MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 154



CLIV. A Cesarea Marittima, discorso ai galeotti e incontro con Claudia Procula. Sollevata una stanchezza del "portavoce".

   4 maggio 1945.

   154.1 Gesù è al centro di una piazza, ampia e abbastanza bella, che continua con una strada molto larga, quasi un prolungamento della piazza, sino ad una riva di mare. Una galera deve avere lasciato da poco il porto e prende il largo sotto la spinta del vento e dei remi. Un’altra deve fare le manovre per entrare, perché le vele vengono ridotte e i remi vengono mossi da una sola banda per fare virare la nave in posizione conveniente. Il porto, dalla piazza, non si vede. Ma deve essere vicino. Sui lati della piazza sono allineate vaste dimore dai caratteristici muri esterni quasi privi di aperture. Nessuna bottega.
    «Dove andiamo, ora? Sei voluto venire qui invece che nel lato orientale, e qui è luogo di pagani. Chi vuoi che ti ascolti?», rimprovera Pietro.
    «Andiamo là, su quell’angolo verso il mare. Là parlerò».
    «Alle onde».
    «Anche le onde sono create da Dio».
    Vanno. Ora sono proprio sull’angolo e vedono il porto in cui entra lenta la galera vista prima e viene legata al suo posto. Qualche marittimo ozia lungo le banchine. Qualche venditore di frutta si arrischia ad andare verso la nave romana a vendere la sua merce. Nient’altro.

   154.2 Gesù, con le spalle addossate al muro, pare proprio che parli alle onde. Gli apostoli, poco soddisfatti della situazione, gli stanno intorno, parte in piedi, parte seduti su dei massi sparsi qua e là, con la intenzione che facciano da panchine.
    «Stolto è quell’uomo che vedendosi potente, sano, felice, dice: “Di che ho mai bisogno? E di chi? Di nessuno. Nulla mi manca, basto a me stesso; perciò leggi e decreti di Dio o di morale mi sono nulli. La mia legge è quella di fare ciò che io posso, senza pensare se ciò è bene o male per gli altri”».
    Un venditore si volge udendo la voce sonora e viene verso Gesù, che continua: «Così parla l’uomo e così la donna senza sapienza e senza fede. Ma se con questo mostra di avere una potenza più o meno grande, ugualmente denuncia di avere una parentela col Male».
    Degli uomini scendono dalla galera e da altre barche e vengono verso Gesù.
    «L’uomo mostra, non a parole ma a fatti, di avere parentela con Dio e con la virtù quando riflette che la vita è più mutevole di onda marina, che ora è placida e domani è furente. Ugualmente il benessere e la potenza di oggi può domani essere miseria e impotenza. E che farà allora l’uomo privo dell’unione con Dio? Quanti su quella galera furono un giorno lieti e potenti, ed ora sono schiavi e considerati rei! Rei, perciò schiavi due volte: della legge umana che inutilmente viene derisa perché essa c’è e punisce i suoi trasgressori, e di Satana che in eterno si appropria del colpevole che non giunge ad odiare la sua colpa».

   154.3 «Salve, Maestro! Come qui? Mi conosci?».
    «Dio venga a te, Publio Quintilliano. Lo vedi? Sono venuto».
    «E proprio qui nel quartiere romano. Non speravo più di vederti. Ma ho piacere di udirti».
    «Io pure. Su quella galera sono molti al remo?».
    «Molti. Prigionieri di guerra per la più parte. Ti interessano?».
    «Vorrei andare presso quella nave».
    «Vieni. Sgomberate, voi», ordina ai pochi che si sono accostati e che si scansano subito borbottando improperi.
    «Lasciali pure. Sono abituato ad essere serrato fra la gente».
    «Sino a qui posso. Non oltre. Galera militare».
    «Mi basta. Dio ti compensi».
    Gesù riprende a parlare mentre il romano pare monti la guardia al suo fianco, tutto splendido nella sua veste.
    «Schiavi per un doloroso evento, ossia schiavi una volta sola. Schiavi finché dura la vita. Ma ogni lacrima che cade sulle loro catene, ogni percossa che scende a scrivere un dolore sulle loro carni, assottiglia le manette, decora ciò che non muore, apre infine loro la pace di Dio che è amico dei suoi poveri figli infelici e che darà loro tanta gioia per quanto qui fu tanto il dolore».
    Dalle murate della galera si affacciano uomini della ciurma e ascoltano. I galeotti, naturalmente, non ci sono. Ma certo sentono giungere a loro da tutti i fori degli scalmi la voce potente di Gesù, che si sparge per l’aria quieta di quest’ora di bassa marea. Pubblio Quintilliano, chiamato da un soldato, è andato via.
    «Io voglio dire, a questi infelici che Dio ama, di essere rassegnati nel loro dolore, di non fare di esso altro che una fiamma che più presto sciolga le catene della galera e della vita, consumando in un desiderio di Dio questo povero giorno che è la vita, giorno buio, burrascoso, pieno di paure e di stenti, per entrare nel giorno di Dio, luminoso, sereno, senza più paure né languori. Nella grande pace, nella infinita libertà del Paradiso entrerete, o martiri di una penosa sorte, sol che sappiate esser buoni nel vostro soffrire e aspiriate a Dio».

   154.4 Torna Publio Quintilliano con altri soldati, e dopo di lui viene una lettiga portata da schiavi, alla quale i soldati fanno fare un posto.
    «Chi è Dio? Io parlo a gentili che non sanno chi è Dio. Parlo a figli di popoli sottomessi che non sanno chi è Dio. Nelle vostre foreste, o galli, o iberi, o traci, o germani, o celti, voi avete una parvenza di Dio. L’anima tende all’adorazione, spontaneamente, perché si ricorda del Cielo. Ma non sapete trovare il Dio vero che ha messo un’anima nei vostri corpi, un’anima uguale a quella di noi d’Israele, uguale a quella dei romani potenti che vi hanno soggiogato, un’anima che ha gli stessi doveri e gli stessi diritti verso il Bene e alla quale il Bene, ossia il Dio vero, sarà fedele. Siatelo ugualmente voi verso il Bene. Il dio, o gli dèi, che avete sin qui adorato, imparando il suo o il loro nome sulle ginocchia materne; il dio che ora forse non pensate più, perché da lui non sentite venire un conforto sul vostro soffrire, che forse giungete ad odiare e a maledire nella disperazione della vostra giornata, non è il Dio vero. Il Dio vero è Amore e Pietà. Erano forse così i vostri dèi? No. Essi pure erano durezza, ferocia, menzogna, ipocrisia, vizio, ladroneccio. E ora vi hanno lasciati senza quel minimo di conforto che è la speranza di essere amati e la certezza di un riposo dopo tanto soffrire. Così è perché i vostri dèi non sono. Ma Dio, il Dio vero che è Amore e Pietà, e del quale Io vi dico la sicura esistenza, è Colui che ha fatto i cieli, i mari, i monti, le foreste, le piante, i fiori, gli animali, l’uomo. È quello che all’uomo vittorioso inculca pietà e amore, come Egli è, verso i poveri della Terra.

   154.5 O potenti, o padroni, pensate che siete tutti di un’unica pianta. Non infierite su coloro che una sventura vi ha dato fra le mani, e siate umani anche verso quelli che un delitto ha legato al banco della galera. Molte volte l’uomo pecca. Nessuno è senza colpe più o meno segrete. Se questo pensaste, sareste ben buoni verso i fratelli che meno fortunati di voi sono stati puniti per colpe che voi pure avete fatte rimanendo impuniti.
    La giustizia umana è una cosa così incerta nel giudicare che guai se ugualmente lo fosse la divina. Vi sono rei che tali non sembrano, vi sono innocenti che sono giudicati rei. Non indaghiamo perché. Ciò sarebbe troppa accusa per l’uomo ingiusto e pieno di odio verso il suo simile! Vi sono rei che tali sono, ma portati al delitto da forze prepotenti che scusano in parte la colpa. Perciò voi, preposti alle galere, siate umani. Sopra la giustizia umana vi è una Giustizia divina ben più alta. Quella del Dio vero, del Creatore del re e dello schiavo, della rupe e del granello di rena. Egli vi guarda, voi del remo e voi preposti alla ciurma, e guai a voi se sarete crudeli senza ragione. Io, Gesù Cristo, il Messia del Dio vero, ve lo assicuro: Egli, alla vostra morte, vi legherà ad una galera eterna, affidando lo staffile macchiato di sangue ai demoni, e sarete torturati e percossi come torturaste. Perché, se è legge umana che il reo sia punito, occorre nella punizione non passare la misura. Sappiatelo ricordare. Il potente di oggi può essere il miserabile di domani. Dio solo è eterno.
    Io vorrei mutarvi il cuore e vorrei soprattutto sciogliere le catene, rendervi alle libertà e alle patrie perdute. Ma, fratelli galeotti che non vedete il mio volto e dei quali Io non ignoro il cuore con tutte le sue ferite, per la libertà e la patria della Ter ra che Io non vi posso dare, o poveri uomini schiavi dei potenti, Io vi darò una più alta libertà e patria. Per voi mi sono fatto prigioniero e senza la patria mia, per voi darò Me stesso a riscatto, per voi, anche per voi, non obbrobrio della Terra, come siete detti, ma vergogna dell’uomo che dimentica la misura nel rigore della guerra e della giustizia, Io farò una nuova legge sulla Terra e una dolce dimora in Cielo.
    Ricordate il mio Nome, figli di Dio che piangete. È il nome dell’Amico. Ditelo nelle vostre pene. Siate sicuri che se mi amerete mi avrete anche se sulla Terra mai ci vedremo. Sono Gesù Cristo, il Salvatore, l’Amico vostro. In nome del Dio vero Io vi conforto. Presto venga la pace su di voi».

   154.6 La folla, per la più parte romana, si è assiepata intorno a Gesù, i cui concetti nuovi hanno sbalordito tutti.


    «Per Giove! Mi hai fatto pensare a cose nuove alle quali mai avevo pensato. Ma che sento vere…». Pubblio Quintilliano guarda Gesù, pensieroso e trasportato insieme.
    «Così è, amico. Se l’uomo usasse il pensiero non giungerebbe a commettere delitto».
    «Per Giove, per Giove! Che parole! Me le devo ricordare! Hai detto: “Se l’uomo usasse il pensiero…”».
    «…non giungerebbe a commettere delitto».
    «Ma è vero! Per Giove! Ma sai che sei grande?!».
    «Ogni uomo che volesse potrebbe esserlo come Me, se fosse tutt’uno con Dio».
    Il romano continua la sua sequela di «per Giove», uno più ammirativo dell’altro.
    Ma Gesù gli dice: «Potrei dare un conforto a quei galeotti? Ho del denaro… Un frutto, un sollievo, perché sappiano che li amo».
    «Da’ qui. Lo posso fare. E del resto là vi è una dama che molto può. L’interrogo». Pubblio va alla lettiga e parla presso le tendine appena aperte a fessura. Torna: «Ne ho pieno potere. Provvedo io alla distribuzione acciò gli aguzzini non se ne abusino. E sarà l’unica volta che un soldato imperiale userà pietà agli schiavi di guerra».
    «La prima. Non l’unica. Vi sarà un giorno in cui non vi saranno più schiavi; e prima ancora i miei discepoli saranno scesi fra i galeotti e gli schiavi a chiamarli fratelli».
    Un’altra serie di «per Giove» vanno per l’aria calma mentre Pubblio attende di avere sufficientemente frutta e vino per i galeotti.

   154.7 Poi, prima di salire sulla galera, dice, accostandosi all’orecchio di Gesù: «Là dentro vi è Claudia Procula. Vorrebbe udirti ancora. Ma intanto ti vuole chiedere qualcosa. Va’».
    Gesù va verso la lettiga.
    «Salve, Maestro». La tendina si scosta appena, mostrando una bella donna sui trent’anni.
    «Venga in te desiderio di sapienza».
    «Hai detto che l’anima si ricorda dei Cieli. È dunque eterna questa cosa che voi dite essere in noi?».
    «È eterna. Perciò si ricorda di Dio[115]. Del Dio che l’ha creata».
    «Cosa è l’anima?».
    «L’anima è la vera nobiltà dell’uomo. Tu sei gloriosa perché dei Claudi. L’uomo lo è di più perché è di Dio. In te è il sangue dei Claudi, la famiglia potente ma che ebbe un’origine e avrà una fine. Nell’uomo, per l’anima, è il sangue di Dio. Perché l’anima è il sangue spirituale – essendo Dio Spirito purissimo – del Creatore dell’uomo: di Dio eterno, potente, santo. L’uomo è dunque eterno, potente, santo, per l’anima che è in lui e che è viva finché è unita a Dio».
    «Io sono pagana. Non ho dunque anima…».
    «L’hai. Ma è avvolta in letargo. Svegliala alla Verità e alla Vita…».
    «Addio, Maestro».
    «La Giustizia ti conquisti. Addio».

   154.8 «Come vedete, anche qui ho avuto ascoltatori», dice Gesù ai discepoli.
    «Sì. Ma, meno i romani, chi ti avrà capito? Sono barbari!».
    «Chi? Tutti. La pace è in loro e si ricorderanno di Me molto più che molti altri in Israele. Andiamo nella casa che ci ospita per il pasto».
    «Maestro, quella donna è la stessa che mi ha parlato quel giorno[116] che Tu guaristi quel malato. Io l’ho vista e riconosciuta», dice Giovanni.
    «Vedete dunque che vi era chi anche qui ci attendeva. Ma non ne sembrate molto soddisfatti. Molto avrò fatto quel giorno che vi avrò fatti persuasi che non solo per gli ebrei ma per tutti i popoli Io sono venuto e per tutti Io vi ho preparati. Vi dico però: ricordate tutto del Maestro vostro. Non vi è fatto, per insignificante che sia, che non vi abbia a divenire un giorno regola nell’apostolato».
    Nessuno risponde e Gesù ha un mesto sorriso di compatimento.

   154.9 Questa mattina ne ha avuto uno anche per me…
    Mi era preso un così completo sconforto che mi sono messa a piangere per tante cose, non ultima fra esse la stanchezza di scrivere e scrivere con la convinzione che tanta bontà di Dio e tanta fatica del piccolo Giovanni siano proprio inutili. E ho invocato piangendo il mio Maestro e, poi che per sua bontà è venuto tutto per me, gli ho detto il mio pensiero.
    Ha avuto un moto delle spalle equivalente ad un: «Lascia perdere il mondo e le sue storie», e poi mi ha accarezzata dicendo: «E che? Non vorresti aiutarmi ancora? Il mondo non vuole la conoscenza delle mie parole? Ebbene, raccontiamocele fra noi, per mia gioia nel ripeterle ad un cuore fedele, per la tua di udirle. Le stanchezze dell’apostolato!… Più accascianti di quelle di qualsiasi lavoro! Levano luce al giorno più sereno e dolcezza al più dolce cibo. Tutto diviene cenere e fango, nausea e fiele. Ma, anima mia, sono queste le ore in cui noi ci carichiamo della stanchezza, del dubbio, della miseria dei mondani che muoiono di non possedere ciò che noi abbiamo. E sono le ore in cui facciamo di più. Te l’ho detto anche lo scorso anno. “A che pro?” si chiede l’anima sommersa di ciò che sommerge il mondo, ossia delle onde mandate da Satana. E il mondo affoga. Ma l’anima inchiodata col suo Dio sulla croce non affoga. Perde per un attimo la luce e sprofonda sotto l’onda nauseante della stanchezza spirituale, e poi emerge più fresca e più bella. Il tuo dire: “Io non sono più buona a nulla” è una conseguenza di questa stanchezza. Tu non saresti mai buona a nulla. Ma Io sono sempre Io e perciò tu sarai sempre buona al tuo compito di por tavoce. Certo che, se vedessi che, come pesante e preziosissima gemma, il mio dono venisse con avarizia nascosto, con imprudenza usato, o con ignavia non cercato di tutelare sotto quelle garanzie che la cattiveria umana impone di usare in questi casi per tutelare il dono e la creatura attraverso alla quale il dono viene dato, Io direi il mio “basta”. E questa volta senza ritorni. Basta per tutti, fuorché per la mia piccola anima che oggi sembra proprio un fiorellino sotto un acquazzone. E puoi, con queste carezze, dubitare che Io ti ami? Su! Mi hai aiutato nel tempo di guerra. Aiutami ora, ancora… C’è tanto da fare».
    E mi sono calmata sotto la carezza della lunga mano e del sorriso così dolce del mio Gesù, candido come sempre quando è tutto per me.

[115] si ricorda di Dio… sangue di Dio. Dio, per bontà infinita e paterna – così annota MV su una copia dattiloscritta – fa che in ogni anima d’uomo sia uno stimolo verso la Sorgente da cui venne; ciò che dà origine alla legge naturale anche nel selvaggio. Parlando a pagani o ignoranti, Gesù usa termini materiali, come “sangue”, per far capire. Quanto alla legge naturale, in 288.4 si dimostrerà che essa è rispecchiata nei dieci comandamenti.
[116] mi ha parlato quel giorno, come ha già riferito in 116.1.