MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 155



CLV. A Cesarea, guarigione di una bambina romana e diverbio sui contatti con i pagani.

   5 maggio 1945.

   155.1 Dice Gesù: «Piccolo Giovanni, vieni con Me ché ti devo fare scrivere una lezione per i consacrati di oggi. Vedi e scrivi».

   155.2 Gesù è ancora a Cesarea Marittima. Non è più in quella piazza di ieri ma in un luogo più interno, dal quale però ancora si vedono il porto e le navi. Qui sono molti fóndachi e botteghe e, dato che anche per terra, in questo spazio terroso, sono stuoie con merci varie, arguisco essere presso i mercati, che forse erano situati vicino al porto e ai magazzini per comodità dei naviganti e degli acquirenti le merci portate per mare. Vi è molto brusio e andare e venire di folla.
    Gesù aspetta con Simone e i cugini che gli altri abbiano preso le cibarie che abbisognano. Dei bambini guardano curiosamente Gesù che li accarezza dolcemente mentre parla con i suoi apostoli. Dice Gesù: «Mi spiace vedere il malcontento perché avvicino gentili. Ma Io non posso che fare ciò che devo ed essere buono con tutti. Sforzatevi ad essere buoni almeno voi tre e Giovanni; gli altri vi verranno dietro per imitazione».
    «Ma come si fa ad essere buoni con tutti? Infine essi ci sprezzano e opprimono, non ci capiscono, sono pieni di vizi…», si scusa Giacomo d’Alfeo.
    «Come si fa? Tu sei contento di essere nato da Alfeo e da Maria?».
    «Sì. Certo. Perché me lo chiedi?».
    «E se fossi stato interrogato da Dio prima di essere concepito, avresti voluto nascere da loro?».
    «Ma sì. Non capisco…».
    «E se invece fossi nato da un pagano, sentendoti accusare di esser voluto nascere da un pagano, che avresti detto?».
    «Avrei detto… avrei detto: “Io non ho colpa di questa cosa.
    Sono nato da lui, ma avrei potuto nascere da un altro”. Avrei detto: “Siete ingiusti nell’accusa. Se non faccio del male, perché mi odiate?”».
    «Lo hai detto. Anche questi, che voi sprezzate perché pagani, possono dire la stessa cosa. Tu non hai merito ad esser nato da Alfeo, vero israelita. Ne devi ringraziare solo l’Eterno perché ti ha fatto un grande dono, e per riconoscenza ed umiltà cercare di portare al Dio vero altri che non hanno questo dono.

   155.3 Buoni bisogna essere».
    «È difficile amare chi non si conosce!».
    «No. Guarda. Tu, piccino, vieni qui».
    Si accosta un bambino di un otto anni circa, che giuoca in un angolo con altri due maschietti. Un bambino robusto e molto bruno di capelli mentre ha carne bianchissima.
    «Chi sei?».
    «Sono Lucio, Caio Lucio di Caio Mario, romano sono, figlio del decurione di guardia, qui rimasto dopo la ferita».
    «E quelli chi sono?».
    «Sono Isacco e Tobia. Ma non si deve dirlo perché non si può. Sarebbero percossi».
    «Perché?».
    «Perché loro sono ebrei e io sono romano. Non si può».
    «Ma tu ci stai con loro. Perché?».
    «Perché ci vogliamo bene. Giuochiamo sempre insieme ai dadi e al saltarello. Ma si sta nascosti».
    «E a Me vorresti bene? Sono ebreo anche Io e non sono un bambino. Pensa: sono un maestro, come dire un sacerdote».
    «E a me che mi preme? Se mi vuoi bene, io ti voglio bene. E bene ti voglio perché Tu mi vuoi bene».
    «Come lo sai?».
    «Perché sei buono. Chi è buono vuole bene».
    «Ecco, amici. Il segreto per amare. Essere buoni. Allora si ama senza pensare se questo è o non è di una fede».
    E Gesù, tenendo per mano il piccolo Caio Lucio, va a carezzare i piccoli ebrei che si sono spaventati e nascosti dietro un androne, e dice loro: «I buoni bambini sono angeli. Gli angeli hanno una sola patria: il Paradiso. Hanno una sola religione: quella dell’unico Dio. Hanno un solo tempio: il Cuore di Dio. Vogliatevi bene, da angeli, sempre».
    «Ma se ci vedono ci picchiano…».
    Gesù crolla mestamente il capo e non ribatte…

   155.4 Una donna alta e formosa chiama Lucio e questo lascia Gesù gridando: «La mamma!», e alla donna grida: «Ho un amico grande, sai? È un maestro!…».
    La donna non si allontana col figlio, ma anzi viene verso Gesù e lo interroga: «Salve. Sei Tu l’uomo di Galilea che ieri parlò al porto?».
    «Sono Io».
    «Attendimi qui, allora. Farò presto», e se ne va col suo piccolo.
    Anche gli altri apostoli sono intanto giunti, tutti meno Matteo e Giovanni, e chiedono: «Chi era?».
    «Una romana, credo», rispondono Simone e gli altri.
    «E che voleva?».
    «Ha detto di aspettare qui. Lo sapremo».
    Della gente intanto è venuta vicino e curiosa attende.
    Torna la donna con altri romani. «Tu dunque sei il Maestro?», chiede uno che pare un servo di casa signorile. E avutane conferma chiede: «Ti sarebbe ribrezzo curare una piccola figlia di un’amica di Claudia? La bambina è morente perché soffoca, né il medico sa di che muore. Ieri sera sana. Questa mattina in agonia».
    «Andiamo».
    Fanno pochi passi per una via che va verso il posto di ieri e giungono al portone spalancato di una casa che sembra abitata da romani.
    «Attendi un momento». L’uomo entra veloce e quasi subito si riaffaccia dicendo: «Vieni».

   155.5 Ma prima ancora che Gesù possa entrare, ne esce una giovane di aspetto signorile, ma in una condizione di strazio più che visibile. Ha sulle braccia una creaturina di pochi mesi abbandonata, livida come uno che affoga. Io direi che aveva una difterite mortale e che è agli ultimi attimi di vita. La donna si rifugia sul petto di Gesù come un naufrago su uno scoglio. Il suo pianto è tale che non la lascia parlare.
    Gesù prende la creaturina, che ha dei piccoli moti convulsivi nelle manine ceree dalle unghiette già violacee, e la alza. Il capino spenzola all’indietro senza forza. La madre, senza più superbia di romana rispetto all’ebreo, è scivolata ai piedi di Gesù, nella polvere, e singhiozza col volto levato, i capelli mezzi disciolti, le braccia tese che brancicano la veste e il mantello di Gesù. Dietro e intorno, romani della casa e ebree della città che guardano.
    Gesù bagna il suo indice destro con la sua saliva e lo mette nella bocchina anelante, lo ficca in giù. La bambina si dibatte e diviene più nera ancora. La madre urla: «No! No!» e pare una che si torca sotto una lama che la trapassi. La gente trattiene il respiro.
    Ma il dito di Gesù esce insieme ad un ammasso di membrane purulente e la bambina non si dibatte più e, dopo un piccolo versolino di pianto, si calma in un sorriso innocente, agitando le manine e muovendo le labbra come un uccellino che pigoli sbattendo le alucce in attesa della imboccata.
    «Prendi, donna. Dàlle il latte. È guarita».
    La madre è talmente sbalordita che prende la piccolina e stando come è, nella polvere, se la bacia, se la carezza, le dà il seno, folle, dimentica di tutto che non sia la sua piccina.
    Un romano chiede a Gesù: «Ma come hai potuto? Io sono il medico del Proconsole e dotto sono. Ho cercato rimuovere l’ostacolo. Ma era giù, troppo giù!… E Tu… così…».
    «Dotto sei. Ma con te non è il Dio vero. Ne sia Egli benedetto! Addio». E Gesù fa per andare.

   155.6 Ma ecco che un gruppetto di israeliti sente il bisogno di intervenire. «Come ti sei permesso di accostare degli stranieri? Corrotti, impuri sono, e chiunque li avvicini si rende tale».
    Gesù li guarda – sono in tre – fisso, severo, e poi parla:
    «Non sei tu Aggeo? L’uomo di Azoto qui venuto lo scorso tisri a cercare di stringere affari col mercante che sta alle fondamenta del vecchio fontanile? E tu non sei Giuseppe di Rama, venuto qui per consultare il medico romano, e tu ne sai, come Io so, il perché? E allora? Non vi sentite voi impuri?».
    «Il medico non è mai straniero. Cura il corpo, e il corpo è uguale per tutti».
    «L’anima lo è con più ragione del corpo. Del resto, che ho Io curato? Il corpo innocente di un pargolo, e con questo mezzo spero curare le anime non innocenti degli stranieri. Come medico e come Messia posso dunque avvicinare chiunque».
    «Non lo puoi».
    «No, Aggeo? E tu perché tratti col mercante romano?».
    «Non lo avvicino che con la merce e il denaro».
    «E poiché non tocchi la sua carne, ma solo quello che fu dalla sua mano toccato, non ti pare di contaminarti. Oh! ciechi e crudeli!

   155.7 Udite tutti. Proprio nel libro del Profeta di cui costui porta il nome è detto[117]: “Rivolgi ai sacerdoti questa questione sulla Legge: ‘ Se un uomo porta della carne santificata nel lembo del suo vestito e con esso tocca poi vino o pietanze, pane o olio o altri alimenti, saranno questi santificati? ’. E i sacerdoti risposero: ‘ No ’. Allora Aggeo disse: ‘ Se uno, immondo a causa di un morto, toccherà una di queste cose, sarà essa contaminata? ’. E i sacerdoti risposero: ‘ Sì ’”.
    Per questa subdola, menzognera, incoerente maniera di agire, voi precludete e condannate il Bene e solo accettate ciò che è vostro utile. Allora cessa lo sdegno, lo schifo, il ribrezzo. Voi distinguete, purché ciò non vi porti a danno personale, se questo è immondo e rende immondo, o se quell’altro non lo è. E come potete, bocche di menzogna, professare che se ciò che è santificato dall’aver toccato carne santa, o cosa santa, non santifica ciò che tocca; ciò che ha toccato cosa immonda possa rendere immondo ciò che tocca?
    Non capite che vi smentite, bugiardi ministri di una Legge di Verità, profittatori della stessa che torcete come canapo a seconda che vi preme trarne un utile, ipocriti farisei che sotto il pretesto religioso sfogate il vostro livore umano, tutto umano, profanatori di ciò che è di Dio, insultatori e nemici del Messo di Dio? In verità, in verità vi dico che ogni vostro atto, ogni vostra conclusione, ogni vostro movimento ha per movente tutto un meccanismo astuto a cui fanno da ruote e da molle, da pesi e tiranti, i vostri egoismi, le vostre passioni, le vostre insincerità, i vostri odi, le vostre seti di sopraffare, le vostre invidie.
    Vergogna! Avidi, tremebondi, astiosi, voi vivete nella paura orgogliosa che uno vi superi pur non essendo della vostra casta. E meritate, allora, di essere come quell’uno che vi fa paura e ira! Voi che, come dice Aggeo, di un mucchio di venti moggia ne fate uno di dieci, e di cinquanta barili venti, intascando l’utile della differenza, mentre, e per l’esempio da dare all’uomo e per l’amore da dare a Dio, dovreste al mucchio delle moggia e al mucchio dei barili non levare ma aggiungere del vostro a pro di chi ha fame, meritate di essere steriliti col vento infocato e con la ruggine e la grandine in tutte le opere delle vostre mani.
    Chi sono fra voi quelli che vengono a Me? Questi, questi che per voi sono sterco e immondezza, queste supreme ignoranze che neppure sanno esservi il vero Dio, vengono a chi questo Dio porta presente nelle parole e nelle opere. Ma voi, ma voi! Voi vi siete fatti una nicchia, e lì state. Aridi, freddi come idoli in attesa degli incensi e delle adorazioni. E, poi che dèi vi credete, vi pare inutile pensare al vero Iddio, così come va pensato, e pericoloso vi sembra che altri, che voi non siete, osino ciò che voi non osate. Voi non lo potete, in verità, osarlo, perché siete idoli. E perché siete servi dell’Idolo. Ma colui che osa può, perché non lui ma Dio in lui opera.

   155.8 Andate! Riferite a chi vi ha messo alle mie calcagna che Io ho sdegno dei mercanti che non reputano contaminazione vendere le merci o la patria o il Tempio a coloro da cui hanno denaro. Dite a costoro che Io ho ribrezzo per i bruti che hanno solo il culto della propria carne e del proprio sangue, e per la guarigione di questi non reputano contaminazione avvicinare il medico straniero. Dite che uguale è la misura e non vi sono due misure. Dite che Io, il Messia, il Giusto, il Consigliere, l’Ammirabile, Quello che avrà su di Lui lo Spirito del Signore nei suoi sette doni, Quello che non giudicherà per quello che apparisce agli occhi ma per quello che è segreto dei cuori, Quello che non condannerà per quello che sente cogli orecchi ma per le voci spirituali che udrà nell’interno di ogni uomo, Quello che prenderà le difese degli umili e giudicherà con giustizia i poveri, Quello che Io sono, perché questo Io sono, già sta giudicando e percuotendo quelli che sulla Terra solo terra sono, e il soffio del mio respiro farà morire l’empio e sterminerà il suo covo, mentre sarà Vita e Luce, Libertà e Pace per coloro che, desiderosi di giustizia e di fede, verranno al mio monte santo, a saziarsi della Scienza del Signore.
    Questo è Isaia[118], non è vero? Il mio popolo! Tutto viene da Adamo, e Adamo viene dal Padre mio. Tutto è dunque opera del Padre e tutti ho il dovere di radunare al Padre. Ed Io te li conduco, o Padre santo, eterno, potente, Io te li conduco i figli erranti dopo averli radunati chiamandoli con le voci dell’amore, radunandoli sotto la mia verga pastorale simile a quella che Mosè alzò contro i serpenti di morte. Perché Tu abbia il tuo Regno ed il tuo popolo. Né faccio distinzioni, perché in fondo ad ogni vivente Io vedo un punto che splende più del fuoco: l’anima, una scintilla di Te, eterno Splendore. O mio eterno desiderio! O mio instancabile volere!
    Questo voglio. Di questo ardo. Una Terra che canti tutta il tuo Nome. Una umanità che ti chiami Padre. Una redenzione che tutti salvi. Una volontà fortificata che faccia tutti ubbidienti alla volontà tua. Un trionfo eterno che empia il Paradiso di un osanna senza fine… Oh! moltitudine dei Cieli!… Ecco. Io vedo il sorriso di Dio… e questo è il premio contro ogni durezza umana».

   155.9 I tre sono fuggiti sotto la grandine dei rimproveri. Gli altri, tutti, romani o ebrei, sono rimasti a bocca aperta. La donna romana, con la piccolina sazia di latte che dorme placida nel grembo materno, è rimasta là dove era, quasi ai piedi di Gesù, e piange di gioia materna e di commozione spirituale. Molti piangono per la travolgente chiusa di Gesù, che pare fiammeggiare nella sua estasi.
    E Gesù, abbassando gli occhi e lo spirito dal Cielo alla Terra, vede la folla, vede la madre… e nel passare, dopo un gesto di addio a tutti, sfiora con la mano la giovane romana, come a benedirla per la sua fede. E se ne va, coi suoi, mentre la gente, ancora stupita, resta dove è…

   155.10 (La giovane romana, se non è una fortuita somiglianza, è una delle romane che erano con Giovanna di Cusa sulla via del Calvario[119]. Posto che qui nessuno l’ha chiamata a nome, sono incerta).

[117] è detto, in: Aggeo 2, 11-13; segue altra citazione da: Aggeo 2, 16.
[118] è Isaia, cioè: Isaia 11, 1-5.
[119] sulla via del Calvario, in 608.9 (visione scritta due mesi prima e che è nel decimo volume). Si tratta, come vedremo in 167.3, della romana Valeria con la figlioletta Faustina.