MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 106



CVI. Cacciata da Nazareth e conforto alla Madre. Riflessioni su quattro contemplazioni.

   Sera del 13 febbraio 1944.

   106.1 Vedo uno stanzone quadrato. Dico stanzone, per quanto capisca che è la sinagoga di Nazareth (come mi dice l’interno ammonitore) perché non c’è altro che le pareti nude tinte di giallino e una specie di cattedra da un parte. Vi è anche un alto leggio con sopra dei rotoli. Leggio, scansia, dica come crede. È, insomma, una specie di tavola inclinata, sorretta su un piede e sulla quale sono allineati dei rotoli.
   Vi è della gente che prega, non come preghiamo noi, ma volti tutti da un lato con le mani non congiunte ma come su per giù sta un sacerdote all’altare.
   Vi sono delle lampade messe sopra alla cattedra e al leggio.
   Non vedo lo scopo di questa veduta, che non si cambia e che mi resta fissa così per del tempo. Ma Gesù mi dice di scriverla e lo faccio[43]. […].

   106.2 Mi trovo nella sinagoga di Nazareth, da capo. Ora il rabbino legge. Sento la cantilena della voce nasale, ma non capisco le parole dette in una lingua a me ignota.
   Fra la gente vi è anche Gesù coi cugini apostoli e con altri che sono certo parenti essi pure, ma che non conosco.
   Dopo la lettura, il rabbino volge lo sguardo sulla folla in muta domanda. Gesù si fa avanti e chiede di tenere Lui l’adunanza, oggi.
   Odo la sua bella voce leggere il passo[44] di Isaia citato dal Vangelo: «Lo spirito del Signore è sopra di Me…». E odo il commento che Egli ne fa, dicendosi «il portatore della Buona Novella, della legge d’amore che sostituisce il rigore di prima con la misericordia, per cui tutti coloro che la colpa d’Adamo fa malati nello spirito, e nella carne per riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio, e il vizio malattia anche fisica, otterranno la salute. Per cui tutti coloro che sono prigionieri dello Spirito del male avranno liberazione. Io sono venuto a rompere queste catene, a riaprire la via dei Cieli, a dar luce alle anime acciecate e udito alle anime sorde. È venuto il tempo della Grazia del Signore. Ella è fra voi, Ella è questa che vi parla. I Patriarchi hanno desiderato vedere questo giorno, di cui la voce dell’Altissimo ha proclamato l’esistenza ed i Profeti hanno predetto il tempo. E già, portata a loro da ministero soprannaturale, conoscono che l’alba di questo giorno s’è levata, e il loro ingresso nel Paradiso è ormai vicino e ne esultano coi loro spiriti, santi ai quali non manca che la mia benedizione per esser cittadini dei Cieli. Voi lo vedete. Venite alla Luce che è sorta. Spogliatevi delle vostre passioni per esser agili a seguire il Cristo. Abbiate la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la salute, e la salute vi sarà data. Essa è in mia mano. Ma non la do che a chi ha buona volontà di averla. Perché sarebbe offesa alla Grazia darla a chi vuol continuare a servire Mammona».

   106.3 Il mormorio si leva per la sinagoga.
   Gesù gira lo sguardo. Legge sui volti e nei cuori e prosegue: «Comprendo il vostro pensiero. Voi, poiché sono di Nazareth, vorreste un favore di privilegio. Ma questo per il vostro egoismo, non per potenza di fede. Onde Io vi dico che in verità nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Altri paesi mi hanno accolto e mi accoglieranno con maggior fede, anche quelli il cui nome è scandalo fra di voi. Là Io mieterò i miei seguaci, mentre in questa terra nulla potrò fare, perché m’è chiusa e ostile. Ma vi ricordo[45] di Elia e d’Eliseo. Il primo trovò fede in una donna fenicia e il secondo in un siro. E a quella e a questo poterono operare il miracolo. I morenti di fame d’Israele ed i lebbrosi d’Israele non ebbero pane e mondezza, perché il loro cuore non aveva la buona volontà come perla fine che il Profeta vedeva. Questo succederà a voi pure, che siete ostili e increduli alla Parola di Dio».

   106.4 La folla tumultua e impreca e tenta mettere le mani addosso a Gesù. Ma gli apostoli-cugini[46] – Giuda, Giacomo e Simone – lo difendono, ed allora gli infuriati nazareni cacciano fuori dalla città Gesù. Lo inseguono con minacce, non solamente verbali, sino al ciglio del monte. Ma Gesù si volge e li immobilizza col suo sguardo magnetico, e passa incolume in mezzo a loro, scomparendo su per un sentiero del monte.

   106.5 Vedo una piccola, piccolissima borgata. Un pugno di case. Una frazione, diremmo noi ora. È più alta di Nazareth, che si vede più sotto, e dista dalla stessa pochi chilometri. Una borgatella misera misera.
   Gesù parla con Maria stando seduto su un muretto presso una casuccia. Forse è una casa amica, o per lo meno ospitale secondo le leggi dell’ospitalità orientale. E Gesù ci si è rifugiato dopo esser stato scacciato da Nazareth, per attendere gli apostoli che certo si erano sparsi nella zona mentre Egli era presso la Madre.
   Con Lui non ci sono che i tre apostoli-cugini, i quali, in questo momento, sono raccolti nell’interno della cucina e parlano con una donna anziana che Taddeo chiama «madre». Perciò capisco che è Maria di Cleofa. È una donna piuttosto anziana e la riconosco per quella che era con Maria Ss. alle nozze di Cana. Certo Maria di Cleofa e i figli si sono ritirati là per lasciare liberi Gesù e la Madre di parlare.

   106.6 Maria è afflitta. Ha saputo del fatto della sinagoga ed è addolorata. Gesù la consola. Maria supplica il Figlio di stare lontano da Nazareth, dove tutti sono maldisposti verso di Lui, anche gli altri parenti, che lo giudicano un pazzo desideroso di suscitare rancori e dispute. Ma Gesù fa un gesto sorridendo. Pare dica: «Ci vuol altro, lascia perdere!». Ma Maria insiste.
   Allora Egli risponde: «Mamma, se il Figlio dell’uomo dovesse andare unicamente là dove è amato, dovrebbe volgere il suo passo da questa Terra e tornare al Cielo. Ho ovunque dei nemici. Perché la Verità è odiata, ed Io sono Verità. Ma Io non sono venuto per trovare facile amore. Io sono venuto per fare la volontà del Padre e redimere l’uomo. L’amore sei tu, Mamma, il mio amore, quello che mi compensa di tutto. Tu e questo piccolo gregge, che tutti i giorni si accresce di qualche pecorella che Io strappo ai lupi delle passioni e porto nell’ovile di Dio. Il resto è il dovere. Sono venuto per compiere questo dovere e lo devo compiere anche fino a sfracellarmi contro le pietre dei cuori tetragoni al bene. Anzi, solo quando sarò caduto, bagnando di sangue quei cuori, Io li ammollirò stampandovi il mio segno che annulla quello del Nemico. Mamma, sono sceso dal Cielo per questo. Non posso che desiderare di compiere questo».
   «Oh! Figlio! Figlio mio!». Maria ha la voce straziata. Gesù la carezza. Noto che Maria ha sul capo, oltre il velo, anche il manto. È più che mai velata, come una sacerdotessa.

   106.7 «Starò assente qualche tempo, per farti contenta. Quando sarò vicino manderò ad avvisarti».
   «Manda Giovanni. Mi pare di vedere un poco Te nel vedere Giovanni. Anche la madre sua è piena di cure per me e per Te. Ella spera, è vero, un posto di privilegio per i suoi figli. È donna ed è mamma, Gesù. Bisogna compatirla. Ne parlerà anche a Te. Ma ti è devota sinceramente. E quando sarà liberata dall’umanità, che fermenta in lei come nei suoi figli, come negli altri, come in tutti, Figlio mio, sarà grande nella fede. È doloroso che tutti sperino da Te un bene umano, un bene che, anche se non è umano, è egoista. Ma il peccato è in loro con la sua concupiscenza. Ancora l’ora benedetta, e tanto, tanto temuta, per quanto l’amore di Dio e dell’uomo me la faccia desiderare, in cui Tu annullerai il Peccato, non è venuta. Oh! quell’ora! Come trema il cuore della tua Mamma per quell’ora! Che ti faranno, Figlio? Figlio Redentore, di cui i Profeti dicono tanto martirio?».
   «Non ci pensare, Mamma. Dio ti aiuterà in quell’ora. Me e te aiuterà Dio. E dopo sarà la pace. Te lo dico una volta ancora. Ora va’, ché la sera scende e lungo è il cammino. Io ti benedico».

   
   106.8
Dice Gesù: «Piccolo Giovanni, molto lavoro oggi. Ma siamo indietro di un giorno e non si può andare piano. Ti ho dato la forza per questo, oggi.
   Le quattro contemplazioni[47] te le ho concesse per poterti parlare sui dolori di Maria e miei, preparatori alla Passione. Avrei dovuto parlarne ieri, sabato, giorno dedicato a mia Madre. Ma ho avuto pietà. Oggi si riprende il tempo perduto. Dopo i dolori che ti ho fatto conoscere, Maria ha avuto anche questi. Ed Io con Lei.

   106.9 Il mio sguardo aveva letto nel cuore di Giuda Iscariota.
   Nessuno deve pensare che la Sapienza di Dio non sia stata capace di comprendere quel cuore. Ma, come ho detto a mia Madre, egli ci voleva. Guai a lui per esser stato il traditore! Ma un traditore ci voleva. Doppio, astuto, avido, lussurioso, ladro, e intelligente e colto più della massa, egli aveva saputo imporsi a tutti. Audace, mi spianava la via, anche se era via difficile. Gli piaceva, oltre tutto, emergere e far risaltare il suo posto di fiducia presso di Me. Non era servizievole per istinto di carità. Ma unicamente perché era uno di quelli che voi chiamereste “faccendoni”. Ciò gli permetteva anche di tenere la borsa e di avvicinare la donna. Due cose che, insieme alla terza, la carica umana, amava sfrenatamente.
   La Pura, l’Umile, la Distaccata dalle ricchezze terrene, non poteva non avere ribrezzo di quel serpe. Io pure ne avevo ribrezzo. Ed Io solo ed il Padre e lo Spirito sappiamo quali superamenti ho dovuto sostenere per poterlo sopportare vicino. Ma te li spiegherò in altro tempo.

   106.10 Ugualmente non ignoravo l’ostilità dei sacerdoti, farisei, scribi e sadducei. Erano volpi astute che cercavano spingermi nella loro tana per sbranarmi. Avevano fame del mio sangue. E cercavano di mettermi trappole ovunque per catturarmi, per avere arma di accusa, per levarmi di mezzo. Per tre anni è stata lunga l’insidia e non si è placata altro che quando mi hanno saputo morto. Quella sera hanno dormito felici. La voce del loro accusatore era per sempre estinta. Lo credevano. No. Non è ancora spenta. Non lo sarà mai e tuona, tuona e maledice i loro simili di ora. Quanto dolore ebbe mia Madre per colpa di loro! Ed Io quel dolore non lo dimentico.

   106.11 Che la folla fosse volubile, non era cosa nuova. Essa è la belva che lecca la mano del domatore, se è armata di scudiscio o se offre un pezzo di carne alla sua fame. Ma, basta che il domatore cada e non possa più usare lo scudiscio, oppure non abbia più prede per la sua fame, che essa si avventa e lo sbrana. Basta dire la verità ed essere dei buoni per essere odiati dalla folla dopo il primo momento di entusiasmo. La verità è rimprovero e monito. La bontà spoglia dello scudiscio e fa sì che i non buoni non temano più. Onde: “crucifige”, dopo aver detto: “osanna”. La mia vita di Maestro è satura di queste due voci. E l’ultima è stata “crucifige”. L’osanna è come l’anelito che prende il cantore per aver fiato di fare l’acuto. Maria, nella sera del Venerdì Santo, ha riudito in sé tutti gli osanna bugiardi, divenuti urli di morte per la sua Creatura, e ne è rimasta trafitta. Anche questo Io non lo dimentico.

   106.12 L’umanità degli apostoli! Quanta! Portavo sulle braccia, per alzarli al Cielo, dei massi che pesavano verso terra. Anche coloro che non si vedevano ministri di un re terreno come Giuda Iscariota, coloro che non pensavano come lui di salire, all’occorrenza, in mia vece sul trono, erano sempre, però, ansiosi di gloria. Venne il giorno che anche il mio Giovanni e suo fratello appetirono a questa gloria, che vi abbaglia come un miraggio anche nelle cose celesti. Non santo anelito al Paradiso, che voglio che abbiate. Ma desiderio umano che la vostra santità sia conosciuta. Non solo, ma esosità di cambiavalute, di usuraio per cui, per un poco di amore dato a Colui al quale Io vi ho detto dovete dare tutti voi stessi, pretendete un posto alla sua destra in Cielo.
   No, figli. No. Prima occorre saper bere tutto il calice che Io ho bevuto. Tutto: con la sua carità data in compenso dell’odio, con la sua castità contro le voci del senso, con la sua eroicità nelle prove, col suo olocausto per amore di Dio e dei fratelli. Poi, quando s’è tutto compiuto del proprio dovere, dire ancora: “Siamo servi inutili”, e attendere che il Padre mio e vostro vi conceda, per sua bontà, un posto nel suo Regno. Occorre spogliarsi, come mi hai visto spogliato nel Pretorio, di tutto ciò che è umano, tenendo solo quell’indispensabile che è rispetto verso il dono di Dio che è la vita, e verso i fratelli ai quali possiamo essere utili più dal Cielo che sulla Terra, e lasciare che Dio vi rivesta della stola immortale, fatta candida nel sangue dell’Agnello.

   106.13 Ti ho mostrato i dolori preparatori della Passione. Altri te li mostrerò. Per quanto siano sempre dolori, è stato riposo per l’anima tua il contemplarli. Ora basta. Sta’ in pace».

[43] e lo faccio. Segue immediatamente, sul quaderno autografo, la visione che ha formato il capitolo 101.
[44] il passo, quello di Isaia 61, 1-2, citato da Luca 4, 18-19.
[45] vi ricordo ciò che si narra in: 1 Re 17; 2 Re 5.
[46] gli apostoli-cugini sono Giuda e Giacomo. Il cugino Simone, anch’egli presente, è chiamato erroneamente apostolo dalla scrittrice, corretta da Gesù in 105.6. L’errore si ripete più sotto: i tre apostoli-cugini.
[47] Le quattro contemplazioni, delle quali inizia qui il commento, sono state scritte di seguito sotto la stessa data: Sera del 13 febbraio 1944; ma hanno avuto collocazioni diverse. La prima corrisponde a 106.1; la seconda corrisponde all’intero capitolo 101; la terza corrisponde a 106.2/4; la quarta corrisponde a 106.5/7 ed è seguita dal commento (106.8/13).