui.

[139] pìcciolo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[140] dice Salomone, in: Cantico dei cantici 6, 2-3.
[141] senza la quale non potrei redimere, non perché fosse indispensabile l’incarnazione per redimere, ma perché essa corrisponde alla volontà del Padre cui aderisce l’ubbidienza del Figlio: ciò si deduce dall’intero contesto dell’opera valtortiana. La realtà dell’incarnazione del Verbo è affermata, per esempio, in 207.11 e in 587.3; e la sua ragion d’essere è spiegata in: 69.5 - 96.5 (il redentore non poteva essere un angelo) - 126.3 - 167.13 - 281.16 - 444.7 - 487.6 - 498.5 - 567.23. (Ben diverso significato ha l’incarnazione di cui tratteremo in nota a 587.3).