MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 119



CXIX. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Io sono il Signore Dio tuo. Gesù battezza come Giovanni.

   27 febbraio 1945.

   119.1 La gente è almeno duplicata da ieri. Vi sono anche persone meno popolane. Alcuni sono venuti su ciuchini e consumano il loro pasto sotto la tettoia, ai pali della quale hanno legato gli asinelli, in attesa del Maestro.
   La giornata è fredda ma serena. La gente parlotta fra sé, e i più eruditi spiegano chi è e perché il Maestro parla da quel luogo.
   Uno dice: «Ma è da più del Giovanni?».
   «No. È diverso. Quello, io ero del Giovanni, è il Precursore, ed è la voce della giustizia. Questo è il Messia, ed è la voce della sapienza e misericordia».
   «Come lo sai?», chiedono in molti.
   «Me lo hanno detto tre discepoli perpetui del Battista. Se sapeste che cose! Loro l’hanno visto nascere. Pensate, è nato dalla luce. C’era una luce così forte che loro, che erano pastori, sono scappati fuori dall’ovile, fra le bestie impazzite di terrore, e hanno visto che tutta Betlemme era in fuoco, e poi dal Cielo sono venuti giù degli angeli e hanno spento il fuoco con le ali, e in Terra c’era Lui, il Bambino nato dalla luce. Tutto il fuoco è diventato una stella…».
   «Ma no! Non è così».
   «Sì, è così. Me lo ha detto uno che era stalliere a Betlemme quando io ero bambino. Ora che il Messia è uomo, se ne vanta».
   «Non è così. La stella è venuta dopo, è venuta con quei maghi d’oriente, quelli che uno era parente di Salomone, e perciò del Messia, perché Lui è di Davide e Davide è padre di Salomone, e Salomone amò la regina di Saba perché era bella e per i doni che gli aveva portato, e ne ebbe un figlio che è di Giuda pur essendo d’oltre Nilo».
   «Ma cosa racconti? Sei pazzo?!».
   «No. Vuoi dire che non è vero che gli portò, il parente, gli aromi come è uso fra re e di quella schiatta?».
   «Lo so io come è vero», dice un altro. «È così. Io lo so perché Isacco è uno dei pastori e mi è amico. Dunque: il Bambino è nato in una stalla della casa di Davide. Era profezia…».
   «Ma non è di Nazaret?».
   «Lasciatemi parlare. È nato a Betlemme perché è di Davide, ed era tempo d’editto. I pastori hanno visto una luce che più bella non c’è, e il più piccolo, perché era un innocente, vide per primo l’angelo del Signore che parlò con musica d’arpa dicendo: “È nato il Salvatore. Andate e adorate”, e poi angeli e angeli cantarono: “Gloria a Dio e pace agli uomini buoni”. E i pastori andarono e videro un bambinello in una greppia fra un bue e un asino, e la Madre e il padre. E lo adorarono e poi lo condussero nella casa di una buona. E il Bambino cresceva come tutti, bello, buono, tutto amore. E poi vennero i magi da ol tre Eufrate e oltre Nilo, perché avevano visto una stella e riconosciuto in essa la stella di Balaam. Ma il Bambino era già capace di camminare. E re Erode ordinò lo sterminio per gelosia di regno. Ma l’angelo del Signore aveva avvertito del pericolo e i pargoli di Betlemme morirono, ma non Lui che era fuggito oltre Matarea. E poi è tornato a Nazaret a fare il legnaiolo, e giunto al suo tempo, dopo che il Battista, suo cugino, lo ebbe annunciato, ha iniziato la missione e prima ha cercato i suoi pastori. Isacco lo trasse da paralisi, dopo trent’anni di infermità. E Isacco è instancabile nel predicarlo. Ecco».
   «Ma i tre discepoli del Battista me le hanno proprio dette quelle parole!», dice il primo mortificato.
   «E vere sono. Quello che non è vero è la descrizione dello stalliere. Se ne vanta? Farebbe bene a dire ai betlemmiti d’essere buoni. Né a Betlemme né a Gerusalemme può predicare».
   «Sì! Figurati se scribi e farisei vogliono le sue parole! Quelli sono vipere e iene, come li chiama il Battista».

   119.2 «Io vorrei essere guarito. Vedi? Ho una gamba in cancrena. Ho sofferto la morte a venire qui sul ciuco. Ma l’avevo cercato a Sionne e non c’era più…», dice uno.
   «L’hanno minacciato di morte…», risponde un altro.
   «Cani!».
   «Sì. Di dove vieni?».
   «Da Lidda».
   «Lunga strada!».
   «Io… io vorrei dirgli un mio errore… L’ho detto al Battista… ma sono scappato, tanto mi ha assalito di rampogne. Penso non poter essere più perdonato…», dice un altro ancora.
   «Che hai fatto mai?».
   «Molto male. A Lui lo dirò. Che dite? Mi maledirà?».
   «No. Io l’ho sentito parlare a Betsaida. Per caso ero là. Che parole!!! Parlava di una peccatrice. Ah! quasi avrei voluto essere lei per meritarle!…», dice un vecchio imponente.

   119.3 «Eccolo che viene», gridano in diversi.
   «Misericordia! Mi vergogno!», dice il colpevole e fa per fuggire.
   «Dove fuggi, figlio mio? Tanto nero hai nel cuore da odiare la Luce al punto di doverla fuggire? Tanto hai peccato da avere paura di Me: Perdono? Ma che peccato puoi avere commesso?
   Neppure se avessi ucciso Iddio dovresti temere, se avessi in te vero pentimento. Non piangere! Oppure vieni, piangiamo insieme».
   Gesù, che alzando una mano ha imposto al fuggente un arresto, ora lo tiene stretto a Sé, e poi si volge a chi attende e dice: «Un solo momento. Per sollevare questo cuore. E poi vengo a voi».
   E si dilunga oltre la casa, urtando, nello svoltare l’angolo, contro la donna velata, al suo posto d’ascolto. Gesù la guarda fisso un attimo, poi fa ancora un dieci passi e si ferma: «Che hai fatto, figlio?».
   L’uomo cade in ginocchio. È un uomo sui cinquant’anni. Un volto bruciato da molte passioni e devastato da un tormento segreto. Tende le braccia e grida: «Per godere con le femmine tutta l’eredità paterna, ho ucciso la madre e il fratello… Non ho avuto più pace… Il mio cibo… sangue! Il mio sonno… incubo!… Il mio piacere… Ah! nel seno delle femmine, nel loro grido di lussuria, sentivo il gelo della madre morta e il rantolo del fratello avvelenato. Maledette le femmine di piacere, aspidi, meduse, murene insaziabili, rovina, rovina, rovina mia!».
   «Non maledire. Io non ti maledico…».
   «Non mi maledici?».
   «No. Piango e mi addosso il tuo peccato!… Come è pesante!
   Mi frange le membra. Ma lo abbraccio stretto per consumarlo per te… e a te do perdono. Sì. Io ti rimetto il tuo grande peccato». Stende le mani sul capo dell’uomo singhiozzante e prega: «Padre, anche per lui il mio Sangue sarà versato. Per ora ecco il pianto e la preghiera. Padre, perdona perché egli è pentito. Il tuo Figlio, al cui giudizio ogni cosa è rimessa, così vuole!…». Sta ancora per qualche minuto così, poi si curva, alza l’uomo e gli dice: «La colpa è rimessa. A te ora espiare con una vita di penitenza quanto resta del tuo delitto».
   «Dio mi ha perdonato? E la madre? E il fratello?».
   «Ciò che Dio perdona, da chiunque è perdonato. Va’ e non peccare mai più».
   L’uomo piange più forte e gli bacia la mano. Gesù lo lascia al suo pianto. Torna verso la casa. La donna velata fa un atto come per andargli incontro, ma poi china il capo e non si muove. Gesù le passa davanti senza guardarla.

   119.4 È al suo posto. Parla:
   «Un’anima è tornata al Signore. Sia benedetta la sua onnipotenza che strappa dalle spire demoniache le anime sue create e le riporta sulla via dei Cieli. Perché quell’anima si era perduta? Perché aveva perduto di vista la Legge.
   È detto[64] nel Libro che il Signore si manifestò sul Sinai in tutta la sua terribile potenza, per dire anche con essa: “Io sono Dio. Questo è il mio volere. E questi sono i fulmini che ho pronti per coloro che saranno ribelli al volere di Dio”. E prima di parlare impose che nessuno del popolo salisse per contemplare Colui che è, e che anche i sacerdoti si purificassero prima di accostarsi al limite di Dio, per non essere percossi. Questo perché era tempo di giustizia e di prova. I Cieli erano chiusi come da pietra sul mistero del Cielo e sul corruccio di Dio, e solo le lame della Giustizia saettavano dai Cieli sui figli colpevoli. Ma ora no. Ora il Giusto è venuto a consumare ogni giustizia ed è venuto il tempo in cui, senza folgori e senza termini, la Parola divina parla all’uomo per dare all’uomo Grazia e Vita.

   119.5 La prima parola del Padre e Signore è questa: “Io sono il Signore Dio tuo”.
   Non vi è attimo del giorno che questa parola non suoni e non sia scritta dalla voce e dal dito di Dio. Dove? Dovunque. Tutto lo dice continuamente. Dall’erba alla stella, dall’acqua al fuoco, dalla lana al cibo, dalla luce alle tenebre, dalla sanità alla malattia, dalla ricchezza alla povertà. Tutto dice: “Io sono il Signore. Per Me hai questo. Un mio pensiero te lo dona, un altro te lo leva, né vi è forza di eserciti né di difese che ti può preservare dalla mia volontà”. Urla nella voce del vento, canta nel riso dell’acqua, profuma nell’olezzo del fiore, s’incide sui dossi montani e sussurra, parla, chiama, grida nelle coscienze: “Io sono il Signore Iddio tuo”.
   Non ve lo dimenticate mai! Non chiudetevi gli occhi, le orecchie, non strozzate la coscienza per non udirla, questa parola. Tanto essa è, e viene il momento che sulla parete del convito o sull’onda sconvolta del mare, sul labbro ridente del fanciullo o sul pallore del vecchio che muore, sulla fragrante rosa o sul fetido sepolcro, viene scritta dal dito di fuoco di Dio. Tanto viene il momento che fra le ebbrezze del vino e del piacere, fra il turbine degli affari, nel riposo della notte, in una solitaria passeggiata, essa alza la sua voce e dice: “Io sono il Signore Iddio tuo” e non questa carne che baci avido, e non questo cibo che ingordo ingolli, e non quest’oro che avaro accumuli, e non questo letto su cui poltrisci; e non serve il silenzio, l’esser soli, dormenti, a farla tacere.
   “Io sono il Signore Iddio tuo”, il Compagno che non ti abbandona, l’Ospite che non puoi cacciare. Sei buono? Ecco che l’ospite e compagno è l’Amico buono. Sei perverso e colpevole? Ecco che l’ospite e compagno diviene il Re irato e non dà pace. Ma non lascia, non lascia, non lascia. Solo ai dannati è concesso separarsi da Dio. Ma la separazione è il tormento insaziabile ed eterno.

   119.6 “Io sono il Signore Iddio tuo” e aggiunge: “che ti trassi dalla terra d’Egitto, dalla casa della schiavitù”. Oh! che invero, ora, proprio lo dice! Da che Egitto, da che Egitto ti trae, verso la terra promessa che non è questo luogo, ma il Cielo! L’eterno Regno del Signore in cui non sarà più fame e sete, e freddo e morte, ma tutto stillerà gioia e pace, e di pace e di gioia sarà sazio ogni spirito.
   Dalla schiavitù vera ora vi trae. Ecco il Liberatore. Io sono. Vengo a spezzare le vostre catene. Ogni dominatore umano può conoscere morte e per la sua morte essere liberi i popoli schiavi. Ma Satana non muore. È eterno. Ed è il dominatore che vi ha messo in ceppi per trascinarvi dove vuole. Il Peccato è in voi. E il Peccato è la catena con cui Satana vi tiene. Io vengo a spezzare la catena. In nome del Padre vengo. E per desiderio mio. Ecco perciò che si compie la non compresa promessa: “ti trassi dall’Egitto e dalla schiavitù”.
   Ora questo ha spiritualmente compimento. Il Signore Iddio vostro vi trae dalla terra dell’idolo che sedusse i Progenitori, vi strappa alla schiavitù della Colpa, vi riveste di Grazia, vi ammette nel suo Regno. In verità vi dico che coloro che verranno a Me potranno, con dolcezza di paterna voce, sentire l’Altissi mo dire nel cuore beato: “Io sono il Signore Iddio tuo e che ti traggo a Me, libero e felice”.
   Venite. Volgete al Signore cuore e volto, preghiera e volontà. L’ora della Grazia è venuta».

   119.7 Gesù ha terminato. Passa benedicendo e carezzando una vecchietta ed una bambinella morettina e tutta ridente.
   «Guariscimi, Maestro. Ho tanto male!», dice il malato di cancrena.
   «Prima l’anima, prima l’anima. Fai penitenza…».
   «Dammi il battesimo come Giovanni. Non posso andare a lui. Sono malato».
   «Vieni».
   Gesù scende verso il fiume che è oltre due grandissimi prati e il bosco che lo nasconde. Si scalza e così l’uomo, che si è trascinato lì con le stampelle. Scendono alla riva e Gesù, facendo coppa con le due mani unite, sparge l’acqua sul capo dell’uomo, che è nell’acqua fino a mezzo stinco.
   «Ora levati le bende», ordina Gesù mentre risale sul sentiero. L’uomo ubbidisce. La gamba è risanata. La folla grida il suo stupore.
   «Anche io!», «Anche io», «Io pure il battesimo da Te!», gridano in molti.
   Gesù, che è già a mezza strada, si volge: «Domani. Ora andate e siate buoni. La pace sia con voi».
   Tutto ha fine e Gesù torna in casa, nella cucina oscura nonostante siano ancora le prime ore del pomeriggio.

   119.8 I discepoli gli si affollano intorno. E Pietro chiede: «Quell’uomo che hai condotto dietro casa, che aveva?».
   «Bisogno di purificazione».
   «Non è però tornato, né c’era a chiedere battesimo».
   «È andato dove l’ho mandato».
   «Dove?».
   «All’espiazione, Pietro».
   «In carcere?».
   «No. Alla penitenza per tutta la vita che gli resta».
   «Non si purifica allora con l’acqua?».
   «È acqua anche il pianto».
   «Questo è vero.

   119.9 Ora che hai fatto il miracolo chissà quanti verranno!… Erano già il doppio oggi…».
   «Sì. Se Io dovessi fare tutto, non potrei. Voi battezzerete. Prima uno per volta, poi sarete in due, tre, in molti. E Io predicherò e guarirò i malati e i colpevoli».
   «Noi battezzare? Oh! io non ne sono degno! Levami, Signore, questa missione! Ho bisogno io d’essere battezzato!». Pietro è in ginocchio e supplica.
   Ma Gesù si china e dice: «Proprio tu battezzerai per il primo. Da domani».
   «No, Signore! Come faccio se sono più nero di quel camino?».
   Gesù sorride della sincerità umile dell’apostolo in ginocchio contro le sue ginocchia, sulle quali tiene congiunte le sue grosse mani di pescatore. E poi lo bacia sulla fronte, al limite dei capelli brizzolati e ruvidi nel loro arricciolarsi: «Ecco. Ti battezzo con un bacio. Sei contento?».
   «Farei subito un altro peccato per averne un altro!».
   «Questo no. Non si irride Dio abusando dei suoi doni».
   «E a me non dai un bacio? Qualche peccato l’ho anche io», dice l’Iscariota.
   Gesù lo guarda fissamente. Il suo occhio tanto mutevole passa dalla luce di letizia, che lo faceva chiaro mentre parlava con Pietro, ad una cupezza severa e direi stanca, e dice: «Sì… anche a te. Vieni. Io non ho ingiustizia con nessuno. Sii buono, Giuda. Se tu volessi!… Sei giovane. Tutta una vita per salire sempre, fino alla perfezione della santità…». E lo bacia.
   «Ora tu, Simone, amico mio. E tu, Matteo, mia vittoria. E tu, saggio Bartolmai. E tu, Filippo fedele. E tu, Tommaso dall’ilare volontà. Vieni, Andrea dal silenzio attivo. E tu, Giacomo del primo incontro. Ed ora tu, gioia del Maestro tuo. E tu, Giuda, compagno di fanciullezza e di gioventù. E tu, Giacomo, che mi richiami il Giusto nell’aspetto e nel cuore. Ecco, tutti, tutti… Ma ricordate che il mio amore è molto, ma ci vuole anche la vostra buona volontà. Un passo più avanti nella vostra vita di miei discepoli lo farete da domani. Ma pensate che ogni passo in avanti è un onore e un obbligo».

   119.10 «Maestro… un giorno hai detto[65] a me, Giovanni, Giacomo e Andrea che ci avresti insegnato a pregare. Io penso che, se pregassimo come Tu preghi, saremmo capaci di essere degni del lavoro che Tu vuoi da noi», dice Pietro.
   «Ti ho anche risposto, allora: “Quando sarete abbastanza formati, vi insegnerò la preghiera sublime. Per lasciarvi la mia preghiera. Ma anche essa sarà nulla se non la dirà che la bocca. Per ora ascendete con l’anima e la volontà a Dio”. La preghiera è un dono che Dio concede all’uomo e che l’uomo dona a Dio».
   «E come? Non siamo ancora degni di pregare? Tutto Israele prega…», dice l’Iscariota.
   «Sì, Giuda. Ma tu vedi dalle sue opere come prega Israele.
   Io non voglio fare di voi dei traditori. Chi prega con l’esterno, e dentro è contro il bene, è un traditore».

   119.11 «E i miracoli quando ce li fai fare?», chiede sempre Giuda.
   «Noi i miracoli, noi? Misericordia eterna! Ma pure si beve acqua pura! Noi i miracoli? Ma, ragazzo, farnetichi?». Pietro è scandalizzato, spaventato, fuori di sé.
   «L’ha detto[66] Lui a noi, in Giudea. Non è forse vero?».
   «Sì. È vero. Io l’ho detto. E voi lo farete. Ma finché in voi sarà troppa carne, non avrete miracoli».
   «Faremo dei digiuni», dice l’Iscariota.
   «Non serve. Per carne intendo le passioni corrotte, la triplice fame, e dietro a questa perfida trinità il codazzo dei suoi vizi… Pari a figli di una lurida bigama unione, la superbia della mente genera, con l’avidità della carne e del potere, tutto il male che è nell’uomo e nel mondo».
   «Noi per Te tutto abbiamo lasciato», ribatte Giuda.
   «Ma non voi stessi».
   «Dobbiamo morire allora? Pur di esser con Te lo faremmo.
   Io almeno…».
   «No. Non chiedo la vostra morte materiale. Chiedo che muoia l’animalità e la satanicità in voi, e questa non muore finché la carne viene saziata e menzogna, orgoglio, ira, superbia, gola, avarizia, accidia, sono in voi».
   «Siamo tanto uomini presso a Te, tanto santo!», mormora Bartolomeo.
   «E fu sempre così santo. Noi lo possiamo dire», asserisce il cugino Giacomo.
   «Egli lo sa come siamo… non dobbiamo accasciarci perciò. Ma dirgli solo: dàcci giorno per giorno la forza di servirti. Se noi dicessimo: “Siamo senza peccato” saremmo ingannati e ingannatori. E di chi poi? Di noi che sappiamo ciò che siamo, anche se non lo vogliamo dire? Di Dio che non si inganna? Ma dicendo: “Siamo deboli e peccatori. Aiutaci con la tua forza e il tuo perdono”, Dio allora non ci deluderà, e nella sua bontà e giustizia ci perdonerà e ci purificherà dalle iniquità dei nostri poveri cuori».
   «Te beato, Giovanni. Poiché la Verità parla sulle tue labbra che hanno profumo di innocenza e non baciano che l’adorabile Amore», dice Gesù alzandosi e si attira sul cuore il prediletto che ha parlato dal suo angolo buio.

[64] È detto, in: Esodo 19, 10-25. Inizia qui una serie di discorsi che illustrano il Decalogo, tramandato in: Esodo 20, 1-17; Deuteronomio 5, 1-22. La legge dei dieci comandamenti è trattata o citata altre volte nell’opera, per esempio in: 288.4 (come legge naturale) - 293.5 - 329.10 - 335.9 - 397.1 - 414.9 - 452.7/11 - 453.6 455.15 - 471.7 - 472.6/7 - 476.8 - 486.8 - 493.4/5 - 534.7 - 565.4 - 576.6 - 592.12.18 600.26 - 604.7 - 632.38 - 635.17. Nello spirito del Decalogo sono il comando di amare Dio (Deuteronomio 6, 5) e quello di amare il prossimo (Levitico 19, 18), come in: 122.10 - 196.5 - 277.3 - 279.2 - 281.10 - 295.4 - 444.3 - 596.2.10.
[65] un giorno hai detto… in 62.2; e ripeterà la promessa in 149.3.
[66] L’ha detto, in 72.3.