MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 132



CXXXII. Discorso conclusivo all'Acqua Speciosa. Predizione del primato spirituale a Simon Pietro.

   17 marzo 1945.

   132.1 «Figli miei nel Signore, la festa della Purificazione è ormai imminente e ad essa Io, Luce del mondo, vi mando preparati con quel minimo necessario a ben compierla. Il primo lume della festa da cui trarrete fiamma per tutti gli altri. Perché ben stolto sarebbe colui che pretendesse accendere molti lumi non avendo come accendere il primo. E ancora più stolto sarebbe colui che pretendesse iniziare la sua santificazione dalle cose più ardue, trascurando ciò che è la base dell’edificio immutabile della perfezione: il Decalogo.

   132.2 Si legge[85] nei Maccabei che Giuda ed i suoi, avendo con la protezione del Signore ripreso il Tempio e la Città, distrussero gli altari agli dèi stranieri e i tempietti e purificarono il Tempio. Poi alzarono un altro altare e con le pietre focaie suscitarono il fuoco, offersero i sacrifizi, fecero ardere l’incenso, posero i lumi e i pani della proposizione e poi, prostrati tutti a terra, supplicarono il Signore a non farli più peccare o, se per loro debolezza venissero di nuovo al peccato, che venissero trattati con divina misericordia. E questo avveniva il venticinque del mese di casleu.
    Consideriamo e applichiamo il racconto a noi stessi, perché ogni parola della storia d’Israele, essendo di popolo eletto, ha un significato spirituale. La vita è sempre insegnamento. La vita d’Israele è insegnamento non solo per i giorni terreni, ma per la conquista dei giorni eterni.
    “Distrussero gli altari e i tempietti pagani”.
    Ecco la prima operazione. Quella che Io vi ho indicato di fare col nominarvi gli dèi individuali che sostituiscono il Dio vero: le idolatrie del senso, dell’oro, dell’orgoglio, i vizi capitali che portano alla profanazione e morte dell’anima e del corpo e al castigo di Dio.
    Io non vi ho schiacciati sotto le innumerabili formole che ora opprimono i fedeli, e sono di baluardo alla vera Legge, oppressa, nascosta da cumuli e cumuli di proibizioni tutte esteriori, che con la loro oppressione conducono il fedele a perdere di vista la lineare, chiara, santa voce del Signore che dice: “Non bestemmiare. Non idolatrare. Non profanare le feste. Non disonorare i genitori. Non uccidere. Non fornicare. Non rubare. Non mentire. Non invidiare le cose altrui. Non appetire la moglie altrui”. Dieci “non”. E non uno di più. E sono le dieci colonne del tempio dell’anima. Sopra splende l’oro del precetto santo fra i santi: “Ama il tuo Dio. Ama il tuo prossimo”.
    È il coronamento del tempio. È la protezione delle fondamenta. È la gloria del costruttore. Senza l’amore uno non potrebbe ubbidire alle dieci regole e cadrebbero le colonne, tutte od alcuna, e il tempio rovinerebbe o totalmente o parzialmente. Ma sempre sarebbe rovinato e non più atto ad accogliere il Santissimo.
    Fate ciò che vi ho detto, abbattendo le tre concupiscenze. Dando un nome schietto al vostro vizio, così come schietto è Dio nel dirvi: “Non fare questo e quello”. Inutile sottilizzare sulle forme. Chi ha un amore più forte di quello che dà a Dio, quale che sia questo amore, è un idolatra. Chi nomina Dio professandosi suo servo e poi lo disubbidisce, è un ribelle. Chi per avidità lavora in sabato è un profanatore ed è un diffidente e presuntuoso. Chi nega un soccorso ai genitori adducendo pretesti, anche se dice che sono opere date a Dio, è uno in odio a Dio, che ha messo i padri e le madri a sua figura sulla Terra. Chi uccide è sempre assassino. Chi fornica è sempre lussurioso. Chi ruba è sempre ladro. Chi mente è sempre un abbietto. Chi vuole ciò che non è suo, è sempre un ingordo della più esecrata fame. Chi profana un talamo è sempre un immondo.
    Così è. E vi ricordo[86] che dopo l’erezione del vitello d’oro venne l’ira del Signore, dopo l’idolatria di Salomone lo scisma che divise e indebolì Israele, dopo l’ellenismo accettato, e anzi ben accolto e introdotto da giudei indegni sotto Antioco Epifane, vennero le nostre attuali sventure di spirito, di fortuna e di nazionalità. Vi ricordo che Nabal e Abiù, falsi servi di Dio, furono percossi da Geovè. Vi ricordo che non era santa la manna del sabato. Vi ricordo Cam e Assalonne. Vi ricordo il peccato di Davide su Uria e quello di Assalonne su Amnon. Vi ricordo la fine di Assalonne e quella di Amnon. Vi ricordo la sorte di Eliodoro ladro, e Simone e Menelao. Vi ricordo la ignobile fine dei due rettori falsi che avevano testimoniato con menzogna su Susanna. E potrei continuare senza trovare fine agli esempi.

   132.3 Ma torniamo ai Maccabei.
    “E purificarono il Tempio”.
    Non basta dire: “Distruggo”. Occorre dire: “Purifico”. Vi ho detto come si purifica l’uomo: col pentimento umile e sincero. Non vi è peccato che Dio non perdoni se il peccatore è realmente pentito. Abbiate fede nella Bontà divina. Se voi poteste giungere a capire cosa è questa Bontà, anche fossero su voi tutti i peccati del mondo, non fuggireste da Dio, ma anzi correreste ai suoi piedi, perché solo il Buonissimo può perdonare ciò che l’uomo non perdona.
    “E alzarono un altro altare”.
    Oh! non tentate inganno col Signore. Non siate falsi nel vostro agire. Non mescolate Dio a Mammona. Avreste un altare vuoto: quello di Dio. Perché inutile alzare un altare nuovo se permangono anche resti dell’altro. O Dio o l’idolo. Scegliete.
    “E suscitarono il fuoco con la pietra e l’esca”.
    Pietra è la ferma volontà di essere di Dio. Esca è il desiderio di annullare con tutto il restante della vita anche il ricordo del vostro peccato dal cuore di Dio. Ecco allora che si suscita il fuoco: l’amore. Perché il figlio che cerca di riconfortare l’offeso genitore con tutta una vita onorata, che fa se non amare il padre, volendolo lieto del figlio suo, già lacrima e ora gioia? Ora, giunti a questo, potete offrire i sacrifici, ardere gli incensi, porre i lumi e i pani. Non saranno invisi a Dio i sacrifici, e grate saranno le preghiere, veramente illuminato l’altare, ricco del cibo della vostra offerta giornaliera. Potrete pregare dicendo: “Siici protettore”, perché Egli amico vi sarà.
    Ma la sua misericordia non ha atteso che voi chiamaste pietà. Ha precorso il vostro desiderio. E vi ha mandato la Misericordia a dirvi: “Sperate. Io ve lo dico: Dio vi perdona. Venite al Signore”. Un altare è già fra voi: il nuovo altare. Da esso sgorgano fiumi di luce e di perdono. Come un olio si spandono, medicano, rinforzano. Credete nella Parola che da esso viene.
    Piangete con Me sui vostri peccati. Come il levita che guida il coro, Io dirigo le vostre voci a Dio, e non sarà respinto il vostro gemito se è unito alla mia voce. Con voi mi annichilo, Fratello agli uomini nella carne, Figlio al Padre nello spirito, e dico[87] per voi, con voi: “Da questo profondo abisso, dove Io-Umanità sono caduto, grido a Te, Signore. Ascolta la voce di chi si guarda e sospira, e non chiudere il tuo udito alle mie parole. Orrore è il vedermi, o Dio. Orrore io sono anche agli occhi miei! E che sarò agli occhi tuoi? Non guardare alle mie colpe, o Signore, perché altrimenti io non potrò resistere innanzi a Te, ma usa su me la tua misericordia. Tu l’hai detto: ‘ Io Misericordia sono ’. Ed io credo alla tua parola. L’anima mia, ferita ed abbattuta, confida in Te, nella tua promessa, e dall’alba a notte, dalla giovinezza alla vecchiaia io spererò in Te”.

   132.4 Colpevole di omicidio e di adulterio, riprovato da Dio, ben ottiene Davide perdono, dopo aver gridato al Signore: “Abbi pietà non per mio rispetto ma per onore della tua misericordia, che è infinita. E per essa cancella il mio peccato. Non vi è acqua che possa lavare il mio cuore se non è presa nelle acque profonde della tua santa bontà. Con essa lavami della iniquità mia e purificami dalla mia sozzura. Non nego d’aver peccato. Ma anzi io confesso il mio delitto e come un testimonio accusatore la colpa mi è sempre davanti. Ho offeso l’uomo nel prossimo e in me stesso, ma di avere peccato contro Te particolarmente mi dolgo. E questo ti dica che riconosco che Tu sei giusto nelle tue parole e temo il tuo giudizio che trionfa su ogni potenza umana. Ma considera, o Eterno, che in colpa sono nato e che peccatrice fu chi mi ha concepito, e che pure Tu tanto mi hai amato da giungere a svelarmi la tua sapienza ed a darmela per maestra nel comprendere i misteri delle tue sublimi verità. E se tanto hai fatto, devo temere di Te? No. Non temo. Aspergimi coll’amaro del dolore e sarò purificato. Lavami col pianto e diverrò come neve alpina. Fammi sentire la tua voce ed esulterà il tuo servo umiliato, perché la tua voce è gioia e letizia anche se rampogna. Volgi il tuo volto ai miei peccati. Il tuo sguardo cancellerà le mie iniquità. Il cuore che Tu mi hai dato mi fu profanato da Satana e dalla mia debole umanità. Creami un nuovo cuore che sia puro e distruggi ciò che è corruzione nelle viscere del tuo servo, perché regni solo in lui uno spirito retto. Ma non mi scacciare dalla tua presenza e non mi levare l’amicizia tua, perché solo la salute che da Te viene è gioia per l’anima mia, e il tuo spirito sovrano è conforto dell’umiliato. Fa’ che io divenga colui che va fra gli uomini dicendo: ‘ Osservate quanto è buono il Signore. Andate sulle sue vie e sarete benedetti come io lo sono, io aborto dell’uomo e che ora torno figlio di Dio per la grazia che rinasce in me ’. E a Te si convertiranno gli empi. Il sangue e la carne ribollono e urlano in me. Liberami da essi, o Signore, salvezza dell’anima mia, ed io canterò le tue lodi. Non sapevo. Ma ora ho compreso. Non un sacrifizio d’arieti Tu vuoi, ma l’olocausto d’un cuore contrito. Un cuore contrito e umiliato ti è più gradito di arieti e montoni, perché Tu per Te ci hai creati, e vuoi che noi di ciò ci ricordiamo e ti rendiamo ciò che è tuo. Sii a me benigno per la tua grande bontà e riedifica la mia e tua Gerusalemme: quella di uno spirito purificato e perdonato sul quale possa venire offerto il sacrificio, l’oblazione e l’olocausto per il peccato, per il grazie e per la lode. Ed ogni mio nuovo giorno sia un’ostia di santità consumata sul tuo altare per salire coll’odore del mio amore sino a Te”.

   132.5 Venite! Andiamo al Signore. Io avanti, voi dietro. Andiamo alle acque di salute, andiamo nei pascoli santi, andiamo nelle terre di Dio. Dimenticate il passato. Sorridete al futuro. Non pensate al fango, ma guardate le stelle. Non dite: “Son tenebra”; dite: “Dio è Luce”. Io sono venuto ad annunziarvi la pace, a dire ai mansueti la Buona Novella, a curare quelli che hanno il cuore infranto da troppe cose, a predicare la libertà a tutti gli schiavi, primi fra tutti quelli di Mammona, a liberare i prigionieri dalle concupiscenze.
    Io vi dico: l’anno di grazia è venuto. Non piangete voi tristi della tristezza di chi si sente peccatore, non lacrimate, esuli dal Regno di Dio. Io sostituisco la cenere con l’oro, l’olio alle lacrime. A festa vi vesto per presentarvi al Signore e dire: “Ecco le pecorelle che Tu mi mandasti a cercare. Io le ho visitate e radunate, le ho contate, ho cercato le disperse e te le ho portate sottraendole ai nuvoli e alle caligini. Le ho prese frammezzo a tutti i popoli, le ho riunite da tutte le regioni per condurle alla Terra non più terra che per esse Tu hai preparato, o Padre santo, per portarle sulle cime paradisiache dei tuoi monti opimi dove tutto è luce e bellezza, lungo i rivi delle celesti beatitudini dove si satollano di Te gli spiriti da Te amati. Sono andato in cerca anche delle ferite, ho guarito le fratturate, ho ristorato le deboli, non ne ho trascurato una sola. E la più sbranata dagli avidi lupi dei sensi me la sono messa come un giogo d’amore sulle spalle e te la poso ai piedi, Padre benigno e santo, perché ella non può più camminare, non sa le tue parole, è una povera anima inseguita dai rimorsi e dagli uomini, è uno spirito che rimpiange e trema, è come un’onda spinta e respinta dal flutto sul lido. Viene col desiderio, la respinge la cognizione di sé… Aprile il tuo seno, Padre tutto amore, perché in esso trovi pace questa creatura smarrita. Dille: ‘ Vieni ’. Dille: ‘ Sei mia ’. Fu di tutto un mondo. Ma ne ha nausea e paura. Dice: ‘ Ogni padrone è uno sgherro lurido ’. Fa’ che possa dire: ‘ Questo mio Re mi ha dato la gioia d’esser presa! ’. Non sa cosa sia l’amore. Ma se Tu l’accogli saprà cosa è questo amore celeste che è l’amore nuziale fra Dio e lo spirito umano, e come un uccello liberato dalle gabbie dei crudeli salirà, salirà, sempre più in alto, sino a Te, al Cielo, alla gioia, alla gloria, cantando: ‘ Ho trovato Colui che cercavo. Non ha altro desiderio il mio cuore. In Te mi poso e giubilo, Signore eterno, nei secoli dei secoli beata! ’”.
    Andate. Con spirito nuovo celebrate la festa della Purificazione. E la luce di Dio si accenda in voi».
    Gesù è stato travolgente nella chiusa del suo discorso. Un volto luminoso dagli occhi raggianti, un sorriso e delle note che sono di una dolcezza non conosciuta.
    La gente ne è quasi affascinata e non si muove sinché Egli ripete: «Andate. La pace sia con voi». Allora si inizia la partenza dei pellegrini che parlano fitto fitto fra di loro.

   132.6 La velata se ne va svelta come sempre col suo passo agile e lievemente ondulante. Pare che abbia le ali per il vento che le gonfia il mantello alle spalle.
    «Adesso capirò se è d’Israele», dice Pietro.
    «Perché?».
    «Perché se sta qui è segno che…».
    «…è una povera donna senza casa propria. Nulla di più, ricordatelo, Pietro».
    Gesù cammina verso il paese.
    «Sì, Maestro. Me lo ricorderò… E noi che faremo ora che tutti staranno alle loro case per la festa?».
    «Le nostre donne accendono per noi le lampade».
    «Mi spiace… È il primo anno che non le vedo accendere nella mia, o che non le accendo…».
    «Sei un vecchio bambino! Accenderemo anche noi le lampade. Così non farai più quel viso imbronciato. E le accenderai proprio tu».
    «Io? Io no, Signore. Tu sei il Capo della nostra famiglia.
    Spetta a Te».
    «Io sono sempre una lampada accesa… e vorrei che tali foste voi pure. Sono l’Encenie sempiterna, Pietro.

   132.7 Lo sai che sono nato proprio il 25 di casleu?».
    «Chissà quanti lumi, eh?», chiede ammirato Pietro.
    «Non si potevano contare… Erano tutte le stelle del cielo…».
    «No! Non ti hanno fatto festa a Nazaret?».
    «Non sono nato a Nazaret. Ma in una maceria in Betlemme.
    Vedo che Giovanni ha saputo tacere. È molto ubbidiente Giovanni».
    «E non è curioso. Ma io… lo sono tanto! Mi racconti? Al tuo povero Simone. Se no, come faccio a parlare di Te? Delle volte la gente chiede e io non so mai cosa dire… Gli altri sanno fare, voglio dire i tuoi fratelli e Simone, Bartolomeo e Giuda di Simone. E… sì, anche Tommaso sa parlare… sembra un banditore del mercato… e che venda una merce. Ma riesce a parlare… Matteo… eh! lui va bene! Usa l’antica sapienza per pelare al suo banco di gabella, per forzare gli altri a dire: “Hai ragione”. Ma io!… Povero Simone di Giona! I pesci che ti hanno insegnato? E che il lago? Due cose… ma non servono: i pesci a tacere e avere costanza. Loro costanti nel fuggire alla rete, io costante per metterli in essa. E il lago ad avere coraggio e occhio a tutto. E che la barca? A sgobbare senza risparmio di nessun muscolo e a stare ritti anche se le onde sono agitate e si risica di cadere. Occhio alla polare, mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza, attenzione, ecco ciò che mi ha insegnato la mia povera vita…».
    Gesù gli posa una mano sulla spalla e lo scuote guardandolo con affetto e con ammirazione, vera ammirazione di tanta semplicità, e dice: «E ti pare poco, Simon Pietro? Hai tutto quanto serve ad essere la mia “pietra”. Nulla va messo, nulla va tolto. Sarai il nauta eterno, Simone. E a chi verrà dopo di te dirai: “Occhio alla polare: Gesù. Mano ferma al timone, forza, coraggio, costanza, attenzione, sgobbare senza risparmio, avere occhio a tutto, e sapere stare ritti anche su onde agitate…”. Riguardo al silenzio… via… i pesci non te lo hanno insegnato!».
    «Ma per quello che dovrei saper dire sono più muto dei pesci. Le altre parole?… Anche le galline sanno sblaterare come io faccio…

   132.8 Ma, dimmi, Maestro mio. Dài un figlio anche a me? Siamo vecchi… Ma Tu hai detto che il Battista nacque da una vecchia… Ora hai detto: “E a chi verrà dopo di te dirai…”. Chi viene dopo un uomo se non il suo generato?». Pietro ha un viso di preghiera e di speranza.
    «No, Pietro. E non te ne dolere. Sembri proprio il tuo lago quando il sole è nascosto da una nube. Da ridente si fa cupo. No, mio Pietro. Ma non uno, ma mille e diecimila figli avrai, e in ogni nazione… Non ti ricordi quando ti ho detto: “Sarai pescatore d’uomini”?».
    «Oh!… sì… ma… Sarebbe stato così dolce un bambino che mi dicesse “padre”!».
    «Ne avrai tanti che non li potrai più contare. E ai quali darai la vita eterna. E li ritroverai in Cielo e me li porterai dicendo: “Sono i figli del tuo Pietro e voglio che siano dove io sono”, ed Io ti dirò: “Sì, Pietro. Come tu vuoi sia. Perché tu tutto hai fatto per Me ed Io tutto faccio per te”». Gesù è dolcissimo nel dire queste promesse.
    Pietro inghiotte saliva fra il pianto per la speranza che muore di una paternità terrena e il pianto di un’estasi che già si annuncia. «Oh! Signore!», dice. «Ma per dare la vita eterna bisogna persuadere le anime al bene. E… siamo sempre lì: io non so parlare».
    «Saprai parlare, quando sarà l’ora, meglio di Gamaliele».
    «Voglio credere… Ma, fàllo Tu il miracolo, perché se ci devo arrivare da me…».
    Gesù ride del suo riso pacato e dice: «Oggi sono tutto tuo.
    Andiamo per il paese. Da quella vedova. Ho un obolo segreto.
    Un anello da vendere. Sai come l’ho avuto? M’è arrivato un sasso ai piedi, mentre pregavo ai piedi di questo salice. Al sasso era unito un fagottino con una strisciolina di pergamena. Dentro il fagottino, l’anello. Sul cartiglio la parola “carità”».
    «Fai vedere? Oh! bello! Da donna. Che dito piccino! Ma quanto metallo!…».
    «Ora tu lo vendi. Io non so fare. L’albergatore compera oro. Lo so. Io ti aspetto presso il forno. Va’, Pietro».
    «Ma… se non so fare? Io l’oro… Non so di oro, io!».
    «Pensa che è pane per chi ha fame e fai del meglio che puoi.
    Addio».
    E Pietro va verso destra mentre Gesù, più lentamente, va verso sinistra, verso il paese che appare in lontananza relativa da dietro un boschetto che è oltre la casa del fattore.

[85] Si legge, in: 1 Maccabei 4, 36-61.
[86] vi ricordo… da: Esodo 32, 10 (ira); 1 Re 12, 19-20.28-33 (scisma); 1 Maccabei 1; 2 Maccabei 4-7 (ellenismo e sventure); Levitico 10, 1-2; Numeri 3, 4; 26, 61; 1 Samuele 25, 3.38 (falsi servi percossi); Esodo 16, 27-30 (manna); 2 Samuele 11; 13 (peccato); 2 Samuele 18, 9-18; 2 Maccabei 3, 24-34; 4, 1-6; 13, 7-8; Daniele 13, 6162 (sorte e ignobile fine).
[87] dico, parafrasando il Salmo 51 di David, come MV annota su una copia dattiloscritta dove mette anche, più sotto, il rinvio a: Isaia 61, 1-3; Ezechiele 34, 11-16.