MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 108



CVIII. Discorso ai vendemmiatori. Bambino paralitico guarito per intercessione della Madre di Gesù.

   14 febbraio 1945.

   108.1 Tutte le campagne della Galilea sono nel gaio lavoro della vendemmia. Gli uomini, arrampicati sulle alte scale, colgono dalle pergole e dalle viti; le donne, col capo carico di cesti, portano grappoli d’oro e rubino là dove i pigiatori attendono. Canti, risate, scherzi corrono da poggio a poggio, da orto ad orto, insieme a odor di mosti e ad un grande ronzare di api, che paiono ebbre tanto vanno veloci e danzanti dai superstiti tralci, ancor ricchi di grappoli, ai cesti ed ai tini dove si perdono gli acini, da esse cercati, nella brodaglia torbida dei mosti. I bambini, tinti di succo come tanti fauni, fanno un gridio di rondini correndo sull’erba, nelle corti, per le vie.
   Gesù è diretto verso un paese a poca distanza dal lago. Un paese di pianura, però; pare un ampio alveo fra due lontani sistemi montuosi che vanno verso nord. La pianura è ben irrigata, perché un fiume (penso sia il Giordano) la traversa. Gesù passa per la strada maestra ed è salutato da molti col grido: «Rabbi! Rabbi!». Gesù passa e benedice.
   Prima del paese è una ricca proprietà, e all’inizio della stessa due coniugi anziani sono in attesa del Maestro. «Entra. Quando il lavoro cesserà, tutti qui affluiranno ad udirti. Quanta gioia Tu porti! Essa si spande da Te come la linfa per i tralci e diventa vino di letizia per i cuori.

   108.2 Quella è tua Madre?», dice il padrone di casa.
   «È Lei. Ve l’ho condotta perché ora anch’Ella è nella schiera dei miei discepoli. L’ultimo in ordine di accoglimento, il primo in ordine di fedeltà. È l’Apostolo. Mi ha predicato prima ancora che nascessi… Madre, vieni. Un giorno, erano i primi tempi che evangelizzavo, questa madre non mi fece rimpiangere te, tanto fu dolce col tuo Figlio stanco».
   «Il Signore ti dia grazia, donna pietosa».
   «Ho grazia perché ho il Messia e te. Vieni. La casa è fresca, e pacata vi è la luce. Potrai riposare. Sarai stanca».
   «Non mi è stanchezza altro che l’odio del mondo. Ma seguirlo e udirlo! È stato il mio desiderio dalla più lontana infanzia».
   «Tu sapevi di essere la futura Madre del Messia?».
   «Oh! no. Ma speravo vivere tanto da poterlo udire e servire, ultima fra i suoi evangelizzati, ma fedele! oh! fedele!».
   «Lo odi e lo servi. E sei la prima. Sono madre io pure ed ho dei figli sapienti. Quando li sento parlare il mio cuore balza d’orgoglio. E tu che provi udendo Lui?».
   «Un’estasi soave. Mi sprofondo nel mio nulla e la Bontà, che è Lui stesso, seco ugualmente mi solleva. Vedo allora con semplice sguardo la Verità eterna, ed Essa si fa carne e sangue del mio spirito».
   «Benedetto il tuo cuore! È puro e perciò così comprende il Verbo. Noi siamo più duri perché pieni di colpe…».
   «Vorrei dare a tutti il mio cuore per questo, perché l’amore vi fosse luce a comprendere. Perché, credilo, è l’amore – ed io sono la Madre e perciò naturale è in me l’amore – quello che rende facile ogni impresa».
   Le due donne parlano ancora fra loro, la vecchia presso la tanto, sempre tanto giovane Madre del mio Signore, mentre Gesù parla col padrone presso i tini in cui schiere e schiere di vendemmiatori rovesciano grappoli e grappoli. Gli apostoli, seduti all’ombra di una pergola di gelsomini, gustano con buon appetito uva e pane.

   108.3 La giornata volge al tramonto e il lavoro cessa lentamente.
   I coloni sono ormai tutti nell’ampia corte rustica, dove è un forte odore d’uve pigiate. Anche altri coloni vengono da case vicine.
   Gesù sale su una scaletta che porta ad un’ala a loggiato, sotto cui sono ricoverati sacchi di derrate e attrezzi agricoli. Come sorride Gesù nel salire quei pochi scalini! Lo vedo sorridere fra l’ondeggiare dei soffici capelli che una brezza serale smuove. E vorrei sapere perché sorride così luminosamente. La letizia di questo sorriso entra, come quel vino di cui parlava il padrone di casa, nel mio cuore, molto triste oggi, e lo solleva.
   (Non è la prima cosa che mi sollevi oggi. Già da stamane, e lei mi aveva visto piangere per un sempre vivo dolore di spirito, Egli, nella Comunione, mi era apparso come sempre quando lei dice: «Ecce Agnus Dei». Ma non si era limitato a guardarla con amore, Padre, e a sorridere a me. Aveva lasciato il suo fianco, alla sinistra del letto, ed era passato a destra col suo passo lungo, lievemente ondeggiante in avanti, ed era venuto a destra, dandomi carezze, sensibili, con le sue lunghe mani e dicendomi: «Non piangere!»… Ma ora il suo sorriso mi innonda di pace).
   Si volge. Siede sull’ultimo scalino, al sommo della scala che diviene una tribuna per i più fortunati uditori, ossia per i padroni di casa, per gli apostoli e per Maria, la quale, sempre umile, non aveva neppur cercato di salire in quel posto d’onore, ma vi è condotta dalla padrona. È proprio seduta un gradino sotto Gesù, di modo che la sua testa bionda è all’altezza dei ginocchi del Figlio e, essendo seduta di lato, Ella lo può guardare in viso, col suo sguardo di colomba innamorata. Il profilo soave di Maria spicca nitido come in un marmo contro il muro scuro del rustico loggiato.
   Più giù sono gli apostoli ed i padroni di casa. Nella corte tutti i villici, chi in piedi, chi seduto per terra, chi arrampicato sui tini e sulle piante di fichi che sono ai quattro angoli della corte.

   108.4 Gesù parla lentamente, affondando la mano in un ampio sacco di grano posto dietro le spalle di Maria; pare scherzi con quei chicchi o li carezzi con piacere, mentre con la destra gestisce pacatamente.
   «Mi è stato detto: “Vieni, o Gesù, a benedire il lavoro dell’uomo”. E sono venuto. In nome di Dio lo benedico. Perché ogni lavoro, se onesto, merita benedizione dal Signore eterno. Ma l’ho detto: la prima potenza per ottenere benedizione da Dio è l’essere onesti in tutte le azioni.
   Ora guardiamo insieme quando e come le azioni sono oneste. Lo sono quando sono compiute avendo presente allo spirito l’eterno Iddio. Può mai peccare uno che dica: “Dio mi guarda. Dio ha i suoi occhi su me, né delle mie azioni perde un particolare”? No. Non può. Perché il pensiero di Dio è un salutare pensiero, e più di ogni minaccia umana trattiene l’uomo dal peccare.
   Ma temerlo solo si deve l’eterno Iddio? No. Udite. Vi fu detto[48]: “Temi il Signore Iddio tuo”. Ed i Patriarchi hanno tremato, e tremato hanno i Profeti quando il Volto di Dio, o un angelo del Signore, apparve ai loro spiriti giusti. E invero, in tempo di corruccio divino, l’apparizione del Soprannaturale deve far tremare il cuore. Chi, ancorché puro come un pargolo, non trema davanti al Potente, davanti al cui fulgore eterno stanno adoranti gli angeli, proni nell’alleluia paradisiaco? L’insostenibile fulgore di un angelo, Dio lo tempera di velo pietoso, per concedere all’occhio umano di mirarlo senza averne bruciate pupilla e mente. Che dunque sarà il vedere Dio?
   Ma questo, finché il corruccio dura. Quando ad esso subentra pace e il Dio d’Israele dice: “Io l’ho giurato. E mantengo il mio patto. Ecco Colui che mando, ed Io sono, pure non Io essendo, ma la mia Parola che si fa Carne per essere Redenzione”, allora al timore deve succedere l’amore, e solo amore all’eterno Dio va dato, in letizia, poiché l’età di pace è venuta per la Terra e fra Dio e l’uomo. Quando i primi venti di primavera spargono il polline del fior della vigna, ancora deve l’agricoltore temere, ché tante insidie possono essere tese dall’intemperie e dagli insetti al frutto. Ma quando giunge l’ora lieta del vendemmiare, ecco che allora cessa ogni timore e il cuore giubila nella certezza del raccolto.
   Preannunciato [49] dalle parole dei Profeti, il Germoglio della stirpe di Jesse è venuto. Ora è fra voi. Grappolo opimo che vi porta il succo della Sapienza eterna e non chiede che d’essere colto e spremuto per esser Vino agli uomini. Vino di letizia senza fine per quelli che di Lui si nutriranno. Però guai a quelli che, avendo avuto a loro portata questo Vino, l’avranno respinto, e tre volte guai a quelli che, dopo essersene pasciuti, l’avranno rigettato o mescolato nel loro interno ai cibi di Mammona.

   108.5 Ed ecco che Io ritorno al concetto primo. La prima potenza per avere benedizione di Dio, sia sulle opere dello spirito che sulle opere dell’uomo, è l’onestà di intenti.
   È onesto colui che dice: “Io seguo la Legge non per averne lode dagli uomini, ma per fedeltà a Dio”. È onesto colui che dice: “Io seguo il Cristo non per i miracoli che fa, ma per i consigli che mi dà di vita eterna”. È onesto colui che dice: “Io lavoro non per avido lucro, ma perché anche il lavoro è stato messo da Dio come mezzo di santificazione per il suo valore formativo, mortificativo, preservativo, elevativo. Io lavoro per potere aiutare il mio prossimo. Io lavoro per poter fare risplendere i prodigi di Dio, che di un granello minuscolo fa cespo di spighe, di un seme d’uva fa grande vigna, di un nocciolo fa una pianta e di me, uomo, povero niente che sono tratto dal nulla per il suo volere, fa un suo aiutante nell’opera indefessa del perpetuare biade, viti e frutteti, come del popolare la Terra di uomini”.
   Vi sono persone che lavorano come bestie da soma. Ma senza altra religione che questa: aumentare le loro ricchezze. Muore al loro fianco il compagno più sfortunato di stenti e di fatica? I figli di questo misero muoiono per fame? Che importa all’avido accumulatore di ricchezze? Vi sono altri che, ancor più duri, non lavorano, ma fanno lavorare, e loro accumulano col sudore altrui. Altri ancora che dilapidano ciò che con esosità estorcono dall’altrui fatica. In verità per costoro non è onesto il lavoro. E non dite: “Eppure Dio li protegge”. No. Non li protegge. Oggi avranno un’ora di trionfo. Ma presto saranno colpiti da un rigore divino, che nel tempo o nell’eternità ricorderà loro il precetto: “Io sono il Signore Iddio tuo. Amami al disopra di tutte le cose e ama il prossimo tuo come te stesso”. Oh! che allora, se quelle parole risuoneranno in eterno, saranno più tremende dei fulmini del Sinai!

   108.6 Molte, troppe sono le parole che vi sono dette. Io vi dico queste sole: “Amate Dio. Amate il prossimo”. Esse sono come il lavoro che fa fecondo il tralcio, fatto intorno alla vite in primavera. L’amore di Dio e di prossimo è come l’erpice che pulisce il suolo dalle erbe nocive dell’egoismo e delle male passioni; è come la zappa che scava un anello intorno al tralcio perché sia isolato dal contagio d’erbe parassite e nutrito di fresche acque d’irrigazione; è come cesoia che leva il superfluo per condensare il vigore e dirigerlo là dove darà frutto; è laccio che stringe e sostiene insieme al palo robusto; è infine sole che matura i frutti del buon volere e ne fa frutti di vita eterna.
   Ora voi giubilate perché l’anno fu buono e ricche le messi e opima la vendemmia. Ma in verità vi dico che questo vostro giubilo è men che minuto granello di rena rispetto al giubilo senza misura che sarà vostro quando l’eterno Padre vi dirà: “Venite, miei fecondi tralci innestati con la vera Vite. Voi vi siete prestati ad ogni operazione, anche se penosa, pur di dare gran frutto, e ora a Me venite densi dei succhi dolci dell’amore verso Me ed il prossimo. Fiorite nei miei giardini per tutta l’eternità”.
   Tendete a questa eterna letizia. Con fedeltà perseguite questo bene, con riconoscenza benedite l’Eterno che vi aiuta a raggiungerlo. Beneditelo per la grazia della sua Parola, beneditelo per la grazia del buon raccolto. Amate con riconoscenza il Signore e non temete. Dio dà il cento per uno a chi lo ama».
   Gesù avrebbe finito. Ma tutti gridano: «Benedici, benedici!
   La tua benedizione su noi!».
   E Gesù si alza in piedi, apre le braccia e tuona: «Il Signore vi benedica e custodisca, vi mostri la sua faccia e abbia di voi pietà. Il Signore volga su voi il suo volto e vi dia la sua pace. Il nome del Signore sia nei vostri cuori, sulle vostre case e sui vostri campi».

   108.7 La folla, la piccola folla adunata, ha un gridio di gioia e di acclamazioni al Messia. Ma poi tace e si fende per lasciare passare una madre che ha sulle braccia un bambino di circa dieci anni, paralitico. Ai piedi della scala lo tende, come lo offrisse a Gesù.
   «È una mia serva. Il suo maschio cadde lo scorso anno dall’alto della terrazza ed ebbe spezzate le reni. Per tutta la vita giacerà sulla schiena», spiega il padrone.
   «Ha sperato in Te tutti questi mesi…», aggiunge la padrona.
   «Dille che venga a Me».
   Ma la povera donna è così emozionata che pare abbia lei una paralisi. Trema tutta e incespica nella lunga veste montando gli alti gradini col figlio sulle braccia.
   Maria si alza in piedi, pietosa, e le scende incontro. «Vieni.
   Non temere. Mio Figlio ti ama. Dammi la tua creatura. Salirai meglio. Vieni, figlia. Sono madre io pure», e le prende il fanciullo, al quale sorride dolcemente, salendo poi col suo pietoso carico che le pesa sulle braccia. La madre del fanciullo le va dietro piangente.
   Maria è ora davanti a Gesù. Si inginocchia e dice: «Figlio! Per questa madre!». Non altro.
   Gesù non chiede neppure il suo solito: «Che vuoi che ti faccia? Credi che Io lo possa fare?». No. Oggi sorride e dice: «Donna, vieni qui».
   La donna va proprio accosto a Maria. Gesù le pone una mano sulla testa e dice solo: «Sii lieta», e ancor non ha finito di dire la parola che il fanciullo, fino allora steso pesantemente sulle braccia di Maria e con le gambe ciondoloni, si siede di scatto e, con un grido di festa: «Mamma!», corre a rifugiarsi sul seno materno.
   I gridi di osanna sembra vogliano penetrare nel cielo tutto rosso nel tramonto.
   La donna, col figlio stretto al cuore, non sa che dire e lo chiede: «Che, che devo fare per dirti che son felice?».
   E Gesù, carezzandola ancora: «Essere buona, amare Dio e il tuo prossimo, e allevare in questo amore il figlio tuo».
   Ma la donna non è ancor contenta. Vorrebbe… vorrebbe… e infine chiede: «Un bacio tuo e di tua Madre al mio bambino».
   Gesù si china e lo bacia, e Maria pure. E mentre la donna va via felice, fra un codazzo di amici acclamanti, Gesù spiega alla padrona: «Non è occorso di più. Egli era nelle braccia di mia Madre. Anche senza parola lo avrei sanato, perché Ella è felice quando può consolare un’afflizione ed Io la voglio fare felice».
   E fra Gesù e Maria va uno di quegli sguardi che solo chi li ha visti li può capire, tanto sono profondi di significato.

[48] fu detto, per esempio in: Levitico 19, 14.32; 25, 17.36; Deuteronomio 6, 13; 10, 12.20.
[49] Preannunciato, per esempio in: Isaia 11, 1-12.