MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 139



CXXXIX. Sui monti presso Emmaus. Il carattere di Giuda Iscariota e le qualità dei buoni.

   17 aprile 1945.

   139.1 Gesù coi suoi è in un luogo molto montagnoso. La via è scomoda e aspra, e i più anziani fanno una bella fatica. I giovani, invece, sono tutti lieti intorno a Gesù e salgono agili, chiacchierando fra loro.
    I due cugini, i due figli di Zebedeo e Andrea sono esilarati dal pensiero di tornare in Galilea, e la loro gioia è tale che avvince anche l’Iscariota, che da qualche tempo è nelle migliori disposizioni di spirito. Si limita a dire: «Però, Maestro, per Pasqua, quando si viene al Tempio… ci torni a Keriot? Mia madre spera sempre di averti. Me lo ha fatto sapere. E così i miei compaesani…».
    «Di certo. Ora, anche volendo, è troppo aspra stagione per mettersi per quelle vie impervie. Vedete come è faticoso anche qui. E, senza quell’imposizione, non avrei intrapreso ora il cammino… Ma non si poteva più stare…». Gesù tace, pensieroso.
    «E dopo, voglio dire per Pasqua, si potrà venire? Io vorrei mostrare la tua grotta a Giacomo e ad Andrea», dice Giovanni.
    «Ti dimentichi l’amore di Betlemme per noi?», chiede l’Iscariota. «Per il Maestro, anzi».
    «No. Ma andrei io con Giacomo e Andrea. Gesù potrebbe stare a Jutta o a casa tua…».
    «Oh! questo mi piace. Lo farai, Maestro? Loro vanno a Betlem, Tu stai con me a Keriot. Proprio con me solo non ci sei mai stato… e ne ho tanta voglia di averti tutto per me…».
    «Geloso sei? Non sai che Io vi amo tutti ad un modo? Non credi che Io sono con tutti voi, anche quando pare vi sia lontano?».
    «Lo so che ci ami. Se non ci amassi dovresti essere ben più severo, con me almeno. Credo che il tuo spirito vegli sempre su noi. Ma non siamo tutto spirito. C’è anche l’uomo, coi suoi amori d’uomo, i suoi desideri, i suoi rimpianti. Gesù mio, io so che non sono quello che più ti fa felice. Ma credo che Tu sappia come è vivo in me il desiderio di piacerti e il rimpianto per tutte le ore che ti perdo per la mia miseria…».
    «No, Giuda. Non ti perdo. Ti sono più vicino che agli altri appunto perché conosco chi tu sei».

   139.2 «Che sono, mio Signore? Dillo. Aiutami a capire cosa sono.
    Io non mi capisco. Mi pare di essere una donna turbata da voglie di concepimento. Ho appetiti santi e appetiti depravati.
    Perché? Che sono io?».
    Gesù lo guarda con uno sguardo indefinibile. È mesto, ma di una mestizia infusa di pietà. Tanta pietà. Sembra un medico che constati lo stato di un malato e sappia che è un malato che non può guarire… Ma non parla.
    «Dillo, Maestro mio. Il tuo giudizio sarà sempre il meno severo di tutti sul povero Giuda. E poi… siamo fra fratelli. Non mi importa che sappiano di che sono fatto. Anzi, sapendolo da Te, correggeranno il loro giudizio e mi aiuteranno. Non è vero?».
    Gli altri sono impacciati e non sanno che dire. Guardano il compagno, guardano Gesù.
    Gesù si attira vicino l’Iscariota, al posto dove prima era il cugino Giacomo, e dice: «Tu sei semplicemente un disordinato. Hai in te tutti gli elementi migliori. Ma non li hai ben fissi. E il minimo soffio di vento li scompagina. Poco fa siamo passati per quella gola e ci hanno mostrato il danno fatto, alle povere case di quel paesello, dall’acqua, dalla terra e dalle piante. L’acqua, la terra, le piante sono cose utili e benedette, non è forse vero? Eppure lì sono divenute maledette. Perché? Perché l’acqua del torrente non aveva un corso ordinato, ma, anche per inerzia dell’uomo, si era scavata più letti, a seconda del suo capriccio. Ciò era bello finché non c’erano bufere. Allora era come un lavoro di gioielliere quell’acqua chiara che rigava il monte in piccoli rivi, vezzi di diamanti o collane di smeraldi a seconda che riflettevano la luce o l’ombra dei boschi. E l’uomo ne godeva perché erano utili, quelle chiacchierine vene d’acqua, per i suoi campicelli. Così come erano belle le piante nate, per scherzo di venti, a capricciosi ciuffi or qua e or là, lasciando radure piene di sole. E bella era la terra soffice, deposta da chissà quali lontane alluvioni fra ondulazione e ondulazione del monte, così fertile per le colture. Ma è bastato che venissero le bufere di un mese fa perché le capricciose righe del torrente si unissero e disordinatamente traboccassero per altra via, travolgendo le disordinate piante e trascinando a valle i disordinati pezzi di terra. Se le acque fossero state tenute ordinate, se le piante fossero state regolate in ordinati boschi, se la terra fosse stata ordinatamente sostenuta con opportuni ripari, ecco che i tre buoni elementi del legno, dell’acqua, del suolo non sarebbero divenuti rovina e morte per quel paesello. Tu hai intelligenza, ardimento, istruzione, prontezza, prestanza, tante, tante cose hai. Ma sono selvaggiamente disposte in te e tu tali le lasci. Vedi: tu abbisogni di un lavoro paziente e costante su te stesso per mettere ordine, che è poi anche robustezza, nelle tue qualità, di modo che, quando venga bufera di tentazione, il buono che in te hai non divenga un male per te e per gli altri».
    «Hai ragione, Maestro. Ogni tanto io vengo sconvolto da un vento e tutto si arruffa. E dici che io potrei…».
    «La volontà è tutto, Giuda».

   139.3 «Ma ci sono tentazioni tanto mordenti… Ci si rintana per paura che il mondo ce le legga sul volto».
    «Ecco l’errore! Sarebbe proprio quello il momento di non rintanarsi. Ma di cercare il mondo, quello dei buoni per averne aiuto. Anche il contatto con la pace dei buoni calma la febbre. E cercare anche il mondo dei criticatori perché, per quell’orgoglio che spinge a nascondersi per non essere “letti” nei nostri animi tentati, ciò farebbe un reagente alla debolezza morale. E non si cadrebbe».
    «Tu ti sei messo nel deserto…».
    «Perché lo potevo fare. Ma guai ai soli se non sono, nella loro solitudine, moltitudine contro la moltitudine».
    «Come? Non capisco».
    «Moltitudine di virtù contro moltitudine di tentazioni.
    Quando poca è la virtù, occorre fare come quest’edera molle: afferrarsi ai rami di alberi robusti, per salire».
    «Grazie, Maestro. Io mi attacco a Te e ai compagni. Ma aiutatemi tutti. Voi siete tutti migliori di me».
    «È stato migliore l’ambiente parco e onesto in cui siamo cresciuti, amico. Ma ora tu sei con noi, e noi ti vogliamo bene. Vedrai… Non è per criticare la Giudea, ma credi che in Galilea c’è, almeno nei nostri paesi, meno ricchezza e meno corruzione. Tiberiade, Magdala, altri luoghi di tripudio, ci sono vicini. Ma noi viviamo con la “nostra” anima semplice, rozza, se vuoi, ma operosa, santamente contenta di ciò che da Dio ci è concesso», dice Giacomo di Alfeo.
    «Ma la mamma di Giuda è una santa donna, sai, Giacomo?
    Le si vede la bontà scritta sul viso», obbietta Giovanni.
    Giuda di Keriot gli sorride, felice della lode, e il suo sorriso aumenta quando Gesù conferma: «Hai detto bene, Giovanni. È una santa creatura».
    «Eh! sì! Ma era sogno di mio padre di fare di me un grande del mondo, e mi ha staccato molto presto e troppo profondamente dalla madre mia…».

   139.4 «Ma che avete da dire che sempre parlate?», chiede da lontano Pietro. «Fermatevi! Aspettateci. Non è bello andare così senza pensare che io sono di gambe corte».
    Si fermano finché l’altro gruppo li ha raggiunti.
    «Auf! Come ti voglio bene, barchetta mia! Qui si fatica come schiavi… Che dicevate?».
    «Dicevamo le qualità per essere buoni», risponde Gesù.
    «E a me non le dici, Maestro?».
    «Ma sì: ordine, pazienza, costanza, umiltà, carità… Le ho dette molte volte!».
    «Ma l’ordine no. Che c’entra?».
    «Il disordine non è mai buona qualità. L’ho spiegato a questi tuoi compagni. Te lo diranno. E l’ho messo per primo, mentre ho messo per ultima la carità, perché sono i due estremi della retta della perfezione. Ora tu sai che una retta messa in piano non ha principio e non ha fine. Ambedue gli estremi possono essere principio e possono essere fine, mentre di una spirale, o di un qualsiasi altro disegno che non sia chiuso in se stesso, vi è sempre un principio e una fine. La santità è lineare, semplice, perfetta, e non ha che due estremi, come la retta».
    «È facile fare una retta…».
    «Lo credi? Ti sbagli. In un disegno, anche complicato, può passare inavvertito qualche difetto. Ma nella retta subito si vede ogni errore, o di pendenza o di incertezza. Giuseppe, quando mi insegnava il mestiere, insisteva molto nella dirittura delle tavole e giustamente mi diceva: “Vedi, figlio mio? Può ancora passare una lieve imperfezione in un ornato o in un lavoro di tornio, perché l’occhio, non espertissimo, se osserva un punto non vede l’altro. Ma se un’asse non è diritta a dovere, neppure il più semplice lavoro, quale è una povera tavola di contadini, riesce. O pende o imbarca. Non serve più che al fuoco”. Possiamo dire questo anche per le anime. Per non servire più altro che al fuoco infernale, ossia per conquistare il Cielo, bisogna essere perfetti come un’asse piallata e squadrata a dovere. Chi inizia la sua lavorazione spirituale con disordine, cominciando dalle cose inutili, saltando come un uccello irrequieto da questo a quello, finisce che quando vuole riunire le parti del lavoro non riesce più. Non combinano. Perciò ordine. Perciò carità. Poi, tenendo fisse nelle due morse questi estremi, che non scappino mai, lavorare a tutto il resto, ornati o intagli che siano. Hai capito?».

   139.5 «Ho capito». Pietro si mastica in silenzio la sua lezione e conclude all’improvviso: «Allora mio fratello è più bravo di me. Lui è proprio ordinato. Un passo dopo l’altro, zitto, calmo. Sembra che non si muova e invece… Io vorrei fare presto e tanto. E non faccio nulla. Chi mi aiuta?».
    «Il tuo buon desiderio. Non temere, Pietro. Fai anche tu. Ti fai».
    «E io?».
    «Anche tu, Filippo».
    «E io? Mi pare di non essere proprio buono a nulla, io».
    «No, Tommaso. Anche tu ti lavori. Tutti, tutti vi lavorate.
    Siete alberi selvaggi, ma gli innesti vi cambiano lentamente e sicuramente, ed Io ho in voi la mia gioia».
    «Ecco. Siamo tristi e Tu ci consoli. Deboli e ci fortifichi.
    Paurosi e ci dài coraggio. Per tutti, e per tutti i casi, hai pronto il consiglio e il conforto. Come fai, Maestro, ad essere sempre pronto e buono così?».
    «Amici miei, sono venuto per questo, sapendo già ciò che avrei trovato e ciò che dovevo fare. Senza illusioni non si hanno delusioni, non si perde perciò lena. Si va avanti. Ricordatevelo, per quando voi pure dovrete lavorare l’uomo animale per farne l’uomo spirituale».