MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 73



LXXIII. A Betlem, nella casa di un contadino e nella grotta della Natività

   8 gennaio 1945.

   73.1Una strada di pianura sassosa, polverosa, asciugata dal sole estivo. Procede fra ulivi potenti, tutti carichi di ulivette appena formate. Il suolo, nei posti non calpestati, ha ancora uno strato dei minuti fiorellini dell’ulivo, caduti dopo la fecondazione.
   Gesù, coi tre, procede in fila indiana lungo la sponda della via, dove l’ombra degli ulivi ha mantenuto l’erba ancora verde, e perciò vi è meno polvere.
   La strada fa una svolta ad angolo retto, oltre la quale sale lievemente verso una conca ad ampio ferro di cavallo, sulla quale sono sparse numerose case e casette sino a formare una cittadina. Proprio là dove la strada fa gomito, vi è una costruzione cubica sormontata da una cupoletta bassa. È tutta chiusa, come abbandonata.
   «Ecco là il sepolcro di Rachele», dice Simone.
   «Allora siamo quasi giunti. Entriamo subito in città?».
   «No, Giuda. Prima vi mostrerò un luogo… Poi entreremo in città e, posto che è ancor giorno chiaro e sera di luna, potremo parlare alla popolazione. Se vorrà ascoltare».
   «Vuoi che non ti ascolti?».

   73.2Sono giunti al sepolcro, antico ma ben conservato, bene imbiancato. Gesù si ferma a bere ad un rustico pozzo lì vicino.
   Gli offre l’acqua una donna venuta ad attingere. Gesù l’interroga: «Sei di Betlemme?».
   «Lo sono. Ma ora in tempo di raccolti sto col marito in questa campagna, a curare gli orti ed i frutteti. E Tu sei galileo?».
   «Sono nato a Betlemme, ma sto a Nazaret di Galilea».
   «Perseguitato anche Tu?».
   «La famiglia. Ma perché dici “anche Tu”? Fra i betlemmiti vi sono molti perseguitati?».
   «E non lo sai? Quanti anni hai?».
   «Trenta».
   «Allora sei nato proprio quando… oh! che sventura! Ma perché nacque qui Colui?».
   «Chi?».
   «Ma quello che si diceva il Salvatore. Maledizione agli stolti che ubbriachi di sicera videro nelle nubi degli angeli, udirono nei belati e nei ragli delle voci di Cielo, e nelle nebbie del­l’ebbrezza scambiarono tre miserabili per i più santi della Terra. Maledizione a loro! E a chi in loro credette».
   «Ma non mi spieghi, con tutto il tuo maledire, che avvenne. Perché maledici?».
   «Perché… Ma senti, dove vuoi andare?».
   «A Betlemme coi miei amici. Ho interessi là. Devo salutare vecchi amici e portare loro il saluto della Madre mia. Ma prima vorrei sapere tante cose, perché manchiamo, noi della famiglia, da molti anni. Lasciammo la città che ero di pochi mesi».
   «Prima della sventura, allora.

   73.3Senti, se non ti schifa la casa di un contadino, vieni a dividere con noi il pane e il sale. Tu e i tuoi compagni. Parleremo durante la cena e vi darò alloggio sino al mattino. Ho piccola casa. Ma sopra la stalla vi è molto fieno ammucchiato. La notte è calda e serena. Se credi, puoi dormire».
   «Il Signore d’Israele compensi la tua ospitalità. Verrò con gioia nella tua casa».
   «Il pellegrino porta seco benedizione. Andiamo. Devo però versare ancora sei anfore sulle verdure da poco nate».
   «E Io ti aiuterò».
   «No. Tu sei un signore. Lo dice il tuo modo di fare».
   «Sono un operaio, donna. E costui è pescatore. Questi, giudei, sono di censo e d’impiego. Non Io». E prende un’anfora adagiata sul suo pancione presso il bassissimo muretto del pozzo, la lega e la cala.
   Giovanni lo aiuta. Anche gli altri non vogliono esser da meno. Dicono alla donna: «Dove è l’ortaglia? Mostrala a noi. Vi porteremo le giare».
   «Dio vi benedica! Ho le reni spezzate dalla fatica. Venite…».
   E mentre Gesù estrae la sua brocca, i tre scompaiono giù per un viottolo… poi tornano con le due brocche vuote, le empiono, tornano via. E così fanno non per tre, ma per ben dieci volte. E Giuda ride dicendo: «Si sta sgolando a benedirci. Le diamo tant’acqua all’insalata che per almeno due giorni la terra sarà umida e la donna non si spezzerà le reni». Quando torna per l’ultima volta, dice: «Maestro, però credo che siamo caduti male».
   «Perché, Giuda?».
   «Perché ce l’ha col Messia. Le ho detto: “Non bestemmiare. Non sai che è la più grande grazia per il popolo di Dio il Messia? Geovà[153] lo ha promesso a Giacobbe e da lui a tutti i profeti e giusti d’Israele. E tu lo odii?”. Mi ha risposto: “Non Lui. Ma quello che dissero ‘Messia’ dei pastori ubbriachi e dei maledetti indovini d’Oriente”. E siccome quello sei Tu…».
   «Non importa. So d’essere posto a prova e contraddizione di molti. Le hai detto che sono Io?».
   «No. Non sono stolto. Ho voluto salvare le tue e le nostre spalle».
   «Facesti bene. Non per le spalle. Ma perché desidero manifestarmi quando lo giudico giusto. Andiamo».
   Giuda lo guida sino all’ortaglia.

   73.4La donna versa le ultime tre brocche e poi li conduce verso una rustica costruzione in mezzo al frutteto. «Entrate», dice. «Mio marito è già in casa».
   Si affacciano ad una bassa e affumicata cucina. «La pace sia a questa casa», saluta Gesù.
   «Chiunque Tu sia, la benedizione a Te e ai tuoi. Entra», risponde l’uomo. E prima porta un catino con dell’acqua perché i quattro si rinfreschino e si mondino. Poi entrano tutti e si siedono ad una rozza tavola.
   «Io vi ringrazio per la mia donna. Mi ha detto. Non avevo mai avvicinato galilei e mi era stato detto che erano rozzi e rissosi. Ma voi siete stati gentili e buoni. Già stanchi… e lavorare tanto. Venite da lontano?».
   «Da Gerusalemme. Questi sono giudei. Io e quest’altro siamo di Galilea. Ma credi, uomo, il buono e il cattivo è ovunque».
   «È vero. Io, per primo incontro con i galilei, trovo il buono. Donna, porta il cibo. Non ho che pane, verdure, ulive e formaggio. Sono contadino».
   «Non sono un signore neppure Io. Legnaiuolo sono».
   «Tu? Con questi modi?».
   La donna interviene: «L’ospite è di Betlem, ti ho detto, e se sono, i suoi, perseguitati, saranno stati forse ricchi e istruiti come lo erano Giosoè di Ur, Mattia di Isacco, Levi di Abramo… poveri infelici!…».
   «Non sei stata interrogata. Perdonala. Le donne sono più ciarliere di passere a sera».
   «Erano famiglie betlemmite?».
   «Come? Non lo sai chi erano, se sei di Betlemme?».
   «Siamo fuggiti che Io avevo pochi mesi…».
   La donna, che proprio deve esser ciarliera, torna a parlare: «È andato via prima del massacro».
   «Eh! lo vedo. Altrimenti non ci sarebbe più al mondo. Non vi sei più tornato?».
   «No».

   73.5«Che gran sventura! Pochi troverai di quelli che, mi ha detto Sara, Tu vuoi conoscere e salutare. Molti uccisi, molti fuggiti, molti… mah! dispersi, né si è mai saputo se morirono nel deserto o se furono spenti in carcere per punirli della loro ribellione. Ma fu ribellione? E chi sarebbe stato inerte lasciando sgozzare tanti innocenti? No, che giusto non è che sia ancor vivo Levi e Elia mentre tanti innocenti sono morti!».
   «Chi sono i due, e che fecero?».
   «Ma… almeno dell’eccidio saprai. L’eccidio d’Erode… Più di mille pargoli[154] in città, un altro migliaio quasi nelle campagne. E tutti, anzi, quasi tutti maschi, perché nella furia, nel buio, nella mischia, i feroci presero, strapparono dalle cune, dai letti materni, dalle case assalite, anche delle bambinelle e le trafissero come gazzelline poppanti prese di mira da un arciere. Ebbene, tutto questo perché? Perché un gruppo di pastori, che per vincere il gelo notturno certo avevano bevuto sicera a gran sorsi, furono presi da delirio e dissero di aver visto angeli, udito canzoni, avuto indicazioni… e dissero a noi di Betlemme: “Venite. Adorate. Il Messia è nato”. Pensa: il Messia in una spelonca! In verità devo dire che ebbri fummo tutti, anche io, allora adolescente, anche la moglie, di allora pochi anni… perché credemmo tutti, e in una povera donna galilea volemmo vedere la Vergine partoriente di cui parlarono i Profeti. Ma se era con un rozzo galileo! Il marito certo. Se era moglie, come poteva esser la “Vergine”? Insomma, credemmo. Doni, adorazioni… case aperte per ospitarli… Oh! l’avevano saputa far bene la parte! Povera Anna! Ci ha rimesso i beni e la vita, e anche i figli di sua figlia, la prima, l’unica che si è salvata perché sposata con un mercante di Gerusalemme, persero i beni, perché la casa fu arsa e tutto il podere segato per ordine d’Erode. Ora è un campo incolto su cui pascolano gli armenti».
   «Tutta colpa dei pastori?».
   «No, anche di tre stregoni venuti dai regni di Satana. Forse erano compari dei tre… E noi, stolti, ce ne tenevamo per tanto onore! Quel povero archisinagogo! Lo uccidemmo per aver giurato che le profezie mettevano suggello di verità alle parole dei pastori e dei maghi…».
   «Tutta colpa dei pastori e dei maghi, dunque?».
   «No, galileo. Anche nostra. Della nostra credulità. Lo si aspettava da tanto il Messia! Secoli di attesa. Molte delusioni negli ultimi tempi per i falsi Messia. Uno era galileo, come Te, un altro aveva nome Teoda. Bugiardi! Messia loro! Non erano che avidi avventurieri in caccia di fortuna! Doveva farci sveglia la lezione. Invece…».

   73.6«E allora perché maledite, tutti, i pastori e i maghi? Se vi giudicate stolti voi pure, allora dovreste maledire voi pure. Ma la maledizione non è permessa dal precetto d’amore. Maledizione attira maledizione. Avete voi la sicurezza che siete nel giusto? Non potrebbe esser vero che i pastori e i maghi avessero detto il vero, loro rivelato da Dio? Perché voler credere che fossero mentitori?».
   «Perché gli anni della profezia non erano compiuti. Dopo ci pensammo… dopo che il sangue, che fece rosse le vasche e i rii, ci aperse gli occhi del pensiero».
   «E non avrebbe potuto l’Altissimo, per eccesso d’amore verso il suo popolo, anticipare la venuta del Salvatore? Su che basarono i maghi la loro asserzione? Mi hai detto che venivano da Oriente…».
   «Dai loro calcoli su una nuova stella».
   «E non è detto[155]: “Una stella nascerà da Giacobbe e una verga si alzerà da Israele”? E Giacobbe non è il grande patriarca e non ebbe sosta in questa terra di Betlem a lui cara come pupilla del suo occhio, perché ivi morì la sua diletta Rachele? E ancor non è detto da bocca profetica: “Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse e un fiore verrà da questa radice”? Isai, padre di Davide, qui nacque. Il germoglio sulla stirpe, segata alla radice da usurpazione di tiranni, non è la “Vergine” che partorirà il Figliolo, non avuto da uomo, ché allora non più vergine sarebbe, ma da volere divino, onde Egli sarà “l’Emmanuele” perché Figlio di Dio, sarà Dio e porterà perciò Dio fra il popolo di Dio come il suo nome dice? E non sarà annunciato, dice la profezia, ai popoli delle tenebre, ossia ai pagani “da una gran luce”? E la stella vista dai maghi non potrebbe esser la stella di Giacobbe, la grande luce delle due profezie di Balaam e di Isaia? E lo stesso eccidio compiuto da Erode non rientra nelle profezie? “Un grido s’è sentito nell’alto… È Rachele che piange i suoi figli”. Era segnato che lacrime gemessero le ossa di Rachele nel suo sepolcro di Efrata quando, per il Salvatore, sarebbe venuta la ricompensa al popolo santo. Lacrime per poi mutarsi in celeste riso, come l’arcobaleno che è fatto delle ultime gocce del temporale, ma dice: “Ecco, il sereno è concesso”».
   «Sei molto dotto. Sei rabbi?».
   «Lo sono».
   «E io lo sento. Vi è luce e vero nelle tue parole. Ma però… oh! troppe ferite sanguinano ancora in questa terra di Betlem per il vero o falso Messia… Non consiglierei lo Stesso a venire mai qui. La terra lo respingerebbe come si respinge un figliastro per causa del quale morirono i figli veri. Ma già… se era Lui… è morto con gli altri sgozzati».

   73.7«Dove abita ora Levi, e dove Elia?».
   «Li conosci?». L’uomo è in sospetto.
   «Non li conosco. Il loro viso m’è ignoto. Ma sono infelici, ed Io ho sempre pietà degli infelici. Voglio andare a trovarli».
   «Umh! sarai il primo dopo quasi sei lustri. Sono ancora pastori e servono un ricco erodiano di Gerusalemme che si è appropriato di molti beni degli uccisi… C’è sempre chi guadagna! Li troverai coi greggi verso le alture che vanno a Ebron. Ma, un consiglio. Non ti far vedere a parlare con essi dai betlemmiti. Ne avresti danno. Li sopportiamo perché… perché c’è l’erodiano. Se no…».
   «Oh! l’odio! Perché odiare?».
   «Perché è giusto. Ci hanno fatto del male».
   «Hanno creduto fare bene».
   «Ma fecero male. E male si abbiano. Dovevamo ucciderli come fecero uccidere con la loro stoltezza. Ma eravamo inebetiti e dopo… c’era l’erodiano».
   «Se non c’era lui, allora, anche dopo il primo, ancor compatibile sussulto di vendetta, avreste ucciso?».
   «Anche ora uccideremmo se non avessimo paura del padrone loro».
   «Uomo, Io ti dico: non odiare. Non desiderare il male. Non desiderare di fare il male. Qui non vi è colpa. Ma anche vi fosse, perdona. In nome di Dio perdona. Dillo agli altri betlemmiti. Quando cadrà l’odio dai vostri cuori verrà il Messia; lo conoscerete, allora, perché Egli è vivente, Egli era già quando la strage avvenne. Io ve lo dico. Non per colpa dei pastori e dei maghi, ma per colpa di Satana avvenne la strage. Il Messia vi è nato qui, è venuto a portare la Luce alla terra dei suoi padri. Figlio di Madre vergine della stirpe di Davide, nelle rovine della casa di Davide aperse al mondo il fiume delle grazie eterne, aperse la Vita all’uomo…».
   «Via, via! esci di qui! Tu, seguace di questo falso Messia, che non poteva che esser falso, perché ci ha portato sventura, a noi di Betlemme. Tu lo difendi, perciò…».
   «Silenzio, uomo. Io sono giudeo e ho amici in alto. Potrei farti pentire dell’insulto», scatta Giuda prendendo per la veste il contadino e scuotendolo, violento e acceso d’ira.
   «No, no, via di qua! Non voglio noie né coi betlemiti, né con Roma ed Erode. Andatevene, maledetti, se non volete che vi lasci un segno. Via!…».
   «Andiamo, Giuda. Non reagire. Lasciamolo nel suo livore. Dio non penetra dove è astio. Andiamo».
   «Sì, andiamo. Ma me la pagherete».
   «No, Giuda. No. Non dire così. Sono ciechi… Ce ne saranno tanti sul mio percorso…».

   73.8Escono, seguendo Simone e Giovanni che sono già fuori e che parlottano con la donna, dietro l’angolo della stalla.
   «Perdona al marito mio, Signore. Non credevo di far tanto male… Ecco, tieni. Le prenderai domattina. Sono fresche, di oggi. Non ho altro… Perdono. Dove dormirai?» (Dà delle uova).
   «Non ci pensare. So dove andare. Va’ in pace per la tua bon­tà. Addio».
   Camminano per qualche metro in silenzio, poi Giuda esplode: «Però Tu, a non farti adorare! Perché non far curvare nella mota quel lurido bestemmiatore? A terra! Atterrato per aver mancato a Te, Messia… Oh! io lo avrei fatto! I samaritani vanno inceneriti col miracolo. Non li scuote che quello».
   «Oh! quante volte lo sentirò dire! Ma dovessi incenerire per ogni peccato verso Me!… No, Giuda. Io sono venuto per creare. Non per distruggere».
   «Già. Ma intanto gli altri distruggono Te».
   Gesù non ribatte.
   Simone chiede: «Dove andiamo ora, Maestro?».
   «Venite con Me. So un luogo».
   «Ma se non ci sei mai stato, da quando fuggisti, come lo sai?», chiede ancora irritato Giuda.
   «Lo so. Non è bello. Ma ci fui un’altra volta. Non è in Betlemme… un poco fuori… Pieghiamo da questa parte».
   Gesù avanti, poi Simone, poi Giuda, ultimo Giovanni…

   73.9Nel silenzio, rotto solo dal fruscio dei sandali sulle ghiaiuzze del sentiero, si sente un singhiozzo.
   «Chi piange?», chiede Gesù voltandosi.
   E Giuda: «È Giovanni. Ha avuto paura».
   «No. Non paura. Avevo già la mano sul coltello che ho alla cintura… Ma mi sono ricordato del tuo: “Non uccidere, perdona”. Lo dici sempre…».
   «E allora perché piangi?», chiede Giuda.
   «Perché soffro a vedere che il mondo non vuole Gesù. Non lo riconosce e non lo vuole conoscere. Oh! è un tal dolore! Come mi frugassero in cuore con degli spini fatti di fuoco. Come avessi visto calpestare mia madre e sputare sul volto di mio padre… Più ancora… Come avessi visto i cavalli romani mangiare nell’Arca Santa e far riposo nel Santo dei Santi».
   «Non piangere, Giovanni mio. Lo dirai, per questa e per infinite altre volte: “Egli era la Luce venuta a splendere fra le tenebre, ma le tenebre non lo compresero. Venne nel mondo che per Lui era stato fatto, ma il mondo non lo conobbe. Venne alla sua città, alla sua casa, e i suoi non lo ricevettero”. Oh! non piangere così!».
   «Questo non succede in Galilea!», sospira Giovanni.
   «Allora neppure in Giudea», ribatte Giuda. «Gerusalemme ne è la capitale e, or sono tre giorni, osannava a Te, Messia. Qui… posto di rozzi pastori, contadini e ortolani… non è da prender per base. Anche i galilei, va’ là, non saranno tutti buoni. Del resto, Giuda il falso Messia di dove era? Si diceva…».
   «Basta, Giuda. Non conviene inquietarsi. Io sono calmo. Siatelo voi pure. Giuda, vieni qui. Ti devo parlare». Giuda lo raggiunge. «Prendi la borsa. Tu farai le spese. Per domani».
   «E per ora, dove albergheremo?».
   Gesù sorride e tace.

   73.10La notte è scesa. La luna veste tutto di candore. Gli usignoli cantano fra gli ulivi. Un rio è un nastro d’argento sonante. Dai prati falciati viene odor di fieni: caldo, direi carnale. Qualche muggito. Qualche belato. E stelle, stelle, stelle… una semina di stelle sul velario del cielo, un baldacchino di gemme vive steso sulle colline di Betlemme.
   «Ma qui!… Son rovine. Dove ci conduci? La città è più là».
   «Lo so. Vieni. Segui il rio, dietro a Me. Ancora pochi passi, e poi… poi ti offrirò l’alloggio del Re d’Israele».
   Giuda si stringe nelle spalle e tace.
   Ancora pochi passi. Poi ecco un ammasso di case franate. Resti di abitazioni… Un antro fra due spacchi del muraglione.
   Gesù dice: «Avete l’esca? Accendete».
   Simone accende un fanaletto tratto dalla sua bisaccia e lo dà a Gesù.
   «Entrate», dice il Maestro alzando il lumino. «Entrate. Questa è la camera della natività del Re d’Israele».
   «Tu scherzi, Maestro! Questa è una fetida spelonca. Ah! io non ci sto per davvero! Ne ho schifo: umida, fredda, puzzolente, piena di scorpioni, di serpi forse…».
   «Eppure… Amici, qui la notte del 25, d’Encenie, dalla Vergine nacque Gesù Cristo, l’Emmanuele, il Verbo di Dio fatto Carne per amore dell’uomo: Io che vi parlo. Anche allora, come ora, il mondo fu sordo alle voci del Cielo che parlavano ai cuori… ed ha respinto la Madre… e qui… No, Giuda, non torcere con disgusto lo sguardo da quelle nottole svolazzanti, da quei ramarri, da quelle tele di ragno, non sollevare con schifo la tua bella veste ricamata perché non strusci sul suolo coperto degli escrementi animali. Quelle nottole sono le figlie delle figlie di quelle che furono i primi balocchi agitati sotto gli occhi del Bambino, per il quale gli angeli cantavano il “Gloria” udito dai pastori, non ebbri altro che di estatica gioia, di vera gioia. Quei ramarri, col loro smeraldo, furono i primi colori che colpirono la mia pupilla, i primi dopo il candore della veste e del materno volto. Quelle tele di ragno, i baldacchini della mia culla regale. Questo suolo… oh! lo puoi calpestare senza sdegno… È coperto di escrementi… ma è santificato dal piede di Lei, la Santa, la grande Santa, la Pura, l’Inviolata, la Puerpera deipara, Colei che partorì perché doveva partorire, partorì perché Dio, non l’uomo, glielo disse e l’incinse di Sé. Lei, la Senza Macchia, l’ha premuto. Tu lo puoi calpestare. E per le piante dei tuoi piedi Dio voglia ti salga al cuore la purezza da Lei effusa…».

   73.11Simone si è inginocchiato. Giovanni va dritto alla greppia e piange col capo appoggiato ad essa. Giuda è esterrefatto… poi lo vince l’emozione e, senza più pensare alla sua bella veste, si butta al suolo, prende il lembo della veste di Gesù, la bacia e si batte il petto dicendo: «Oh! misericordia, Maestro buono, della cecità del tuo servo! La mia superbia cade… ti vedo qual sei. Non il re che io pensavo. Ma il Principe eterno, il Padre del secolo futuro, il Re della pace. Pietà, Signore e Dio mio! Pietà!».
   «Sì. Tutta la mia pietà! Ora dormiremo dove dormì l’Infante e la Vergine, là dove Giovanni ha preso il posto della Madre adorante, qui dove Simone pare il mio padre putativo. Oppure, se lo preferite, vi parlerò di quella notte…».
   «Oh! sì, Maestro. Facci conoscere il tuo fiorire».
   «Perché sia perla di luce nei nostri cuori. E perché lo possiamo ridire al mondo».
   «E venerare la Madre tua, non solo per esserti madre, ma per essere… oh! per essere la Vergine!».
   Prima ha parlato Giuda, poi Simone, poi Giovanni col volto che piange e ride, là presso la greppia…
   «Venite sul fieno. Udite…», …e Gesù racconta la sua notte natale: «…essendo la Madre già prossima al tempo di partorire, venne, per ordine di Cesare Augusto, fatto bando dal delegato imperiale Publio Sulpizio Quirino, mentre era governatore della Palestina Senzio Saturnino. Il bando era: censire tutti gli abitanti dell’Impero. Coloro che schiavi non fossero dovevano recarsi nei luoghi di origine, per iscriversi negli albi dell’Impero. Giuseppe, sposo della Madre, era della stirpe di Davide, e di Davide era la Madre. Ubbidendo perciò al bando, lasciarono Nazareth per venire in Betlemme, culla della stirpe regale. Rigido il tempo…».
   Gesù continua il racconto e tutto cessa così.

[153] Geovà è stato corretto in Javé, da MV su una copia dattiloscritta, a seguito della nota in 59.5.
[154] mille pargoli… Così scrive MV su un foglietto che ha inserito nel fascicolo della copia dattiloscritta: In merito agli Innocenti uccisi nella strage di Erode: Numero esatto è 32. Di essi, 18 furono uccisi nella vera città di Betlemme e 14 nelle campagne prossime a Betlemme. Fra gli uccisi vi furono anche 6 fanciulline, non identificate per femmine dai sicari, dato che erano, maschi e femmine, vestiti tutti a un modo, e anche per la fretta di uccidere e per il buio notturno. Come sempre avviene, il contadino esagera e svisa la verità delle cose. E così molte leggende false si sono create sostituendosi alla verità. Esclusa la considerazione sull’esagerazione del contadino, la nota di MV è la trascrizione, non del tutto testuale e forse fatta a mente, di una nota del 28 febbraio 1947 (riportata nel volume “I quaderni dal 1945 al 1950”), dalla quale discorda nelle cifre: 320 invece di 32, 188 invece di 18, 132 invece di 14, 64 invece di 6.
[155] è detto, in: Genesi 35, 15-20; Numeri 24, 15-17; 1 Samuele 17, 12; Isaia 7, 14; 9, 1; 11, 1; Geremia 31, 15. I rinvii biblici, che abbiamo elencato nell’ordine canonico dei libri, comprendono sia le espressioni citate che gli eventi accennati.