MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 145



CXVL. Il primo giorno a Sicar.

   24 aprile 1945. […].

   145.1 Gesù parla dal centro di una piazza a molta folla. Egli è salito sulla banchina di pietra che è presso la fontana. La gente gli è tutta attorno. E attorno sono anche i dodici con dei visi… costernati, o seccati, o anche chiaramente esprimenti il ribrezzo di certi contatti. Specie Bartolomeo e l’Iscariota mostrano apertamente il loro disagio e, per sfuggire il più possibile alla vicinanza dei samaritani, l’Iscariota si è messo a cavalcioni di un ramo di un albero come volesse dominare la scena, mentre Bartolomeo si è addossato ad un portone in un angolo della piazza. Il preconcetto è vivo e agente in tutti.
    Gesù, invece, non ha nulla di diverso dal solito. Anzi direi che si studia di non sgomentare con la sua maestà e nello stesso tempo cerca di farla brillare per levare ogni dubbio. Accarezza due o tre piccini di cui chiede il nome, si interessa di un vecchio cieco al quale dà personalmente l’obolo, risponde a due o tre quesiti che gli vengono chiesti su cose non generali, ma private.

   145.2 L’uno è la richiesta di un padre circa la figlia che è fuggiasca per amore e che ora chiede perdono.
    «Concedile subito il tuo perdono».
    «Ma io ho sofferto di questo, Maestro! E ne soffro. In meno di un anno sono invecchiato di dieci anni».
    «Il perdono ti darà sollievo».
    «Non può essere. La ferita resta».
    «È vero. Ma nella ferita sono due punte che fanno male.
    L’una è l’innegabile affronto avuto da tua figlia. L’altra è lo sforzo per disamarla. Leva almeno questa. Il perdono, che è la forma più alta dell’amore, la leverà. Pensa, povero padre, che quella creatura è nata da te e che ha sempre diritto al tuo amore. Se tu la vedessi malata di una malattia della carne e sapessi che, se non la curi tu, proprio tu, muore, la lasceresti morire? No certo. E allora pensa che tu, proprio tu, col tuo perdono puoi fermare il suo male e anche portarla a tornare sana nell’istinto.
    Perché, vedi, è in lei predominato il lato più vile della materia».
    «Allora Tu diresti che io debba perdonare?».
    «Lo devi».
    «Ma come farò a vederla per casa, dopo ciò che ha fatto, e a non maledirla?».
    «Ma allora non perdoneresti. Il perdono non è nell’atto di riaprirle la porta di casa, ma nel riaprirle il cuore. Sii buono, uomo. E che? La pazienza che abbiamo per il giovenco riottoso non l’avremmo per la nostra creatura?».

   145.3 Una donna invece chiede se è bene che lei sposi il cognato per dare un padre ai suoi orfanelli.
    «Comprendi che sarebbe un vero padre?».
    «Sì, Maestro. Sono tre maschi. Un uomo è necessario per guidarli».
    «Fàllo allora e sii moglie fedele come lo fosti del primo».

   145.4 Il terzo gli chiede se, accettando l’invito avuto di andare ad Antiochia, farebbe bene o male.
    «Uomo, perché vuoi andare là?».
    «Perché qui non ho mezzi per me e i molti figli. Ho conosciuto un gentile che mi prenderebbe perché mi ha visto capace nel lavoro e darebbe lavoro anche ai figli. Ma non vorrei… ti sembrerà strano lo scrupolo di un samaritano, ma ce l’ho. Non vorrei che si perdesse la fede. È un pagano, sai, quell’uomo!?».
    «Ebbene? Nulla contamina se non si vuole essere contaminati. Vai pure ad Antiochia e sii del Dio vero. Egli ti guiderà e tu sarai anche il benefattore del padrone, che conoscerà Dio attraverso la tua onestà».

   145.5 Poi inizia a parlare a tutti.
    «Ho udito molti di voi, e in tutti ho sentito un segreto dolore, una pena, di cui forse neppure voi ve ne rendete conto, piangere nei vostri cuori. Sono secoli che essa si accumula e non le ragioni che vi dite, né le ingiurie che vi vengono lanciate, valgono a scioglierla. Ma anzi sempre più si indurisce e pesa come neve che si muta in ghiaccio.
    Io non sono voi e non sono neppure uno di quelli che vi accusano. Io sono Giustizia e Sapienza. E vi cito, a soluzione del vostro caso, ancora Ezechiele. Egli, profeticamente, parla[106] di Samaria e di Gerusalemme dicendole figlie di un seno e chiamandole Oolla e Ooliba.
    La prima a cadere in idolatria fu la prima, di nome Oolla, perché già privata dell’aiuto spirituale dell’unione col Padre dei Cieli. L’unione con Dio è salvezza, sempre. Scambiò la vera ricchezza, la vera potenza, la vera sapienza con la povera ricchezza, potenza e sapienza di uno, ancor più di essa, inferiore a Dio, e ne fu sedotta tanto da farsi schiava del modo di vivere di questo uno che l’aveva sedotta. Per essere forte divenne debole. Per essere da più divenne da meno. Per essere imprudente impazzì. Quando uno imprudentemente si è contaminato con una infezione, ben a fatica può salvarsi da essa. Voi direte: “Da meno? No. Noi fummo grandi”. Grandi, sì, ma come? A che prezzo? Voi lo sapete. Quante anche fra le donne conquistano la ricchezza al prezzo tremendo del loro onore! Acquistano una cosa che può finire. Pèrdono una cosa che non ha mai fine: il buon nome.
    Ooliba, vedendo che la follia di Oolla le era valsa ricchezza, la volle imitare e impazzì più di Oolla, e con doppia colpa, perché essa aveva con sé il Dio vero e non avrebbe mai dovuto calpestare la forza che da questa unione le veniva. E dura, tremenda punizione è venuta, e più verrà, alla doppiamente folle e fornicatrice Ooliba. Dio le volgerà le spalle. Già lo sta facendo, per andare a quelli che non sono di Giuda. Né si potrà accusare Dio di essere ingiusto perché Egli non si impone. Apre a tutti le braccia, tutti invita, ma se uno gli dice: “Va’ via” Egli se ne va. Va a cercare amore, a dare invito ad altri, finché trova chi dice: “Vengo”. Perciò Io vi dico che voi potete avere sollievo al vostro tormento, dovete averlo, pensando a queste cose.
    Oolla, torna in te! Dio ti chiama. La sapienza dell’uomo sta nel sapersi ravvedere, la sapienza dello spirito sta nell’amare il Dio vero e la sua Verità. Non guardate né Ooliba, né la Fenicia, né l’Egitto, né la Grecia. Guardate Iddio. Quella è la Patria di ogni spirito retto. Quella: il Cielo. Non vi sono molte leggi. Ma una sola: quella di Dio. Per quel codice si ha la Vita. Non dite: “Peccammo”, ma dite: “Non vogliamo più peccare”. Che Dio vi ami ancora, in questo di avervi mandato il suo Verbo a dirvi: “Venite”, ne avete la prova. Venite, vi dico. Siete ingiuriati e proscritti? E da chi? Da esseri simili a voi. Ma Dio è da più di questi, ed Egli vi dice: “Venite”. Un giorno verrà che voi giubilerete per non essere stati nel Tempio… Con la mente giubilerete di questo. Ma più giubileranno gli spiriti perché sui retti di cuore, sparsi per la Samaria, sarà già sceso il perdono di Dio. Preparatene l’avvento. Venite al Salvatore universale, o figli di Dio che avete smarrito la Via».

   145.6 «Ma, almeno qualcuno, noi verremmo. Sono quelli dell’altra parte che non ci vogliono».
    «E ancora col sacerdote e profeta Io vi dico[107]: “Io prenderò il legno di Giuseppe che è nella mano di Efraim con le tribù d’Israele a lui unite e le congiungerò al legno di Giuda e ne farò un solo legno…”. Sì. Non al Tempio. A Me venite. Io non respingo. Io sono quello chiamato il Re dominante su tutti. Il Re dei re Io sono. Io vi purificherò tutti, o popoli che volete esser purificati. Io vi radunerò, o greggi senza pastore o con pastori idoli, perché Io sono il Pastore buono. Io vi darò un unico tabernacolo e lo metterò in mezzo ai miei fedeli. Esso tabernacolo sarà fonte di vita, pane di vita, sarà luce, sarà salvezza, protezione, sapienza. Tutto sarà perché sarà il Vivente dato in cibo ai morti per farli vivi, sarà il Dio che si effonde con la sua santità per santificare. Questo Io sono e sarò. Il tempo dell’odio, dell’incomprensione, del timore è superato. Venite! Popolo d’Israele! Popolo separato! Popolo afflitto! Popolo lontano! Popolo caro, tanto, infinitamente caro perché malato, perché indebolito, perché svenato da una freccia che ti ha aperto le vene dell’animo e ne ha fatto fuggire l’unione vitale col tuo Dio, vieni! Vieni al seno da cui sei nato, vieni al petto da cui ti venne vita. Dolcezza e tepore è ancora qui per te. Sempre. Vieni! Vieni alla Vita e alla Salute».

[106] parla, in: Ezechiele 23.
[107] dico, come in: Ezechiele 37, 19.