MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 152



CLII. Maria Salome viene accolta come discepola.

   2 maggio 1945.

   152.1 Gesù è in una casa che comprendo essere quella di Giacomo e Giovanni per quanto dicono coloro che sono in essa. Con Gesù, oltre i due apostoli, sono Pietro e Andrea, Simone Zelote, l’Iscariota e Matteo. Gli altri non li vedo.
    Giacomo e Giovanni sono beati. Vanno e vengono dalla madre a Gesù e viceversa come farfalle che non sanno quale fiore preferire di due ugualmente amati, e Maria Salome si accarezza ogni volta i suoi figlioloni, felice, mentre Gesù sorride.
    Devono aver preso il pasto perché ancora la tavola è apparecchiata. Ma i due vogliono per forza far mangiare a Gesù dei grappoli di uva bianca tenuta in conserva dalla madre e che deve essere dolce come un miele. Cosa non darebbero a Gesù!

   152.2 Ma Salome vuole dare e avere qualche cosa di più di quanto è uva e carezze. E dopo essere stata un poco soprappensiero guardando Gesù, guardando Zebedeo, decide. Va dal Maestro, che è seduto con le spalle appoggiate alla tavola, e gli si inginocchia davanti.
    «Che vuoi, donna?».
    «Maestro, Tu hai deciso che tua Madre e la madre di Giacomo e Giuda vengano con Te e anche Susanna ci viene, e ci verrà certo anche la grande Giovanna di Cusa. Tutte le donne che ti venerano verranno, se ne viene una sola. Vorrei esserci anche io. Prendimi, Gesù. Ti servirò con amore».
    «Tu hai Zebedeo da curare. Non lo ami più?».
    «Oh! se lo amo! Ma amo più Te. Oh! non voglio dire che ti amo come uomo. Ho sessant’anni e da quasi quaranta sono sposa, e mai ho visto altro uomo che non fosse il mio. Folle, ora che sono una vecchia, non ci divengo. Né, però, per vecchiaia mi muore l’amore per il mio Zebedeo. Ma Tu… Io non so parlare. Sono una povera donna. Dico come so. Ecco, Zebedeo lo amo con tutto quello che ero prima. Te, ti amo con tutto quello che Tu hai saputo far venire in me con le tue parole e con quelle che mi hanno dette Giacomo e Giovanni. Ed è una cosa tutta diversa… ma tanto bella».
    «Non sarà mai tanto bella come l’amore di un ottimo sposo».
    «Oh, no! Lo è molto di più!… Oh! non te ne avere a male, Zebedeo! Ti amo ancora con tutta me stessa. Ma Lui lo amo con qualche cosa che è ancora Maria, ma non è più Maria, la povera Maria tua sposa, ma è di più… Oh! che non so dire!».
    Gesù sorride alla donna che non vuole offendere il marito ma non può tacere il suo grande, nuovo amore. Anche Zebedeo sorride gravemente, accostandosi alla moglie che, sempre in ginocchio, gira su se stessa per volgersi allo sposo e a Gesù alternativamente.
    «Ma sai, Maria, che dovrai lasciare la tua casa? Tu ci tieni tanto! I tuoi colombi… i tuoi fiori… e questa vite che dà quella dolce uva di cui sei orgogliosa tanto… e i tuoi alveari, i più celebri del paese… e non più quel telaio su cui hai fatto tanta tela e tanta lana per i tuoi diletti… E i nipotini?[114] Come farai senza i tuoi piccoli nipoti?».
    «Oh! ma mio Signore! Cosa vuoi che siano le mura, i colombi, i fiori, la vite, gli alveari, il telaio, tutte cose buone, care, ma così piccine rispetto a Te e all’amare Te?! I nipotini… eh! sì! sarà una pena non poterli più addormentare nel grembo e sentirsi chiamare da essi… Ma Tu sei di più! Oh! se sei di più di tutte le cose che mi nomini! E se anche fossero, prese tutte insieme e per la mia debolezza, care quanto e più del servirti e seguirti, io, con pianto, le getterei da parte, con pianto di donna, per seguirti col riso dell’anima mia. 

   152.3 Prendimi, Maestro.
    Diteglielo voi, Giovanni, Giacomo… e tu, sposo mio. Siate buoni. Aiutatemi tutti».
    «E va bene. Verrai tu pure con le altre. Ho voluto farti meditare bene sul passato e sul presente, quello che lasci, quello che prendi. Ma vieni, Salome. Sei matura per entrare nella mia famiglia».
    «Oh! matura! Meno di un pargolo io sono. Ma Tu mi perdonerai gli errori e mi terrai per mano. Tu… perché, rozza come sono, di tua Madre e di Giovanna io avrò molta vergogna. Di tutti avrò vergogna. Meno che di Te. Perché Tu sei il Buono e tutto capisci, compatisci, perdoni».

[114] nipotini è corretto in figli delle tue figlie da MV su una copia dattiloscritta: ciò significa che Giovanni e Giacomo di Zebedeo avevano delle sorelle, come sembrerebbe anche in 49.2.