MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME X CAPITOLO 630



DCXXX. Gli apostoli mandati al Getsemani. Meditazioni sulla preghiera del "Padre nostro".

   11 aprile 1947.

   630.1Gli apostoli si mettono i loro mantelli e chiedono: «Dove andiamo, Signore?».
   Il loro parlare non è più così famigliare come lo era avanti la Passione. Se fosse lecito dirlo, direi che essi parlano con l’anima inginocchiata. Più che la positura del loro corpo, che sta sempre un poco inchinato in ossequio davanti al Risorto, più del loro ritegno nel toccarlo, più della loro gioia tremebonda quando Egli li tocca, carezza, o bacia, o rivolge in particolare la parola, è tutto il loro aspetto, un “che” che non si può descrivere ma che è così palese, quello che dice come, ancor più della loro umanità, è il loro spirito quello che non può tornare quale era nei suoi rapporti col Maestro, e informa del suo nuovo sentire ogni atto dell’uomo.
   Prima era “il Maestro”. Maestro che la loro fede credeva Dio. Ma che era sempre, ai loro sensi, uomo. Ora è “il Signore”. È Dio. Non c’è più bisogno di fare atti di fede per crederlo. L’evidenza ha abolito questo bisogno. Egli è Dio. È il Signore al quale il Signore ha detto[78]: «Siedi alla mia destra», e lo ha proclamato con la parola e col prodigio della Risurrezione. Dio come il Padre. Ed è il Dio che essi hanno abbandonato per paura, dopo aver da Lui tanto avuto…
   Lo guardano sempre con quello sguardo di venerazione reverenziale col quale un vero credente guarda l’Ostia raggiante in mezzo ad un ostensorio, o guarda il Corpo di Cristo elevato dal sacerdote nel Sacrificio quotidiano. Nel loro sguardo, che vuole vedere l’amato aspetto, ancor più bello che in passato, è anche l’espressione di chi non osa vedere, di chi non osa soffermarsi a guardare… L’amore li spinge ad affissarsi su quel loro Amato, il timore fa abbassare subito le palpebre e il capo come se un fulgore li avesse abbacinati.

   630.2Infatti, per quanto Gesù, il risorto Gesù, sia proprio Lui, non è più Lui nello stesso tempo. A guardarlo bene, è diverso. Uguali i tratti del volto, il colore degli occhi e capelli, la statura, le mani, i piedi, eppure è diverso. Uguale la voce e gli atti, eppure è diverso. È vero corpo, tanto che intercetta anche ora la luce del sole morente, che entra con estremo raggio nella stanza dalla finestra aperta. Getta dietro a Sé l’ombra della sua alta persona. Eppure è diverso. Non si è fatto superbo né distante, eppure è diverso.
   Una maestà nuova, perenne, si è diffusa là dove tanto regnava l’umile, dimesso aspetto, talora tanto dimesso da parere affranto, dell’instancabile Maestro. Scomparsa l’emaciazione degli ultimi tempi, annullata quell’impronta di stanchezza fisica e morale che lo invecchiava, perduto quello sguardo afflitto, supplice, che chiedeva senza parlare: «Perché mi respingete? Accoglietemi…», il Cristo Risorto sembra persino più alto o robusto, libero da ogni gravame, sicuro, vittorioso, maestoso, divino. Neppure quando si faceva potente nei potenti miracoli, o imponente nei momenti salienti del suo magistero, era quale è ora che è risorto e glorificato. Non emana luce. No. Non emana luce come nella trasfigurazione e come nelle prime delle apparizioni dopo la Risurrezione. Eppure sembra luminoso. È veramente il Corpo di Dio con la bellezza dei corpi glorificati. E attrae e intimorisce insieme.

   630.3Forse sono anche quelle ferite, così visibili, sulle mani e sui piedi, quelle che incutono questo rispetto profondo. Non so. So che gli apostoli, nonostante che Gesù sia con essi dolce tanto e cerchi di creare nuovamente l’atmosfera di un tempo, sono diversi. Così insistenti e ciarlieri prima, ora poco parlano e, se Egli non risponde, non insistono. Se Egli sorride loro, o a un di loro, essi mutano colore e non osano rispondere con un sorriso al suo sorriso. Se Egli, come fa ora, tende la mano a prendere il suo manto bianco — è sempre vestito di una veste di un bianco splendente più di candidissimo raso da quando è il Risorto — nessuno di loro accorre, come facevano prima, contendendosi la gioia e l’onore di aiutarlo. Sembra che abbiano paura a toccare le sue vesti e le sue membra. E deve Lui dire, come fa ora: «Vieni, Giovanni. Aiuta il tuo Maestro. Queste ferite sono vere ferite… e le mani ferite non sono agili come prima…».
   Giovanni ubbidisce, aiutando Gesù nell’accomodarsi l’ampio mantello, e pare che vesta un Pontefice tanto lo fa con mosse accorte e assorte, badando di non sfiorargli le Mani su cui rosseggiano le stigmate. Ma, per quanto faccia attenzione, urta la sinistra di Gesù e grida come fosse lui l’urtato, e appunta gli occhi sul dorso di quella Mano, temendo di vederne gocciare ancor sangue. È così viva quella atroce ferita!
   Gesù gli posa la destra sul capo dicendo: «Avesti più coraggio quando mi ricevesti staccato dalla Croce. E allora gocciava ancora del sangue, tanto che ne fosti rosso anche sui capelli. Nuova rugiada della notte sul nuovo amatore. Mi avevi colto come grappolo dal ceppo… Perché piangi? Io ti ho dato la mia rugiada di Martire. Tu sul mio Capo spargesti la tua rugiada di pietà. Ma allora potevi piangere… Non ora.

   630.4E tu perché piangi, Simon Pietro? Tu non mi hai urtato nella Mano. Tu non mi hai visto morto…».
   «Ah! mio Dio! È per questo che io piango! Per il mio pecca­to».
   «Ti ho perdonato, Simone di Giona».
   «Ma io non mi perdono. No. Nulla farà terminare il pianto mio. Neppure il tuo perdono».
   «Ma la mia gloria, sì».
   «Tu glorioso, io peccatore».
   «Tu glorioso, dopo esser stato il mio pescatore. Pesca grande, abbondante, miracolosa farai, Pietro. E poi Io ti dirò: “Vieni al banchetto eterno”. E non piangerai più. Ma tutti avete le lacrime nelle pupille. E tu, Giacomo, mio fratello, stai là gettato in quell’angolo come avessi perduto ogni bene. Perché?».
   «Perché io speravo che… Tu le senti, dunque, le Ferite? Le senti ancora? Io speravo che tutto il dolore per Te fosse annullato, che cancellato fosse ogni segno. Anche per noi. Per noi peccatori. Quelle Piaghe!… Che dolore vederle!».
   «Sì. Perché non le hai cancellate? A Lazzaro non rimasero segni… Sono una… un rimprovero quelle Piaghe! Gridano con voce tremenda! Sono più folgoranti e paurose dei fulmini del Sinai», dice Bartolomeo.
   «Gridano la nostra viltà. Perché noi fuggimmo mentre le ricevevi…», dice Filippo.
   «E più si guardano e più la coscienza rimprovera e rinfaccia viltà, stoltezza, incredulità», dice Tommaso.
   «Per la nostra pace e quella di questo popolo peccatore, poiché sei morto e risorto per il perdono del mondo, cancella quelle accuse al mondo, o Signore!», prega Andrea.

   630.5«Esse sono la Salute del mondo. In esse è la Salute. Le ha aperte il mondo che odia, ma l’Amore ne ha fatto Medicina e Luce. Per esse fu inchiodata la Colpa. Per esse furono sospesi e sorretti tutti i peccati degli uomini perché il fuoco dell’Amore li consumasse sul vero Altare. Quando l’Altissimo prescrisse a Mosè l’arca e l’altare del profumo, non li volle forati da anelli[79] per essere elevati e portati dove voleva il Signore? Io pure forato. Sono più di arca e altare. Sono ben più di arca e d’altare. Ho bruciato il profumo della mia carità per Dio e per il prossimo, e ho portato il peso di tutte le iniquità del mondo. E il mondo deve ricordare questo. Per ricordare cosa esso è costato a un Dio. Per ricordare come lo ha amato un Dio. Per ricordare cosa producono le colpe. Per ricordare che non vi è che in Uno la salvezza: in Colui che hanno trafitto. Se il mondo non vedesse rosseggiare le mie Piaghe, in verità presto dimenticherebbe che per le sue colpe un Dio si è immolato, dimenticherebbe che sono veramente morto nel più atroce dei tormenti, dimenticherebbe quale è il balsamo per le sue ferite. Qui è il balsamo. Venite e baciate. Ogni bacio è un aumento di purificazione e di grazia per voi. In verità vi dico che purificazione e grazia non sono sufficienti mai, perché il mondo consuma ciò che il Cielo infonde, e occorre compensare col Cielo e i suoi tesori le rovine del mondo. Io sono il Cielo. Tutto il Cielo è in Me, e i celesti tesori fluiscono dalle aperte Piaghe».
   Porge le Mani al bacio dei suoi apostoli. E le deve premere Lui, quelle Mani ferite, sulle bocche avide e timorose, perché il timore di accrescere il suo dolore trattiene quelle labbra dal premersi su quelle Ferite.
   «Non è questo ciò che dà dolore, anche se dà rigidezza. Il dolore è un altro!…».
   «Quale, Signore?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «Di esser morto per troppi inutilmente

   630.6Ma andiamo. Andate avanti, anzi. Al Getsemani andiamo… E che? Avete paura?».
   «Non per noi, Signore… È che i grandi di Gerusalemme ti odiano più di prima».
   «Non temete. Né per voi. Dio vi protegge. Né per Me. Sono finite per Me le costrizioni dell’Umanità. Io vado da mia Madre e poi vi raggiungerò. Abbiamo da cancellare molte cose orrende del recente passato di colpa e di odio. E lo faremo coll’amore, con il contrario di ciò che fu colpa… Vedete? Il vostro bacio cancella e tempera dolore e conseguenza dei chiodi nelle carni vive. Così, ciò che faremo cancellerà i segni orrendi e santificherà i luoghi che le colpe hanno profanato. Perché non vi siano di troppo dolore al vederli…».
   «Anche al Tempio andiamo?». Il timore più spaventato è sul volto di tutti.
   «No. Lo santificherei con la mia Presenza. E non può. Poteva esserlo. Non lo ha voluto. Non c’è più redenzione per esso. È un cadavere che rapidamente si decompone. Lasciamolo ai suoi morti. Che compiano il suo seppellimento. In verità i leoni e gli avvoltoi sbraneranno sepolcro e cadavere, e non resterà neppur lo scheletro del Gran Morto che non volle la Vita».
   Gesù sale la scaletta ed esce. Gli altri, in silenzio, lo imitano. Ma, quando pongono piede nel corridoio che fa da atrio, Gesù non c’è più. La casa è silenziosa e sembra deserta. Tutte le porte chiuse.

   630.7Giovanni accenna l’uscio che è di fronte al Cenacolo e dice: «Maria è là. Sta sempre là. Come in un’estasi continua. Il suo volto splende di luce ineffabile. È la gioia che irradia dal suo Cuore. Ieri mi diceva: “Pensa, Giovanni, quanta felicità si è sparsa per tutti i regni di Dio”. Le ho chiesto: “Quali regni?”. Pensavo che Ella sapesse qualche meravigliosa rivelazione sul regno del Figlio suo, vincitore anche della morte. Mi ha risposto: “Nel Paradiso, nel Purgatorio, nel Limbo. Perdono ai purganti. Salita al Cielo di tutti i giusti e i perdonati. Il Paradiso popolato di beati. Dio glorificato in essi. I nostri avi e parenti lassù, nel giubilo. E ancora felicità al regno che è la Terra, dove ora splende il segno e si è aperta la fonte che vince Satana e cancella la Colpa e le colpe. Non più solo pace agli uomini di buona volontà. Ma anche redenzione e rielezione al grado di figli di Dio. Io vedo le turbe, oh! quante!, scendere a questa Fonte e tuffarvisi ed uscire rinnovate, belle, in veste di nozze, in veste regale. Le nozze delle anime con la Grazia, la regalità d’esser figli del Padre e fratelli di Gesù”».
   Sono usciti, parlando, nella via e si allontanano mentre la sera cala.

   630.8La via non è molto frequentata, specie in quest’ora in cui la gente si raccoglie intorno alle tavole per la cena. Gerusalemme, dopo il fiume di gente che l’ha innondata per la Pasqua e che l’ha abbandonata passate le feste, così tragiche quest’anno, sembra ancor più vuota di quanto non sia solitamente. E Tommaso lo nota e lo fa notare.
   «Così è. Gli stranieri, terrorizzati, l’hanno abbandonata precipitosamente dopo il Venerdì, e chi ancora aveva resistito alla gran paura di quel giorno è fuggito al secondo terremoto, a quello che certo avvenne quando il Signore uscì dal Sepolcro. E quelli che non erano gentili anche sono fuggiti. Molti, lo so di sicuro, non hanno neppure consumato l’agnello e dovranno tornare per la Pasqua supplementare. E anche cittadini di questo luogo sono fuggiti o si sono allontanati, chi per portare via i loro morti, periti nel terremoto del Parasceve, chi per paura dell’ira di Dio. L’esempio è stato forte», dice lo Zelote.
   «E bene fu. I fulmini, le pietre su tutti i peccatori!», impreca Bartolomeo.
   «Non dire! Non dire! Noi più di tutti li meritiamo i celesti castighi. Noi pure peccatori… Vi ricordate in questo luogo?… Quanto tempo fa? Dieci? Dieci sere… o dieci anni, o dieci ore? Così lontano e così vicino mi pare il mio peccato, quelle ore, quella sera… che non so mai… Balordo sono! Eravamo così sicuri, bellicosi, eroici! E poi? E poi? Ah!…», e Pietro si batte la mano sulla fronte e indica, poiché sono già alla piazzetta: «Ecco. E lì io avevo già paura!».
   «Ma basta! Basta, Simone! Egli ti ha perdonato. E, prima di Lui, Maria. Basta! Tu ti torturi», dice Giovanni.
   «Oh! fosse! Tu, tu Giovanni sorreggimi sempre, sai? Sempre! È perché tu sai guidare che Egli ti ha dato sua Madre. È giusto. Ma io, verme vile e bugiardo, ho più bisogno di Maria di esser guidato. Perché io ho le scaglie alle pupille e non vedo…».
   «Veramente ti verranno se così fai. Ti brucerai proprio le pupille, e non ci sarà il Signore a guarirtele…», gli dice ancora Giovanni abbracciandolo alle spalle per consolarlo.
   «Mi basterebbe veder bene con l’anima. E poi… gli occhi non contano».
   «Ma contano a molti!!

   630.9Come faranno i malati, ora? Hai visto quella donna, ieri, come era disperata!», dice Andrea.
   «Già…». Si guardano in volto a vicenda, e poi tutti insieme confessano: «E nessuno di noi si è sentito meritevole di imporle le mani…». L’umiltà, causata dal ricordo dei loro comportamenti, li schiaccia.
   Ma Tommaso dice a Giovanni: «Tu però potevi farlo. Tu non sei fuggito, tu non hai rinnegato, tu non hai avuto increduli­tà…».
   «Ho anche io il mio peccato. Ed è ancora contro l’amore come il vostro. Io, presso l’arco della casa di Giosuè, ho preso per il collo Elchia e strangolato lo avrei, perché insolentiva la Madre. E ho odiato e maledetto Giuda di Keriot!», dice Giovanni.
   «Taci! Non dire quel nome. È di un demonio, e ho l’impressione che non sia ancor nell’inferno e qui si aggiri, intorno a noi, per farci peccare ancora», dice con vero terrore Pietro.
   «Oh! egli è ben nell’inferno! Ma anche fosse qui il suo potere, ora, è finito. Tutto aveva per essere angelo, e fu il demonio, e Gesù ha vinto il demonio», dice Andrea.
   «Bene… Ma è meglio non nominarlo. Ho paura, io. Ora so quanto sono debole. Riguardo a te, Giovanni, non ti sentir colpevole. Tutti malediranno l’uomo che tradì il Maestro!».
   «Giusto è il farlo», dice il Taddeo, il quale fu sempre di un pensiero per l’Iscariota.
   «No. Maria mi ha detto che basta su lui il giudizio di Dio e che in noi deve essere un solo sentimento: di riconoscenza per non essere stati noi i traditori. E se Lei non maledice, Lei, la Madre che vide le torture del Figlio, noi dobbiamo farlo? Dimentichiamo…».
   «È da stolti!», esclama suo fratello Giacomo.
   «Eppure è la parola del Maestro per i peccati di Giuda…». Giovanni tace e sospira.
   «Che? Ve ne sono altri? Tu sai… Parla!».
   «Io ho promesso di cercare di dimenticare e mi sforzo di farlo. Riguardo ad Elchia… ho trascorso… Ma in quella giornata ognun di noi aveva il suo angelo e il suo demonio a lato, e non sempre ascoltammo l’angelo di luce…».
   Dice lo Zelote: «Lo sai che Nahum è storpiato e suo figlio è rimasto schiacciato da un muro, o da un pezzo di monte? Sì. Il giorno della morte. Fu trovato più tardi. Oh! molto più tardi, quando già puzzava. Lo scoprì uno che veniva ai mercati. E Nahum era con altri suoi pari e non so che gli prese, se un masso o se un colpo. So che è come spezzato e non capisce neppure. Pare una bestia, sbava e mugola, e ieri con l’unica mano sana prese per la gola il suo… padrone che era andato da lui, e gridava, gridava: “Per te! Per te!”. Se non correvano i servi…».
   «Come lo sai, Simone?», chiedono allo Zelote.
   «Ho visto Giuseppe ieri», risponde questi laconicamente.

   630.10«Io penso che il Maestro tarda a venire. E sono in pensie­ro», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Torniamo indietro…», propone Matteo.
   «O fermiamoci qui al ponticello», dice Bartolomeo.
   Si fermano. Ma Giacomo di Zebedeo e l’altro Giacomo, Andrea e Tommaso, tornano indietro e, pensierosi, guardano a terra, guardano le case.
   Andrea appunta, impallidendo, il dito verso il muro di una casa dove spicca, sul bianco della calcina, una macchia rosso-bruna, e dice: «È sangue! Sangue del Maestro, forse? Perdeva già sangue qui? Oh! ditemi!».
   «E che vuoi che ti diciamo noi, se nessuno di noi lo seguì?», dice con sconforto Giacomo di Alfeo.
   «Ma mio fratello, e soprattutto Giovanni, lo seguirono…».
   «Non subito. Non subito. Mi ha detto Giovanni che lo seguirono dalla casa di Malachia in poi. Qui non c’era nessuno. Nessuno di noi…», dice Giacomo di Zebedeo.
   Guardano ipnotizzati la larga macchia scura sul muro bianco, a poca distanza dal suolo, e Tommaso osserva: «Neppure la pioggia l’ha lavata. Neppure la grandine, che è caduta così forte in questi giorni, l’ha scrostata… Se sapessi che è sangue suo lo scrosterei io quel muro…».
   «Chiediamolo a quelli della casa. Forse sapranno…», consiglia Matteo che li ha raggiunti.
   «No, sai? Potrebbero riconoscerci per suoi apostoli, potrebbero essere nemici del Cristo e…», risponde Tommaso.
   «E noi siamo ancora dei vili…», termina Giacomo d’Alfeo con un gran sospiro.
   Piano piano tutti si sono accostati a quel muro e guardano…

   630.11Passa una donna, una ritardataria che torna dalla fonte con le brocche goccianti d’acqua fresca. Li osserva. Posa le brocche a terra e li interpella.
   «Guardate quella macchia sul muro? Siete discepoli del Maestro? Mi parete tali, anche se siete sparuti nel volto e… anche se non vi ho visti dietro al Signore quando passò di qui, preso per essere condotto a morte. Questo mi fa incerta, perché un discepolo che segue il Maestro nelle ore buone, e se ne tiene di essergli discepolo, e ha sguardi severi per quelli che non sono come lui pronti a lasciare tutto per seguire il Maestro, deve anche essere dietro al Maestro nelle ore cattive. Dovrebbe almeno farlo. E io non vi ho visti. No. Non vi ho visti. E se non vi ho visti segno è che io, donna di Sidone, sono stata dietro a Colui che i suoi discepoli israeliti non seguirono. Ma io ho avuto un beneficio da Lui. Voi… Forse voi non vi aveva mai beneficati? Mi fa strano, perché beneficava gentili e samaritani, peccatori e anche ladroni, dando loro la vita eterna, se più non poteva dare quella della carne. Non vi amava, forse? Allora segno è che eravate peggio di aspidi e di iene immonde, benché, in verità, credo che Egli amasse anche le vipere e gli sciacalli, non perché siano tali, ma perché creati dal Padre suo. Quello è sangue. Sì. È sangue. Sangue di una donna della riva del grande mare. Una volta erano terre filistee, e spregiati ancora un
   poco ne sono dagli ebrei quegli abitanti. Eppure lei seppe difendere il Maestro sino a che il marito l’uccise battendola là con tanta forza, dopo averla picchiata, che le si aprì la testa, e il cervello e il sangue schizzarono sul muro della sua casa dove ora piangono gli orfani. Ma ella aveva avuto un beneficio. Il Maestro le aveva sanato il marito, immondo di orrenda malattia. Ed ella amava il Maestro, perciò. Ha amato sino a morire per Lui. Lo ha preceduto nel seno di Abramo, dite voi. Anche Annalia lo ha preceduto, e avrebbe saputo morire così anche lei se la morte non l’avesse colta prima. E anche una madre, più su, ha lavato col sangue la via, col sangue del ventre aperto dal figlio brutale, per difendere il Maestro. E una vecchia morì di dolore, vedendo passare ferito e percosso Colui che aveva reso occhi al figlio suo. E un vecchio, un mendicante, morì perché drizzò la sua persona a difesa ed ebbe nella testa la pietra destinata alla testa del vostro Signore. Perché voi lo credevate tale, non è vero? I prodi di un re muoiono intorno allo stesso. Nessuno di voi è morto, però. Eravate lontani da quelli che lo percuotevano. Ah! no! Uno è morto. Si è fatto morto. Ma non per dolore. Non per difendere il Maestro. Prima lo ha venduto, poi lo ha indicato con un bacio, poi si è ucciso. Non aveva più altro da fare. Non poteva più crescere in nequizia. Era perfetto. Come Belzebù. Il mondo lo avrebbe lapidato per levarlo dalla Terra. Oh! io credo che questa pietosa, che morì per impedire percosse al Martire, io credo che la vecchia Anna, che morì per il dolore di vederlo in quel modo, e il vecchio mendicante e la madre di Samuele e la vergine che è morta e io, che non so salire al Tempio perché ho pena degli agnelli e delle tortore che sono immolati, io credo che avremmo avuto coraggio di lapidarlo e non avremmo fremuto vedendolo lacerato dalle nostre pietre… Lui lo sapeva, e ha risparmiato al mondo la fatica di ucciderlo, a noi ha risparmiato di farci carnefici per vendicare l’Innocente…».
   Li guarda con sprezzo. Il suo sprezzo si è fatto sempre più palese man mano che ha parlato. I suoi occhi, grandi e neri, hanno la durezza dell’occhio di un rapace, mentre guardano il gruppo che non sa, che non può reagire… Fischia fra i denti l’ultima parola: «Bastardi!», e raccoglie le sue brocche e se ne va, contenta di aver sputato il suo sdegno sui discepoli che hanno abbandonato il Maestro…
   Questi sono annichiliti. Stanno a capo chino, le braccia pendenti, sfibrati… La verità li schiaccia. Meditano sulle conseguenze della loro viltà… Tacciono… Non osano guardarsi a vicenda. Persino Giovanni e lo Zelote, i due che sono innocenti di questa colpa, stanno come gli altri, forse per il dolore di vedere così mortificati i compagni e per l’impossibilità di medicare la ferita provocata dalle sincere parole della donna…

   630.12La strada è ormai in penombra. La luna, agli ultimi suoi giorni, si leva tardi e perciò il crepuscolo si incupisce sveltamente. Il silenzio è assoluto. Non un rumore né una voce umana. E nel silenzio il gorgoglio del Cedron regna solo. Cosicché, quando la voce di Gesù risuona, li fa sobbalzare come fosse un suono di spavento, mentre è così dolce mentre dice: «Che fate in questo luogo? Io vi attendevo fra gli ulivi… A che state a contemplare delle cose morte quando vi attende la Vita? Venite con Me».
   Gesù pare venga dal Getsemani verso di loro. Si ferma al loro fianco. Guarda quella macchia, su cui sono ancora fissati gli sguardi atterriti degli apostoli, e dice: «Quella donna è già nella pace. E ha dimenticato il dolore. Inattiva sui figli? No. Doppiamente attiva. E li santificherà perché non chiede che questo a Dio».
   Si incammina. Lo seguono. In silenzio.
   Ma Gesù si volge e dice: «Perché vi chiedete nel cuore: “E perché non chiede conversione per il marito? Non è santa, se lo odia…”. Non lo odia. Ha perdonato sin da quando egli la uccideva. Ma, anima entrata nel Regno della Luce, vede con sapienza e giustizia. Ed ella vede che non c’è conversione e perdono per il marito. Volge allora la sua preghiera su chi ne può avere del bene.

   630.13Non è mio sangue, no. Eppure ne ho perduto tanto anche su questa via!… Ma i passi dei nemici lo hanno sparso, mescolato alla polvere e alle lordure, e la pioggia lo ha portato disciolto giù fra gli strati della polvere. Ma ce ne è tanto, visibile ancora… Perché ne è fluito tanto che passi e acqua non potranno cancellarlo facilmente. Vi andremo insieme, e vedrete il mio Sangue sparso per voi…».
   «Dove? Dove vuole andare? Al luogo del suo pianto? Al Pretorio?», si chiedono.
   E Giovanni dice: «Ma Claudia è ripartita due giorni dopo il sabato e, si dice, sdegnata, paurosa persino di stare presso al con­sorte… Me lo ha detto l’astato. Claudia separa la sua responsabilità da quella del consorte. Perché ella lo aveva avvertito di non perseguitare il Giusto, essendo meglio essere perseguitati dagli uomini che dall’Altissimo, del quale il Maestro era Messia. E non c’è Plautina, e non Lidia. Hanno seguito Claudia a Cesarea. E Valeria è andata con Giovanna a Bétèr. Se ci fossero state loro, potevamo entrare. Ma ora… non so… Manca anche Longino, che Claudia volle a sua scorta…», dice Giovanni.
   «Sarà al luogo dove tu vedesti l’erba bagnata di sangue…».
   Gesù, che è avanti, si volta e dice: «Al Golgota. Là vi è tanto del mio Sangue che la polvere è simile a duro minerale ferroso. E c’è chi vi ha preceduti…».

   630.14«Ma è luogo immondo!», grida Bartolomeo.
   Gesù ha un sorriso di compatimento e risponde: «Ogni luogo di Gerusalemme è immondo dopo l’atroce peccato, eppure voi non ne avete altro disagio a starvi fuor che quello della paura della folla…».
   «Vi sono morti sempre i ladroni…».
   « Io vi sono morto. E per sempre l’ho santificato. In verità vi dico che, sino alla fine dei secoli, non vi sarà luogo più santo di quello, e trarranno le folle di tutta la Terra e di tutte le epoche a baciare quella polvere. E già vi è chi vi ha preceduti. Senza temere gli scherni e le vendette, senza temere di contaminarsi. Eppure chi vi ha preceduti aveva doppia ragione di temere di questo».
   «Chi è, Signore?», chiede Giovanni, al quale Pietro stuzzica col gomito il fianco perché chieda.
   «Maria di Lazzaro! Come ha raccolto i fiori calpestati dai miei piedi mentre entravo, avanti la Pasqua, nella sua casa, ricordo di letizia che ha distribuito alle compagne, così ora ha saputo salire al Calvario e con le sue mani scavare la terra, dura del mio Sangue, e scendere col suo carico e deporlo in grembo a mia Madre. Non ha temuto. Ed era conosciuta come “la Peccatrice” e come “la discepola”. Né chi ha accolto in grembo quel terriccio del luogo del Teschio ha creduto di contaminarsi. Tutto ha annullato il mio Sangue, e santa è la zolla dove Esso è caduto. Domani, avanti sesta, voi salirete al Golgota. Io vi raggiungerò… Ma chi vuol vedere il mio Sangue, eccolo». Addita la spalletta del ponticello. «Qui la mia bocca percosse e sangue ne uscì… Non aveva detto che parole sante la mia bocca, e parole d’amore. Perché allora fu percossa, né ci fu chi la medicò con un bacio?…».

   630.15Entrano nel Getsemani. Ma Gesù deve prima aprire un serrame che ora preclude l’accesso all’orto degli Ulivi. Un serrame nuovo. Una staccionata robusta, a punte acute, alta, serrata da una robusta e nuovissima serratura. Gesù ha la chiave, tanto nuova da essere splendente come acciaio, e apre la serratura al lume del ramo ardente che Filippo ha acceso per vedere, essendo ormai notte affatto.
   «Non c’era… Perché?…», bisbigliano fra loro osservando la cinta che isola il Getsemani. «Certo Lazzaro non ha voluto qui più nessuno. Guarda là. Pietre e mattoni e calcina. Ora è legno, poi sarà muro…».
   Gesù dice: «Venite. Non vi occupate di cose morte, vi dico… Ecco. Qui eravate… E qui fui circondato e preso, e di là voi fuggiste… Se c’era questa cinta allora… Avrebbe impedito la vostra pronta fuga. Ma come poteva pensare Lazzaro, che ardeva di seguirmi mentre voi ardeste di fuggire, che voi sareste fuggiti? Vi faccio soffrire? Prima ho sofferto Io. E voglio cancellare quel dolore. Baciami, Pietro…».
   «No, Signore! No! L’atto di Giuda, qui, alla stessa ora, no, no, no!».
   «Baciami. Ho bisogno che voi facciate con amore sincero il gesto insincero di Giuda. Dopo sarete felici. Saremo più felici. Io e voi. Vieni, Pietro. Bacia».
   Pietro non bacia soltanto. Lava di lacrime la guancia del Signore e si ritira coprendosi il viso e sedendosi al suolo per piangere. Uno dopo l’altro, gli altri lo baciano sullo stesso posto. Chi più, chi meno, hanno le lacrime sul volto…

   630.16«E ora andiamo. Tutti insieme. Vi ho separati da Me quella sera dopo avervi fortificati col mio Corpo, e per poche ore. Ma subito cadeste. Ricordate sempre quanto foste deboli, e che senza l’aiuto di Dio non potreste stare nella giustizia un’ora. Ecco. Qui dissi di vegliare a quelli che si credevano i più forti, forti tanto da chiedere di bere al mio calice e da proclamare che, anche a costo di morire, non mi avrebbero rinnegato. E li lasciai, avvertendoli di orare… Li lasciai ed essi dormirono. Ricordatevelo e insegnatelo che chi viene lasciato da Gesù, se non mantiene contatto d’orazione con Lui, cade in sopore e può esser preso. Se Io non vi avessi destato, in verità potevate esser anche uccisi nel sonno e comparire al giudizio di Dio pesanti di umanità. Venite ancora… Ecco! Abbassa il ramo, Filippo. Ecco! Chi vuole vedere del mio Sangue, guardi. Qui, nell’angoscia più grande, simile ad un che muore, sudai sangue. Guardate… Tanto che ne è dura la terra e ancor rosse le erbe, perché la pioggia non valse a sciogliere i grumi seccati fra steli e corolle. Ecco! E lì mi sono addossato e qui si librò l’angelo del Signore per confortarmi nella mia volontà di fare la Volontà di Dio. Perché, ricordatelo, se sempre voleste fare la Volontà di Dio, là dove la creatura non può persistere viene Dio col suo angelo a sorreggere l’eroe spossato. Quando sarete nelle angosce, non abbiate il timore di cadere in viltà o in abiura se persistete nel volere ciò che Dio vuole. Dio farà di voi dei giganti di eroismo se rimanete fedeli al suo volere. Ricordatelo! Ricordatelo! Ve lo dissi un tempo che dopo la tentazione nel deserto fui sovvenuto dagli angeli. Ora sappiate che anche qui, dopo l’estrema tentazione, fui da un angelo sovvenuto. E così sarà di voi e di tutti quelli che saranno i miei fedeli. Perché, in verità vi dico, ciò che Io ho avuto, di aiuti, voi pure avrete. Io stesso ve lo otterrei se il Padre già non fosse, nella sua amorosa giustizia, a concedervelo. Solo il dolore sarà sempre inferiore al mio… Sedete. Si alza ad oriente la luna. Ci farà luce. Non credo che questa notte dormirete, benché siate ancora così e solamente ancora uomini. No. Non dormirete, perché è entrato in voi un agente che prima non avevate. È il rimorso. Una tortura, è vero. Ma serve a passare a stadi più alti, sia nel bene che nel male. In Giuda di Keriot, essendosi egli allontanato da Dio, produsse la disperazione e la dannazione. In voi, che non siete mai usciti dalla vicinanza di Dio — Io ve lo assicuro, perché non era in voi la volontà e l’avvertenza piena di ciò che facevate — esso produrrà un pentimento fiducioso, che vi porterà a sapienza e giustizia.

   630.17State dove siete. Io mi traggo in là quanto un tirar di sasso, in attesa dell’alba».
   «Oh! non ci lasciare, Signore! Tu lo hai detto ciò che noi siamo, lontani da Te!», supplica Andrea stando in ginocchio, a mani tese, come chiedesse un obolo di pietà.
   «Avete il rimorso. È un buon amico nei buoni».
   «Non ti allontanare, Signore! Ci avevi detto che avremmo pregato insieme…», supplica il Taddeo che non osa più i gesti di parente verso il Risorto e sta con l’alta persona un poco curva in avanti in venerazione.
   «E non è il meditare l’orazione più attiva? E non vi ho fatto contemplare e meditare e dato tema a meditare da quando vi raggiunsi sulla via, muovendovi il cuore con veri atti di santi sentimenti? Questa è l’orazione, o uomini: il mettersi in contatto con l’Eterno e con le cose che servono a condurre lo spirito molt’oltre la Terra, e dalla meditazione delle perfezioni di Dio e della miseria dell’uomo, dell’io , suscitare atti di volontà amorosa o riparatrice, adoratrice sempre, anche se è volontà che sorge da una meditazione su una colpa e un castigo. Male e bene servono al fine ultimo, se si sanno usare. L’ho detto molte volte. Il peccato è insanabile rovina soltanto se non è seguito da pentimento e riparazione. In caso contrario, con la contrizione del cuore si fa salda calcina a tener compatte le fondamenta della santità, le cui pietre sono le buone risoluzioni. Potreste tener unite le pietre senza calcina? Senza la sostanza in apparenza brutta e vile, ma senza la quale le pietre polite, i lucidi marmi non starebbero uniti a formar l’edificio?».

   630.18Gesù fa per andarsene.
   Giovanni, al quale il fratello e l’altro Giacomo insieme a Pietro e Bartolomeo hanno parlato sottovoce, si alza e lo segue dicendo: «Gesù, mio Dio. Noi speravamo di dire con Te l’orazione al Padre tuo. La tua orazione. Ci sentiamo poco perdonati se Tu non ci concedi di dirla con Te. Noi sentiamo di averne tanto bisogno…».
   «Dove due sono uniti in preghiera, là sono Io in mezzo a loro. Dite allora fra voi l’orazione e Io sarò fra voi».
   «Ah! Tu non ci giudichi più degni di orare con Te!», grida Pietro col volto nascosto fra le erbe, non tutte monde del Sangue divino, e un grande pianto.
   Giacomo d’Alfeo esclama: «Noi siamo infelici, frat… Signo­re». Si riprende tosto, dicendo “Signore” in luogo di “fratello”.
   E Gesù lo guarda e dice: «Perché non mi dici fratello, tu, del mio sangue? Fratello a tutti gli uomini, a te lo sono doppiamente, triplicemente, come figlio d’Adamo, come figlio di Davide, come figlio di Dio. Termina la tua parola».
   «Fratello, mio Signore, noi siamo infelici e stolti, Tu lo sai, e più stolti ci fa l’avvilimento in cui siamo. Come possiamo dire con l’anima la tua orazione se non ne sappiamo il significato?».
   «Quante volte, come a fanciulli minorenni, Io ve l’ho spiegato! Ma più duri di cervice che il più distratto degli scolari di un pedagogo, voi non avete ritenuto la mia parola!».
   «È vero! Ma ora la nostra mente è confitta sulla nostra tortura di non averti capito… Oh! nulla abbiamo capito! Io lo confesso per tutti! E ancora non ti comprendiamo bene, o Signore. Ma, te ne prego, l’indulgenza per il nostro male traila dallo stesso male che ci fa ottusi. Tu eri spirato e il grande rabbi urlò la verità dell’ottusità di Israele, là, ai piedi della tua Croce. E Tu, Dio onnipresente, liberato Spirito di Dio dalla carcere della Carne, hai sentito quelle parole: “Secoli e secoli di cecità spirituale stanno sulla vista interiore”, e ti ha pregato: “In questo pensiero, prigioniero delle formule, penetra Tu, Liberatore”. O mio adorato e adorabile Gesù, che ci hai salvati dalla Colpa di origine prendendo su Te i nostri peccati e consumandoli nell’ardore del tuo amore perfetto, prendi, consuma anche l’intelletto nostro di ostinati israeliti, dacci una mente nuova, vergine come quella di un infante uscito ora da un seno, smemoraci per riempirci della tua sola sapienza. Tante cose del passato sono morte in quel giorno orrendo. Morte con Te. Ma, ora che sei risorto, fa’ che nasca in noi un nuovo pensiero. Creaci un cuore e una mente nuova, Signor mio, e noi ti capiremo», prega Giovanni.

   630.19«Non sta a Me questo compito, ma a Colui di cui vi ho parlato nell’ultima Cena. Ogni mia parola si perde nell’abisso del vostro pensiero, in tutto o in parte, o resta serrata e chiusa nel suo spirito. Solo il Paraclito, quando sarà venuto, estrarrà dal vostro abisso le mie parole e ve le aprirà per farvi comprendere lo spirito di esse».
   «Ma Tu ce lo hai infuso», obbietta lo Zelote.
   «Ma Tu hai detto che, quando Tu fossi andato al Padre, Egli, lo Spirito di Verità, sarebbe venuto», obbietta, insieme allo Zelote, Matteo.
   «Ditemi: quando un bambino nasce ha l’anima infusa?».
   «Certo che l’ha!», rispondono tutti.
   «Ma quest’anima ha la Grazia di Dio?».
   «No. La Colpa d’origine è su essa e la priva della Grazia».
   «E l’anima e la Grazia di dove vengono?».
   «Da Dio!».
   «Perché allora Dio non dà addirittura un’anima in grazia alla creatura?».
   «Perché Adamo fu punito, e noi in lui. Ma, ora che Tu sei divenuto il Redentore, così sarà».
   «No. Così non sarà. Gli uomini nasceranno sempre impuri nella loro anima, che Dio ha creata e che l’eredità d’Adamo ha maculata. Ma, per un rito che vi spiegherò un’altra volta, l’anima infusa nell’uomo sarà vivificata della Grazia e lo Spirito del Signore ne prenderà possesso. Voi però, battezzati con l’acqua da Giovanni, sarete battezzati col fuoco della Potenza di Dio. E allora veramente lo Spirito di Dio sarà in voi. E sarà il Maestro che gli uomini non possono perseguitare né scacciare, e che nell’intimo vi dirà lo spirito delle mie parole e molte altre istruzioni. Io ve l’ho infuso perché soltanto per i miei meriti ogni cosa può aversi ed esser valida. Aversi Dio, e aver validità la parola di un delegato di Dio. Ma ancor non è in voi, come Maestro, lo Spirito di Verità».
   «Ebbene, così sia. A suo tempo verrà. Ma intanto facci sentire il tuo perdono. Siici Maestro, o mio Signore. Ancora, ancora, poiché Tu lo hai detto che bisogna perdonare settanta volte sette», insiste Giovanni e termina — è il più fidente e amoroso sempre — osando prendere fra le sue la Mano sinistra di Gesù, pendente lungo la persona, e sulla quale la luna pare rendere ancor più grande lo squarcio del chiodo: «Tu, che sei la Luce eterna, non permettere che i tuoi servi restino nelle tenebre», e bacia le dita lievemente, sulla punta, queste dita rimaste un poco piegate, proprio come sono quelle di chi fu ferito ed è guarito ma i nervi ne restano lievemente contratti.

   630.20«Venite. Saliamo più in alto e diremo insieme l’orazione», concede Gesù lasciando la sua mano in quelle di Giovanni, mentre già cammina verso il limite più alto del Getsemani, verso la via alta che, per il campo dei Galilei, va a Betania.
   Anche qui si vede che le opere di delimitazione volute da Lazzaro sono in corso. Anzi qui, più lontano dalla casa del guardiano dell’uliveto, già è alzato un muro liscio e alto, che segue la siepe e il sentiero a curve che erano il limite del Getsemani.
   Gerusalemme, in basso, esce lentamente dalle tenebre anche nelle parti a ponente, poiché la luna è ora allo zenit e imbianca tutte le cose col suo falcetto sottile, lucente come una fiamma diamantata posata sul cupo del firmamento, sul quale palpitano le corolle luminose di un numero incalcolabile di stelle, delle così inverosimili stelle dei cieli d’oriente.

   630.21Gesù apre le braccia nella sua consueta posizione di preghiera e intona: «Padre nostro che sei nei Cieli».
   Si interrompe e commenta:
   «Che Padre sia, ve ne ha dato prova l’avervi perdonato. Voi, più di tutti tenuti a perfezione, voi, così beneficati e così, come voi dite, inetti alla missione, quale Signore, che non vi fosse Padre, non vi avrebbe puniti? Io non vi ho punito. Il Padre non vi ha punito. Perché ciò che fa il Padre, il Figlio fa; perché ciò che fa il Figlio, il Padre fa, essendo Noi una sola Divinità unita nell’Amore. Io sono nel Padre, e il Padre è con Me. Il Verbo è sempre presso Dio, il quale è senza principio. E il Verbo è da prima di tutte le cose, da sempre, da un’eternità che ha nome sempre, da un presente eterno presso Dio, ed è Dio come Dio, essendo il Verbo del Pensiero divino.

   630.22Quando dunque me ne sarò andato, pregando così il Padre nostro, mio e vostro, onde fratelli siamo, Io primogenito, voi minori, vogliate vedere sempre anche Me nel Padre mio e vostro. Vogliate vedere il Verbo che vi fu “il Maestro” e vi amò sino alla morte e oltre la morte, lasciandovi Se stesso in cibo e bevanda perché voi foste in Me ed Io in voi sinché dura l’esilio, e poi Io e voi nel Regno per il quale vi ho insegnato a pregare: “Venga il Regno tuo” dopo che abbiate invocato che le vostre opere santifichino il Nome del Signore dandogli gloria in Terra e in Cielo. Sì. Non sarebbe il Regno per voi in Cielo, il Regno per quelli che crederanno come voi, se prima non aveste voluto il Regno di Dio in voi con la pratica reale della Legge di Dio e della mia parola, che è il perfezionamento della Legge, avendo dato, nel tempo della Grazia, la Legge degli eletti, ossia quella di coloro che sono oltre le costituzioni civili, morali, religiose del tempo mosaico, già nella Legge spirituale del tempo di Cristo.
   Voi lo vedete cosa è aver la vicinanza di Dio, ma non Dio in voi; cosa è aver la parola di Dio, ma non la pratica reale di quella parola. Ogni misfatto si è compiuto per questo aver Dio vicino, ma non nel cuore; per questo avere la conoscenza della parola, ma non l’ubbidienza ad essa. Tutto! Tutto per questo. L’ottusità e la delinquenza, il deicidio, il tradimento, le torture, la morte dell’Innocente e del suo Caino, tutto è venuto per questo. Eppure, chi come Giuda fu amato da Me? Ma non ebbe Me-Dio nel suo cuore. Ed è il dannato deicida, l’infinitamente colpevole come israelita e come discepolo, come suicida e come deicida, oltre che per i suoi sette vizi capitali e ogni altra sua colpa.

   630.23Il Regno di Dio in voi ora si può con più facilità aversi, perché Io ve l’ho ottenuto con la mia morte. Io vi ho ricomprati col mio dolore. Ricordatevelo. E nessuno calpesti la Grazia, perché essa è costata la vita ed il Sangue di un Dio. Sia dunque il Regno di Dio in voi, uomini, per la Grazia; sia sulla Terra, per la Chiesa, sia nel Cielo, per il popolo dei beati che, avendo vissuto con Dio in cuore, uniti al Corpo di cui Cristo è il Capo, uniti alla Vite di cui ogni cristiano è tralcio, meritano di riposare nel Regno di Colui per il quale tutte le cose sono state fatte: Io che vi parlo e che ho dato Me stesso alla Volontà paterna perché tutto potesse essere compiuto.
   Onde Io posso insegnarvi, senza ipocrisia, che va detto: “Sia fatta la tua volontà in Terra come in Cielo”. Come Io abbia fatto la volontà del Padre mio, persino le zolle, le erbe, i fiori, le pietre di Palestina, e le mie carni ferite, e tutto un popolo possono dirlo.
   Fate come Io ho fatto. Sino all’estremo. Sino alla morte di croce se Dio lo vorrà. Perché, ricordatevelo, Io l’ho fatto, e non c’è discepolo che valga misericordia più di Me. Eppure Io ho consumato il più grande dolore. Eppure Io ho ubbidito con perpetue rinunce. Voi sapete. Più ancor comprenderete in futuro, quando assomiglierete a Me bevendo un sorso al mio calice… Datevi questo pensiero costante: “Per la sua ubbidienza al Padre, Egli ci ha salvati”. E, se volete essere salvatori, fate ciò che Io ho fatto. Vi sarà chi conoscerà anche la croce, chi la tortura dei tiranni e chi la tortura dell’amore, dell’esilio dai Cieli ai quali tenderà sino all’età più tarda prima di salirvi. Ebbene, in ogni cosa sia fatto ciò che Dio vuole. Pensate che supplizio di morte o supplizio di vita, mentre vorreste morire per venire ove Io sono, sono uguali, se fatti con ilare ubbidienza, agli occhi di Dio. Sono la sua Volontà. Perciò santi sono.

   630.24“Dacci il pane nostro quotidiano”. Giorno per giorno, ora per ora. È fede. È amore. È ubbidienza. È umiltà. È speranza questo chiedere il pane di un giorno e accettarlo come è. Oggi dolce, domani amaro, molto, poco, con spezie o con cenere. Sempre quale è giusto. Lo dà Dio che è Padre. È dunque buono.
   Un’altra volta vi dirò dell’altro Pane, che salutare sarebbe di voler mangiare ogni giorno, e di pregare il Padre di mantenerlo. Perché guai a quel giorno e a quei luoghi dove venisse a mancare per volere d’uomini! Ora gli uomini voi vedete quanto sono potenti nelle opere loro di tenebre. Pregate il Padre che Egli difenda il suo Pane e ve lo dia. Tanto più lo dia, più le tenebre vorranno soffocare la Luce e la Vita, come in Parasceve fecero. La seconda Parasceve sarebbe senza risurrezione. Ricordatelo tutti. Se il Verbo non potrà più essere ucciso, ancor uccisa potrebbe essere la sua dottrina e spenta la libertà e la volontà, in troppi, di amarlo. Ma allora anche Vita e Luce sarebbero finite per gli uomini. E guai a quel giorno! Vi sia di esempio il Tempio. Ricordate: ho detto “è il grande Cadavere”.

   630.25“Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
   Peccatori tutti, siate dolci ai peccatori. Ricordate le mie parole: “A che guardi la pagliuzza del fratello se prima non levi la trave dal tuo occhio?”. Quello Spirito che vi ho infuso, quell’ordine che vi ho dato vi dànno facoltà di rimettere, in nome di Dio, i peccati del prossimo. Ma come potrete farlo se a voi non ve li rimette Dio? Parlerò altra volta di ciò. Per ora vi dico: perdonate a chi vi offende per esser perdonati e per avere diritto di assolvere o condannare. Chi è senza peccato può farlo con piena giustizia. Chi non perdona, ed è in colpa e finge scandalo, è un ipocrita e l’Inferno lo attende. Perché, se ancora sarà misericordia ai pupilli, severo sarà il verdetto per i tutori dei pupilli, colpevoli di colpe uguali o maggiori, pur avendo la pienezza dello Spirito a loro aiuto.

   630.26“Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male”. Ecco l’umiltà, pietra basilare della perfezione. In verità vi dico di benedire chi vi umilia, perché vi dà il necessario per il vostro celeste trono.
    No. La tentazione non è rovina, se l’uomo umilmente sta presso il Padre e gli chiede di non permettere che Satana, il mondo e la carne trionfino su lui. Le corone dei beati sono ornate delle gemme delle tentazioni vinte. Non cercatele. Ma non siate vili quando esse vengono. Umili, e perciò forti, gridate al Padre mio e vostro: “Liberaci dal male”, e vincerete il male. E santificherete veramente il Nome di Dio con le vostre azioni, come ho detto in principio, perché ogni uomo vedendovi dirà: “Dio è, perché essi da dèi vivono, tanto perfetta è la loro condotta”, e a Dio verranno, moltiplicando i cittadini del Regno di Dio.

   630.27Inginocchiatevi, che Io vi benedica e la mia benedizione vi apra la mente a meditare».
   Si prostrano al suolo ed Egli li benedice, e scompare come fosse assorbito dal raggio lunare.
   Dopo un poco gli apostoli alzano la testa, stupiti di non sentire altre parole, e vedono che Gesù è sparito… Si riabbattono col volto al suolo nel tremore, vecchio di secoli, di ogni israelita che abbia la percezione di essere stato a contatto con Dio quale è in Cielo.

[78] ha detto, come in: Salmo 110, 1.
[79] forati da anelli… come è prescritto in: Esodo 25, 12-15; 30, 4; 37, 3-5.27.