MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 76



LXXVI. A Jutta dal pastore Isacco. Sara e i suoi bambini

   12 gennaio 1945.

   76.1Una fresca valle sonante d’acque che vanno verso sud fra balzi e spume di un torrentello d’argento, che spruzza la sua ridente freschezza sui piccoli pascoli delle prode, ma pare che la linfa sua salga anche per le pendici, tanto sono verdi: uno smeraldo, variegato nel suo verde, che dal suolo sale, attraverso i cespugli e gli arbusti del sottobosco, sino alle cime delle alte piante, fra cui sono molti noci, del bosco vero e proprio, tutto intersecato di zone aperte, che sono pianori verdi dall’erba nutrita, pascolo sano e robusto per gli armenti.
   Gesù scende, coi suoi e coi tre pastori, verso il torrente. Pazientemente si ferma quando c’è da attendere una pecora che si attarda o uno dei pastori che deve rincorrere un’agnella che si svia. È proprio il Buon Pastore ora. Anche Lui si è munito di un lungo ramo per scansare le ramaglie delle more e dei biancospini e vitalbe, che sporgono da tutte le parti e cercano afferrare le vesti. E ciò completa la sua figura pastorale.
   «Vedi? Jutta è lassù. Ora passeremo il torrente, vi è un posto di guado che nell’estate serve, senza ricorrere al ponte. Sarebbe stato più breve venire da Ebron. Ma Tu non hai voluto».
   «No. A Ebron dopo. Prima sempre da chi soffre.

   76.2I morti non soffrono più, quando sono dei giusti. E Samuele era un giusto. Per i morti, poi, che hanno bisogno di preghiere, non è necessario esser presso le loro ossa per darle. Le ossa? Che sono? Prova della potenza di Dio, che con la polvere creò l’uomo. Ma non oltre. Anche l’animale ha le ossa. Scheletro meno perfetto dell’uomo, quello di ogni animale. Solo l’uomo, il re del creato, ha posizione eretta, da re sui suoi sudditi, col volto che guarda diritto e in alto senza aver da torcere il collo; in alto, là dove è la dimora del Padre. Ma sono sempre ossa. Polvere che polvere ritorna. La Bontà eterna ha deciso di ricostruirla nel Giorno eterno per dare un ancor più vivo gaudio ai beati. Pensate, non solo gli spiriti saranno riuniti e si ameranno come e molto più che sulla Terra, ma anche gioiranno di rivedersi con quegli aspetti che in Terra ebbero: i bimbi ricciuti e cari come i tuoi, Elia, i padri e le madri dal cuore e dal volto tutto amore come i vostri, Levi e Giuseppe. Anzi, per te, Giuseppe, sarà un conoscere finalmente quei volti di cui hai nostalgia. Non più orfani, non più vedovi fra i giusti, lassù… Suffragio ai morti si può dare ovunque. È preghiera di uno spirito, per lo spirito di chi ci era congiunto, allo Spirito perfetto che è Dio e che è ovunque. Oh! santa libertà di tutto ciò che è spirituale! Non distanze, non esilii, non prigioni, non sepolcri… Nulla che divida e incateni in una impotenza penosa ciò che è fuori e al disopra delle catene della carne. Voi andate, con la parte migliore di voi, ai vostri diletti. Loro, con la loro parte migliore, vengono a voi. E tutto rotea, di questa effusione di spiriti che s’amano, intorno al Fulcro eterno, a Dio: Spirito perfettissimo, Creatore di tutto quanto fu, è e sarà, Amore che vi ama e vi insegna ad amare…

   76.3Ma eccoci al guado, credo. Vedo una fila di pietre affiorare dalla poca acqua del fondo».
   «Sì, è quello, Maestro. In tempo di piena è sonante cascata, ora non è che sette rivoli d’acqua che ridono fra le sei grosse pietre del guado».
   Infatti sei grossi massi, abbastanza squadrati, sono stesi, alla distanza di un buon palmo fra loro, sul fondo del torrente, e l’acqua, prima unita in un unico nastro brillante, si separa in sette nastri minori, affrettandosi, ridente, a riunirsi al di là del guado in un’unica freschezza che scorre via parlottando fra le ghiaie del fondo.
   I pastori sorvegliano il passaggio delle pecorelle, che parte passano sui sassi e parte preferiscono scendere nell’acqua, alta non più di un palmo, e bere a questa diamantina onda che spuma e ride.
   Gesù passa sulle pietre e dietro Lui i discepoli. Riprendono l’andare sull’altra sponda.

   76.4«Mi hai detto che vuoi far noto a Isacco che Tu ci sei, ma non entrare in paese?».
   «Sì, così voglio».
   «Allora è bene separarci. Io andrò da lui, Levi e Giuseppe resteranno col gregge e con voi. Salgo di qui. Farò più presto».
   E Elia intraprende a salire su per la costa, verso un biancheggiare di case che splendono al sole là, in alto. Mi pare di seguirlo. Eccolo alle prime case. Prende un vicoletto fra case e orti. Cammina per qualche decina di metri. Poi svolta in una via più larga e da questa entra in una piazza.
   Non ho detto che tutto ciò avviene nelle prime ore del mattino. Lo dico ora per spiegare che sulla piazza vi è ancora il mercato, e massaie e venditori vociano intorno alle piante che fanno ombra alla piazza.
   Elia va sicuro sino al punto dove la piazza torna ad esser via, una via abbastanza bella. La più bella, forse, del paese. All’angolo vi è una casupola, meglio, una stanza con la porta aperta. Quasi sulla porta un povero letto e, sopra, uno scheletrico infermo, che lamentosamente chiede ad ogni passante un obolo.
   Elia entra come un razzo. «Isacco… sono io».
   «Tu? Non ti attendevo. Sei venuto la scorsa luna».
   «Isacco… Isacco… Sai perché sono venuto?».
   «Non so… sei commosso… che avviene?».
   «Ho visto Gesù di Nazaret, uomo, rabbi ormai. È venuto a cercarmi… e ci vuole vedere. Oh! Isacco! Stai male?».
   Infatti Isacco si è abbandonato come morisse. Ma si riprende: «No. La notizia… Dove è? Come è? Oh! lo potessi vedere!».
   «È giù, a valle. Mi manda a dirti così, proprio così: “Vieni, Isacco, ché ti voglio vedere e benedire”. Ora chiamerò qualcuno che mi aiuti e ti porterò giù».
   «Così ha detto?».
   «Così. Ma che fai?».
   «Vado».
   Isacco respinge le coperture, muove le gambe inerti, le getta dal pagliericcio, le punta al suolo, si alza, ancora un poco incerto e traballante. Tutto in un attimo, sotto gli occhi sbarrati di Elia… che finalmente capisce e urla…
   Si affaccia una donnetta curiosa. Vede l’infermo in piedi che si ammanta, non avendo altro, in una delle coperture, e scappa via urlando come una gallina.
   «Andiamo… di qua andiamo, per fare più presto e non avere folla… Presto, Elia».
   Ed escono di corsa dalla porticina di un orticello posteriore, spingono la chiusura di rami secchi, sono fuori, filano per un vicoletto miserabile, poi giù per una stradetta fra orti e da questa giù per i prati e i boschetti, sino al torrente.

   76.5«Ecco là Gesù», dice Elia additandolo. «Quello alto, bello, biondo, vestito di bianco, col manto rosso…».
   Isacco corre, fende il gregge brucante e con un grido di trionfo, di gioia, di adorazione, si prostra ai piedi di Gesù.
   «Alzati, Isacco. Sono venuto. A portarti pace e benedizione. Alzati, che ti conosca il volto».
   Ma Isacco non può alzarsi. Troppe emozioni insieme, e sta, col suo felice pianto, contro il suolo.
   «Sei subito venuto. Non ti sei chiesto se potevi…».
   «Tu mi hai detto di venire… e sono venuto».
   «Neppure ha chiuso la porta, né raccolto gli oboli, Maestro».
   «Non importa. Gli angeli veglieranno nella sua dimora. Sei contento, Isacco?».
   «Oh! Signore!».
   «Chiamami Maestro».
   «Sì, Signore, Maestro mio. Anche non fossi guarito, sarei stato beato a vederti. Come ho potuto trovare tanta grazia presso Te?».
   «Per la tua fede e pazienza, Isacco. So quanto hai soffer­to…».
   «Niente, niente! Più niente! Ho trovato Te! Sei vivo! Ci sei! Questo c’è proprio… Il resto, tutto il resto è passato. Ma, Signore e Maestro, ora non te ne vai più, vero?».
   «Isacco, ho tutto Israele da evangelizzare. Io vado… Ma se Io non posso restare, tu mi puoi sempre servire e seguire.

   76.6Vuoi esser mio discepolo, Isacco?».
   «Oh! Ma non sarò buono!».
   «Saprai confessare che Io sono? Contro gli scherni e le minacce confessarlo? E dire che Io ti ho chiamato e sei venuto?».
   «Anche se Tu non volessi, direi tutto questo. In questo ti disubbidirei, Maestro. Perdona se lo dico».
   Gesù sorride. «E allora, vedi che sei buono di fare il discepolo?».
   «Oh! se non è che per fare questo! Credevo fosse più difficile. Che bisognasse andare a scuola dai rabbi per servire Te, Rabbi dei rabbi… e andare a scuola da vecchio…». Infatti l’uomo ha almeno cinquant’anni.
   «La scuola l’hai già fatta, Isacco».
   «Io? No».
   «Tu, sì. Non hai continuato a credere e ad amare, a rispettare e benedire Dio e prossimo, a non avere invidie, a non desiderare ciò che era d’altri e anche ciò che era tuo e che non avevi più, a non dire che il vero anche se ciò ti nuoceva, a non fornicare con Satana facendo peccati? Non hai fatto tutto questo, in questi trent’anni di sventura?».
   «Sì, Maestro».
   «Tu vedi. La scuola l’hai fatta. Continua così e aggiungi la rivelazione del mio essere nel mondo. Non c’è altro da fare».
   «Ti ho già predicato, Signore Gesù. Ai bambini che venivano quando, sciancato, giunsi a questo paese chiedendo un pane e facendo ancora qualche lavoro di tosa e di latticini, e poi che venivano intorno al mio letto quando il male si fece forte e mi perse dalla vita in giù. Di Te parlavo ai bambini di allora e ai bambini di ora, figli di quelli… I bambini sono buoni e credono sempre… Dicevo di quando eri nato… degli angeli… della Stella e dei Maghi… e della Madre tua… Oh! dimmi! È viva?».
   «È viva e ti saluta. Sempre parlava di voi».
   «Oh! vederla!».
   «La vedrai. Verrai nella mia casa un giorno. Maria ti saluterà: amico».
   «Maria… Sì. È come avere in bocca il miele a dire quel nome…

   76.7Vi è una donna a Jutta, ora è donna, madre da poco del suo quarto figlio, che un tempo era bambina, una delle mie piccole amiche… e ai suoi figli ha messo nome: Maria e Giuseppe ai due primi e, non osando chiamare il terzo Gesù, lo ha chiamato Emanuele, per augurio a se stessa, alla sua casa e ad Israele. E pensa al nome da dare al quarto, nato sei giorni or sono. Oh! quando saprà che son guarito! E che Tu sei qui! Buona come il pane della mamma è Sara, e buono Gioacchino il suo sposo. E i loro parenti? Per loro son vivo. Mi hanno dato ricovero e aiuto sempre».
   «Andiamo da loro a chiedere ricovero per le ore di sole e a portare benedizione per la loro carità».
   «Di qua, Maestro. Più comodo per il gregge e per sfuggire alla gente, certo eccitata. La vecchia, che mi ha visto alzarmi in piedi, certo ha parlato».

   76.8Seguono il torrente, lo lasciano, più a sud, per prendere un sentiero che sale piuttosto ripido, seguendo uno sperone del monte fatto come un tagliamare di nave. Ora il torrente è in direzione contraria a chi sale, e scorre nel fondo fra due ordini di monti, che si intersecano formando valle accidentata e bella.
   Riconosco il luogo. È inconfondibile. È quello della visione di Gesù e i fanciulli[159], avuta nella scorsa primavera. Il solito muretto a secco delimita la proprietà che scoscende a valle. Ecco i prati con i meli, i fichi e i noci, ecco la casa, bianca sul verde, con la sua ala sporgente che protegge la scala e fa portico e loggia, ecco la cupoletta sulla parte più alta, ecco l’orto giardino con il pozzo, la pergola e le aiuole…
   Gran vocio esce dalla casa. Isacco va avanti. Entra. Chiama a gran voce: «Maria, Giuseppe, Emanuele! Dove siete? Venite da Gesù».
   Corrono tre piccini: una bimba di quasi cinque anni e due maschietti dai quattro ai due, l’ultimo ancora un poco incerto nel passo. Restano a bocca aperta davanti al… risorto. Poi la bimba strilla: «Isacco! Mamma! Isacco è qui! Giuditta ha visto bene!».
   Da una stanza dove è gran vocio esce una donna, la florida madre bruna, alta, formosa, della visione lontana, tutta bella nelle sue vesti di festa: una veste di candido lino, come una ricca camicia, che scende a crespe sino alle caviglie, stretta ai fianchi opulenti da uno scialle a righe variopinte, che la modella nelle anche stupende ricadendo con frange sino al ginocchio, dietro, e rimanendo socchiuso sul davanti dopo essersi incrociato all’altezza della cintura sotto una fibbia di filigrana. Un velo leggero a rami di rose in colore su uno sfondo avoriato è appuntato, sulle trecce nere, come un piccolo turbante, e poi scende dalla nuca, con onde e pieghe, per le spalle e sul petto. Lo tengono fermo sulla testa una coroncina di medagliette legate da una catenella fra loro. Orecchini ad anelli pesanti scendono dalle orecchie, e al collo tiene stretta la tunica una collana di argento passata fra occhielli della veste. Alle braccia, pesanti braccialetti d’argento.
   «Isacco! Ma come? Giuditta… credevo il sole l’avesse impazzita… Tu cammini! Ma che fu?».
   «Il Salvatore! Oh! Sara! Egli c’è! È venuto!».
   «Chi? Gesù di Nazareth? Dove è?».
   «Là! Dietro al noce, che chiede se lo ricevi!».
   «Gioacchino! Madre! Voi tutti, venite! C’è il Messia!».
   Donne, uomini, ragazzi, bambini, corrono fuori urlando, strillando… ma, quando vedono Gesù alto e maestoso, perdono ogni ardire e restano come pietrificati.
   «La pace a questa casa e a voi tutti. La pace e la benedizione di Dio». Gesù cammina piano, sorridente, verso il gruppo. «Amici, volete ospitare il Viandante?», e sorride più ancora.
   Il suo sorriso vince i timori. Lo sposo ha il coraggio di parlare: «Entra, Messia. Ti abbiamo amato senza conoscerti. Più ti ameremo conoscendoti. La casa è in festa per tre cose, oggi: per Te, per Isacco, e per la circoncisione del mio terzo maschio. Benedicilo, Maestro. Donna, porta il bambino! Entra, Signore».

   76.9Entrano in una stanza parata a festa. Tavole e vivande, tappeti e frasche da per tutto.
   Torna Sara con un bel neonato fra le braccia. E lo presenta a Gesù.
   «Dio sia con lui, sempre. Che nome ha?».
   «Nessuno. Questa è Maria, questo è Giuseppe, questo è Emanuele, questo… non ha nome ancora…».
   Gesù fissa i due sposi vicini, sorride: «Cercate un nome. Se oggi deve esser circonciso…».
   I due si guardano, lo guardano, aprono la bocca, la chiudono senza dir nulla. Tutti sono attenti.
   Gesù insiste: «Tanti nomi grandi, dolci, benedetti, ha la storia di Israele. I più dolci e benedetti sono già imposti. Ma forse ve ne è ancora qualcuno».
   Insieme i due sposi erompono: «Il tuo, Signore!», e la sposa termina: «Ma è troppo santo…».
   Gesù sorride e chiede: «Quando sarà circonciso?».
   «Attendiamo il circoncisore».
   «Starò presente alla cerimonia. E intanto vi ringrazio per il mio Isacco. Ora non ha più bisogno dei buoni. Ma i buoni hanno ancor bisogno di Dio. Chiamaste il terzogenito “Dio con noi”. Ma Dio lo aveste da quando aveste carità per il mio servo. Siate benedetti. In Terra e in Cielo sarà ricordato il vostro atto».
   «Isacco parte, ora? Ci lascia?».
   «Ve ne duole? Ma egli deve servire il suo Maestro. Pure tornerà, ed Io pure verrò. Voi, intanto, parlerete del Messia… Vi è tanto da dire per convincere il mondo!

   76.10Ma ecco l’atteso».
   Entra un pomposo personaggio con un servente. Saluti e inchini. «Dove è il bambino?», chiede con sussiego.
   «Qui è. Ma saluta il Messia. È qui».
   «Il Messia?… Quello che ha guarito Isacco? So. Ma… ne parleremo poi. Ho molta fretta. Il bimbo e il suo nome».
   I presenti sono mortificati dai modi dell’uomo. Ma Gesù sorride come gli sgarbi non fossero per Lui. Prende il piccino, lo tocca sulla piccola fronte con le sue belle dita, come a consacrarlo, e dice: «Il suo nome è Jesai» e lo rende al padre, che con l’uomo superbo e con altri va in una stanza vicina. Gesù resta dove è sinché tornano con l’infante che strilla disperatamente.
   «A Me il piccino, donna. Non piangerà più», dice per confortare la madre angosciata. Il bambino, posato sulle ginocchia di Gesù, tace infatti.
   Gesù fa un gruppo a sé, con i piccoli tutti intorno, e poi i pastori e i discepoli. Fuori è un belare di pecorelle, che Elia ha messe in un chiuso. Nella casa vi è rumore di festa. Portano, a Gesù e ai suoi, dolciumi e bevande. Ma Gesù le distribuisce ai piccoli.
   «Non bevi, Maestro? Non accetti? È dato di cuore».
   «Lo so, Gioacchino, e di cuore lo accetto. Ma lascia che prima faccia contenti i piccini. Sono la mia gioia…».
   «Non badare a quell’uomo, Maestro».
   «No, Isacco. Prego perché veda la Luce. Giovanni, porta i due bambini a vedere le pecorelle.

   76.11E tu, Maria, vieni più vicino e dimmi: Chi sono Io?».
   «Tu sei Gesù, Figlio di Maria di Nazaret, nato a Betlemme. Isacco ti ha visto e mi ha messo il nome di tua Mamma perché io sia buona».
   «Buona come l’angelo di Dio, pura più di un giglio sbocciato su vetta alpina, pia come il levita più santo devi essere per imitarla. Lo sarai?».
   «Sì, Gesù».
   «Di’ “Maestro” o “Signore”, bambina».
   «Lascia che mi chiami col mio Nome, Giuda. Solo passando su labbra innocenti non perde il suono che ha sulle labbra di mia Madre. Tutti, nei secoli, diranno quel Nome, ma chi per un interesse, chi per un altro, e molti per bestemmiarlo. Solo gli innocenti, senza calcolo e senza odio, lo diranno con amore pari a quello di questa piccina e di mia Madre. Anche i peccatori mi chiameranno, ma per bisogno di pietà. Ma mia Madre e i pargoli! Perché mi chiami Gesù?», chiede accarezzando la piccina.
   «Perché ti voglio bene… come al padre, alla mamma e ai miei fratellini», dice abbracciando le ginocchia di Gesù e ridendo col visetto alzato.
   E Gesù si china e la bacia… e così tutto ha fine.

[159] visione di Gesù e i fanciulli, scritta il 7 febbraio 1944 e che troverà la sua collocazione nel capitolo 396. Era rimasta esclusa dalle prime due edizioni dell’opera.