MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 126



CXXVI. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non ammazzare. Morte di Doras.

   10 marzo 1945.

   126.1 «“Non ammazzare” è detto. A quale dei due gruppi di comandi appartiene questo? “Al secondo” dite voi? Sicuri? Vi chiedo ancora: è peccato che offende Dio o il colpito? Voi dite: “Il colpito”? Anche di questo ne siete sicuri? E ancora vi domando: non è che peccato di omicidio? Uccidendo non fate che questo unico peccato? “Questo solo” dite? Nessuno ne ha dubbio? Dite a voce alta le vostre risposte. Uno parli per voi tutti. Io attendo».
   E Gesù si china ad accarezzare una bambinella che è venuta vicino a Lui e che lo guarda estatica, dimenticando persino di rosicchiare la mela che la madre le ha dato per tenerla quieta.
   Si alza un vecchio imponente e dice: «Ascolta, Maestro. Io sono un vecchio sinagogo e mi hanno detto di parlare per tutti. Parlo. Mi sembra, e ci sembra, di avere risposto secondo giustizia e secondo quanto ci hanno insegnato. Appoggio la mia sicurezza al capo della legge[72] sull’omicidio e le percosse. Ma Tu lo sai perché siamo venuti: per essere ammaestrati, riconoscendo in Te sapienza e verità. Se dunque io sbaglio, illumina la mia tenebra acciò il vecchio servo vada al suo Re vestito di luce. E, come con me, fallo a questi che sono del mio gregge e che sono venuti col loro pastore a bere le fonti della Vita», e si inchina, avanti di sedersi, col massimo rispetto.
   «Chi sei, padre?».
   «Cleofa, di Emmaus, tuo servo».
   «Non mio, di Colui che mi ha mandato, perché al Padre va data ogni precedenza ed ogni amore in Cielo, in Terra e nei cuori. Ed il primo a dargli questo onore è il suo Verbo che prende ed offre, sulla tavola senza difetto, i cuori dei buoni come fa il sacerdote coi pani della proposizione. Ma ascolta, Cleofa, acciò tu vada a Dio tutto illuminato come è tuo santo desiderio.

   126.2 Nel misurare una colpa occorre pensare alle circostanze che precedono, preparano, giustificano, spiegano la stessa. “Chi ho colpito? Che cosa ho colpito? Dove ho colpito? Con quali mezzi ho colpito? Perché ho colpito? Come ho colpito? Quando ho colpito?”: questo si deve chiedere, prima di presentarsi a Dio per chiedergli perdono, quello che uccise.
   Chi ho colpito? Un uomo.
   Io dico: un uomo. Non penso e non considero se è ricco o se è povero, se è libero o se è schiavo. Per Me non esistono schiavi o potenti. Esistono solo degli uomini creati da un Unico, perciò tutti uguali. Infatti davanti alla maestà di Dio è polvere anche il più potente monarca della Terra. E ai suoi ed ai miei occhi non esiste che una schiavitù: quella del peccato e perciò sotto Satana. La Legge antica distingue i liberi dagli schiavi e sottilizza fra l’uccidere di un colpo e l’uccidere lasciando sopravvivere un giorno o due, e così se la donna incinta è condotta a morte per la percossa, o se ucciso è solo il suo frutto. Ma questo fu detto quando la luce della perfezione era ancora lontana. Ora è fra voi e dice: “Chiunque colpisce a morte un suo simile pecca”. E non solo verso l’uomo pecca, ma anche contro Dio.
   Cosa è l’uomo? L’uomo è la creatura sovrana che Dio ha creato per essere re nel creato, creato a sua immagine e somiglianza, dandogli la somiglianza secondo lo spirito, e l’immagine traendo questa perfetta immagine dal suo pensiero perfetto. Guardate nell’aria, sulla terra e nelle acque. Vedete forse un animale od una pianta che, per belli che siano, uguaglino l’uomo? L’animale corre, mangia, beve, dorme, genera, lavora, canta, vola, striscia, si arrampica. Ma non ha favella. L’uomo anche sa correre e saltare, e nel salto è così agile che emula l’uccello; sa nuotare, e nel nuoto è tanto veloce che pare il pesce; sa strisciare e pare il rettile; sa arrampicarsi e pare la scimmia; sa cantare e pare l’uccello. Sa generare e riprodursi. Ma inoltre sa parlare.
   E non dite: “Ogni animale ha il suo linguaggio”. Sì. L’uno mugge, l’altro bela, l’altro raglia, l’altro cinguetta, l’altro gorgheggia, ma dal primo bovino all’ultimo sempre avranno lo stesso ed unico muggito, e così l’ovino belerà sino alla fine del mondo, e l’asino raglierà come ragliò il primo, e il passero sempre dirà il suo corto cinguettio, mentre l’allodola e l’usignolo diranno lo stesso inno al sole la prima, alla notte stellata il secondo, anche se sarà l’ultimo giorno della Terra, così come salutarono il primo sole e la prima notte di essa. L’uomo invece, perché non ha solo un’ugola e una lingua, ma un complesso di nervi che si accentrano nel cervello, sede dell’intelletto, sa afferrare le sensazioni nuove e pensare su esse e dare ad esse un nome.
   Adamo chiamò cane il suo amico e leone quello che gli parve più somigliante nella chioma folta, ritta sulla faccia appena barbuta. Chiamò pecora l’agnella che lo salutava mite, e disse uccello quel fiore di penne che volava come la farfalla ma diceva dolce un canto che la farfalla non ha. E poi, nei secoli, ecco che i figli di Adamo crearono sempre nuovi nomi, mano mano che “conobbero” le opere di Dio nelle creature o che, per la scintilla divina che è nell’uomo, non generarono solo figli ma crearono anche cose utili o nocive ai figli stessi, a seconda che erano con Dio o contro Dio. Sono con Dio quelli che creano e operano cose buone. Sono contro Dio quelli che creano cose malvagie di danno al prossimo. Dio fa le vendette dei figli suoi torturati dal mal genio umano.

   126.3 L’uomo è dunque la creatura prediletta di Dio. Anche se ora è colpevole, è sempre quello a Lui più caro. E testimonia di ciò l’avere mandato il suo Verbo stesso, non un angelo, non un arcangelo, non un cherubino, non un serafino, il suo Verbo, rivestendolo della umana carne, per salvare l’uomo. Non ha riputato essere indegna questa veste per rendere passibile di soffrire ed espiare Colui che, per essere come Lui purissimo Spirito, non avrebbe potuto soffrire ed espiare la colpa dell’uomo.
   Il Padre mi ha detto: “Sarai uomo: l’Uomo. Io ne avevo fatto uno. Perfetto come tutto ciò che Io faccio. A lui erano destinati una dolce vita, una dolcissima dormizione, un beato risveglio, un beatissimo soggiorno eterno nel mio celeste Paradiso. Ma, Tu lo sai, in esso Paradiso non può entrare ciò che è contaminato, perché in esso Io-Noi, uno e trino Iddio, abbiamo trono. E davanti ad esso non può stare che santità. Io sono Colui che sono. La mia divina Natura, la misteriosa nostra Essenza non può essere nota che da coloro che sono senza macchia. Ora l’uomo, in Adamo e per Adamo, è sozzo. Vai. Mondalo. Lo voglio. Sarai Tu, d’ora in poi, l’Uomo. Il Primogenito. Perché per primo entrerai qui con carne mortale priva di peccato, con anima priva di colpa d’origine. Quelli che ti hanno preceduto sulla Terra e quelli che ti seguiranno avranno vita per la tua morte di Redentore”. Non poteva morire che uno che era nato. Io sono nato ed Io morrò.
   L’uomo è la creatura prediletta di Dio. Ora ditemi: se un padre ha molti figli, ma uno è il suo prediletto, la pupilla del suo occhio, e questo viene ucciso, quel padre non soffre più che se l’ucciso fosse un altro figlio? Ciò non dovrebbe essere, perché il padre dovrebbe essere giusto con tutti i suoi figli. Ma avviene perché l’uomo è imperfetto. Dio lo può fare con giustizia perché l’uomo è l’unica creatura, fra i creati, che abbia comune col Padre Creatore l’anima spirituale, segno innegabile della paternità divina.
   Uccidendo un figlio al padre, si offende solo il figlio? No. Anche il padre. Nella carne il figlio, nel cuore il padre. Ma ad ambi è data ferita. Uccidendo un uomo, si offende solo l’uomo? No. Anche Dio. Nella carne l’uomo, nel suo diritto Dio. Perché la vita e la morte da Lui solo devono essere date e tolte. Uccidere è fare violenza a Dio e all’uomo. Uccidere è penetrare nel dominio di Dio. Uccidere è mancare al precetto d’amore. Non ama Dio chi uccide, perché disperde un suo lavoro: un uomo. Non ama il prossimo chi uccide, perché leva al prossimo ciò che l’uccisore per sé vuole: la vita.
   Ed ecco che ho risposto alle due prime domande.

   126.4 Dove ho colpito?
   Si può colpire per via, nella casa dell’aggredito o attirando la vittima nella propria. Si può colpire l’uno o l’altro organo dando sofferenza più grave, e facendo anche due omicidi in uno se si è colpita la donna che ha il seno gravido del suo frutto.
   Si può colpire per via senza averne intenzione. Un animale che ci prenda la mano può uccidere il passante. Ma allora in noi non c’è premeditazione, mentre se uno si reca, armato di pugnale sotto le ipocrite vesti di lino, nella casa del nemico – e sovente è nemico chi ha il torto di essere migliore – oppure lo invita nella sua casa con segni d’onore e poi lo sgozza e lo getta nella cisterna, allora c’è premeditazione e la colpa è completa di malizia e ferocia e violenza.
   Se uccido il frutto con la madre, ecco che di due Dio me ne chiederà ragione. Perché il ventre che genera un nuovo uomo secondo il comando di Dio è sacro, e sacra è la piccola vita che in esso matura, alla quale Dio ha dato un’anima.

   126.5 Con quali mezzi ho colpito?
   Invano uno dice: “Non volevo colpire” quando è andato armato di arma sicura. Nell’ira anche le mani divengono arma, e arma la pietra raccolta per terra, o il ramo strappato alla pianta. Ma chi freddamente osserva il pugnale o la scure e, se gli paiono poco taglienti, li affila e poi se li assicura al corpo in modo che non siano visti ma possano essere branditi con facilità e va dal rivale così pronto, non può certo dire: “Non c’era in me voglia di colpire”. Chi prepara un veleno cogliendo erbe e frutti tossici e ne fa polvere o bevanda e poi la offre alla vittima come spezie o come sicera, non può certo dire: “Io non volevo uccidere”.
   Ed ora ascoltate, voi, donne, tacite ed impunite assassine di tante vite. È uccidere anche staccare un frutto che cresce nel seno perché è di colpevole seme o perché è un germe non voluto, peso inutile ai vostri fianchi e alla vostra ricchezza. Vi è un solo modo di non avere quel peso: rimanendo caste. Non unite omicidio a lussuria, violenza a disubbidienza, e non crediate che Dio non veda perché l’uomo non vede. Dio tutto vede e tutto ricorda. Ricordatevelo voi pure.

   126.6 Perché ho colpito?
   Oh! per quanti perché! Dall’improvviso squilibrio che crea in voi un’emozione violenta, quale è quella di trovare il talamo profanato, o il ladro in casa, o un lurido intento a far violenza alla propria figlia fanciulla, al freddo e meditato calcolo di liberarsi da un testimonio pericoloso, da un che intralcia la via, da uno di cui si aspira il posto o la borsa: questi sono tanti e altrettanti perché. E se ancora Dio può perdonare a chi nella febbre del dolore diviene assassino, non perdona a chi lo diviene per avidità di potere o di stima fra gli uomini.
   Agite sempre bene e non temerete l’occhio di alcuno né la parola di alcuno. State contenti del vostro e non aspirerete all’altrui fino a divenire assassini per avere ciò che è del prossimo.

   126.7 Come ho colpito?
   Infierendo anche oltre e dopo il primo scatto impulsivo? Talora l’uomo non si può frenare. Perché Satana lo getta nel male come il frombolatore getta la pietra. Ma che direste di una pietra che, dopo aver raggiunto il segno, tornasse da sé alla frombola per essere di nuovo lanciata e tornare a colpire? Direste: “È posseduta da una forza magica ed infernale”. Così è l’uomo che dopo il primo desse un secondo, un terzo, un decimo colpo, senza che la sua ferocia cada. Perché l’ira cade e subentra ragione subito dopo il primo impeto, se è impeto che viene da ancora giustificabile motivo. Mentre la ferocia aumenta, più la vittima è colpita, nel vero assassino ossia nel satana che non ha, non può avere pietà del fratello perché, essendo satana, è odio.

   126.8 Quando ho colpito?
   Nel primo impeto? Dopo che questo è caduto? Fingendo perdono mentre è sempre più lievitato il rancore? Ho atteso forse degli anni a colpire per dare doppio dolore uccidendo il padre attraverso i figli?
   Voi vedete che ammazzando si offende il primo e il secondo gruppo di comandi. Perché vi arrogate il diritto di Dio e perché conculcate il prossimo. Peccato dunque contro Dio e contro il prossimo. Fate non solo un peccato di omicidio. Ma fate peccato di ira, di violenza, di superbia, di disubbidienza, di sacrilegio, e talora, se uccidete per rubare un posto o una borsa, di cupidigia. Né, ve lo dico appena, ma ve lo spiegherò un altro giorno meglio, né si pecca di omicidio solo con l’arma e il veleno. Ma anche con la calunnia. Meditate.

   126.9 E ancora vi dico: il padrone che, percuotendo uno schiavo, lo fa con l’astuzia che non gli muoia fra le mani, è doppiamente colpevole. L’uomo schiavo non è denaro del padrone: è anima del suo Dio. E maledetto in eterno sia colui che lo tratta peggio del bue».
   Gesù sfavilla e tuona. Tutti lo guardano stupiti, perché prima parlava pacato.
   «Maledetto sia. La Legge nuova abolisce questa durezza, che era ancora giustizia quando nel popolo d’Israele non erano ipocriti che si fingono santi e aguzzano l’ingegno solo per sfruttare e eludere la Legge di Dio. Ma ora in cui Israele trabocca di questi viperini esseri, che il libito lo fanno lecito solo perché essi sono essi, i miserabili potenti che Dio guarda con odio e schifo, Io dico: ciò non è più.
   Cadono gli schiavi sui solchi o alle macine. Cadono con le ossa frante e i nervi denudati dai flagelli. Li accusano, per poterli colpire, di menzogneri delitti per giustificare il proprio sadismo satanico. Persino il miracolo di Dio si usa come accusa per avere diritto di colpirli. Né la potenza di Dio, né la santità dello schiavo converte la loro anima bieca. Non può essere convertita. Il bene non entra dove è saturazione di male. Ma Dio vede e dice: “Basta!”.
   Troppi sono i Caini che uccidono gli Abeli. E che credete, immondi sepolcri dall’esterno imbiancato e coperto dalle parole della Legge, e dall’interno in cui passeggia re Satana e pullula il satanismo più astuto, che credete? Che sia stato Abele solo il figlio d’Adamo e che il Signore guardi benigno solo coloro che schiavi d’uomo non sono, mentre rigetti da Sé l’unica offerta che può fare lo schiavo: quella della sua onestà condita di pianto? No, che in verità vi dico che ogni giusto è un Abele, anche se carico di ceppi, anche se morente sulla gleba o sanguinante per le vostre flagellazioni, e che sono Caino tutti gli ingiusti che dànno a Dio per orgoglio, non per culto vero, che dànno ciò che è inquinato del loro peccare e macchiato di sangue.
   Profanatori del miracolo. Profanatori dell’uomo, uccisori, sacrileghi! Fuori! Via dal mio cospetto! Basta! Io dico: basta. E dire lo posso perché sono la divina Parola che traduce il Pensiero divino. Via!».
   Gesù, ritto sulla sua rozza predella, è spaurente tanto è imponente. Col braccio destro teso ad accennare la porta d’uscita, gli occhi che sono due fuochi d’azzurro, sembra fulminare i peccatori presenti. La piccolina ai suoi piedi si mette a piangere e corre dalla mamma. I discepoli si guardano stupiti e guardano a chi va l’invettiva. La folla pure si gira, con occhio interrogativo.

   126.10 Finalmente ecco spiegato l’arcano. In fondo, fuori della porta, seminascosto dietro un gruppo di alti popolani, si mostra Doras. Ancor più secco, giallo, grinzoso, tutto naso e bazza. Ha con lui un servo che lo aiuta a muoversi perché pare mezzo accidentato. E chi lo aveva visto là in mezzo alla corte? Osa parlare con la sua voce chioccia: «A me dici? Per me?».
   «Per te, sì. Esci dalla mia casa».
   «Esco. Ma presto faremo i conti, non dubitare».
   «Presto? Subito. Il Dio del Sinai, te l’ho detto[73], ti attende».
   «Anche Tu, malefico, che hai fatto venire addosso a me i malanni e gli animali nocivi nelle terre. Ci rivedremo. E sarà la mia gioia».
   «Sì. E non vorrai rivedermi. Perché Io ti giudicherò».
   «Ah! Ah! maled…». Annaspa, gorgoglia e cade.
   «È morto!», urla il servo. «È morto il padrone! Che Tu sia benedetto, Messia, nostro vendicatore!».
   «Non Io. Dio, Signore eterno. Nessuno si contamini. Solo il servo pensi al suo padrone. E sii buono col suo corpo. Siate buoni, voi tutti, suoi servi. Non tripudiate con astio per il colpito, onde non meritare condanna. Iddio e il giusto Giona vi siano sempre amici, ed Io con loro. Addio».
   «Ma è morto per tuo volere?», chiede Pietro.
   «No. Ma il Padre entrò in Me… È un mistero che non puoi capire. Sappi solo che non è lecito colpire Iddio. Egli da Sé si fa le vendette».
   «Ma non potresti allora dire al Padre tuo di fare morire tutti quelli che ti odiano?».
   «Taci! Tu non sai di che spirito sei! Io sono Misericordia e non Vendetta».
   Si accosta il vecchio sinagogo: «Maestro, Tu hai risolto tutte le mie domande, e la luce è in me. Sii benedetto. Vieni nella mia sinagoga. Non ricusare ad un povero vecchio la tua parola».
   «Verrò. Va’ in pace. Il Signore è con te».
   Mentre la folla se ne va piano piano, tutto finisce.

[72] legge, che è in: Esodo 21, 12-36; Levitico 24, 17-22; Numeri 35, 9-34; Deuteronomio 19, 1-13.
[73] te l’ho detto, in 109.12.