MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 115



CXV. Guarigione di un bambino colpito dal cavallo di Alessandro. Gesù scacciato dal Tempio.

   22 febbraio 1945.

   115.1 L’interno del Tempio. Gesù è coi suoi molto presso al Tempio vero e proprio, ossia al Luogo Santo dove solo entravano i sacerdoti. È un bellissimo cortilone al quale si accede per un atrio e dal quale per un altro, ancora più ricco, si passa all’alta terrazza su cui è il cubo del Santo.
   È inutile! Vedessi mille volte il Tempio e lo descrivessi duemila, sia per la complessità del luogo, sia per la mia ignoranza dei nomi e per l’incapacità di fare un grafico, sarò sempre incompleta nel descrivere questo pomposo e labirintico luogo…
   Sembrano in preghiera. Anche molti altri israeliti, tutti uomini, sono lì e pregano ognuno per proprio conto. Scende la sera precoce di una plumbea giornata di novembre.
   Un vocìo, in cui è una stentorea e inquieta voce di uomo che bestemmia anche in latino, si mesce a stridule e acute voci ebraiche. Vi è come il tramestio di una lotta e una acuta voce femminile grida: «Oh! lasciatelo andare! Egli dice che Lui lo salverà».
   Il raccoglimento del suntuoso cortile è rotto. Molte teste si volgono verso il punto da cui vengono le voci. E si volge anche Giuda Iscariota, che è anche lui coi discepoli. Alto come è, vede e dice: «Un soldato romano che lotta per entrare! Viola, ha già violato il luogo sacro! Orrore!». Molti fanno eco.
   «Lasciatemi passare, can di giudei! Qui è Gesù. Lo so! Voglio Lui! Delle vostre pietre stupide non so che fare. Il bambino muore e Lui lo salva. Via! Ipocrite iene…».
   Gesù, che quando ha capito che si voleva Lui si è subito diretto verso l’atrio sotto cui si agitava la mischia, giunge ad esso e grida: «Pace e rispetto al luogo e all’ora dell’offerta».
   «Oh! Gesù! Salve! Sono Alessandro. Fate largo, cani!».
   E Gesù pacato: «Sì, fate largo. Condurrò altrove il pagano che non sa che è per noi questo luogo».
   Il cerchio si fende e Gesù raggiunge il soldato, che ha la corazza insanguinata. «Sei ferito? Vieni. Qui non si può stare», e lo conduce per l’altro cortile e oltre.
   «Non sono ferito io. Un bambino… Il mio cavallo, presso l’Antonia, mi ha preso la mano e l’ha travolto. Gli zoccoli gli hanno aperto la testa. Procolo ha detto: “Nulla da fare!”. Io… non ne ho colpa… ma per me è successo e la madre è là disperata. Ti avevo visto passare… venire qui… Ho detto: “Procolo no, ma Lui sì”. Ho detto: “Donna, vieni. Gesù lo sanerà”. Mi hanno trattenuto quei dementi… e forse il bambino sarà morto».
   «Dove è?», chiede Gesù.
   «Sotto quel portico, in grembo alla madre», risponde il milite già visto alla porta dei Pesci.
   «Andiamo». E Gesù va lesto più ancora, seguito dai suoi e da un codazzo di gente.

   115.2 Sui gradini che limitano il portico, addossata ad una colonna, è una donna straziata che piange sul figlioletto morente. Il bambino è terreo, con le labbra violacee semiaperte nel rantolo caratteristico dei colpiti al cervello. Una benda lo stringe al capo, rossa di sangue sulla nuca e sulla fronte.
   «Ha aperta la testa davanti e dietro. Si vede il cervello. È tenero il capo a quell’età, e il cavallo era grosso e ferrato da poco», spiega Alessandro.
   Gesù è presso la donna che non parla neppure più, agonizzante sul figlio che muore. Le pone la mano sul capo. «Non piangere, donna», dice con tutta la soavità di cui è capace, ossia infinita. «Abbi fede. Dammi il tuo bambino».
   La donna lo guarda inebetita. La folla impreca ai romani e compiange il morente e la madre. Alessandro è fra il contrasto dell’ira per le accuse ingiuste, la pietà e la speranza.
   Gesù si siede presso la donna, poi che vede che ella non sa fare più nessun gesto. Si china. Prende fra le sue lunghe mani il piccolo capo ferito, si china più ancora, si piega sulla cerea faccina, alita sulla bocchina rantolante… Qualche attimo. Poi ha un sorriso che appena si vede fra le ciocche di capelli piovute in avanti. Si raddrizza. Il bimbo apre gli occhietti e fa un atto per sedersi. La madre teme sia l’estremo conato e urla tenendolo sul cuore.
   «Lascialo andare, donna. Bambino, vieni a Me», dice Gesù sempre seduto a fianco della donna e tendendo le braccia con un sorriso. E il bambino si getta sicuro in quelle braccia e piange col pianto non del dolore, ma della paura che torna con il tornare del pensiero.
   «Non c’è il cavallo, non c’è», rassicura Gesù. «Tutto è passato. Ti fa più male qui?».
   «No. Ma ho paura, ho paura!».
   «Lo vedi, donna. Non è che la paura. Ora passa. Portatemi dell’acqua. Il sangue e la benda lo impressionano. Dammi una delle mele che hai, Giovanni… Prendi, piccino. Mangia. È buona…».
   Portano dell’acqua, anzi è il soldato Alessandro che la porta nel suo elmo. Gesù fa l’atto di sciogliere la benda.
   Alessandro e la madre dicono: «No! Risorge… ma la testa è aperta!…».
   Gesù sorride e scioglie la benda. Uno, due, tre, otto giri. Leva le pezze insanguinate. Dalla metà della fronte alla nuca, a destra, è un solo grumo di sangue ancora molle fra i capellucci del bambino. Gesù intinge una benda e lava.
   «Ma sotto è la ferita… se levi il grumo tornerà a sanguinare», insiste Alessandro.
   La madre si tappa gli occhi per non vedere.
   Gesù lava, lava, lava. Il grumo si scioglie… ecco i capellucci nettati. Sono umidi, ma sotto non vi è ferita. La fronte anche è sana. Solo ha un segnetto rosso dove la cicatrice è nata.
   La gente urla di stupore. La donna osa guardare, e quando vede non si trattiene più. Crolla tutta addosso a Gesù e lo abbraccia insieme al bambino e piange. Gesù sopporta quell’espansione e quella pioggia di lacrime.
   «Io ti ringrazio, Gesù», dice Alessandro. «Mi dolevo di aver ucciso questo innocente».
   «Hai avuto bontà e fiducia. Addio, Alessandro. Va’ al tuo servizio».

   115.3 Alessandro sta per andarsene quando arrivano come tanti cicloni degli ufficiali del Tempio e dei sacerdoti. «Il Sommo Sacerdote ti intima a mezzo nostro di uscire dal Tempio, Te e il pagano profanatore. Subito. Avete turbato l’offerta dell’incenso. Costui è penetrato dove è luogo di Israele. Non è la prima volta che per causa tua il Tempio è a rumore. Il Sommo Sacerdote, e con lui gli Anziani di turno, ti ordinano di non porre più piede qui dentro. Vai e stai coi tuoi pagani».
   «Non siamo dei cani neppure noi. Egli lo dice: “Vi è un Dio solo, Creatore dei giudei e dei romani”. Se questa è la sua Casa ed io sono creato da Lui, potrò entrarci io pure», risponde Alessandro, punto dallo sprezzo con cui i sacerdoti dicono «pagani».
   «Taci, Alessandro. Io parlo», interloquisce Gesù, che dopo avere baciato il piccolo lo ha reso alla madre e si è alzato in piedi. Dice al gruppo che lo scaccia: «Nessuno può vietare ad un fedele, ad un vero israelita che nessuno può provare reo di peccato, di pregare presso il Santo».
   «Ma di spiegare nel Tempio la Legge, sì. Te ne sei preso il diritto senza averlo e senza chiederlo. Chi sei? Chi ti conosce? Come usurpi un nome e un posto non tuo?».

   115.4 Gesù li guarda con certi occhi! Poi dice: «Giuda di Keriot.
   Vieni avanti».
   Giuda non pare entusiasta dell’invito. Aveva cercato di eclissarsi non appena erano venuti i sacerdoti e gli ufficiali del Tempio (che però non hanno veste militare: deve essere una carica civile). Ma deve ubbidire, perché Pietro e Giuda d’Alfeo lo spingono avanti.
   «Giuda, rispondi. E voi guardatelo. Lo conoscete. È del Tempio. Lo conoscete?».
   Devono rispondere: «Sì».
   «Giuda, che ti feci fare[58] quando parlai qui per la prima volta? E tu di che ti stupisti? Ed Io che ti dissi in risposta al tuo stupore? Parla, e sii schietto».
   «Mi disse: “Chiama l’ufficiale di turno, che Io gli possa chiedere permesso di istruire”. E si nominò e dette prove del suo essere e della sua tribù… ed io me ne stupii come di inutile formalità, dato che Egli si dice il Messia. E Lui mi disse: “È necessario, e quando sarà l’ora ricorda che Io non ho mancato di rispetto al Tempio e ai suoi ufficiali”. Sì. Ha detto così. Per la verità lo devo dire». Giuda in principio parlava un poco incerto, come seccato. Ma poi, con uno di quei trapassi bruschi suoi propri, si è fatto sicuro, fin quasi arrogante.
   «Mi fa stupore che tu lo difendi. Hai tradito la nostra fiducia in te», rimprovera un sacerdote a Giuda.
   «Non ho tradito nessuno. Quanti fra voi sono del Battista!
   E sono traditori perciò? Io sono di Cristo. Ecco».
   «Ebbene. Costui non deve parlare qui. Venga come fedele. È fin troppo per uno amico di pagani, meretrici, pubblicani…».
   «Rispondete a Me, ora», dice Gesù, severo ma calmo. «Chi sono gli Anziani di turno?».
   «Doras e Felice, giudei. Gioacchino di Cafarnao e Giuseppe itureo».
   «Ho capito. Andiamo. Riportate ai tre accusatori, poiché l’itureo non ha potuto accusare, che il Tempio non è tutto Israele e Israele non è tutto il mondo, e che la bava dei rettili, per quanto sia tanta e velenosissima, non sommergerà la Voce di Dio, né il suo veleno paralizzerà il mio andare fra gli uomini finché non sarà l’ora. E dopo… oh! dite loro che dopo gli uomini faranno giustizia dei carnefici e solleveranno la Vittima facendo di Essa il loro unico amore. Andate. E noi andiamo». E Gesù si ammantella nel suo pesante mantellone scuro ed esce in mezzo ai suoi.

   115.5 In coda è Alessandro, rimasto alla disputa. Fuori del recinto, presso la torre Antonia, dice: «Io ti saluto, Maestro. E ti chiedo perdono di esser stato causa di rampogna per Te».
   «Oh! non te ne dolere! Cercavano l’appiglio. Lo hanno trovato. Se non eri tu, era un altro… Voi, a Roma, fate i giuochi nel Circo con fiere e serpenti, non è vero? Ebbene, ti dico che nessuna belva è più feroce e subdola dell’uomo che vuol uccidere un altro uomo».
   «Ed io ti dico che al servizio di Cesare ho percorso tutte le regioni di Roma. Ma non ho mai, fra i mille e mille soggetti incontrati, trovato uno più divino di Te. No, che anche i nostri dèi non sono come Te divini! Sono vendicativi, crudeli, rissosi, bugiardi. Tu sei buono. Tu sei veramente un Uomo non uomo. Salute, Maestro».
   «Addio, Alessandro. Procedi nella Luce». Tutto ha fine.

[58] ti feci fare, in 68.1/2.