MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 111



CXI. Incontro con Salomon al guado del Giordano. Parabola sulla conversione dei cuori.

   18 febbraio 1945.

   111.1 «Mi fa stupore che il Battista non sia qui», dice Giovanni al Maestro.
   Sono tutti alla sponda orientale del Giordano, presso il famoso guado dove un tempo battezzava il Battista.
   «E non c’è neppure sull’altra sponda», osserva Giacomo.
   «L’avranno riacciuffato sperando un’altra borsa», commenta Pietro. «Sono certi arnesi da croce quelli di Erode!».
   «Passeremo di là e domanderemo», dice Gesù.
   Passano, infatti, e ad un barcaiolo dell’altra sponda chiedono: «Non battezza più qui il Battista?».
   «No. È ai confini della Samaria. A questo si è ridotti! Un santo deve mettersi presso i samaritani per salvarsi dai cittadini di Israele.

   111.2 E che vi stupite se Dio ci abbandona? Io ho un solo stupore: che non faccia di tutta la Palestina una Sodoma e Gomorra!…».
   «Non lo fa per i giusti che sono in essa, per coloro che, senza ancora essere del tutto giusti, sentono sete di giustizia e seguono le dottrine di coloro che predicano santità», risponde Gesù.
   «Due, allora. Il Battista e il Messia. Il primo lo conosco perché l’ho anche servito qui al Giordano col portargli a traghetto qualche fedele e non volendo nulla, perché egli dice di contentarsi del giusto. Mi pareva giusto accontentarmi del guadagno che facevo per altri servizi e che fosse ingiusto richiedere paga per portare un’anima verso la purificazione. Ho preso del pazzo dagli amici. Ma infine… Contento io del mio poco, chi può lamentarsi? Del resto vedo che di fame non sono ancora morto, e spero che alla morte mi sorrida Abramo».
   «Tu sei nel giusto, uomo. Chi sei?», chiede Gesù.
   «Oh! ho un nome ben grande e ci rido, perché non ho sapienza che per il remo. Mi chiamo Salomon».
   «Hai la sapienza di giudicare che chi coopera ad una purificazione non deve corromperla col denaro. Io te lo dico: non Abramo soltanto, ma il Dio di Abramo ti sorriderà alla tua morte come a figlio fedele».
   «Oh, Dio! Dici davvero?

   111.3 Chi sei?».
   «Sono un giusto».
   «Senti, ti ho detto che ce ne sono due in Israele: uno è il Battista, l’altro il Messia. Sei Tu il Messia?».
   «Sono Io».
   «Oh! eterna misericordia! Ma… ho sentito un giorno dei farisei dire… Lasciamo andare… Non mi voglio sporcare la bocca. Tu non sei come ti dicevano. Lingue bifide più di quelle delle vipere!…».
   «Sono Io e ti dico: tu non sei molto lontano dalla Luce. Addio, Salomon. La pace sia con te».
   «Dove vai, Signore?». L’uomo è sbalordito dalla rivelazione e ha preso un tono tutto diverso. Prima era un bonaccione che parlava. Ora è un fedele che adora.
   «A Gerusalemme per Gerico. Ai Tabernacoli vado».
   «A Gerusalemme? Ma… anche Tu?».
   «Sono figlio della Legge Io pure. Non annullo la Legge. Vi do luce e forza per seguirla con perfezione».
   «Ma Gerusalemme già ti odia! Voglio dire: i grandi, i farisei di Gerusalemme. Ti ho detto che ho sentito…».
   «Lasciali fare. Loro fanno il loro dovere, quello che credono sia il loro dovere. Io faccio il mio. In verità ti dico che, finché non sarà l’ora, nulla potranno».
   «Che ora, Signore?», chiedono i discepoli e il barcaiolo.
   «Quella del trionfo delle Tenebre».
   «Vivrai fino alla fine del mondo?».
   «No. Vi sarà una tenebra più atroce di quella degli astri spenti e del nostro pianeta, morto con tutti i suoi uomini. E sarà quando gli uomini soffocheranno la Luce che Io sono. In molti il delitto è già avvenuto. Addio, Salomon».
   «Ti seguo, Maestro».
   «No. Vieni fra tre giorni nel Bel Nidrasc. La pace a te».

   111.4 Gesù si mette in cammino fra i discepoli pensierosi.
   «Che pensate? Non abbiate timore né per Me, né per voi. Siamo passati per la Decapoli e la Perea, e ovunque abbiamo visto agricoltori all’opera nei campi. Dove la terra era ancora sotto le stoppie e le gramigne, arida, dura, ingombra di piante parassite che i venti d’estate avevano portato e seminato rapendone i semi alle desolazioni desertiche. Erano i campi dei pigri e dei gaudenti. Altrove la terra era già aperta dal vomere e mondata, col fuoco e con la mano, da pietre, rovi e gramigne. E ciò che prima era male, ossia le inutili piante, ecco che con la purificazione del fuoco e del taglio si erano mutate in bene: in concime, in sali utili alla fecondazione. La terra avrà pianto sotto il dolore della lama che la apriva e frugava e sotto il morso del fuoco che la scorreva sulle ferite. Ma riderà più bella a primavera, dicendo: “L’uomo mi ha torturata per darmi questa opulenta messe che mi fa bella”. E questi erano i campi dei volonterosi. Altrove ancora la terra era già soffice, monda anche dalle ceneri, un vero letto nuziale per gli sponsali della zolla col seme e per il fecondo connubio che dà tanta gloria di spighe. Ed erano i campi dei generosi fino alla perfezione dell’operosità.
   Or bene, uguale è dei cuori. Io sono il Vomere e la mia parola è Fuoco. Per preparare al trionfo eterno.
   Vi è chi, pigro o gaudente, ancor non mi chiede, non mi vuole, si appaga del suo vizio, delle passioni malvagie, che paiono veste di verde e di fiori e sono triboli e spine che lacerano a morte lo spirito, lo legano e ne fanno fascina per i fuochi della Geenna. Per ora Decapoli e Perea sono così… e non quelle sole. Non mi si chiede miracoli perché non si vuole il taglio della parola e l’ardore del fuoco. Ma verrà la loro ora. Altrove vi è chi accetta questo taglio e questo ardore, e pensa: “È penoso. Ma mi purifica e mi farà fertile al Bene”. Sono quelli che, seppure non hanno l’eroismo di fare, lasciano che Io faccia. Il primo passo nella mia via. Vi sono infine quelli che aiutano col loro solerte, diuturno lavoro, il mio lavoro, e non camminano, ma volano sulla strada di Dio. Questi sono i discepoli fedeli: voi e gli altri che sono sparsi per Israele».

   111.5 «Ma siamo pochi… contro tanti. Siamo umili… contro i potenti. Come difenderti se ti volessero nuocere?».
   «Amici. Ricordate il sogno di Giacobbe. Egli vide una moltitudine incalcolabile di angeli salire e scendere per la scala che andava dal Cielo al patriarca. Una moltitudine, eppure non era che una parte delle schiere angeliche… Ebbene, se anche tutte le schiere che alleluiano a Dio nel Cielo scendessero intorno a Me a difesa, quando sarà l’ora nulla potranno. La giustizia si deve compire…».
   «L’ingiustizia vorrai dire! Perché Tu sei santo e, se ti fanno del male, se ti odiano, sono degli ingiusti».
   «Per questo dico che in alcuni il delitto è già compiuto. Chi cova pensiero di omicidio è già omicida, chi di furto è già ladro, chi di adulterio è già adultero, chi di tradimento è già traditore. Il Padre sa ed Io so. Ma Egli mi lascia andare. Ed Io vado. Perché per questo sono venuto. Ma ancora le messi matureranno e saranno seminate una e una volta prima che il Pane e il Vino siano dati in cibo agli uomini».
   «Si farà banchetto di giubilo e di pace, allora!».
   «Di pace? Sì. Di giubilo? Anche. Ma… oh, Pietro! oh, amici!
   Quante lacrime saranno fra il primo ed il secondo calice! E solo dopo aver bevuto l’ultima goccia del terzo calice, il giubilo sarà grande fra i giusti, e sicura la pace agli uomini di retta volontà».
   «E Tu ci sarai, non è vero?».
   «Io?… Quando mai manca al rito il capo della famiglia? E non sono Io il Capo della grande famiglia del Cristo?».

   111.6 Simone Zelote, che non ha mai parlato, dice[55] come parlando a se stesso: «“Chi è Costui che viene con le vesti tinte di rosso?
   È bello nel suo vestito e cammina nella grandezza della sua forza”. “Sono Io che parlo con giustizia e proteggo in modo da salvare”. “Perché dunque i tuoi panni sono tinti di rosso e le tue vesti sono come quelle di chi pigia nello strettoio?”. “Da Me solo ho pigiato nello strettoio. È venuto l’anno della mia redenzione”».
   «Tu hai compreso, Simone», osserva Gesù.
   «Ho compreso, mio Signore».
   I due si guardano; gli altri li guardano stupiti, e fra loro si chiedono: «Ma parla delle vesti rosse che indossa Gesù anche ora, o della porpora di re di cui si cingerà quando sarà l’ora?».
   Gesù si astrae e pare non oda nulla più.
   Pietro prende in disparte Simone e chiede: «Tu che sei sapiente e umile, spiega alla mia ignoranza le tue parole».
   «Sì, fratello. Il suo nome è Redentore. I calici del banchetto di pace e giubilo fra l’uomo e Dio, e Terra e Cielo, Egli da Sé li empirà del suo Vino, pigiando Se stesso nella sofferenza per amore di noi tutti. Perciò sarà presente, nonostante che le potestà delle Tenebre abbiano allora apparentemente soffocato la Luce che è Lui.

   111.7 Oh! molto bisogna amarlo, questo nostro Cristo, perché molto sarà disamato. Facciamo che nell’ora della derelizione non ci possa giungere e rimproverare il lamento davidico[56]: “Un branco di cani (e fra questi noi pure) mi si è messo d’intorno”».
   «Tu dici?… Ma noi lo difenderemo, a costo di morire con Lui».
   «Noi lo difenderemo… Ma uomini siamo, Pietro. E il nostro coraggio si scioglierà prima ancora che a Lui vengano sciolte le ossa… Sì. Noi faremo come l’acqua gelata del cielo che un fulmine scioglie in pioggia e poi il vento riagghiaccia sul suolo. Così noi! Così noi! Il nostro presente coraggio d’essergli discepoli, perché il suo amore e la sua vicinanza ci condensano in virile ardimento, sotto il fulmine percuotitore di Satana e dei satana si scioglierà… E di noi che resterà più? Poi, dopo la vile e necessaria prova, ecco che la fede e l’amore ci renderanno di nuovo compatti e saremo come un cristallo che non teme incisione. Ma questo sapremo e potremo se molto lo ameremo finché lo abbiamo. Allora… sì, penso che allora non saremo, per la sua parola, dei nemici e dei traditori».
   «Tu sei sapiente, Simone. Io… sono senza lettere. E chiedere a Lui tante cose anche mi vergogno… E mi fa male quando sento che sono cose di lacrime… Guarda il suo volto: pare che lo lavi un pianto segreto. Guarda i suoi occhi. Non guardano né il cielo, né il suolo. Sono aperti su un mondo a noi ignoto. E il suo andare come è stanco e curvo! Pare invecchiato nel suo pensare. Oh! non lo posso vedere così! Maestro! Maestro! Sorridi. Non ti posso vedere così mesto. Mi sei caro come un figlio, e ti darei il mio petto per guanciale, per farti dormire e sognare altri mondi… Oh! perdona se ti ho detto: “figlio”! È che ti amo, Gesù».
   «Sono il Figlio… Quel nome è il mio Nome. Ma non sono mesto più. Lo vedi? Sorrido perché voi mi siete amici.

   111.8 Ecco là in fondo Gerico, tutta rossa nel tramonto. Due di voi vadano a cercare alloggio. Io e gli altri andremo ad attendervi a fianco della sinagoga. Andate».
   E tutto ha fine mentre Giovanni con Giuda Taddeo partono alla ricerca di una casa ospitale.

[55] dice ciò che si legge in: Isaia 63, 1-4.
[56] lamento davidico, in: Salmo 22, 17.