MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 80



LXXX. Con tre apostoli sul monte del digiuno e al masso della tentazione.

   17 gennaio 1945.

   80.1 Un’alba bellissima in un luogo selvaggio. Un’alba dall’alto di una costa di monte. Appena un principio di giorno. In cielo ancora le superstiti stelle e un arco sottile di luna calante che persiste, virgola d’argento, sul velluto ancora azzurro scuro del cielo.

   Il monte pare a sé, non congiunto ad altre catene. Ma è un vero monte, non un colle. La cima è molto più su, eppure da mezza costa già si domina un largo raggio d’orizzonte, segno che si è elevati di molto sul livello del suolo. Nell’aria fresca del mattino, in cui si fa strada la luce incerta, bianco-verdastra, dell’alba che sempre più si fa chiara, si svelano i contorni ed i particolari, che prima erano in quella caligine che precede il giorno, sempre più cupa di una notte perché pare che la luce degli astri, nel trapasso da notte a giorno, diminuisca e, direi, si annulli. Vedo così che il monte è roccioso e nudo, spaccato da anfratti che formano grotte, antri e seni nel monte. Un luogo proprio selvaggio su cui – e solo nei luoghi dove un poco di terra si è deposta in modo da poter raccogliere anche l’acqua del cielo e conservarla – sono ciuffetti di verde, per lo più piante rigide, spinose, dalla poca fronda, e bassi e duri cespugli di quelle erbe che paiono bastoncini verdi di cui non so il nome.
   In basso vi è una distesa più arida ancora, piatta, sassosa e che sempre più diviene arida quanto più si avvicina ad un punto scuro, molto più lungo che largo, almeno cinque volte più lungo che largo, che penso sia un’oasi folta, nata in tanto squallore per acque sotterranee. Però, quando la luce si fa più viva, vedo che non è che acqua. Un’acqua ferma, cupa, morta. Un lago di una tristezza infinita. In questa luce ancora incerta mi fa ricordare la visione[4] del mondo morto. Pare che aspiri tutto il cupo del cielo, tutto il triste del suolo circostante, e stemperi nelle sue acque ferme il verde cupo delle piante spinose e delle rigide erbe – che per chilometri e chilometri, in piatto e in altezza, sono l’unica decorazione del suolo – e, fattosene un filtro di cupezza, la emani poi e spanda tutto intorno. Come è diverso dal solare, ridente lago di Genezaret! In alto, guardando il cielo di un assoluto sereno che si fa sempre più chiaro, guardando la luce che avanza da oriente a fiotti sempre più vasti, lo spirito si rallegra. Ma guardando quel grandissimo lago morto si stringe il cuore. Non un uccello trasvola sulle sue acque. Non un animale è sulle sue rive. Nulla.

   80.2 Mentre guardo questa desolazione, mi scuote la voce del mio Gesù: «Ed eccoci giunti dove volevo». Mi volgo. Lo vedo alle mie spalle, fra Giovanni, Simone e Giuda, presso la costa rocciosa del monte, là dove giunge un sentiero… sarebbe meglio dire: là dove un lungo lavoro di acque, nei mesi di pioggia, ha graffiato il calcare scavando nei secoli un canale appena disegnato, che sarà scolo alle acque delle cime e che ora è via per le capre selvatiche più che per gli uomini.
   Gesù si guarda intorno e ripete: «Sì, qui vi volevo portare.
   Qui il Cristo si è preparato alla sua missione».
   «Ma qui non c’è nulla!».
   «Non c’è nulla, l’hai detto».
   «Con chi eri?».
   «Col mio spirito e col Padre».
   «Ah! fu sosta di poche ore!».
   «No, Giuda. Non di poche ore. Di molti giorni…».
   «Ma chi ti serviva? Dove dormisti?».
   «Avevo a servi gli onagri che nella notte venivano a dormire nella loro tana… in questa, dove Io pure m’ero intanato… Avevo a serve le aquile che mi dicevano: “È giorno” col loro grido aspro, partendo per la preda. Avevo ad amici le piccole lepri che venivano a rodere le erbe selvagge quasi ai miei piedi… Mi era cibo e bevanda ciò che è cibo e bevanda del fiore selvaggio: la rugiada notturna, la luce del sole. Non altro».
   «Ma perché?».
   «Per prepararmi bene, come tu dici, alla mia missione. Le cose ben preparate riescono bene. Tu lo hai detto. E la mia cosa non era la piccola, inutile cosa di far brillare Me, Servo del Signore, ma di far comprendere agli uomini ciò che è il Signore e, attraverso questa comprensione, farlo amare in spirito di verità. Misero quel servo del Signore che pensa al suo trionfo e non a quello di Dio! Che cerca averne utile, che sogna mettersi in alto su un trono fatto… oh! fatto degli interessi di Dio, avviliti sino a toccare il suolo, essi che sono celesti interessi. Non è più servo, costui, anche se ne ha l’aspetto esterno. È un mercante, un trafficante, un falso che inganna sé, gli uomini e vorrebbe ingannare Dio… uno sciagurato che si crede principe ed è schiavo… È del Demonio, il suo re di menzogna. Qui, in questa tana, il Cristo per molti giorni visse di macerazioni e preghiera per prepararsi alla sua missione.

   80.3 E dove vorresti fossi andato a prepararmi, Giuda?».
   Giuda è perplesso, disorientato. Risponde infine: «Ma non saprei… Pensavo… da qualche rabbi… presso gli esseni… non so».
   «E potevo trovare un rabbi che mi dicesse più di quanto mi diceva la Potenza e la Sapienza di Dio? E potevo Io – Io Verbo eterno del Padre, Io che ero quando il Padre creò l’uomo e so di quale spirito immortale e animato, e di quale potenza di giudizio libero e capace, abbia il Creatore dotato l’uomo – andare ad attingere scienza e capacità da quelli che negano l’immortalità dell’anima negando la finale risurrezione, e negano la libertà d’azione dell’uomo addossando virtù e vizi, azioni sante e malvagie, al destino che dicono fatale e non vincibile? Ah! no.
   Avete un destino. Sì. Lo avete. Nella mente di Dio che vi crea è un destino per voi. Ve lo desidera il Padre. Ed è destino d’amore, di pace, di gloria: “la santità d’esser suoi figli”. Questo il destino che, presente alla mente divina dal momento nel quale col fango fu fatto Adamo, presente sarà sino all’ultima creazione di anima d’uomo. Ma non vi violenta il Padre nella vostra condizione di re. Il re, se prigione, non è più re, è un reietto. Voi re siete perché liberi nel vostro piccolo regno individuale. Nell’io. In esso potete fare ciò che volete, come volete.

   80.4 Di fronte e ai confini del vostro piccolo regno avete un Re amico e due potenze nemiche. L’Amico vi mostra le regole che Egli ha date per far felici quelli che sono suoi. Ve le mostra. Vi dice: “Eccole. Con queste è sicura l’eterna vittoria”. Ve le mostra, Egli, il Saggio e Santo, perché voi possiate, se volete farlo, praticarle e averne gloria eterna. Le due potenze nemiche sono Satana e la carne. Nella carne metto la vostra e quella del mondo, ossia le pompe e seduzioni del mondo, ossia la ricchezza, le feste, gli onori, i poteri che dal mondo e nel mondo si hanno e che non sempre si hanno onestamente e meno ancora si sanno usare onestamente se, per un complesso di cause, ad essi l’uomo perviene.
   Satana, maestro della carne e del mondo, parla anche per esso e per la carne. Anche lui ha le sue regole… Oh! se le ha! E poiché l’io è fasciato di carne e la carne tende alla carne come le scaglie di ferro tendono alla calamita, e poiché il canto del Seduttore è più dolce di gorgheggio di usignolo in amore fra raggi di luna e profumo di roseti, più facile è andare verso queste regole, piegare verso queste potenze, dire loro: “Vi considero amiche. Entrate”. Entrate… Avete mai visto un alleato che resti onesto sempre, senza chiedere il cento per uno per un aiuto dato? Così fanno esse. Entrano… E divengono padroni. Padroni? No, aguzzini. Vi legano, o uomini, al loro banco di galera, vi ci incatenano, non vi lasciano più alzare il collo dal loro giogo, e la loro sferza vi riga a sangue se cercate sfuggir loro. O farsi ferire sino a giungere ad esser un ammasso di carne frantumata, così inutile, come carne, da esser respinta dal loro piede crudele, o morire sotto di loro.
   Se sapete darvi quel martirio, darvi quel martirio, ecco allora che passa la Misericordia, l’Unica che può ancora aver pietà di quella ripugnante miseria della quale il mondo, uno dei padroni, ha ora schifo e sulla quale l’altro padrone, Satana, invia le sue frecce di vendetta. E la Misericordia, l’Unica che passa, si china, la raccoglie, la medica, la risana e le dice: “Vieni. Non temere. Non ti guardare. Le tue piaghe non sono più che cicatrici, ma sono così innumerevoli che ti farebbero orro re, tanto ti deturpano. Ma Io non ti guardo quelle, guardo la tua volontà. Per essa volontà buona sei così segnata. Perciò Io ti dico: ti amo. Vieni con Me”, e la porta nel suo Stato. Allora voi capite che Misericordia e Re amico sono una stessa persona. Ritrovate le regole che Egli vi aveva mostrate e che voi non avete voluto seguire. Ora lo volete… e giungete alla pace della coscienza prima, alla pace di Dio dopo.
   Ditemi, allora. Questo destino fu imposto da Un Solo per tutti, o fu individualmente voluto da ognuno per sé?».
   «Fu da ognuno voluto».
   «Bene giudichi, Simone. Potevo Io andare dai negatori della beata risurrezione e del dono di Dio per formarmi?

   80.5 Qui sono venuto. Ho preso la mia anima di Figlio dell’uomo e me la sono lavorata con gli ultimi tocchi, finendo il lavoro di trent’anni di annichilimento e di preparazione per andare perfetto al mio ministero. Ora Io vi chiedo di stare meco qualche giorno, in questa tana. Sarà sempre meno desolata la sosta, perché saremo quattro amici che fanno forza contro le tristezze, le paure, le tentazioni, le necessità della carne. Io ero solo. Sarà sempre meno penosa, perché ora è estate e qui, in alto, vi è il vento delle cime a temperare il calore. Io vi venni al finir della luna di tebet, e rigido era il vento che scendeva dalle nevi della vetta. Sarà sempre meno tormentosa, perché più breve e perché abbiamo ora quel minimo di cibo che può dare conforto alla nostra fame, e nelle piccole ghirbe di pelle che vi ho fatto dare dai pastori vi è tant’acqua da bastare per questi giorni di sosta. Io… io ho bisogno di strappare due anime a Satana. Non vi è che la penitenza che lo possa. Vi chiedo aiuto. Sarà formazione anche per voi. Imparerete come si strappano le prede a Mammona. Non tanto con le parole, quanto col sacrificio… Le parole!… Il frastuono satanico impedisce che siano udite… Ogni anima preda del Nemico è avvolta in turbini di voci infernali… Volete rimanere con Me? Ma se non volete, andate. Io resto. Ci ritroveremo a Tecua, presso il mercato».
   «No, Maestro, io non ti lascio», dice Giovanni; mentre Simone contemporaneamente esclama: «Tu ci elevi volendoci teco in questa redenzione». Giuda… non mi pare molto entusiasta. Ma fa buon viso al… destino e dice: «Io resto».
   «Prendete allora le ghirbe e le sacche e portatele dentro e, prima che il sole arda, spezzate legna e accumulatela presso lo spacco. La notte è rigida anche d’estate, qui, e non tutte le bestie sono buone. Un ramo lo accenderete subito. Là, di quella pianta di acacia gommosa. Brucia bene. Guarderemo fra le fessure per cacciare col fuoco aspidi e scorpioni. Andate»…

   80.6 … Lo stesso punto di monte. Solo ora è notte. Una notte tutta stellata. Una bellezza di cielo notturno come credo se ne possa godere solo in quei paesi già quasi tropicali. Stelle di una larghezza e di un brillio meravigliosi. Le costellazioni maggiori paiono grappoli di brillanti, di chiari topazi, di pallidi zaffiri, di miti opali, di tenui rubini. Tremolano, si accendono, si spengono come sguardi che la palpebra cela per un attimo, tornano ad accendersi più belle. Ogni tanto una stella riga il cielo e scompare verso chissà quale orizzonte. Una riga di luce che pare un grido di giubilo stellare per poter volare così per quei prati sterminati.
   Gesù è seduto sull’apertura della spelonca e parla ai tre che fanno cerchio con Lui. Deve esservi stato del fuoco, perché, in mezzo al cerchio dei quattro, un mucchietto di tizzi ha ancora bagliori di bragia e getta il suo riflesso rosso sui quattro volti.
   «Sì. La sosta è finita. Questa sosta. L’altra volta durò quaranta giorni… E vi dico ancora: era ancora inverno su questi pendii… e non avevo cibo. Un poco più difficile di questa volta, non è vero? So che avete sofferto anche ora. Il poco che avevamo e che vi davo era nulla, specie per la fame dei giovani. Era sufficiente solo a non farvi cadere languenti. L’acqua ancor meno. Il calore è torrido nel giorno. E voi direte che ciò non c’era nell’inverno. Ma allora c’era un vento secco, che scendeva bruciando i polmoni da quella cima e saliva da quella bassura carico di polvere desertica e asciugava più ancora di questo calore estivo, a cui può dare sollievo succhiare questi aciduli frutti che quasi son maturi. Allora il monte non dava che vento ed erbe bruciate dal gelo intorno alle acacie scheletrite. Non vi ho dato tutto, perché ho serbato gli ultimi pani e l’ultimo formaggio con l’ultima ghirba per il ritorno… Io so cosa fu il ritorno, esausto come ero, nella solitudine del deserto… Raccogliamo le nostre cose e andiamo. La notte è ancor più chiara di quella che qui ci condusse. Non vi è luna. Ma il cielo piove luce. Andiamo. Ricordatevi questo posto. Sappiate ricordare come si preparò Cristo e come si preparano gli apostoli. Come Io insegno si preparino gli apostoli».

   80.7 Si alzano. Simone, con un ramo, fruga nelle bracie, le ravviva, prima di sperderle col piede, gettandovi sopra delle erbe disseccate, e alla fiamma accende una frasca di acacia e la tiene alta, all’ingresso della tana, mentre Giuda e Giovanni raccolgono mantelli, sacche e dei piccoli otri di pelle, di cui solo uno è ancora gonfio. Poi spegne la frasca contro la roccia, si carica della sua sacca e si mette il manto, come tutti, legandoselo alla vita perché non dia noia nell’andare.
   Scendono senza altre parole l’uno dietro l’altro per un sentiero ripidissimo, mettendo in fuga piccoli animali che brucano le poche erbe che ancora resistono al sole. Il cammino è lungo e disagiato. Finalmente giungono al piano. Non è molto comodo il cammino neppur qui dove pietre e schegge di pietre si muovono traditore sotto al piede, ferendolo anche, perché la terra ridotta a polvere le nasconde e non si possono evitare, dove arsi cespugli di spini graffiano e intralciano attaccandosi al basso delle vesti. Ma è più spedito.
   In alto le stelle sono sempre più belle.
   Vanno, vanno, vanno per ore. La pianura è sempre più sterile e triste. Luccichii di scaglie brillano in certe piccole rughe del terreno, in pozzette fra asperità del suolo. Paiono scaglie di brillanti sporchi. Giovanni si china a guardarle.
   «È il sale del sottosuolo. Ne è saturo. Affiora con le acque di primavera e poi si secca. Per questo la vita non regge qui. Il mare Orientale, per profonde vene, sparge la sua morte a molti stadi intorno. Solo dove sorgive dolci combattono il suo mordente è possibile trovare piante e ristoro», spiega Gesù.

   80.8 Vanno ancora. Poi Gesù si ferma presso la roccia cava in cui lo vidi tentato da Satana.
   «Sostiamo qui. Sedete. Fra poco sarà il canto del gallo.
   Camminiamo da sei ore e dovete avere fame, sete e stanchezza. Prendete. Mangiate e bevete, seduti qui, a Me intorno, mentre Io vi dico ancora una cosa che voi direte agli amici e al mondo».
   Gesù ha aperto la sua sacca e ne ha tratto pane e formaggio, che taglia e distribuisce, e dalla sua zucchetta mesce acqua in una ciotoletta e distribuisce pure.
   «Tu non mangi, Maestro?».
   «No. Io vi parlo. Udite. Una volta ci fu uno, un uomo, che mi chiese[5] se ero mai stato tentato. Che mi chiese se non avevo mai peccato. Che mi chiese se, nella tentazione, non avevo mai ceduto. E che si stupì perché Io, il Messia, ho chiesto, per resistere, l’aiuto del Padre dicendo: “Padre, non mi indurre in tentazione”».
   Gesù parla piano, calmo, come narrasse un fatto a tutti ignoto… Giuda china il capo come impacciato. Ma gli altri sono tanto intenti a guardare Gesù che non lo vedono.
   Gesù continua: «Ora voi, miei amici, potete sapere ciò che solo lievemente seppe quell’uomo. Dopo il battesimo – ero mondo, ma non si è mai mondi abbastanza rispetto all’Altissimo, e l’umiltà di dire “sono uomo e peccatore” è già battesimo che fa mondo il cuore – sono venuto qui. Ero stato chiamato “l’Agnello di Dio” da colui che, santo e profeta, vedeva la Verità e vedeva scendere lo Spirito sul Verbo e farlo Unto del suo crisma d’amore, mentre la voce del Padre empiva i cieli del suo suono dicendo: “Ecco il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto”. Tu, Giovanni, eri presente quando il Battista ha ripetuto le parole… Dopo il battesimo, benché mondo per natura e mondo per figura, volli “prepararmi”. Sì, Giuda. Guardami. Il mio occhio ti dica ciò che ancor tace la bocca. Guardami, Giuda. Guarda il tuo Maestro che non si è sentito superiore all’uomo per essere il Messia e che anzi, sapendo di esser l’Uomo, ha voluto esserlo in tutto, fuorché nel condiscendere al male. Ecco, così».
   Ora Giuda ha alzato il viso e guarda Gesù che ha di fronte. La luce delle stelle fa brillare gli occhi di Gesù come fossero due stelle fisse in un pallido volto.

   80.9 «Per prepararsi ad essere maestri bisogna essere stati scolari. Io tutto sapevo come Dio. La mia intelligenza mi poteva anche fare capire le lotte dell’uomo, per potere intellettivo e intellettualmente. Ma un giorno qualche mio povero amico, qualche mio povero figlio, avrebbe potuto dire e dirmi: “Tu non sai cosa è esser uomo e avere senso e passioni”. Sarebbe stato rimprovero giusto. Sono venuto qui, anzi là, su quel monte, per prepararmi… non solo alla missione… ma alla tentazione. Vedete? Qui dove voi siete, Io fui tentato. Da chi? Da un mortale? No. Troppo lieve sarebbe stato il suo potere. Sono stato tentato da Satana, direttamente.
   Ero sfinito. Da quaranta giorni non mangiavo… Ma, finché ero stato perso nell’orazione, tutto si era annullato nella gioia del parlare con Dio, più che annullato: reso sopportabile. Lo sentivo come un disagio della materia, circoscritto alla materia sola… Poi sono tornato nel mondo… sulle vie del mondo… e ho sentito i bisogni di chi è sul mondo. Ho avuto fame. Ho avuto sete. Ho sentito il freddo pungente della notte desertica. Ho sentito il corpo affranto dalla mancanza del riposo, del letto, e dal lungo cammino fatto in condizioni di spossatezza tale che mi impedivano di andare oltre…
   Perché ho una carne anche Io, amici. Una vera carne. Ed essa è soggetta alle stesse debolezze che hanno tutte le carni. E con la carne ho un cuore. Sì. Dell’uomo ho preso la prima e la seconda delle tre parti che fanno l’uomo. Ho preso la materia con le sue esigenze e il morale con le sue passioni. E, se per mia volontà ho piegato in sul nascere tutte le passioni non buone, ho lasciato crescessero potenti come cedri secolari le sante passioni dell’amore filiale, dell’amore patrio, delle amicizie, del lavoro, di tutto quanto è ottimo e santo. E qui ho sentito nostalgia della Mamma lontana, qui ho sentito bisogno delle sue cure sulla mia fralezza umana, qui ho sentito rinnovarsi il dolore di essermi staccato dall’Unica che mi amasse perfettamente, qui ho presentito il dolore che mi è serbato e il dolore del suo dolore, povera Mamma, che non avrà più lacrime, tante ne dovrà spargere per il suo Figlio e per opera degli uomini. E qui ho sentito la stanchezza dell’eroe e dell’asceta, che in un’ora di premonizione si rende cognito dell’inutilità del suo sforzo… Ho pianto… La tristezza… richiamo magico per Satana. Non è peccato esser tristi se l’ora è penosa. È peccato cedere oltre alla tristezza e cadere in inerzia o in disperazione. Ma Satana subito viene quando vede uno caduto in languore di spirito.
   È venuto. In veste di benigno viandante. Prende sempre aspetti benigni… Avevo fame… e avevo i trent’anni nel sangue. Mi ha offerto il suo aiuto. E prima mi ha detto: “Di’ a queste pietre che divengano pane”. Ma prima ancora… sì… prima ancora mi aveva parlato della donna… Oh! egli ne sa parlare. La conosce a fondo. L’ha corrotta per il primo, per farne sua alleata di corruzione. Non sono solo il Figlio di Dio. Sono Gesù, l’operaio di Nazaret. Ho detto a quell’uomo che mi parlava allora, chiedendomi se conoscevo tentazione, e quasi mi accusava di esser ingiustamente beato per non aver peccato: “L’atto placa nel soddisfacimento. La tentazione respinta non cade ma si fa più forte, anche perché Satana l’aizza”. Ho respinto la tentazione e della fame della donna e della fame del pane. E sappiate che Satana mi prospettava la prima, né aveva torto, umanamente giudicando, come la migliore alleata per affermarsi nel mondo.
   La Tentazione, non vinta dal mio: “Non di solo senso vive l’uomo”, mi parlò allora della mia missione. Voleva sedurre il Messia dopo aver tentato il Giovane. E mi spronò ad annichilire gli indegni ministri del Tempio con un miracolo… Non si piega il miracolo, fiamma di Cielo, a farne cerchio di vimini per incoronarsi di esso… E non si tenta Dio chiedendo miracoli a fini umani. Questo voleva Satana. Il motivo presentato era il pretesto; la verità era: “Gloriati d’esser il Messia”, per portarmi all’altra concupiscenza: quella dell’orgoglio.
   Non vinto dal mio: “Non tenterai il Signore Dio tuo”, mi circuì con la terza forza della sua natura: l’oro. Oh! l’oro! Grande cosa il pane e più grande la donna per chi ha bramosia di cibo o di piacere. Grandissima cosa l’acclamazione delle folle per l’uomo… Per queste tre cose quanti delitti si fanno! Ma l’oro… Ma l’oro… Chiave che apre, cerchio che salda, esso è l’alfa e l’omega di novantanove su cento[6] delle azioni umane. Per il pane e la donna l’uomo diviene ladro. Per il potere anche omicida. Ma per l’oro diviene idolatra. Il re dell’oro, Satana, mi ha offerto il suo oro purché lo adorassi… L’ho trapassato con le parole eterne: “Adorerai solo il Signore Iddio tuo”.
   Qui. Qui è avvenuto questo».

   80.10 Gesù si è alzato. Pare più alto del solito nella piatta natura che lo circonda, nella luce lievemente fosforescente che piove dalle stelle. Anche i discepoli si alzano. Gesù continua a parlare fissando intensamente Giuda.
   «Allora sono venuti gli angeli del Signore… L’Uomo aveva vinto la triplice battaglia. L’Uomo sapeva cosa voleva dire essere uomo e aveva vinto. Era esausto. La lotta era stata più esauriente del lungo digiuno… Ma lo spirito giganteggiava… Io credo che ne hanno trasalito i Cieli a questo mio completamento di creatura dotata di cognizione. Io credo che da quel momento è venuto in Me il potere di miracolo. Ero stato Dio. Ero divenuto l’Uomo. Ora, vincendo l’animale che era connesso alla natura dell’uomo, ecco Io ero l’Uomo-Dio. Lo sono. E come Dio tutto posso. E come Uomo tutto conosco. Fate anche voi come Me, se vorrete fare ciò che Io faccio. E fatelo in memoria di Me.
   Quell’uomo si stupiva che avessi chiesto l’aiuto del Padre. E l’avessi pregato di non indurmi in tentazione. Di non lasciarmi cioè in balìa della Tentazione oltre le mie forze. Credo che quell’uomo, ora che sa, non se ne stupirà più. Fate anche voi così, in memoria di Me e per vincere come Me, e non dubitate mai, vedendomi forte in tutte le tentazioni della vita, vittorioso nelle battaglie dei cinque sensi, e del senso e del sentimento, sulla mia natura di vero Uomo oltre che di Dio. Ricordatevi di tutto ciò.

   80.11 Vi avevo promesso di portarvi là dove avreste potuto conoscere il Maestro… dall’alba del suo giorno, un’alba pura come questa che sorge, al meriggio della sua vita. Quello da cui mi sono partito per andare incontro alla mia umana sera… Ho detto a un di voi: “Anche Io mi sono preparato”. Lo vedete che era vero. Vi ringrazio di avermi fatto compagnia in questo ritorno nel luogo natale e nel luogo penitenziale. I primi contatti col mondo mi avevano già nauseato e sconfortato. È troppo brutto. Ora la mia anima si è nutrita del midollo del leone: della fusione col Padre nell’orazione e nella solitudine. E posso tornare nel mondo per riprendere la mia croce, la mia prima croce di Redentore: quella del contatto col mondo. Col mondo, nel quale troppo poche sono le anime che han nome Maria, che han nome Giovanni…
   Ora udite, tu in specie, Giovanni. Torniamo verso la Madre e verso gli amici. Io ve ne prego: non dite alla Madre la durezza che fu opposta all’amore del suo Figlio. Ne soffrirebbe troppo.
   Soffrirà per questa crudeltà dell’uomo tanto, tanto, tanto… ma non presentiamole il calice sin da ora. Sarà tanto amaro, quando le sarà dato! Così amaro che, come un tossico, le scenderà serpendo nelle viscere sante e nelle vene e gliele morderà, le gelerà il cuore. Oh! non dite alla Madre mia che Betlem ed Ebron mi hanno respinto come un cane! Pietà per Lei! Tu, Simone, sei vecchio e buono, sei spirito di riflessione e non parlerai, lo so. Tu, Giuda, sei giudeo e non parlerai per orgoglio regionale. Ma tu, Giovanni, tu, galileo e giovane, non cadere in peccato di orgoglio, di critica, di crudeltà. Taci. Più tardi… più tardi agli altri dirai quanto ora ti prego tacere. Anche agli altri. Vi è già tanto da dire su quanto è del Cristo. Perché unirvi ciò che è di Satana contro il Cristo? Amici, mi promettete tutto ciò?».
   «Oh! Maestro! Sì che te lo promettiamo! Sta’ sicuro!».
   «Grazie. Andiamo sino a quella piccola oasi. Là vi è una sorgiva, una cisterna piena di fresche acque e ombra e verzura. La strada verso il fiume la lambe. Potremo trovare cibo e ristoro fino a sera. Al chiaro delle stelle raggiungeremo il fiume, il guado. E attenderemo Giuseppe o ci uniremo a lui se già è tornato. Andiamo».
   E si incamminano mentre il primo roseo in cielo, al limite d’oriente, dice che un nuovo giorno sorge.

[4] visione del 29 gennaio 1944, ne “I quaderni del 1944”.
[5] mi chiese, in 69.5.
[6] su cento è un’aggiunta nostra