MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 129



CXXIX. La guarigione, all’Acqua Speciosa, di un romano indemoniato.

   13 marzo 1945.

   129.1 Gesù è oggi con i nove rimasti, perché gli altri tre sono partiti per Gerusalemme. Tommaso, sempre allegro, si divide perciò fra le sue verdure e le altre più spirituali incombenze, mentre Pietro con Filippo, Bartolomeo e Matteo si occupano dei pellegrini, e gli altri vanno al fiume per il battesimo. Veramente di penitenza con la sizza che tira!
   Gesù è ancora nel suo angolo nella cucina, mentre Tommaso traffica e tace per lasciare in pace il Maestro, quando entra Andrea e dice: «Maestro, c’è un malato che io dico bene guarirlo subito perché… Dicono che è folle perché non sono israeliti. Ma noi diremmo che è posseduto. Urla, sbraita, si divincola. Vieni a vedere Tu».
   «Subito. Dove è?».
   «Ancora nel campo. Senti questo ululato? È lui. Pare una bestia ma è lui. Deve essere un ricco perché chi lo accompagna è ben vestito, ed il malato è stato tirato giù da un carro, molto di lusso, da molti servi. Deve essere pagano perché bestemmia gli dèi dell’Olimpo».
   «Andiamo».
   «Vengo anche io a vedere», dice Tommaso, più curioso di vedere che preoccupato delle sue verdure.
   Escono e, in luogo di piegare verso il fiume, girano verso i campi che separano questo cascinale (noi lo diremmo così) dalla casa del fattore.
   In mezzo ad un prato dove prima brucavano delle pecore, che ora spaurite si sono sparpagliate in ogni senso, invano radunate dai pastori e da un cane – è il secondo cane che vedo da quando vedo – vi è un uomo tenuto legato solidamente e che, ciò nonostante, fa dei balzi da forsennato, con urli atroci che sempre più crescono più Gesù si avvicina.
   Pietro, Filippo, Matteo e Natanaele sono lì vicino, perplessi. E c’è anche della gente: uomini, perché le donne hanno paura.
   «Sei venuto, Maestro? Vedi che furia?», dice Pietro.
   «Ora passerà».
   «Ma… è pagano, sai?».
   «E che valore ha questo?».
   «Eh!… per via dell’anima!…».
   Gesù ha un breve sorriso e procede. Raggiunge il gruppo del matto, che sempre più si agita.

   129.2 Si stacca dal gruppo uno che l’abito e il volto rasato denunciano per romano, e saluta: «Salve, Maestro. Fama di Te mi è giunta. Sei più grande d’Ippocrate nel guarire e del simulacro di Esculapio per operare miracolo sui morbi. Lo so. Vengo per questo. Mio fratello, lo vedi? Folle per misterioso male. Nessun medico ne capisce. Sono andato con lui nel tempio di Esculapio. Ma ne uscì ancora più folle. A Tolemaide ho un parente. Mi mandò un messaggio con una galera. Diceva che qui è Uno che tutti guarisce. E sono venuto. Tremendo viaggio!».
   «Merita premio».
   «Ma, bada. Neppure proseliti siamo. Romani, fedeli agli dèi.
   Pagani, voi dite. Di Sibari, ora a Cipro».
   «È verità. Pagani siete».
   «Allora… nulla per noi? Il tuo Olimpo caccia il nostro od è cacciato».
   «Il mio Dio, unico e trino regna, unico e solo».
   «Sono venuto invano», dice il romano deluso.
   «Perché?».
   «Perché io sono d’un altro dio».
   «L’anima è creata da Un solo».
   «L’anima?…».
   «L’anima. Quella cosa divina che da Dio viene creata per ogni uomo. Compagna nell’esistenza, superstite oltre l’esistenza».
   «E dove è?».
   «Nel profondo dell’io. Ma pure essendo, come cosa divina, nell’interno del delubro più sacro, si può dire di lei – e lei dico, non essa, perché non cosa è, ma ente vero e degno d’ogni rispetto – che non è contenuta ma contiene».
   «Per Giove! Ma sei filosofo?».
   «Sono la Ragione unita a Dio».
   «Credevo lo fossi per quanto dicevi…».
   «E che è filosofia, quando è vera e onesta, se non elevazione della umana ragione verso la Sapienza e la Potenza infinite, ossia verso Dio?».
   «Dio! Dio!… Ho quello sciagurato che mi disturba. Ma quasi dimentico il suo stato per ascoltare Te, divino».
   «Non come tu dici lo sono. Tu divino chiami chi è superiore all’umano. Io dico che tal nome va dato solo a chi è da Dio».
   «Che è Dio? Chi mai l’ha visto?».
   «È stato scritto: “Tu che ci formasti, salve! Quando io descrivo la perfezione umana, le armonie del corpo nostro, io celebro la tua gloria”. Fu detto: “La tua bontà rifulge nell’avere distribuito i tuoi doni a tutti coloro che vivono, perché ogni uomo avesse ciò che gli è necessario. E la tua sapienza si testimonia per i tuoi doni, come la tua potenza nel compiersi dei tuoi voleri”. Riconosci queste parole?».
   «Se Minerva mi soccorre… sono di Galeno[79]. Ma come le sai? Io strabilio!…».
   Gesù sorride e risponde: «Vieni al Dio vero ed il suo divino spirito ti farà dotto della “vera sapienza e pietà che è conoscere te stesso ed adorare la Verità”».
   «Ma questo è sempre Galeno! Ora ne sono sicuro. Oltre che medico e mago, sei anche filosofo. Perché non vieni a Roma?».
   «Non medico, non mago, non filosofo, come tu dici. Ma testimonianza di Dio sulla Terra.

   129.3 Portatemi vicino il malato».
   Fra urla e divincolii lo trascinano lì.
   «Vedi? Tu lo dici folle. Dici che nessun medico poté guarirlo. È vero. Nessun medico, perché folle non è. Ma un degli inferi, così dico per te, pagano, è entrato in lui».
   «Ma non ha lo spirito pitone. Anzi dice solo errori».
   «Noi lo chiamiamo “demonio”, non pitone. Vi è il parlante e il muto. Colui che inganna con ragioni intinte di vero, e quello che è solo disordine mentale. Il primo di questi due è il più completo e pericoloso. Tuo fratello ha il secondo. Ma ora ne uscirà».
   «Come?».
   «Esso stesso te lo dirà».
   Gesù ordina: «Lascia l’uomo! Torna al tuo abisso».
   «Vado. Contro Te troppo debole è il mio potere. Mi cacci e mi imbavagli. Perché sempre ci vinci?…». Lo spirito ha parlato per bocca dell’uomo, che poi si accascia come spossato.
   «È guarito. Scioglietelo senza paura».
   «Guarito? Ne sei certo? Ma… Ma io ti adoro!». Il romano fa per prostrarsi.
   Ma Gesù non vuole. «Alza lo spirito. In Cielo è Dio. Lui adora, e va’ verso di Lui. Addio».
   «No. Così no. Almeno prendi. Permettimi ti tratti come i sacerdoti di Esculapio. Permettimi di udirti parlare… Permettimi di parlare di Te nella mia patria…».
   «Fallo. E vieni col fratello».
   Il quale fratello si guarda intorno stupito e chiede: «Ma dove sono? Questa non è Cintium! Il mare dove è?».
   «Eri…». Gesù fa un cenno per imporre silenzio e dice: «Eri sofferente per grande febbre e ti hanno condotto in altro clima. Ora stai meglio. Vieni».
   Vanno tutti – e non tutti ugualmente commossi, perché vi è chi ammira e chi critica la guarigione del pagano – nello stanzone.

   129.4 E Gesù va al suo posto, avendo sul davanti dell’assemblea proprio i romani.
   «Non vi spiaccia se Io cito un brano[80] dei Re. È detto in esso che, essendo il re di Siria in procinto di guerra contro Israele, aveva nella sua corte un uomo grande ed onorato di nome Naaman, che era lebbroso. E che una fanciulla d’Israele, predata dai siri, divenuta sua schiava, gli disse: “Se il mio signore fosse stato dal profeta che è in Samaria, certamente egli lo avrebbe guarito dalla lebbra”. Al che Naaman, chiestane licenza al re, seguì il consiglio della fanciullina. Ma il re d’Israele fortemente si agitò dicendo: “Son forse io Dio che il re di Siria mi manda i malati? Questo è un tranello per giungere alla guerra”. Ma il profeta Eliseo, saputo del fatto, disse: “Venga da me il lebbroso ed io lo guarirò ed egli saprà che vi è un profeta in Israele”. Naaman andò allora da Eliseo. Ma Eliseo non lo ricevette. Solo gli mandò a dire: “Lavati per sette volte nel Giordano e sarai mondato”. Naaman se ne sdegnò, parendogli aver fatto per nulla tanta strada, e fece per ripartire sdegnato.
   Ma i servi gli dissero: “Non ti ha chiesto che di lavarti sette volte, e anche ti avesse ordinato molto di più avresti dovuto farlo, perché egli è il profeta”. Allora Naaman si arrese. Andò, si lavò e tornò sano. Giubilante, fece ritorno dal servo di Dio e gli disse: “Ora so la verità: non vi è altro Dio su tutta la Terra. Ma vi è solo il Dio d’Israele”. E, poi che Eliseo non voleva doni, gli chiese di poter prendere almeno tanta terra da poter sacrificare, su terra d’Israele, al Dio vero.
   So che voi non tutti approvate quanto Io ho fatto. So anche che non sono tenuto a giustificarmi a voi. Ma, posto che vi amo di amor vero, voglio che voi comprendiate il mio gesto e da esso impariate, e cada dal vostro animo ogni senso di critica e di scandalo.
   Qui abbiamo due sudditi di uno stato pagano. Uno era malato, e loro fu detto per tramite di un parente, ma certo per bocca d’Israele: “Se andaste dal Messia d’Israele, Egli sanerebbe il malato”. Ed essi da molto lontano sono venuti a Me. Più grande ancora la loro fiducia di quella di Naaman, perché nulla sapevano di Israele e di Messia, mentre il siro, per vicinanza di nazione e continuo contatto con schiavi d’Israele, già sapeva che in Israele è Dio. Il vero Dio. Non è bene che ora un uomo pagano possa tornare in patria dicendo: “Veramente in Israele è un uomo di Dio, e in Israele adorano il vero Dio”?
   Io non ho detto: “Lavati sette volte”. Ma ho parlato di Dio e dell’anima, due cose da essi ignorate e che, come le bocche di una inesausta sorgente, portano con sé i sette doni. Perché dove è concetto di Dio e di spirito, e desiderio di pervenire ad essi, nascono le piante della fede, speranza, carità, giustizia, temperanza, fortezza, prudenza. Virtù ignote a coloro che dai loro dèi non possono che copiare le comuni passioni umane, aumentate in licenza perché compiute da supposti eccelsi. Ora essi tornano in patria. Ma più della gioia di essere esauditi c’è quella di dire: “Sappiamo che bruti non siamo, che oltre la vita è ancora un futuro. Sappiamo che il vero Dio è Bontà e perciò ama pure noi e ci benefica per persuaderci ad andare a Lui”.

   129.5 E che credete? Che essi solo ignorino il vero? Poco fa un mio discepolo credeva Io non potessi guarire il malato perché aveva un’anima pagana. Ma l’anima che è? E da chi viene? L’anima è l’essenza spirituale dell’uomo. È quella che, creata di età perfetta, investe, accompagna, avviva tutta la vita della carne e continua a vivere dopo che la carne non è più, essendo immortale come Colui che la crea: Iddio. Essendo un solo Dio, non vi sono anime di pagani o anime di non pagani create da diversi dèi. Vi è una sola Forza che crea le anime, ed è quella del Creatore, del Dio nostro, unico, potente, santo, buono, senza altra passione che non sia l’amore, la carità perfetta, tutta spirituale; e, per essere inteso da questi romani, come ho detto carità, dico anche carità tutta morale. Perché il concetto: spirito, non è compreso da questi pargoli che non sanno nulla delle parole sante.
   E che credete? Che solo per Israele Io sia venuto? Sono Colui che radunerà le stirpi sotto un solo pastorale: quello del Cielo. E in verità vi dico che presto verrà il tempo che molti pagani diranno: “Lasciateci avere quel tanto da potere nel nostro suolo pagano consumare sacrifici al Dio vero, al Dio uno e trino”, di cui Io sono la Parola.
   Ora essi vanno. Convinti più che se Io li avessi schiacciati con lo sdegno. Essi e nel miracolo e nelle mie parole sentono Dio, e questo diranno dove essi tornano.
   Inoltre vi dico: non era giusto premiare tanta fede? Disorientati dai responsi dei medici, delusi dagli inutili viaggi nei templi, hanno saputo avere ancora fede per venire allo sconosciuto, al grande Sconosciuto del mondo, al deriso, al grande Deriso e Calunniato d’Israele, e dirgli: “Credo che Tu possa”. Il primo crisma alla loro nuova mentalità viene loro da questo avere saputo credere. Non tanto della malattia quanto della errata fede Io li ho sanati, perché ho messo le loro labbra su un calice la cui sete cresce più se ne beve: la sete di conoscere il Dio vero.
   Ho finito. Dico a voi di Israele: sappiate avere fede come questi seppero».

   129.6 Il romano si accosta col guarito: «Ma… Non oso più dire: per Giove. Dico: ma sul mio onore di cittadino romano io ti giuro che avrò questa sete! Ma ora io devo andare. Chi mi darà più da bere?».
   «Il tuo spirito, l’anima che ora sai di avere, fino al giorno che un mio messo verrà a te».
   «E Tu no?».
   «Io… Io no. Ma non sarò assente pur non essendo presente.
   E non passeranno che poco più di due anni che Io ti farò un dono più grande della guarigione di costui che ti era caro. Addio ad ambedue. Sappiate perseverare in questo sentimento di fede».
   «Salve, Maestro. Il Dio vero ti salvi».
   I due romani se ne vanno e si ode che chiamano i servi col carro.
   «E neppure sapevano di avere un’anima!», mormora un vecchio.
   «Sì, padre. Ed hanno saputo accettare la parola mia meglio di tanti in Israele. Ora, posto che hanno dato tanto obolo, benefichiamo i poveri di Dio con doppia e tripla misura. E i poveri preghino per questi benefattori, più poveri di loro stessi, perché giungano alla vera, unica ricchezza che è conoscere Iddio».

   129.7 La velata piange sotto il suo velo che impedisce di vederne le lacrime, ma non di udirne i singhiozzi.
   «Quella donna piange», dice Pietro. «Forse non ha più denaro. Gliene diamo?».
   «Non piange per questo. Ma va’ a dirle così: “Le patrie passano. Ma il Cielo resta. Esso è di chi sa avere fede. Dio è Bontà e perciò ama anche i peccatori. E ti benefica per persuaderti di andare a Lui”. Va’. Dille così e poi lasciala piangere. È veleno che esce».
   Pietro se ne va dalla donna già incamminata verso i campi. Le parla e torna. «Si è messa a piangere più forte», dice. «Credevo di consolarla…», e guarda Gesù.
   «È consolata, infatti. Anche la gioia fa piangere».
   «Uhm!… Mah!… Ecco, io sarò contento quando la vedrò in volto. La vedrò?».
   «Al giorno del Giudizio».
   «Divina Misericordia! Ma allora sarò morto! E che me ne farò di sapere questo? Avrò da guardare l’Eterno allora!».
   «Fallo sin da questo momento. È l’unica cosa utile».
   «Sì… ma… Maestro, chi è?».
   Ridono tutti.
   «Se lo chiedi un’altra volta partiamo subito; così la dimentichi».
   «No. Maestro. Però… basta che resti Tu…».
   Gesù sorride. «Quella donna», dice, «è un avanzo e una primizia».
   «Che vuoi dire? Io non capisco».
   Ma Gesù lo lascia in asso per andare verso il paese.
   «Va da Zaccaria. Ha la donna morente», spiega Andrea.
   «Ha mandato me a dirlo al Maestro».
   «Tu mi fai stizza! Sai tutto, fai tutto e non dici mai nulla.
   Peggio di un pesce sei». Pietro si sfoga sul fratello della sua delusione.
   «Fratello, non te la prendere. Parli tu anche per me. Andiamo a ripescare le nostre reti. Vieni».
   Chi va a destra e chi a sinistra e tutto ha fine.

[79] Galeno, qui e qualche rigo più sotto, se non è un nome scritto in modo inesatto, è comunque il nome di un personaggio diverso dal noto medico e filosofo vissuto nel secondo secolo dopo Cristo. Nomi di persona sbagliati dalla scrittrice sono segnalati in: 14.4 - 78.1 - 134.1 - 234.1 - 331.5 - 342.1 - 417.1 - 443.1 - 532.1 - 538.8 - 552.2 - 554.6 - 576.4 (e in 236.12 un nome di città).
[80] brano che è in: 2 Re 5, 1-19.