MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 35



XXXV. Fuga in Egitto. Insegnamenti sull'ultima visione legata all'avvento di Gesù.

   9 giugno 1944.

   35.1Il mio spirito vede la seguente scena.
   È notte. Giuseppe dorme sul suo lettuccio nella minuscola stanzetta. Un placido sonno di chi si riposa dal molto lavoro compiuto con onestà e solerzia.
   Lo vedo nell’oscurità dell’ambiente, che è appena rotta da un filo di luce lunare che penetra da una fessura dell’impannata lasciata accostata ma non serrata del tutto, come se Giuseppe avesse caldo nella piccola stanza o volesse avere quel filo di luce per sapersi regolare all’alba e alzarsi sollecito. È volto su un fianco e nel sonno sorride a chissà quale visione che vede nel sogno.
   Ma il sorriso si cambia in affanno. Sospira profondamente, come fa chi è preso da un incubo, e si sveglia con un soprassalto. Si siede sul letto, si stropiccia gli occhi e si guarda intorno. Guarda verso la finestrella da cui viene quel filo di luce. È notte alta, ma egli afferra la veste stesa ai piedi del letto e, sempre stando seduto sul letto, se la infila sulla tunica bianca dalle corte maniche che aveva sulla pelle. Scosta le coperture, mette i piedi a terra e cerca i sandali. Se li mette e allaccia. Si alza in piedi e si dirige alla porta di fronte al suo letto, non a quella che ha al fianco dello stesso e che conduce nello stanzone dove furono accolti i Magi.
   Picchia piano, appena un tic-tic, con la punta delle dita. Deve sentire che lo si invita ad entrare, perché apre con attenzione la porta e la riaccosta senza rumore. Prima di andare alla porta ha acceso un piccolo lume ad olio, ad una sola fiamma, e si fa perciò lume con questo. Entra. Ma in una camera, di poco più vasta della sua e nella quale vi è un basso lettino presso una cuna, vi è già un lumino che arde, e la fiammella oscillante in un angolo pare una stellina dalla luce tenue e dorata che permetta di vedere senza dar noia a chi dorma.

   35.2Ma Maria non dorme. È inginocchiata presso la cuna nella sua veste chiara e prega, vegliando Gesù che dorme tranquillo, Gesù che ha l’età che gli vidi nella visione dei Magi. Un infante di circa un anno, bello, roseo e biondo, che dorme con la testolina ricciuta affondata nel guanciale e una manina serrata a pugno sotto la gola.
   «Non dormi?», chiede Giuseppe a voce bassa e stupita. «Perché? Gesù non sta bene?».
   «Oh, no! Egli sta bene. Io prego. Ma per certo che poi dormirò. Perché sei venuto, Giuseppe?». Maria parla rimanendo inginocchiata dove era.
   Giuseppe parla a voce bassissima per non svegliare il Bambino, ma concitata. «Bisogna andare via subito di qui. Ma subito. Prepara il cofano e un sacco con quanto puoi mettervi. Io preparerò il resto, porterò più che posso… All’alba fuggiremo. Lo farei anche prima, ma devo parlare alla padrona di casa…».
   «Ma perché questa fuga?».
   «Ti dirò poi meglio. È per Gesù. Un angelo me l’ha detto: “Prendi il Fanciullo e la Madre e fuggi in Egitto”. Non perdere tempo. Io vado a preparare ciò che posso».

   35.3Non c’è bisogno di dire a Maria di non perdere tempo. Appena ha sentito parlare di angelo, di Gesù e di fuga, ha compreso che vi è un pericolo per la sua Creatura ed è balzata in piedi più bianca in viso di una cera, tenendosi una mano sul cuore, angosciata. E ha subito cominciato a muoversi lesta e leggera ed a sistemare gli indumenti nel cofano e in un ampio sacco, che ha steso sul suo letto ancora intatto. È certo angosciata, ma non perde la testa e fa le cose sollecitamente ma con ordine. Ogni tanto, passando presso la cuna, guarda il Bambino che dorme ignaro.
   «Hai bisogno di aiuto?», chiede di tanto in tanto Giuseppe mettendo il capo dentro la porta rimasta socchiusa.
   «No, grazie», risponde sempre Maria.
   Solamente quando il sacco è pieno, e deve essere pesante, chiama Giuseppe perché l’aiuti a chiuderlo e a levarlo dal letto. Ma Giuseppe non vuole essere aiutato e fa da sé, prendendo il lungo involto e portandolo nella sua cameretta.
   «Prendo anche le coperte di lana?», chiede Maria.
   «Più che puoi prendi. Il resto lo perderemo. Ma più che puoi prendilo. Ci farà comodo perché… perché dobbiamo stare via molto, Maria!…». Giuseppe è molto addolorato nel dire questo. E Maria si può pensare come è. Piega sospirando le coltri sue e di Giuseppe, e questi le lega con una fune. «Lasceremo i trapunti e le stuoie», dice mentre lega le coltri. «Anche se prendo tre asinelli, non posso gravarli troppo. Dobbiamo fare lunga e disagevole via, parte fra montagne e parte nel deserto. Copri bene Gesù. Le notti saranno fredde, tanto nelle montagne che nel deserto. Ho preso i doni dei Magi perché ci faranno comodo laggiù. Quanto ho lo spendo tutto per comperare i due asinelli. Non possiamo rimandarli indietro e devo acquistarli. Io vado senza attendere l’alba. So dove cercarli. Tu finisci di preparare tutto». Ed esce.
   Maria raccoglie ancora qualche oggetto, poi, dopo avere osservato Gesù, esce e torna con delle piccole vesti che paiono ancora umide, forse lavate nel giorno avanti. Le piega e avvolge in un telo e le unisce alle altre cose. Non c’è più nulla.
   Si volge intorno e vede in un angolo un giocattolo di Gesù: una pecorina intagliata nel legno. La prende con un singhiozzo e la bacia. Il legno porta le tracce dei dentini di Gesù, e le orecchie della pecorina sono tutte morsicchiate. Maria carezza quell’oggetto senza valore, di un povero legno chiaro, ma di tanto valore per Lei, perché le dice l’affetto di Giuseppe per Gesù e le parla del suo Bambino. Mette anche quello presso le altre cose sul cofano chiuso.

   35.4Ora non c’è proprio più nulla. Solo Gesù nella sua cunella. Maria pensa che sia bene preparare anche il Bambino. Va alla cuna e la scuote un poco per svegliare il Piccino. Ma Egli ha solo un breve mugolio e si volta, continuando a dormire. Maria lo carezza piano sui ricciolini. Gesù apre la bocchina ad uno sbadiglio. Maria si curva e lo bacia sulla gota. Gesù finisce di destarsi. Apre gli occhi. Vede la Mamma e sorride, e tende le manine al seno di Lei.
   «Sì, amore della tua Mamma. Sì, il latte. Prima dell’ora solita… Ma Tu sei sempre pronto a succhiare la tua Mamma, agnellino mio santo!».
   Gesù ride e scherza agitando i piedini fuori delle coperte, agitando le braccia con una di quelle allegrie degli infanti, così belle a vedersi. Punta i piedini contro lo stomaco della Mamma, si curva ad arco e appoggia anche il capino biondo sul seno di Lei, e poi si butta indietro e ride con le manine afferrate ai cordoncini che stringono al collo la veste di Maria, tentando di aprirla. Nella sua camicina di lino Egli appare bellissimo, grassottello, roseo come un fiore.
   Maria si curva e, stando così, attraverso la cuna come una protezione, piange e sorride insieme, mentre il Bambino cinguetta quelle parole, che non son parole, di tutti i bambinelli e nelle quali è netta e ripetuta la parola «mamma». La guarda, stupito di vederla piangere. Stende una manina verso le righe lucide del pianto e se la bagna nella carezza. E, vezzoso, si riappoggia al seno materno e ci si raccoglie tutto contro, carezzandolo con la manina.
   Maria lo bacia fra i capelli e se lo prende in collo, si siede, lo veste. Ecco, la vestina di lana è infilata, ed ecco messi i sandaletti minuscoli. Gli dà il latte e Gesù succhia avido il buon latte della sua Mamma e, quando gli sembra che da destra ne venga più poco, va a cercare a sinistra, e ride nel farlo, guardando da sotto in su la Mamma. Poi si addormenta da capo sul seno di Lei, la gotina rosea e tonda ancora contro la mammella bianca e tonda.
   Maria si alza piano piano e lo depone sulla trapunta del suo letto. Lo copre con il suo mantello. Torna alla cuna e piega le piccole coperture. Riflette se sia bene prendere anche il materassino. È tanto piccino! Lo si può prendere. Lo mette, insieme al cuscino, presso le cose già messe sul cofano. E piange sulla cuna vuota, povera Mamma, perseguitata nella sua Creatura.

   35.5Torna Giuseppe. «Sei pronta? È pronto Gesù? Hai preso le sue coperte, il suo lettino? Non possiamo portare la cuna, ma almeno Egli abbia il suo materassino, povero Piccino che cercano a morte!».
   «Giuseppe!». Maria ha un grido mentre si afferra al braccio di Giuseppe.
   «Sì, Maria, a morte. Erode lo vuole morto… perché ne ha paura… per il suo regno umano ha paura di questo Innocente, quella belva immonda. Cosa farà quando capirà che Egli è fuggito, non so. Ma noi saremo lontani, ormai. Non credo che si vendicherà cercandolo sino in Galilea. Già sarebbe troppo difficile per lui scoprire che noi siamo galilei e tanto meno di Nazareth e chi siamo, di preciso. A meno che Satana non lo aiuti per ringraziarlo d’essergli servo fedele. Ma… se ciò avvenisse… Dio ci aiuterà lo stesso. Non piangere, Maria. Vederti piangere mi è un dolore ben più forte di quello di dover andare in esilio».
   «Perdonami, Giuseppe! Non è per me che piango, né per il poco bene che perdo. Piango per te… Hai già dovuto sacrificarti tanto! Ed ora torni a non avere più clienti, né casa. Quanto ti costo, Giuseppe!».
   «Quanto? No, Maria. Non mi costi. Mi consoli. Sempre. Non pensare al domani. Abbiamo le ricchezze dei Magi. Ci aiuteranno nei primi tempi. Poi troverò lavoro. Un operaio onesto e capace si fa subito strada. Hai visto qui. Non mi bastano le ore al lavoro che ho».
   «Lo so. Ma chi ti solleverà dalla nostalgia?».
   «E tu, chi ti solleverà dalla nostalgia di quella casa che ti è così cara?».
   «Gesù. Avendo Lui, ho ancora quello che là ho avuto».
   «E io, avendo Gesù, ho la patria, sperata fino a pochi mesi or sono. Ho il mio Dio. Lo vedi che non perdo nulla di ciò che mi è caro sopra ogni cosa. Basta salvare Gesù e allora tutto ci resta. Anche non dovessimo più vedere questo cielo, queste campagne, né quelle ancor più care di Galilea, avremo sempre tutto, perché avremo Lui.

   35.6Vieni, Maria, ché l’alba si inizia. È tempo di salutare l’ospite e di caricare la roba nostra. Tutto andrà ­bene».
   Maria si alza in piedi, ubbidiente. Si avvolge nel mantello, mentre Giuseppe fa un ultimo fagotto ed esce carico di quello.
   Maria solleva delicatamente il Bambino e lo avvolge in uno scialle e se lo stringe al cuore. Guarda le pareti che l’hanno ospitata per dei mesi e con una mano le sfiora. Beata casa, che ha meritato di essere amata e benedetta da Maria!
   Esce. Traversa la stanzetta che era di Giuseppe, entra nello stanzone. La padrona di casa, in lacrime, la bacia e saluta e, sollevando un lembo dello scialle, bacia sulla fronte il Bambino, che dorme tranquillo. Scendono per la scaletta esterna.
   Vi è un primo chiarore d’alba che dà appena modo di vedere. Nella poca luce si vedono tre somarelli. Il più robusto, carico delle masserizie. Gli altri, con la sella. Giuseppe si dà da fare ad assicurare per bene cofano e involti sul basto del primo. Vedo legati a mazzo, e posti sulla cima del sacco, i suoi arnesi da falegname.
   Ancora saluti e lacrime e poi Maria monta sul suo ciuchino, mentre la padrona tiene Gesù in collo e lo bacia ancora, poi lo rende a Maria. Monta anche Giuseppe, che ha legato il suo asino con l’asino carico dei bagagli per esser libero di tenere a cavezza l’asinello di Maria.
   La fuga ha inizio mentre Betlemme, che sogna ancora la fantasmagorica scena dei Magi, dorme quieta, inconscia di quanto l’attende.
   E la visione cessa così.
   

   35.7Dice Gesù:
   «E anche questa serie di visioni cessano così. Con buona pace dei dottori difficili siamo andati mostrandoti le scene che hanno preceduto, accompagnato e seguito il mio Avvento, non per esse stesse, che sono molto note per quanto svisate da elementi sovrapposti nei secoli, sempre per quel modo di vedere umano che, per dare maggior lode a Dio — e perciò è perdonato — rende irreale ciò che è tanto bello lasciare reale. Perché la mia Umanità e quella di Maria non ne escono sminuite, come non viene offesa la mia Divinità e la Maestà del Padre e l’Amore della Trinità Ss. da questo vedere le cose nella loro realtà, ma anzi ne splendono i meriti della Madre mia e la mia umiltà perfetta, come ne folgora la bontà onnipotente dell’eterno Signore. Ma ti abbiamo mostrato queste scene per potere applicare a te e ad altri il senso soprannaturale che ne esce e darvelo a norma di vita.
   Il Decalogo è la Legge; e il mio Vangelo è la dottrina che vi rende più chiara questa Legge e più cara a seguirsi. Basterebbero questa Legge e questa Dottrina a fare, degli uomini, dei santi.
   Ma siete così intralciati dalla vostra umanità — che, in verità, soverchia di troppo in voi lo spirito — che non potete seguire queste vie e cadete; o vi fermate scoraggiati. Dite a voi e a chi vi vorrebbe portare avanti citandovi gli esempi del Vangelo: “Ma Gesù, ma Maria, ma Giuseppe (e giù, giù per tutti i santi) non erano come noi. Erano forti, sono stati subito consolati nel dolore, anche di quel poco dolore che hanno avuto, non sentivano le passioni. Erano già esseri fuori della Terra”.
   Quel poco dolore! Non sentivano le passioni!

   35.8Il dolore ci è stato l’amico fedele ed ebbe tutti i più vari aspetti e nomi.
   Le passioni… Non usate un vocabolo malamente, chiamando “passioni” i vizi che vi traviano. Chiamateli sinceramente “vizi”, e capitali per giunta. Quelli non è che li ignorassimo. Avevamo occhi e orecchi per vedere e udire, e Satana ci faceva danzare davanti e intorno questi vizi, mostrandoceli col loro lordume in opera, o tentandoci con le sue insinuazioni. Ma, la volontà essendo tesa a voler essere graditi a Dio, questo laidume e queste insinuazioni, in luogo di ottenere lo scopo prefissosi da Satana, otteneva il contrario. E tanto più esso lavorava e tanto più noi ci rifugiavamo nella luce di Dio, per schifo della tenebra fangosa che esso ci mostrava agli occhi del corpo o dello spirito.
   Ma le passioni, nel senso filosofico, non le ignorammo in noi. Abbiamo amato la patria, e nella patria la nostra piccola Nazareth più di ogni altra città di Palestina. Abbiamo sentito gli affetti per la nostra casa, i parenti, gli amici. Perché non avremmo dovuto sentirli? Non ce ne siamo fatti schiavi perché niente deve esserci padrone fuorché Dio. Ma dei buoni compagni ce ne siamo fatti.
   Mia Madre ha avuto un grido di gioia quando, dopo quattro anni circa, è tornata a Nazareth ed ha messo piede nella sua casa, ed ha baciato quelle pareti in cui il suo “Sì” le aperse il seno a ricevere il Germe di Dio. Giuseppe ha salutato con gioia i parenti e i nipotini, cresciuti di numero e di anni, ed ha goduto di vedersi ricordato dai concittadini e subito cercato per la sua capacità. Io sono stato sensibile alle amicizie ed ho sofferto come di una morale crocifissione per il tradimento di Giuda. E che perciò? Né mia Madre né Giuseppe anteposero il loro amore alla casa o ai parenti alla volontà di Dio.

   35.9Ed Io non risparmiai parola, se era da dire, atta ad attirarmi l’astio degli ebrei e il malanimo di Giuda. Sapevo, e avrei potuto farlo, che sarebbe bastato del denaro per asservirlo a Me. Non a Me Redentore; a Me ricco. Io che ho moltiplicato i pani potevo moltiplicare anche il denaro, se volevo. Ma non ero venuto per procurare soddisfazioni umane. A nessuno. Tanto meno ai miei chiamati. Avevo predicato sacrificio, distacco, vita casta, umili posti. Che Maestro sarei stato e che Giusto, se ad uno, solo perché era quello il mezzo di tenerlo, avessi dato denaro per il suo sensualismo mentale e fisico?
   Grandi nel mio Regno si diviene facendosi “piccoli”. Chi vuole esser “grande” agli occhi del mondo non è atto a regnare nel mio Regno. È paglia per il letto dei demoni. Perché la grandezza del mondo è in antitesi con la Legge di Dio.
   Il mondo chiama “grandi” coloro che, con mezzi quasi sempre illeciti, sanno prendere i posti migliori e, per farlo, fanno del prossimo uno sgabello sul quale salgono schiacciandolo. Chiama “grandi” coloro che sanno uccidere per regnare, moralmente o materialmente uccidere, ed estorcono posti e paesi ed impinguano sé svenando altri nelle ricchezze singole e collettive. Il mondo chiama sovente “grandi” i delinquenti. No. La “grandezza” non è nella delinquenza. È nella bontà, nel­l’onestà, nell’amore, nella giustizia. Vedete i vostri “grandi” quali attossicanti frutti vi offrono, colti nel loro malvagio demoniaco giardino interiore!

   35.10L’ultima visione, poiché voglio parlare di essa e trascurare di parlare d’altro — ché tanto è inutile, perché il mondo non vuole udire la verità che lo riguarda — illumina un particolare citato due volte nel Vangelo di Matteo, una frase ripetuta due volte: “Levati, prendi il Fanciullo e sua Madre e fuggi in Egitto”; “Levati, prendi il Fanciullo e la Madre di Lui e torna nella terra di Israele”. E tu hai visto che Maria era sola nella sua stanza col Bambino.
   Molto è combattuta, da coloro che per esser fango putrido non ammettono che uno di loro possa esser ala e luce, la verginità di Maria dopo il parto e la castità di Giuseppe. Sono disgraziati dall’animo tanto corrotto e dalla mente tanto prostituita alla carne, da essere incapaci di pensare che uno come loro possa rispettare la donna vedendo in lei l’anima e non la carne, ed elevare se stessi vivendo in un’atmosfera soprannaturale, appetendo non a ciò che è carne, ma a ciò che è Dio.
   Ebbene, a questi negatori del più bello, a questi vermi incapaci di divenire farfalla, a questi rettili coperti dalla bava della loro libidine, incapaci di comprendere la bellezza di un giglio, Io dico che Maria fu e rimase vergine, e che l’anima sola fu sposata a Giuseppe, come lo spirito suo fu congiunto unicamente allo Spirito di Dio e per opera di Lui concepì l’Unico suo portato: Io, Gesù Cristo, Unigenito di Dio e di Maria.
   Non è questa una tradizione fiorita dopo, per un amoroso rispetto della Beata che mi fu Madre. È verità, e fin dai primi tempi fu nota.
   Matteo non nacque secoli dopo. Era contemporaneo di Maria. Matteo non era un povero ignorante vissuto nelle selve e facile a credere ad ogni fandonia. Era un impiegato alle imposte, direste ora voi; un gabelliere, dicevamo noi allora. Sapeva vedere, udire, capire, scegliere il vero dal non vero. Matteo non udì le cose per sentito dire da terzi. Ma le raccolse dal labbro di Maria, alla quale il suo amore per il Maestro e per la verità lo aveva spinto a fare domande.
   Non penso già che codesti negatori della inviolabilità di Maria pensino che Ella abbia potuto mentire. Gli stessi parenti miei l’avrebbero potuta smentire, se vi fossero stati altri figli. Giacomo, Giuda, Simone e Giuseppe erano condiscepoli di Matteo. Perciò facile a questo confrontare le versioni, se più versioni vi fossero state. E Matteo non dice mai: “Levati e prendi tua moglie”; dice: “Prendi la Madre di Lui”. Prima dice: “Vergine sposata a Giuseppe”; “Giuseppe suo sposo”.

   35.11Né mi dicano, costoro, che ciò era un modo di dire degli ebrei, quasi che dire “moglie” fosse un’infamia. No, negatori della Purezza. Dalle prime parole del Libro[77] si legge: “…e si unirà a sua moglie”. È detta “compagna” sino al momento della consumazione sensuale del coniugio, e poi viene chiamata “moglie” in diverse riprese e in diversi capitoli. E così delle spose dei figli di Adamo. E così di Sara, chiamata “moglie” di Abramo: “Sara, tua moglie”; e “Prendi tua moglie e le tue due figlie” è detto a Lot. E nel libro di Rut è scritto: “La Moabita, moglie di Mahalon”. E nel primo libro dei Re è detto: “Elcana ebbe due mogli”; e oltre: “Elcana poi conobbe sua moglie Anna”; e ancora: “Eli benedisse Elcana e la moglie di lui”. E sempre nel libro dei Re è detto: “Betsabea, moglie di Uria Eteo, divenne moglie di Davide e gli partorì un figlio”. E che si legge nell’azzurro libro di Tobia, quello che la Chiesa vi canta alle vostre nozze per consigliarvi di esser santi nel matrimonio? Si legge: “Or quando Tobia con la moglie e col figlio arrivò…”; e ancora: “Tobia riuscì a fuggire col figlio e con la sua moglie”.
   E nei Vangeli, ossia in tempi contemporanei a Cristo, in cui perciò si scriveva con linguaggio moderno, rispetto a quei tempi, e perciò non è da sospettare errori di trascrizioni, è detto, e proprio da Matteo nel cap. 22°: “…e il primo, presa moglie, morì e lasciò la moglie al fratello”. E Marco al capo 10: “Chi ripudia la moglie…”. E Luca chiama Elisabetta moglie di Zaccaria per quattro volte di fila, e nell’ottavo capitolo dice: “Giovanna, moglie di Cusa”.
   Come vedete, non era questo nome un vocabolo proscritto da chi era nelle vie del Signore, un vocabolo immondo che non era degno d’esser proferito e tanto meno scritto dove si tratta di Dio e delle sue opere mirabili. E l’angelo, dicendo: “il Fanciullo e la Madre di Lui”, vi dimostra che Maria gli fu Madre vera, ma non fu moglie a Giuseppe. Rimase sempre: la Vergine sposata a Giuseppe.
   E questo è l’ultimo insegnamento di queste visioni. Ed è una aureola che splende sul capo di Maria e di Giuseppe. La Vergine inviolata. L’uomo giusto e casto. I due gigli fra cui crebbi udendo solo fragranze di purezza.

   35.12A te, piccolo Giovanni[78], potrei parlare sul dolore di Maria per il suo duplice strappo dalla casa e dalla patria. Ma non vi è bisogno di parole. Comprendi che sia e ne muori. Dàmmi il tuo dolore. Non voglio che questo. È più di ogni altra cosa tu possa darmi. È venerdì, Maria. Pensa al mio dolore e a quello di Maria sul Golgota per potere sopportare la tua croce.
   La pace e l’amore nostro restano con te».

[77] del Libro, di cui seguono (a sostegno dei passi citati da: Matteo 1, 16.19; 2, 13.20) citazioni da: Genesi 2, 24; 3, 17; 17, 15; 19, 15; Rut 4, 10; 1 Samuele 1, 1-2.19; 2, 20; 2 Samuele 11, 27; Tobia 1, 9.20.
[78] piccolo Giovanni è il più ricorrente tra i nomi dati a Maria Valtorta. La sua spiegazione è in 70.8/9 e in 638.2.