MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 68



LXVIII. Gesù, nel Tempio con l'Iscariota, ammaestra

   1 gennaio 1945.

   68.1Vedo Gesù che, avendo al fianco Giuda, penetra nel recinto del Tempio e, dopo aver superato la prima terrazza, o scaglione se piace più dirla così, si ferma in un luogo porticato che costeggia un ampio cortile, lastricato con marmi di diverso colore. Il luogo è molto bello e affollato.
   Gesù si guarda intorno e vede un posto che gli piace. Ma, prima di dirigersi ad esso, dice a Giuda: «Chiamami il magistrato del luogo. Devo farmi riconoscere, acciò non si dica che manco alle consuetudini e al rispetto».
   «Maestro, Tu sei al di sopra delle consuetudini, né alcuno più di Te ha diritto di parlare nella Casa di Dio, Tu, suo Messia».
   «Io lo so, tu lo sai, ma essi non lo sanno. Io sono venuto non per scandalizzare, né per insegnare a violare non solo la Legge ma anche le consuetudini. Anzi sono venuto proprio per insegnare rispetto, umiltà e ubbidienza e per levare gli scandali. Perciò voglio chiedere di poter parlare in nome di Dio, facendomi riconoscere degno di farlo dal magistrato del luogo».
   «L’altra volta non lo facesti».
   «L’altra volta m’arse lo zelo della Casa di Dio, profanata da troppe cose. L’altra volta ero il Figlio del Padre[144], l’Erede che in nome del Padre e per amore della mia Casa agiva nella sua maestà, alla quale magistrati e sacerdoti sono inferiori. Ora sono il Maestro d’Israele, e insegno ad Israele anche questo. E poi, Giuda, credi tu che il discepolo sia da più del Maestro?».
   «No, Gesù».
   «E tu chi sei? E chi sono Io?».
   «Tu il Maestro, io il discepolo».
   «E allora, se riconosci così essere le cose, perché vuoi insegnare al Maestro? Va’ e ubbidisci. Io ubbidisco al Padre mio. Tu ubbidisci al Maestro tuo. Condizione prima del Figlio di Dio: ubbidire senza discutere, pensando che il Padre non può che dare ordini santi. Condizione prima del discepolo: ubbidire al Maestro, pensando che il Maestro sa e non può dare che ordini giusti».
   «È vero. Perdona. Ubbidisco».
   «Perdono. Vai. E, Giuda, senti ancora una cosa: ricordati questo. Ricordatelo sempre, in futuro».
   «Di ubbidire? Sì».
   «No: ricorda che Io fui col Tempio rispettoso e umile. Col Tempio, ossia con le caste potenti. Va’».
   Giuda lo guarda pensosamente, interrogativamente… ma non osa chiedere altro. E se ne va meditabondo.

   68.2… Torna con un paludato personaggio. «Ecco, Maestro, il magistrato».
   «La pace sia con te. Io chiedo di insegnare, fra i rabbi d’Israe­le, ad Israele».
   «Sei Tu rabbi?».
   «Lo sono».
   «Quale fu il tuo maestro?».
   «Lo Spirito di Dio, che mi parla con la sua sapienza e che mi illumina di luce ogni parola dei testi santi».
   «Sei da più di Hillel, Tu che senza maestro dici sapere ogni dottrina? Come può uno formarsi se non vi è chi lo forma?».
   «Come si formò Davide, pastorello ignoto, divenuto il re potente e sapiente per volere del Signore».
   «Il tuo Nome».
   «Gesù di Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide, e di Maria di Gioacchino della stirpe di Davide e di Anna d’Aronne, Maria, la Vergine sposata nel Tempio, perché orfana, dal Sommo Sacerdote, secondo la legge d’Israele».
   «Chi lo prova?».
   «Ancora qui devono esservi leviti che si ricordano del fatto e che furono coetanei di Zaccaria, della classe di Abia, il mio parente. Interrogali, se dubiti della mia sincerità».
   «Ti credo. Ma chi mi prova che Tu sia capace di insegnare?».
   «Ascoltami e giudicherai tu stesso».
   «Sei libero di farlo… Ma… non sei nazareno?».
   «Sono nato a Betlem di Giuda al tempo del censo ordinato da Cesare. Proscritti per ordini ingiusti, i figli di Davide sono dovunque. Ma la stirpe è di Giuda».
   «Sai… i farisei… tutta la Giudea… per la Galilea…».
   «Lo so. Ma rassicurati. A Betlem vidi la luce, a Betlem Efrata da cui viene la mia stirpe, e se ora vivo in Galilea non è che perché si compia il segnato…».
   Il magistrato si allontana di qualche metro, accorrendo dove lo chiamano.

   68.3Giuda chiede: «Perché non hai detto che sei il Messia?».
   «Le mie parole lo diranno».
   «Quale è il segnato che si deve compiere?».
   «La riunione di tutto Israele sotto l’insegnamento della parola del Cristo. Io sono il Pastore di cui parlano i Profeti e vengo a radunare le pecore di ogni regione, vengo a curare le malate, a mettere sul pascolo buono le erranti. Non vi è per Me Giudea o Galilea, Decapoli o Idumea. Vi è solo una cosa: l’Amore che guarda con un unico occhio e unisce in un unico abbraccio per salvare…».
   Gesù è ispirato. Pare sprigioni raggi, tanto è sorridente al suo sogno. Giuda lo guarda ammirato.
   Della gente, curiosa, si è avvicinata ai due, la cui diversa imponenza attira e colpisce.
   Gesù abbassa lo sguardo, sorride a questa piccola folla col suo sorriso, la cui dolcezza nessun pittore potrà mai rendere e nessun credente, che non lo abbia visto, può immaginare. E dice: «Venite, se vi sprona desiderio di parola eterna».

   68.4Si dirige sotto un arco del portico e, addossato ad una colonna, comincia a parlare. Prende lo spunto dal fatto del mattino.
   «Stamane, entrando in Sionne, ho visto che per pochi denari due figli d’Abramo erano pronti ad uccidersi. Nel nome di Dio avrei potuto maledirli, poiché Dio dice: “Non ucciderai”, e dice anche che chi non lo ubbidisce nella sua Legge sarà maledetto. Ma ho avuto pietà della loro ignoranza allo spirito della Legge ed ho solo impedito l’omicidio per dare loro modo di pentirsi, conoscere Dio, servirlo in obbedienza, amando non solo chi li ama, ma anche chi è loro nemico.
   Sì, Israele. Un giorno nuovo sorge per te e anche più luminoso si fa il precetto d’amore. Comincia forse l’anno col nebbioso etanim, oppure con il triste casleu dalle giornate più brevi di un sogno e dalle notti lunghe come un malanno? No, esso ha inizio col fiorito, solare, allegro nisam, in cui tutto ride e il cuore dell’uomo, anche fosse il più povero e triste, si apre alla speranza perché viene l’estate, le biade, il sole, le frutta, dolce è il dormire anche su un prato in fiore con le stelle per lucerna, facile il nutrirsi perché ogni zolla porta erba o frutto per la fame dell’uomo.
   Ecco, o Israele. Finito è l’inverno, tempo di attesa. Ora è la gioia della promessa che si compie. Il Pane e il Vino stanno per esser pronti alla tua fame. Il Sole è fra te. Tutto, a questo Sole, prende più ampio e dolce respiro. Anche il precetto della nostra Legge, il primo, il più santo dei precetti santi: “Ama il tuo Dio e ama il tuo prossimo”.
   Nella relativa luce che fin qui ti fu concessa, ti fu detto — non avresti potuto fare di più, perché su te ancora pesava il corruccio di Dio per la colpa di disamore di Adamo — ti fu detto: “Ama coloro che ti amano e odia il tuo nemico”. E nemico ti era non solo chi varcava i tuoi patrii confini, ma anche chi ti aveva mancato, privatamente, o che ti pareva avesse mancato. Onde l’odio covava in tutti i cuori, poiché quale è mai quell’uomo che, volutamente o senza volere, non fa offesa al fratello? E quale quello che giunge a vecchiezza senza essere offeso?
   Io vi dico: amate anche chi vi offende. Fatelo pensando che Adamo, e ogni uomo per lui, è prevaricatore verso Dio, né vi è alcuno che possa dire: “Io non ho offeso Dio”. Eppure Dio perdona, non una ma dieci e dieci volte perdona, ma mille e diecimila volte perdona, e ne è prova il sussistere dell’uomo sulla terra. Perdonate dunque come Dio perdona. E se non lo potete fare per amore verso il fratello che vi ha nuociuto, fatelo per amore di Dio che vi dà pane e vita, che vi tutela nei bisogni della Terra ed ha predisposto ogni evento per procurarvi l’eterna pace sul suo seno. Questa è la Legge nuova, la Legge della primavera di Dio, del tempo fiorito della Grazia venuta fra gli uomini, del tempo che vi darà il Frutto senza pari che vi aprirà le porte del Cielo.

   68.5La voce che parlava nel deserto non si ode. Ma muta non è.
   Essa parla ancora a Dio per Israele e parla ancora ad ogni retto israelita nel cuore e dice — dice dopo avervi insegnato a far penitenza per preparare le vie al Signore che viene, e ad avere carità dando il superfluo a chi non ha neppure il necessario, e ad avere onestà non estorcendo e vessando — vi dice: “L’Agnello di Dio, Colui che toglie i peccati del mondo, Colui che battezzerà col fuoco dello Spirito Santo è fra voi. Egli pulirà la sua aia, raccoglierà il suo frumento”.
   Sappiate conoscere Colui che il Precursore vi indica. Le sue sofferenze operano verso Dio per darvi luce. Vedete. Si aprano i vostri occhi spirituali. Conoscerete la Luce che viene. Io raccolgo la voce del Profeta che annuncia il Messia, e col potere che mi viene dal Padre la amplifico e vi unisco il mio potere, e vi chiamo alla verità della Legge. Preparate i vostri cuori alla grazia della Redenzione vicina. Il Redentore è fra voi. Beati quelli che saranno degni di essere redenti perché avranno avuto buona volontà.
   La pace sia con voi».
   Uno chiede: «Sei Tu discepolo del Battista, che ne parli con tanta venerazione?».
   «Ebbi battesimo da lui, sulle rive del Giordano, prima della sua prigionia. Lo venero perché santo egli è agli occhi di Dio. In verità vi dico che fra i figli di Abramo non ve ne è uno più ­grande in grazia di lui. Dal suo avvento alla sua morte, gli occhi di Dio si saranno posati senza moto di sdegno su questo benedetto».
   «Egli ti ha assicurato del Messia?».
   «La sua parola che non mente ha indicato ai presenti il Messia già vivente».
   «Dove? Quando?».
   «Quando fu l’ora di indicarlo».

   68.6Ma Giuda si sente in dovere di dire a destra e a manca: «Il Messia è Colui che vi parla. Io ve lo testifico, io che lo conosco e gli sono discepolo primo».
   «Lui!… Oh!…». La gente si scosta intimorita. Ma Gesù è così dolce che torna ad accostarsi.
   «Chiedetegli qualche miracolo. Egli è potente. Guarisce. Legge nei cuori. Risponde ad ogni perché».
   «Digli tu, per me che son malato. L’occhio destro è morto, il sinistro già si secca…».
   «Maestro».
   «Giuda». Gesù, che accarezzava una bambinella, si volta.
   «Maestro, quest’uomo è quasi cieco e vuol vedere. Gli ho detto che Tu puoi».
   «Io posso per chi ha fede. Hai tu fede, uomo?».
   «Io credo nel Dio d’Israele. Vengo qui per gettarmi in Betsaida[145]. Ma vi è sempre chi mi precede».
   «Puoi credere in Me?».
   «Se credo nell’angelo della piscina, non devo credere a Te che il tuo discepolo dice che sei il Messia?».
   Gesù sorride. Si bagna il dito con la saliva e sfiora l’occhio malato. «Che vedi?».
   «Vedo le cose senza la nebbia di prima. E l’altro non lo guarisci?».
   Gesù sorride di nuovo. Ripete l’atto sull’occhio cieco. «Che vedi?», chiede levando il polpastrello dalla palpebra calata.
   «Ah! Signore d’Israele! Ci vedo come quando correvo bambino sui prati! Te benedetto in eterno!». L’uomo piange, prostrato ai piedi di Gesù.
   «Va’. Sii buono, ora, per riconoscenza a Dio».

   68.7Un levita, che è giunto verso la fine del miracolo, chiede: «Con che potere fai queste cose?».
   «Tu me lo chiedi? Pure te lo dico, se mi rispondi ad una domanda. Secondo te è più grande un profeta che profetizza il Messia o il Messia stesso?».
   «Che domanda! Il Messia è il più grande: è il Redentore promesso dall’Altissimo!».
   «Allora perché i Profeti fecero miracoli? Con qual potere?».
   «Col potere che Dio loro dava per provare alle folle che Dio era con loro».
   «Ebbene, con lo stesso potere Io faccio miracolo: Dio è con Me, Io sono con Lui. Io provo alle folle che così è, e che il Messia ben può, con maggior ragione e misura, ciò che potevano i Profeti».
   Il levita se ne va pensoso e tutto finisce.

[144] L’altra volta ero il Figlio del Padre… Ora sono il Maestro…: Anche qui – così annota MV su una copia dattiloscritta – risultano le due Nature unite in un’unica Persona, ma ben distinte: Dio e Uomo.
[145] Betsaida (e a volte Betseida) è detta nell’opera valtortiana, così come nelle versioni della “volgata”, sia la piscina di Gerusalemme (Giovanni 5, 2) sia la città sul lago di Genezaret (Giovanni 1, 44). Nelle moderne versioni della Bibbia, la piscina è detta Bethesda o Betzaetà.