MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 110



CX. In casa di Giacobbe presso il lago Meron.

   17 febbraio 1945.

   110.1 Direi che oltre il lago di Galilea e oltre il mar Morto la Palestina avesse un altro piccolo lago o stagno, uno specchio d’acqua insomma, di cui ignoro il nome. In fatto di misurazioni io non valgo niente, ma ad occhio direi che questo piccolo bacino può essere di un tre chilometri per due circa. Poca, ben poca cosa come si vede. Ma è grazioso nel suo cerchio verde e nel suo specchio così azzurro e placido da parere una grande scaglia di smalto celeste, venata al centro da una pennellata più chiara e lievemente più mossa, forse per la corrente del fiume che in esso si getta a nord per uscire a sud e che, per la lievità dello specchio d’acqua, che credo oltretutto sia poco profondo, non perde la sua corsa, ma come vena viva in un’acqua ferma segna questa sua vitalità e presenza col colore diverso e il lieve corrugamento delle acque.
   Non barche a vela sul laghetto, solo qualche piccola barchetta a remi da cui un solitario pescatore cala o estrae le sue nasse da pesca, oppure traghetta un viandante che vuole abbreviare la strada. E greggi, greggi e greggi, che scendono certo dai pascoli montani per l’autunno che avanza e pasturano su queste rive dai prati verdi e ben nutriti.

   110.2 Al vertice sud del lago, poiché è di forma ovale, passa una strada maestra che si dilunga da est ad ovest, meglio da un nord-est ad un sud-ovest. Abbastanza ben tenuta e molto battuta da passeggeri diretti ai paesi sparsi per la zona. Su questa via procede Gesù coi suoi.
   La giornata è piuttosto cupa e Pietro osserva: «Era meglio non andare da quella donna. Le giornate si fanno sempre più brevi e più brutte… e Gerusalemme è ancora tanto lontana».
   «Arriveremo a tempo. E credimi, Pietro, è più ubbidire a Dio fare del bene che fare una cerimonia esterna. Quella donna ora benedice Iddio con tutte le sue creature, intorno al capo di famiglia che è tanto guarito da poter ritrovarsi a Gerusalemme per i Tabernacoli, mentre avrebbe dovuto per quel tempo dormire sotto le bende e gli aromi in un sepolcro. Non corrompere mai la fede con l’esteriorità degli atti. Non si deve criticare mai. Ma come puoi anche farti stupore dei farisei, se tu pure cadi in un errore di pietà e chiudi il cuore al prossimo dicendo: “Servo Dio e basta”?».
   «Hai ragione, Maestro. Sono più ignorante di un asinello».
   «Ed Io ti tengo con Me per farti sapiente. Non avere paura.
   Cusa mi ha offerto il carro fino quasi a Jaboc. Da lì al guado è poco cammino. Ha tanto insistito, e con ragioni così giuste, che ho ceduto per quanto Io giudichi che il Re dei poveri deve servirsi dei mezzi dei poveri. Ma la morte di Giona ha imposto un ritardo, e devo adattare il mio pensiero a questo imprevisto».

   110.3 I discepoli parlano di Giona compiangendo la sua misera vita e invidiando la sua felice morte.
   Simone Zelote mormora: «Non ho potuto farlo felice e dare al Maestro un vero discepolo maturatosi nel lungo martirio e nella incrollabile fede… e me ne duole. Ha tanto bisogno il mondo di creature fedeli, convinte di Gesù, per equilibrare i tanti che negano e negheranno!».
   «Non importa, Simone», risponde Gesù. «Egli è più felice ora. E più attivo. E tu hai fatto più di quanto avrebbe fatto chiunque per lui e per Me. Anche per lui ti ringrazio. Ora egli sa chi fu il suo liberatore. E ti benedice».
   «Allora maledice Doras, anche», esclama Pietro.
   E Gesù lo guarda e chiede: «Lo credi? Sei in errore. Giona era un giusto. Ora è un santo. Non ha odiato e maledetto da vivo. Non odia e maledice adesso. Guarda al Paradiso, dal suo luogo di sosta, e poiché già sa che presto il Limbo lascerà uscire gli attendenti, giubila. Null’altro fa».
   «E a Doras… attaccherà il tuo anatema?».
   «In che senso, Pietro?».
   «Ma… facendolo meditare e mutare… oppure… colpendolo di castigo».
   «L’ho affidato alla Giustizia di Dio[53]. Io, l’Amore, l’ho abbandonato».
   «Misericordia! Non vorrei essere in lui!».
   «Neppure io!».
   «Ed io neppure!».
   «Nessuno vorrebbe, perché la Giustizia del Perfetto che sarà mai?», dicono i discepoli.
   «Sarà estasi ai buoni, sarà folgore ai satana, amici. In verità vi dico: essere per tutta la vita schiavo, lebbroso, mendico, è felicità regale rispetto ad un’ora, una sola ora, di punizione divina».

   110.4 «Piove, Maestro. Che facciamo? Dove andiamo?». Infatti sul lago, che si è incupito riflettendo il cielo, ora tutto coperto di nubi plumbee, cadono e rimbalzano i primi goccioloni di una pioggia che promette di intensificare.
   «In qualche casa. Chiederemo ricovero in nome di Dio».
   «E speriamo di trovare uno che sia buono come quel romano. Non li credevo così… Li avevo sempre sfuggiti come immondi e vedo che… sì, se tiro le somme sono meglio di tanti di noi», dice Pietro.
   «Ti piacciono i romani?», chiede Gesù.
   «Eh!… li trovo non peggiori a noi. Solo sono dei samaritani…».
   Gesù sorride e non dice niente.
   Vengono raggiunti da una donnetta che spinge avanti otto pecore.
   «Donna. Sai dire dove possiamo trovare un tetto?…», domanda Pietro.
   «Io sono serva di un uomo povero e solo. Ma se volete venire… io credo che il padrone vi prenderà con bontà».
   «Andiamo».
   Vanno sotto l’acquazzone, svelti in mezzo alle pecore che trottano coi loro corpi obesi per sfuggire l’acquata. Lasciano la via maestra per prendere una stradetta che conduce ad una casetta bassa. Riconosco la casa del contadino Giacobbe, quello di Mattia e Maria, i due orfanelli della visione[54] d’agosto, mi pare.
   «Ecco, è là! Correte avanti mentre io porto le pecore nell’ovile. Oltre il muretto è una corte e da questa si va alla casa. Sarà in cucina. Non guardate se è di poche parole… Ha molti affanni».
   La donna va ad un bugigattolo a destra.

   110.5 Gesù coi suoi piega a sinistra.
   Ecco l’aia col pozzo e il forno in fondo e la pianta del melo in un lato, ed ecco la porta spalancata della cucina, in cui brucia del fuoco di frasche e un uomo sta aggiustando un attrezzo rurale rotto.
   «Pace a questa casa. Ti chiedo ricovero per la notte per Me e i miei compagni», dice Gesù sulla soglia della porta.
   L’uomo alza il capo. «Entra», dice, «e Dio ti renda la pace che offri. Ma… pace qui! È nemica di Giacobbe la pace da qualche tempo. Entra, entra!… Entrate tutti. Il fuoco è l’unica cosa che posso darvi con abbondanza… perché… Oh! ma… Ma Tu, ora che ti levi il cappuccio (Gesù si era coperto il capo col lembo del manto, tenendolo stretto con la mano sotto la gola) e ti vedo bene… Tu sei, sì, sei il Rabbi galileo, quello che dicono Messia e fa miracoli… Sei Tu? Dillo, in nome di Dio».
   «Sono Gesù di Nazaret, il Messia. Mi conosci?».
   «Ti ho udito alla passata luna parlare in casa di Giuda ed Anna… ero fra i vendemmiatori perché… sono povero… Una catena di sciagure: grandine, bruchi, malattie nelle piante e nelle pecore… Per me, solo con una serva, mi bastava il mio avere. Ma ora ho fatto debiti perché sono perseguitato dalla sventura… Per non vendere tutte le pecore ho fatto lavoro in casa d’altri… Tanto, i miei campi!… Pareva li avesse percorsi la guerra tanto erano bruciati, e sterili le viti e gli ulivi. Da quando mi è morta la donna, e sono sei anni, sembra che Mammona si diverta. Lo vedi? Sto lavorando a questo aratro. Ma ha il legno tutto rotto. Come faccio? Non sono legnaiuolo e lego, lego. Ma non serve. E devo guardare anche allo spicciolo, ora… Venderò un’altra pecora per aggiustare gli attrezzi. Il tetto fa acqua… ma mi preme più il campo della casa. Peccato! Le pecore sono tutte pregne… speravo rifare la mandra… Mah!».
   «Vedo che vengo a dare peso dove già vi è tanto peso».
   «Peso Tu? No. Ti ho sentito parlare e… nel cuore mi è rimasto quel che dicevi. È vero che io ho lavorato onestamente, eppure… Ma penso che forse non ero ancora buono abbastanza. Penso che forse la buona era la moglie che aveva pietà di tutti, povera Lia morta troppo presto, troppo per il suo uomo… Penso che il benessere di quei tempi venisse dal Cielo per lei. E voglio farmi più buono, per quello che Tu dici e per imitare la mia sposa. E non chiedo molto… solo di rimanere in questa casa dove lei è morta, dove io sono nato… e avere un pane per me e la serva che mi fa da donna e da pastora e mi aiuta come può. Non ho più servi. Ne avevo due e mi bastavano, lavorando anche io nei campi e nell’uliveto… Ma ho pane per me solo e scarso anche…».
   «Non te ne privare per noi…».
   «No, Maestro. Non ne avessi che un boccone, te lo darei. È onore per me averti… Non lo avrei sperato mai. Ma ti dico le mie miserie perché Tu sei buono e capisci».
   «Sì, capisco.

   110.6 Dammi quel martello. Non si fa così. Così spezzi il legno. Dammi anche quello spunzone, ma dopo averlo arroventato. Si forerà il legno meglio e passeremo il cavicchio di ferro senza fatica. Lasciami fare. Ero legnaiuolo…».
   «Tu lavorare per me? No!».
   «Lasciami fare. Tu mi ospiti. Io ti aiuto. Bisogna amarsi fra uomini dando ognuno quello che si può».
   «Tu dai la pace, dai la sapienza e dai il miracolo. Dai già molto, molto!».
   «Do anche il lavoro. Su, obbedisci…».
   E Gesù, che è con la sola veste, lavora svelto e pratico allo scheggiato timone, fora, lega, inchiavarda, prova finché lo sente forte.
   «Potrà lavorare per ancora molto. Fino all’anno venturo. E allora lo potrai fare nuovo».
   «Lo credo io pure. Quel vomere è stato nelle tue mani e mi benedirà la terra».
   «Non per questo, Giacobbe, te la benedirà».
   «Perché allora, mio Signore?».
   «Perché tu usi misericordia. Non ti chiudi nel rancore dell’egoismo e dell’invidia, ma accetti la mia dottrina e la metti in pratica. Beati i misericordiosi. Avranno misericordia».
   «In che te l’uso, Signor mio? Quasi non ho posto e cibo per il tuo bisogno. Non ho che il buon volere, e mai come ora mi pesa l’essere indigente per non avere da fare onore a Te e ai tuoi amici».
   «Mi basta il tuo desiderio. In verità ti dico che anche un solo calice d’acqua dato in mio nome è grande cosa agli occhi di Dio. Io ero uno stanco viandante sotto la bufera, tu mi hai ospitato. Viene l’ora del cibo e tu mi dici: “Ti offro quanto ho”. La notte scende, e tu mi offri un tetto amico. E che vuoi fare di più? Confida, Giacobbe. Il Figlio dell’uomo non guarda alla pompa del ricevimento e del cibo, guarda al sentimento del cuore. Il Figlio di Dio dice al Padre: “Padre, benedici i miei benefattori e tutti quelli che in mio nome sono misericordiosi ai fratelli”. Questo dico per te».

   110.7 La serva, che mentre Gesù lavorava all’erpice ha parlato col padrone, torna con del pane, del latte appena munto, poche mele vizze e un vassoio di ulive.
   «Non ho di più», si scusa l’uomo.
   «Oh! che Io vedo fra il tuo cibo un cibo che tu non vedi! E di quello mi pasco perché ha sapore celeste».
   «Ti nutri forse, Tu Figlio di Dio, di qualche cibo a Te portato dagli angeli? Forse Tu vivi del pane dello spirito».
   «Sì. Più che il corpo ha valore lo spirito, e non in Me solo.
   Ma non mi cibo di pane angelico. Sibbene dell’amore del Padre e degli uomini. Questo Io trovo anche sulla tua mensa e ne benedico il Padre che a te mi ha condotto con amore, e te benedico che con amore mi accogli e amore mi dài. Ecco il mio cibo in un con il fare la volontà del Padre mio».
   «Benedici allora e offri Tu per me il cibo a Dio. Oggi Tu sei il Capo della mia famiglia e sempre sarai il mio Maestro e Amico».
   Gesù prende ed offre il pane tenendolo sulle palme altolevate e prega con un salmo, credo. Poi si siede, spezza e distribuisce…
   Tutto così ha fine.

[53] L’ho affidato alla Giustizia di Dio: il senso di questa affermazione, che è simile a quella di 109.12 (“Ti affido al Dio del Sinai”) e ad un’altra che incontreremo in 476.6 (“Io sono l’Amore. È vero. Ma su Me è il Padre. Ed Egli è la Giustizia”), sarà chiarito nel testo di 191.8 e di 261.2.
[54] visione del 20 agosto 1944, che sarà inserita nel capitolo 298.