MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 7



VII. La piccola Maria con Anna e Gioacchino. Sulle sue labbra è già la Sapienza del Figlio

   29 agosto 1944.

   7.1Vedo ancora Anna. È da ieri sera che la vedo così: è seduta all’inizio della pergola ombrosa, intenta ad un lavoro di cucito. È tutta vestita di un color grigio sabbia, un abito molto semplice e sciolto, forse per il gran caldo che deve fare.
   Al termine della pergola si vedono i falciatori segare il fieno. Ma non deve essere, però, maggengo, perché l’uva è già dietro a colorarsi d’oro, e un grosso melo mostra fra le foglie scure i suoi frutti che stanno divenendo di una lucida cera gialla e rossa, e poi il campo a grano non è che stoppia su cui ondeggiano lievi le fiammelle dei papaveri e si drizzano rigidi e sereni i fiordalisi, raggiati come una stella e azzurri come il cielo d’oriente.
   Dalla pergola ombrosa viene avanti una Maria piccina, ma già svelta e indipendente. Il suo breve passo è sicuro e i sandaletti bianchi non inciampano nei sassolini. Ha già in abbozzo il suo dolce passo lievemente ondulante di colomba, ed è tutta bianca come una colombina nella vesticciuola di lino lunga fino ai malleoli e ampia, arricciata al collo da un cordoncino celeste e dalle manichine corte che lasciano vedere gli avambracci rosei e grassottelli. Coi suoi capellucci serici e biondo miele, non molto ricci ma tutti a dolci onde che al termine finiscono in un lieve cannolo, gli occhi di cielo, e il dolce visino lievemente roseo e sorridente, sembra un piccolo angelo. Anche il venticello, che le entra dalle ampie maniche e le gonfia il lino della vesticciola alle spalle, contribuisce a darle l’aspetto di un piccolo angelo con le ali già socchiuse al volo.
Nelle manine ha papaveri e fiordalisi e altri fioretti che crescono fra i grani, ma dei quali non so il nome. Va e, quando è prossima alla madre, spicca una breve corsa, gettando una vocina festosa e va, come una tortorina, a fermare il suo volo contro i ginocchi materni, che si sono un poco aperti per riceverla, mentre il lavoro è stato posato lì presso, perché Ella non si punga, e le braccia sono state tese ad abbracciarla.
   Fin qui ieri sera, e stamane si ripresenta e continua così.
   «Mamma! Mamma!». La tortorina bianca è tutta nel nido delle ginocchia materne, coi piccoli piedi sull’erba corta e la faccina curva sul grembo materno, e non si vede che l’oro pallido dei suoi capellucci sulla nuca sottile che Anna si curva a baciare con amore.

   7.2Poi la tortorina alza il capino e dà i suoi fioretti. Tutti alla mamma, e di ogni fiore dice una storia che si è creata.
   Questo, così azzurro e grande, è una stella che è venuta giù dal cielo per portare il bacio del Signore alla sua mamma. Ecco, lo baci lì, sul cuore, sul cuore, questo fiorellino celeste, e sentirà che ha sapore di Dio.
   Quest’altro, invece, che è azzurro più pallido, come sono gli occhi del papà, ha scritto sulle foglie che il Signore vuole molto bene al papà perché è buono.
E questo, piccino piccino, unico trovato (è un miosotis), è quello che il Signore ha fatto per dire a Maria che le vuol bene.
   E questi rossi, lo sa la mamma che sono? Sono pezzi della veste di re David, intrisi nel sangue dei nemici di Israele e seminati sui campi di lotta e di vittoria. Sono nati da quei lembi di eroica veste regale, stracciata nella lotta per il Signore.
   Invece questo, bianco e gentile, che pare fatto di sette coppe di seta che guardino il cielo, piene di profumi, e che è nato là, presso la sorgente — glie lo ha colto papà di fra le spine — è fatto con la veste che aveva re Salomone quando, nello stesso mese in cui la piccola sua nipote era nata, tanti anni — oh! quanti! quanti prima! — tanti anni prima, egli, nella pompa candida delle sue vesti, camminò[21] in mezzo alla moltitudine d’Israele davanti all’Arca e al Tabernacolo, e giubilò per la nuvola tornata a circondar la sua gloria, e cantò il cantico e la preghiera della sua gioia.
   «Io voglio esser sempre come questo fiore, e come il re saggio io voglio cantare per tutta la vita cantico e preghiera davanti al Tabernacolo», termina la piccola bocca di Maria.
   «Mia gioia! Come sai queste cose sante? Chi te le dice? Il padre tuo?».
   «No. Non so chi sia. Mi par di averle sempre sapute. Ma forse è uno che me le dice e che io non vedo. Forse uno degli angeli che Dio manda a parlare agli uomini che son buoni.

   7.3Mamma, me ne racconti ancora?…».
   «Oh! figlia mia! Quale fatto vuoi sapere?».
   Maria pensa; seria e raccolta, è da pitturarsi per eternarne l’espressione. Sul visetto infantile si riflettono l’ombre dei suoi pensieri. Sorrisi e sospiri, raggi di sole e ombre di nubi, pensando alla storia d’Israele. Poi sceglie: «Ancora quello[22] di Gabriele a Daniele, in cui è promesso il Cristo».
   E ascolta ad occhi chiusi, ripetendo piano le parole che la madre le dice, come per ricordarle meglio. Quando Anna termina, chiede: «Quanto manca ancora ad aver l’Emmanuele?».
   «Trent’anni circa, diletta».
   «Quanto ancora! E io sarò nel Tempio… Dimmi, se io pregassi tanto, tanto, tanto, giorno e notte, notte e giorno, e volessi esser solo di Dio, per tutta la vita, per questo scopo, l’Eterno mi farebbe grazia di dare prima il Messia al suo popolo?».
   «Non lo so, cara. Il Profeta dice: “Settanta settimane”. Credo che profezia non erri. Ma è tanto buono il Signore», si affretta ad aggiungere Anna, vedendo imperlarsi di un pianto le ciglia d’oro della sua bambina, «che io credo che se tu pregherai tanto, tanto, tanto, Egli ti esaudirà».
Il sorriso torna sul visetto che è lievemente alzato verso la madre, e un occhiellino di sole che passa fra due pampini fa brillare le stille del già cessato pianto, come fossero goccioline di rugiada sospese agli steli esilissimi del musco alpino.

   7.4«E allora io pregherò e mi farò vergine per questo».
   «Ma sai tu che vuol dire tal cosa?».
   «Vuol dire non conoscere amore d’uomo ma solo di Dio. Vuol dire non aver altro pensiero che per il Signore. Vuol dire rimanere bambine nella carne e angeli nel cuore. Vuol dire non avere occhi altro che per guardare Dio, orecchie per udirlo, bocca per lodarlo, mani per offrirsi ostie, piedi per seguirlo veloci, e cuore e vita per darli a Lui».
   «Te benedetta! Ma allora non avrai mai bambini, tu che ami tanto i bambini e gli agnellini e le tortorine… Sai? Un bambino per una donna è come un agnellino bianco e ricciuto, è come una colombina dalle piume di seta e la bocca di corallo che si possono amare, baciare e sentirsi dire: “Mamma”».
   «Non importa. Io sarò di Dio. Nel Tempio pregherò. E forse un giorno vedrò l’Emmanuele. La Vergine che gli deve esser Madre, come dice il gran Profeta, già deve esser nata ed è nel Tempio… Io le sarò compagna… e ancella… Oh! sì! Se la potessi conoscere, per luce di Dio, la vorrei servire, quella beata! E, dopo, ella mi porterebbe il Figlio, mi porterebbe al suo Figlio, e servirei Lui pure. Pensa, mamma!… Servire il Messia!!…». Maria è sopraffatta da questo pensiero, che la sublima e la annienta insieme. Con le manine incrociate sul piccolo seno e la testolina un poco curva in avanti e accesa d’emozione, pare una infantile riproduzione dell’Annunciata[23] che io vidi. Riprende: «Ma me lo permetterà il Re d’Israele, l’Unto di Dio, di servirlo?».
   «Non ne aver dubbi. Non dice[24] re Salomone: “Sessanta son le regine e ottanta le altre mogli e le fanciulle son senza numero” ? Tu vedi che nella reggia del Re saranno senza numero le fanciulle vergini che serviranno il loro Signore».
   «Oh! vedi allora che devo esser vergine? Lo devo. Se Egli per madre vuole una vergine, è segno che ama sopra ogni cosa la verginità. Voglio mi ami, me, sua serva, per la verginità che mi farà un poco simile alla sua Madre diletta… Questo voglio…

   7.5Vorrei anche esser peccatrice, tanto peccatrice, se non temessi di offendere il Signore… Dimmi, mamma. Si può esser peccatrici per amore di Dio?».
   «Ma che dici, tesoro? Io non comprendo».
   «Voglio dire: peccare per poter essere amata da Dio che diviene Salvatore. Si salva chi è perduto. Non è vero? Io vorrei esser salvata dal Salvatore per avere il suo sguardo d’amore. Per questo vorrei peccare, ma non fare peccato che lo disgusti. Come può salvarmi se non mi perdo?».
   Anna è sbalordita. Non sa più che dire.
   La soccorre Gioacchino che, camminando sull’erba, si è avvicinato senza rumore dietro la siepe dei tralci bassi. «Ti ha salvata avanti, perché sa che tu lo ami e vuoi amare Lui solo. Per questo tu sei già redenta e puoi esser vergine come tu vuoi», dice Gioacchino.
   «Davvero, padre mio?». Maria gli si stringe ai ginocchi e lo guarda con le chiare stelle dei suoi occhi, così simili a quelli paterni e così felici per questa speranza che il padre le dà.
   «In verità, piccolo amore. Guarda. Io ti portavo ora questo piccolo passero volato, al suo primo volo, presso la fonte. Avrei potuto lasciarlo, ma le sue deboli ali e le zampine di seta non avevano forza di sollevarsi a nuovo volo o di rattenerlo sulle pietre muscose che scivolano. Sarebbe caduto nella fonte. Non ho aspettato che avvenisse. L’ho preso e te lo dono. Ne farai ciò che vuoi. Il fatto è che è stato salvato prima di cadere nel pericolo. Lo stesso, Dio ha fatto con te. Ora dimmi, Maria. Ho amato più il passero salvandolo prima, o l’avrei amato di più salvandolo poi?».
   «Ora l’hai amato, perché non hai permesso si facesse male coll’acqua gelata».
   «E Dio ti ha amata di più, perché ti ha salvata avanti che tu peccassi».
   «Ed io allora lo amerò del tutto. Del tutto. Passerino bello, io son come te. Il Signore ci ha amati in modo uguale, dandoci salvezza… Ora io ti alleverò e poi ti lascerò andare. E tu canterai nel bosco e io nel Tempio le lodi di Dio, e diremo: “Manda, manda il tuo Promesso a chi attende”.

   7.6Oh! papà mio! Quando mi conduci al Tempio?».
   «Presto, mia perla. Ma non ti duole lasciare il padre tuo?».
   «Tanto! Ma tu verrai… e poi, se non facesse male, che sacrificio sarebbe?».
   «E ti ricorderai di noi?».
   «Sempre. Dopo la preghiera per l’Emmanuele io pregherò per voi. Che Dio vi dia gioia e lunga vita… sino al giorno in cui Egli sarà Salvatore. Poi dirò che vi prenda per portarvi alla Gerusalemme del Cielo».
   La visione mi cessa con Maria stretta nel laccio delle braccia paterne…

   
   7.7
Dice Gesù:
   «Sento già i commenti dei dottori del cavillo: “Come può una bambina di non ancora tre anni parlare così? È una esagerazione”. E non riflettono che loro mi fanno mostruoso alterando la mia infanzia ad atti da adulto.
   L’intelligenza non viene a tutti nello stesso modo e tempo. La Chiesa ha fissato la responsabilità delle azioni a sei anni, perché quella è l’età in cui anche un tardivo può distinguere, almeno rudimentalmente, il bene e il male. Ma vi sono bambini che molto prima sono capaci di discernere e intendere e volere con ragione già sufficientemente sviluppata. La piccola Imelde Lambertini, Rosa da Viterbo, Nellie Organ, Nennolina, vi diano base, o dottori difficili, per credere che mia Madre potesse pensare e parlare così. Non ho preso che quattro nomi a caso nelle migliaia di santi bambini che popolano il mio Paradiso dopo aver ragionato da adulti sulla Terra per più o meno anni.

   7.8Cosa è la ragione? Un dono di Dio. Dio la può dunque dare nella misura che vuole, a chi vuole e quando vuole darla. La ragione è, anzi, una delle cose che più vi fanno somiglianti a Dio, Spirito intelligente e ragionante. La ragione e l’intelligenza furono grazie date da Dio all’Uomo nel Paradiso terrestre. E come erano vive quando la Grazia era viva, ancora intatta e operante nello spirito dei due Primi!
   Nel libro di Gesù Bar Sirac è detto[25]: “Ogni sapienza viene dal Signore Iddio ed è stata sempre con Lui anche avanti i secoli”. Quale sapienza avrebbero perciò avuto gli uomini se fossero rimasti figli a Dio?
   Le vostre lacune nell’intelligenza sono il frutto naturale del vostro decadimento nella Grazia e nell’onestà. Perdendo la Grazia vi siete allontanata, per secoli, la Sapienza. Come meteora che si nasconde dietro a nebulosità di chilometri, la Sapienza non vi è più giunta coi suoi netti bagliori, ma attraverso foschie che le prevaricazioni vostre rendevano sempre più gravi.
   Poi è venuto il Cristo e vi ha reso la Grazia, dono supremo dell’amore di Dio. Ma voi la sapete custodire, questa gemma, netta e pura? No. Quando non la frantumate con individuale volontà di peccato, la sporcate con le continue colpe minori, le debolezze, le simpatie al vizio, anche le simpatie, che, se non sono veri coniugi col vizio settiforme, sono indebolimento della luce della Grazia e della sua attività. Avete poi, a indebolire la magnifica luce dell’intelligenza che Dio aveva dato ai Primi, secoli e secoli di corruzioni, che si ripercuotono deleterie sul fisico e sulla mente.

   7.9Ma Maria era non solo la Pura, la nuova Eva ricreata per gioia di Dio: era la super Eva, era il Capolavoro dell’Altissimo, era la Piena di Grazia, era la Madre del Verbo nella mente di Dio.
“Fonte della Sapienza” dice Gesù Bar Sirac “è il Verbo”. Il Figlio non avrà, dunque, messo sul labbro della Madre la sua sapienza?
   Se a un profeta[26], che doveva dire le parole che il Verbo, la Sapienza, gli affidava per dirle agli uomini, fu mondata la bocca coi carboni ardenti, non avrà l’Amore, alla sua Sposa infante che doveva portare la Parola, nettata ed esaltata la favella, perché non più parlasse da bambina e poi da donna, ma solo e sempre da creatura celeste, fusa alla gran luce e sapienza di Dio?
Il miracolo non è nell’intelligenza superiore mostrata in puerile età da Maria, come poi da Me. Il miracolo è nel contenere la Intelligenza infinita, che vi abitava, negli argini atti a non trasecolare le folle e a non svegliare l’attenzione satanica.
   Ancora parlerò su questo, che rientra nel “ricordarsi” che i santi hanno di Dio».

[21] camminò, come si narra in: 1 Re 8, 1-5.
[22] quello della profezia che è in: Daniele 9, 20-27, e che sarà interpretata in 10.5 e in 41.3/4.
[23] Annunciata è la sacra effigie che si venera nella Basilica della Ss. Annunziata in Firenze, come vedremo anche in 27.1.
[24] dice, in: Cantico dei cantici 6, 8.
[25] è detto, in: Siracide 1, 1-8.
[26] profeta, cioè Isaia, come si narra in: Isaia 6, 6-7. È un fatto citato più volte nell’opera, in modo diretto (come qui e, per esempio, in 166.8 e in 626.2) o indiretto (come in 364.8). Soprattutto, però, vengono ricordate le profezie messianiche di Isaia, come indicano le note in 561.11 e in 577.4.