MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 140



CXL. A Emmaus, dal sinagogo Cleofa. Un caso di incesto. Fine del primo anno.

   18 aprile 1945.

   140.1 Giovanni col fratello bussano ad una casa in un paese. Riconosco la casa dove entrarono i due di Emmaus con Gesù risorto. Quando viene loro aperto, entrano e parlano certo con qualcuno che non vedo, poi escono e vanno per una via, raggiungendo Gesù che è con gli altri fermo in un luogo appartato.
    «C’è, Maestro. Ed è tutto felice che Tu sia proprio venuto. Ci ha detto: “Andate a dirgli che la mia casa è sua. Ora vengo io pure”».
    «Andiamo, allora».
    Camminano per qualche tempo e poi incontrano il vecchio sinagogo Cleofa visto all’Acqua Speciosa. Si inchinano a vicenda, ma poi il vecchione – sembra un patriarca – si inginocchia con venerabondo saluto. Dei cittadini, che vedono, si accostano curiosi.
    Il vecchio si alza e dice: «Ecco il promesso Messia. Ricordate questo giorno, o cittadini di Emmaus».
    Chi osserva con curiosità tutta umana e chi ha già sguardi di religioso ossequio. Due si fanno largo e dicono: «La pace a Te, Rabbi. C’eravamo noi pure quel giorno».
    «La pace a voi e a tutti. Sono venuto, come me ne aveva pregato il vostro sinagogo».
    «Farai miracoli qui pure?».
    «Se vi sono figli di Dio che credono e abbisognano del miracolo, certo Io lo farò».
    Il sinagogo dice: «Coloro che vogliono udire il Maestro vengano alla sinagoga. E così chi ha dei malati. Posso dire questo, Maestro?».
    «Puoi. Dopo l’ora di sesta Io sarò tutto per voi. Ora sono del buon Cleofa».
    E, seguito da un codazzo di gente, prosegue a fianco del vecchio sino alla sua casa.
    «Ecco mio figlio, Maestro. E la moglie mia. E la moglie di mio figlio e i piccoli bambini. Molto mi spiace che l’altro figlio sia, insieme al suocero di mio figlio Cleofa, a Gerusalemme insieme ad un infelice di qui… Ma ti dirò. Entra, Signore, coi tuoi discepoli».
    Entrano e vengono ristorati con i soliti usi ebraici. Poi si avvicinano al fuoco che arde in un ampio camino, perché la giornata è umida e fredda.
    «Fra poco ci sederemo a mensa. Ho invitato i notabili del luogo. Gran festa, oggi. Non sono tutti credenti in Te. Ma neppure nemici. Sono solamente indagatori… Vorrebbero credere. Ma siamo stati delusi troppe volte, in questi ultimi tempi, sul Messia. C’è diffidenza. Basterebbe una parola del Tempio a sciogliere ogni dubbio. Ma il Tempio… Io ho pensato che vedendo Te e udendoti, così, semplicemente, molto si possa in questo senso. Io vorrei darti dei veri amici».
    «Tu ne sei uno».
    «Sono un povero vecchio, io. Fossi più giovane, ti seguirei.
    Ma gli anni pesano».
    «Mi servi già col tuo credere. Mi predichi con la tua fede.
    Stai quieto, Cleofa. Io non ti dimenticherò nell’ora della Redenzione».

   140.2 «Ecco Simone con Erma. Stanno giungendo», avvisa il figlio del sinagogo.
    Si alzano tutti mentre entrano due di media età dall’aspetto signorile.
    «Questo è Simone, e questo Erma, Maestro. Sono veri israeliti. Ma sinceri nell’animo loro».
    «Dio si svelerà ai loro animi. La pace intanto scenda su essi.
    Senza pace non si ode Dio».
    «È detto anche nel libro dei Re parlando di Elia».
    «Sono i tuoi discepoli questi?», chiede quello di nome Simone.
    «Sì».
    «Ve ne sono di ogni età e luogo. E Tu sei galileo?».
    «Di Nazaret. Ma nato a Betlemme nel tempo del censo».
    «Betlemmita allora. Ciò conferma la tua figura».
    «È una benigna conferma, per la debolezza umana. Ma la conferma è nel sovrumano».
    «Nelle tue opere, vuoi dire», dice Erma.
    «In esse e nelle parole che lo Spirito accende sul mio labbro».
    «Mi sono state ripetute da chi ti udì. Veramente grande è la tua sapienza. E con questa intendi fondare il tuo Regno?».
    «Un re deve avere sudditi a conoscenza delle leggi del suo regno».
    «Ma le tue leggi sono tutte spirituali!».
    «Lo hai detto, Erma. Tutte spirituali. Io avrò un regno spirituale. Ho dunque il codice spirituale».
    «Ma la ricostituzione di Israele, allora?».
    «Non cadete nell’errore comune di prendere il nome Israele come quello che ha nel significato umano. Israele è detto per dire “Popolo di Dio”. Io ricostituirò la libertà e potenza vera di questo popolo di Dio e ricostituirò il medesimo col rendere al Cielo le anime, redente e sapienti degli eterni veri».

   140.3 «Sediamo alle mense. Ve ne prego», dice Cleofa che prende posto, con Gesù, al centro. Alla destra di Gesù è Erma e di fianco a Cleofa è Simone, poi il figlio del sinagogo e agli altri posti i discepoli.
    Gesù, pregato dall’ospite, offre e benedice, e ha inizio il pasto.
    «Vieni da queste parti, Maestro?», chiede Erma.
    «No. Vado in Galilea. Qui verrò di passaggio».
    «Come? Lasci l’Acqua Speciosa?».
    «Sì, Cleofa».
    «Vi venivano le turbe nonostante fosse inverno. Perché le deludi?».
    «Non Io. Così vogliono i puri d’Israele».
    «Che? Perché? Che male facevi? La Palestina ha molti rabbi che parlano là dove vogliono. Perché ciò non è concesso a Te?».
    «Non indagare, Cleofa. Sei vecchio e saggio. Non mettere tossico di amara conoscenza nel tuo cuore».
    «Ma forse Tu dicevi dottrine nuove, ritenute pericolose, oh!
    certo per errore di valutazione, dagli scribi e farisei? Quanto di Te sappiamo non ci sembra… vero, Simone? Ma forse noi non sappiamo tutto. In che consiste per Te la Dottrina?», chiede Erma.
    «Nella conoscenza esatta del Decalogo. Nell’amore e nella misericordia. L’amore e la misericordia, questo respiro e questo sangue di Dio, sono la norma della mia condotta e della mia dottrina. E Io ne faccio l’applicazione in tutti i frangenti della mia giornata».
    «Ma questo non è una colpa! È bontà questa».
    «È giudicata colpa dagli scribi e farisei. Ma Io non posso mentire alla mia missione, né disubbidire a Dio che mi ha mandato come “Misericordia” sulla Terra. È venuto il tempo della Misericordia piena, dopo secoli di Giustizia. Essa è sorella alla prima. Come due nate da un solo seno; ma mentre prima era più forte la Giustizia, e l’altra temperava solo il rigore – perché non può Dio vietarsi di amare – ora è regina la Misericordia, e come ne giubila la Giustizia che tanto si doleva di dover punire! Se voi guardate bene, vedete agevolmente che sempre esse furono da quando l’Uomo obbligò Dio ad essere severo. Il sussistere dell’Umanità non è che la riprova di quanto dico. Nella stessa punizione ad Adamo è mescolata la misericordia. Poteva incenerirli nel loro peccato. Dette loro l’espiazione, e alla donna causa di ogni male, avvilita per questo esser causa del male, fece balenare una figura di Donna causa del bene. E ad ambi concesse i figli e le cognizioni della esistenza. All’uccisore Caino insieme alla giustizia concesse il segno, e che era misericordia, perché non fosse ucciso. E all’Umanità corrotta concesse Noè per conservarla nell’arca, e indi promise patto sempiterno di pace. Non più il feroce diluvio. Non più. La Giustizia fu piegata dalla Misericordia. Volete risalire con Me la sacra Storia fino al momento mio? Vedrete sempre, e sempre più vaste, ripetersi le onde dell’Amore. Ora è colmo il mare di Dio, e ti solleva, o Umanità, sulle sue acque dolci e serene, ti solleva al Cielo, mondata, bella, e ti dice: “Ti rendo al Padre mio”».
    I tre sono assorti nella stupefazione di tanta luce d’amore. Poi Cleofa sospira: «Così è. Ma Tu solo sei tale!

   140.4 Che ne sarà di Giuseppe? Dovrebbe essere stato già ascoltato! Lo sarà stato?».
    Nessuno risponde.
    Cleofa si rivolge a Gesù: «Maestro, uno di Emmaus, il cui padre, un tempo, ha ripudiato la moglie, la quale andò a stabilirsi in Antiochia con un fratello, proprietario di un emporio, è incorso in colpa grave. Egli non aveva mai conosciuto quella donna, cacciata, e non indago le cause, dopo pochi mesi di matrimonio. Nulla aveva saputo di lei perché, naturalmente, il suo nome era proscritto da quella casa. Divenuto uomo ed ereditati dal padre i commerci e i beni, pensò di accasarsi, e avendo conosciuto a Joppe una donna, padrona di un ricco emporio, se l’è sposata. Ora, non so come fu saputo, si è reso noto che quella donna era figlia della moglie del padre di lui. Perciò peccato grave benché, a mio vedere, sia molto incerta la paternità della donna. Giuseppe, colpito da condanna, ha avuto distrutto in uno la sua pace di fedele e quella di marito. E, nonostante con grande dolore abbia ripudiato la moglie, forse sorella, la quale per il dolore fu presa da febbre ed è morta, egli non viene perdonato. In coscienza io dico che, se non c’erano dei nemici intorno al suo bene, egli non sarebbe stato così colpito.
    Tu che faresti?».
    «Il caso è molto grave, Cleofa. Quando sei venuto da Me, perché non me ne hai parlato?».
    «Non volevo allontanarti di qui…».
    «Oh! ma Io non sono cacciato da queste cose! Ora ascolta.
    Materialmente c’è incesto. E perciò c’è punizione[99]. Ma la colpa, per essere moralmente colpa, deve avere a base la volontà di peccare. Quest’uomo ha scientemente commesso incesto? Tu dici di no. Allora dove è la colpa? Voglio dire: la colpa dell’avere voluto peccare? Resta quella della convivenza[100] con una figlia del proprio padre. Ma tu dici che è incerto se tale ella era. E, anche se tale era, la colpa cessa col cessare della convivenza. Qui la cessazione è sicura non solo per il ripudio, ma per la sopraggiunta morte. Onde Io dico che l’uomo dovrebbe essere perdonato anche dell’apparente peccato. E dico che, posto che non c’è condanna per l’incesto regale, che dura alla luce del mondo, così si dovrebbe avere pietà di questo doloroso caso, la cui origine risale alla licenza di ripudio concessa da Mosè per evitare mali, se non più gravi, più numerosi. Quella licenza che Io condanno, perché l’uomo, bene o male che abbia contratto nozze, deve vivere col coniuge e non ripudiarlo favorendo adulteri e situazioni simili a questa. Inoltre, ripeto, nell’essere severi, bisogna esserlo con uguale misura con tutti. Prima anzi con se stessi e coi grandi. Ora, che io mi sappia, nessuno, tolto il Battista, ha alzato la voce contro il peccato regale. Coloro che condannano sono immuni da colpe simili e peggiori, oppure ad esse fan da velo il nome e la potenza, così come il pomposo mantello fa da riparo al loro corpo, spesso malato per vizio?».
    «Bene hai detto, Maestro. Così è. Ma Tu insomma chi sei?…», chiedono insieme i due amici del sinagogo.

   140.5 Gesù non può rispondere perché si apre la porta ed entra Simone suocero di Cleofa figlio.
    «Ben tornato. Ebbene?».
    La curiosità è così viva che nessuno pensa più al Maestro.
    «Ebbene… condanna assoluta. Neppure accettarono l’offerta del sacrificio. Giuseppe è reciso da Israele».
    «Dove è?».
    «Lì fuori. E piange. Ho cercato di parlare coi più potenti.
    Mi hanno cacciato come un lebbroso. Ora… Ma… È la rovina di quell’uomo. I beni e l’anima. Che volete che faccia?».
    Gesù si alza e si avvia alla porta, senza una parola.
    Il vecchio Cleofa crede che Egli si sia offeso della trascuranza e dice: «Oh! perdona, Maestro! Ma è il dolore del fatto che mi turba la mente. Resta, te ne prego!».
    «Resto, Cleofa. Solo vado dall’infelice. Venite, se volete, con Me».
    Gesù esce nel vestibolo. La casa ha una striscia di terreno davanti, delle piccole aiuole oltre le quali è la via. Buttato a terra sulla soglia è un uomo. Gesù gli va vicino a mani tese. Dietro sono tutti gli altri che cercano vedere.
    «Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?». Gesù parla con tutta dolcezza.
    L’uomo sobbalza, udendo la voce nuova e tutta buona dopo tante voci di condanna. Alza il volto e lo guarda stupito.
    «Giuseppe, nessuno ti ha perdonato?», torna a ripetere Gesù e si china a prendere le mani dell’uomo, cercando di alzarlo.
    «Chi sei?», chiede il disgraziato.
    «Sono la Misericordia e la Pace».
    «Per me non c’è più misericordia e pace».
    «Nel seno di Dio ve ne è sempre. Quel seno è colmo di queste cose e specie per i figli infelici».
    «Ma la mia colpa è tale che sono un reciso da Dio. Lasciami, Tu che certo sei buono, per non contaminarti».
    «Non ti lascio. Ti voglio portare alla pace».
    «Ma io sono… Tu chi sei?».
    «Te l’ho detto: Misericordia e Pace. Sono il Salvatore, Gesù sono. Alzati. Io posso ciò che voglio. In nome di Dio ti assolvo dalla involontaria contaminazione. L’altro male non esiste.

   140.6 Io sono l’Agnello di Dio che leva i peccati del mondo. A Me è deferito ogni giudizio dall’Eterno. Chi crede alla mia parola avrà la vita eterna. Vieni, povero figlio d’Israele. Ristorati il corpo stanco e fortifica lo spirito abbattuto. Ben altre colpe Io perdonerò. No. Non verrà da Me la disperazione nei cuori! Io sono l’Agnello senza macchia, ma non fuggo le pecore ferite per paura di contaminarmi. Anzi le cerco e con Me le conduco. Troppi, troppi sono quelli che vanno a completa rovina per troppa severità, ingiusta anche, di giudizio. Guai a coloro che per intransigente rigore conducono uno spirito a disperare! Non gli interessi di Dio, ma quelli di Satana fanno. Ora Io vedo una peccatrice ansiosa di redenzione allontanata dal Redentore, vedo perseguitato un sinagogo perché giusto, vedo colpito uno inavvertitamente caduto in colpa. Troppe cose vedo fare da là dove è vivo vizio e menzogna. E come muro che mattone a mattone si alza e fa parete, così le cose vedute, ed in un anno già troppe ne ho viste, stanno alzando fra Me ed essi un muro di durezza. Guai a loro quando sarà tutto alzato con i materiali dati da loro stessi! Tieni: bevi, mangia. Sei esausto. Poi, domani, verrai con Me. Non temere. Quando sarai tornato in pace di spirito, sarai libero di giudicare sul tuo futuro. Ora non potresti, e sarebbe pericoloso lasciartelo fare».
    Gesù, che si è portato nella sala l’uomo e lo ha forzato a sedersi al suo posto, lo serve anche e poi si volge ad Erma e a Simone e dice: «Questa è la mia Dottrina. Questa e non altra. E non mi limito a predicarla. Ma la rendo reale. Chi ha sete di Verità e di Amore venga a Me».

   
   140.7
Dice Gesù: «E con questo ha fine il primo anno di evangelizzazione. Tenetene nota. Che dirvi? L’ho dato perché era mio desiderio fosse conosciuto. Ma, come per i farisei, avviene per questo lavoro. Il mio desiderio di essere amato – conoscere è amare – viene respinto da troppe cose. E questo è un grande dolore per Me, l’eterno Maestro imprigionato da voi…».

  
  [99] c’è punizione, stando alle prescrizioni di: Levitico 18, 6-18.29; 20, 17.

  [100] convivenza, invece di connivenza, qui e due righe dopo, è la corretta trascrizione dattiloscritta.