MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 135



CXXXV. L'arrivo a Betania. Un discorso di Gesù ascoltato dalla Maddalena.

   21 marzo 1945.

   135.1 Quando Gesù, valicata l’ultima salita, giunge sul pianoro, vede Betania tutta ridente di un sole decembrino, che rende meno triste la campagna dispogliata e meno cupe le macchie di verde date dai cipressi, dai quercioli e dai carrubbi che sorgono or qua or là, e sembrano cortigiani intenti ad inchinare qualche palma altissima, veramente regale e che si drizza solitaria nei giardini più belli.
    Perché Betania non ha solo la bella casa di Lazzaro. Ha anche altre dimore di ricchi, forse cittadini di Gerusalemme che preferiscono vivere qui, presso i loro beni, e che sulle casette dei villici fanno risaltare le loro ville di ampia e bella mole dai giardini ben curati. E fa strano vedere in un luogo collinoso ancora qualche palma rievocare l’Oriente, col suo fusto snello e il ciuffo duro e frusciante delle foglie dietro al cui verde giada si cerca istintivamente il giallore sconfinato del deserto. Qui invece sono sfondi di ulivi verd’argento e campi arati, per ora nudi del più piccolo segno di grano, e scheletrici frutteti dai tronchi scuri e dalle ramaglie intricate come fossero d’anime che si contorcono in una tortura infernale.
    E vede anche subito un servo di Lazzaro messo di sentinella. Costui saluta profondamente e chiede permesso di portare notizia del suo arrivo al padrone e, avutane licenza, va via sollecito.
    Intanto contadini e cittadini accorrono a salutare il Rabbi, e da una siepe d’alloro, che cinge del suo verde profumato una bella casa, si affaccia una giovane donna che non è certo israelita. Il suo peplo o, se ben mi ricordo i nomi, la sua stola (lunga fino a fare un breve strascico, ampia, di morbida lana candidissima, ravvivata da una balza ricamata a greca con colori vivi nei quali brillano fili d’oro, stretta alla vita da una cintura uguale alla balza) e anche la sua acconciatura del capo (che è una reticella in oro, che tiene a posto una complicata pettinatura tutta a ricciolini sul davanti e poi liscia, per finire in un grosso mazzocchio sulla nuca) mi fanno pensare che sia greca o romana. Guarda curiosamente perché la tentano a guardare i gridi trillanti delle donne e gli osanna degli uomini. Poi ha un sorriso sprezzante, vedendo che vanno diretti ad un povero uomo che non ha neppure un somarello per andare e che cammina fra un gruppo di suoi simili, tutti ancor meno attraenti di lui. Fa un’alzata di spalle e con mossa annoiata si allontana, seguita a mo’ di cani da un drappello di trampolieri multicolori, nei quali sono candide ibis e multicolori fenicotteri, né mancano due gralle tutte fuoco con una coroncina tremolante sulla testa che pare d’argento, unico candore della loro splendida piuma di fiamma dorata.
    Gesù la guarda un attimo, poi torna ad ascoltare un vecchione che… vorrebbe non avere la debolezza nelle gambe che ha. Gesù lo carezza e lo esorta ad… avere pazienza, ché fra poco viene la primavera e col bel sole d’aprile si sentirà più forte.

   135.2 Sopraggiunge Massimino, che precede Lazzaro di qualche metro. «Maestro… mi ha detto Simone che… che Tu vai nella sua casa… Dolore per Lazzaro… ma si comprende…».
    «Ne parleremo poi. Oh! amico mio!». Gesù si affretta verso Lazzaro che è come imbarazzato, lo bacia sulla gota. Sono giunti intanto ad un viottolo che conduce ad una casetta sita fra altri frutteti e quello di Lazzaro.
    «Vuoi proprio andare da Simone, allora?».
    «Sì, amico mio. Ho con Me tutti i discepoli e preferisco così…».
    Lazzaro manda giù male la decisione, ma non ribatte. Solo si volge alla piccola folla che li segue e dice: «Andate. Il Maestro ha bisogno di riposo».
    Vedo qui quanto è potente Lazzaro. Tutti si inchinano alle sue parole e si ritirano, mentre Gesù li saluta col suo dolce: «Pace a voi. Vi farò dire quando predicherò».
    «Maestro», dice Lazzaro ora che sono soli, avanti ai discepoli che parlano con Massimino qualche metro indietro. «Maestro… Marta è tutta in lacrime. Per questo non è venuta. Ma poi verrà. Io non piango che nel cuore. Ma diciamo: è giusto. Se avessimo pensato che ella veniva… Ma non viene mai per le feste… Già… quando mai viene?… Io dico: l’ha spinta qua il demonio proprio oggi».
    «Il demonio? E perché non il suo angelo per comando di Dio? Ma, mi devi credere, anche se ella non ci fosse stata, Io sarei andato in casa di Simone».
    «Perché, mio Signore? Non ricevesti pace dalla mia casa?».
    «Tanta pace che dopo Nazaret è il luogo a Me più caro. Ma, rispondimi, perché mi hai detto: “Vieni via dall’Acqua Speciosa”? Per l’insidia che si accosta. Non è così? E allora Io mi metto nelle terre di Lazzaro, ma non metto Lazzaro nella condizione di ricevere insulto nella sua casa. Credi che ti rispetterebbero? Per calpestare Me passerebbero anche sopra l’Arca santa… Lasciami fare. Per ora almeno. Poi verrò. Del resto nulla mi vieta di prendere pasti da te e nulla vieta che tu venga da Me. Ma fai che si dica: “È in casa di un suo discepolo”».
    «E io non lo sono?».
    «Tu sei l’amico. È più che discepolo per il cuore. È una cosa diversa per la malizia. Lasciami fare. Lazzaro, questa casa è tua… ma non è la tua casa. La bella e ricca casa del figlio di Teofilo. E per i pedanti ciò ha molto valore».
    «Tu dici così… ma è perché… è per lei, ecco. Io stavo per persuadermi a perdonare… ma se lei allontana Te, vivaddio, io l’odierò…».
    «E mi perderai del tutto. Deponi questo pensiero, subito, o subito mi perdi…

   135.3 Ecco Marta. Pace a te, mia dolce albergatrice».
    «Oh! Signore!». Marta in ginocchio piange. Si è calata il velo, che è posato sull’acconciatura del capo fatta a diadema, per non mostrare molto il suo pianto agli estranei. Ma a Gesù non pensa di celarlo.
    «Perché questo pianto? In verità che tu sciupi queste lacrime! Vi sono tanti motivi per piangere e per fare delle lacrime un oggetto prezioso. Ma piangere per questo motivo! Oh! Marta! Sembra che tu non sappia più chi Io sono! Dell’uomo, lo sai, non ho che la veste. Il cuore è divino e da divino palpita. Su. Alzati e vieni in casa… e lei… lasciatela fare. Anche mi venisse a deridere, lasciatela fare vi dico. Non è lei. È colui che la tiene che la fa strumento di turbamento. Ma qui vi è Uno che è più forte del suo padrone. Ora la lotta passa da Me a lui, direttamente. Voi pregate, perdonate, pazientate e credete. E nulla più».
    Entrano nella casetta, che è una piccola casa quadrata circondata da un portico che la allarga. Dentro vi sono quattro stanze divise da un corridoio in forma di croce. Una scala, esterna come sempre, conduce all’alto del portichetto, che si muta perciò in terrazzo e dà accesso ad una vastissima stanza larga quanto la casa, un tempo certo adibita alle provviste, ora tutta sgombra e pulita, ma assolutamente vuota.
    Simone, che è a fianco del vecchio servo che sento chiamare Giuseppe, fa gli onori di casa; dice: «Qui si potrebbe parlare alla gente, oppure prendere i pasti… Come Tu vuoi».
    «Ora penseremo. Intanto va’ a dire agli altri che dopo il pasto la gente venga pure. Non deluderò i buoni di qui».
    «Dove dico di andare?».
    «Qui. Tiepido è il giorno. Riparato dai venti è il luogo. Il frutteto spoglio non avrà danno se in esso viene gente. Qui, dal terrazzo, Io parlerò. Va’ pure».
    Restano soli Lazzaro con Gesù. Marta, nel bisogno di dover provvedere a tante persone, è tornata la «buona albergatrice» e coi servi e gli stessi apostoli lavora abbasso a preparare per le mense e per il riposo.

   135.4 Gesù passa un braccio intorno alle spalle di Lazzaro e lo conduce fuori dal camerone, a passeggiare sul terrazzo che circonda la casa, al bel sole che fa tiepido il giorno, e dall’alto osserva il lavoro dei servi e dei discepoli, e sorride a Marta che va e viene e alza il viso serio ma già meno sconvolto. Guarda anche il bel panorama che circonda il luogo e nomina con Lazzaro diverse località e diverse persone, e infine chiede a bruciapelo: «Dunque la morte di Doras fu un bastone agitato nel nido dei serpi?».
    «Oh! Maestro! Mi ha detto Nicodemo che fu di una violenza mai vista la seduta del Sinedrio!».
    «Che ho fatto al Sinedrio per inquietarsi? Doras è morto da sé, alla vista di tutto un popolo, ucciso dall’ira. Non ho permesso fosse mancato rispetto al morto. Dunque…».
    «Tu hai ragione. Ma essi… Pazzi di paura sono. E… lo sai che hanno detto che occorre trovarti in peccato per poterti uccidere?».
    «Oh! allora sta’ quieto! Avranno da attendere sino all’ora di Dio!».
    «Ma Gesù! Sai di chi si parla? Sai di che sono capaci farisei e scribi? Sai che anima abbia Anna? Sai quale è il suo secondo? Sai… ma che dico? Tu sai! E perciò è inutile che ti dica che il peccato lo inventeranno per poterti accusare».
    «Lo hanno già trovato. Ho già fatto più che non occorra. Ho parlato a romani, ho parlato a peccatrici… Sì. A peccatrici, Lazzaro. Una, non mi guardare così spaventato, …una viene sempre ad udirmi ed è ospitata in una stalla dal tuo fattore, per mia preghiera, perché, per starmi vicina, aveva preso dimora in uno stabbio da porci…».
    Lazzaro è la statua dello stupore. Non si muove più. Guarda Gesù come vedesse uno che per la sua stranezza è strabiliante.
    Gesù lo scuote sorridendo. «Hai visto Mammona?», chiede.
    «No… La Misericordia ho visto. Ma… ma io lo capisco. Essi, quelli del Consiglio, no. E dicono che è peccato. È vero dunque! Io credevo… Oh! che hai fatto?».
    «Il mio dovere, il mio diritto e il mio desiderio: cercare di redimere uno spirito caduto. Tu vedi perciò che tua sorella non sarà il primo fango che avvicino e sul quale mi chino. E non sarà l’ultimo. Sul fango Io voglio seminare i fiori e farli sorgere: i fiori del bene».
    «Oh! Dio! Dio mio!… Ma… Oh! mio Maestro, Tu hai ragione. È il tuo diritto, è il tuo dovere ed è il tuo desiderio. Ma le iene non lo comprendono. Loro sono carogne talmente fetide che non sentono, non possono sentire l’odore dei gigli. E anche dove essi fioriscono, loro, le potenti carogne, sentono odore di peccato; non comprendono che dalla loro sentina esso esce…

   135.5 Io te ne prego. Non sostare più a lungo in un luogo. Va’, gira, senza dare loro modo di raggiungerti. Sii come un fuoco notturno danzante sugli steli dei fiori, veloce, imprendibile, sconcertante nel suo andare. Fallo. Non per viltà, ma per amore del mondo che ha bisogno che Tu viva per essere santificato. La corruzione aumenta. Contrapponile la santificazione… La corruzione!… Hai visto la nuova cittadina di Betania? È una romana sposata ad un giudeo. Lui è anche osservante. Ma ella è idolatra e, non potendo vivere bene in Gerusalemme, perché sono sorte dispute coi vicini per le sue bestie, è venuta qui. Piena di animali per noi immondi è la sua casa e… la più immonda è lei perché vive deridendo noi e con licenze che… Io non posso criticare perché… Ma dico che mentre in casa mia non si mette piede perché c’è Maria che pesa col suo peccato su tutta la famiglia, in casa di quella donna ci vanno pure. Ma lei è in grazia di Ponzio Pilato e vive senza il marito. Lui a Gerusalemme. Lei qui. E così si finge, lui e loro, di non profanarsi col venire e di non constatare che si profanano. Ipocrisia! Fino al collo nell’ipocrisia si vive! E fra poco ci si affogherà. Il sabato è il giorno del festino… E sono anche del Consiglio! Un figlio di Anna è il più assiduo».
    «L’ho vista. Sì. E lasciala fare. E lasciali fare. Quando un medico prepara un farmaco mesce le sostanze, e l’acqua pare si corrompa perché egli le sbatte e l’acqua si fa torbida. Ma poi le parti morte si depositano, l’acqua torna limpida pur essendo satura dei succhi di quelle sostanze salutari. Così ora. Tutto si mescola e Io lavoro con tutti. Poi le parti morte si depositeranno e saranno gettate, e le altre vive rimarranno attive nel gran mare del popolo di Gesù Cristo. Scendiamo. Ci chiamano»…

   135.6 … e la visione riprende mentre Gesù torna a salire sul terrazzo per parlare alla gente di Betania e dei posti vicini, accorsa a sentire.
    «Pace a voi.
    Quand’anche Io tacessi, i venti di Dio porterebbero a voi le parole del mio amore e dell’altrui livore. So che siete agitati perché non vi è ignoto il perché Io sono fra voi. Ma non fatene altro che una agitazione di gioia e con Me benedite il Signore che usa il male per dare una gioia ai suoi figli, riconducendo sotto il pungolo del male il suo Agnello fra gli agnelli per metterlo in salvo dai lupi.
    Vedete come è buono il Signore. Nel luogo dove ero sono arrivati, come acque ad un mare, un fiume ed un rivo. Un fiume di amorosa dolcezza, un rivo di bruciante amarezza. Il primo era l’amore di voi, da Lazzaro e Marta all’ultimo del paese; il rivo era l’ingiusto astio di chi, non potendo venire al Bene che lo invita, accusa il Bene di essere un Delitto. E il fiume diceva: “Torna, torna fra noi. Le nostre onde ti circondino, ti isolino, ti difendano. Ti diano tutto quanto ti nega il mondo”. Il rivo malvagio fischiava minacce e voleva uccidere col suo tossico. Ma che è un rivo rispetto ad un fiume, e che rispetto ad un mare? Nulla. E nulla è divenuto il tossico del rio perché il fiume del vostro amore lo ha soverchiato, e nel mare del mio amore non si è immessa che la dolcezza del vostro amore. Anzi, bene ha fatto. Mi ha riportato a voi. Benediciamone il Signore altissimo».
    La voce di Gesù si spande potente per l’aria calma e silenziosa. Gesù, tutto bello nel sole, gestisce e sorride calmo dall’alto della terrazza. In basso la gente lo ascolta beata: una fiorita di volti levati che sorridono all’armonia della sua voce. Lazzaro è vicino a Gesù, e vi è Simone e Giovanni. Gli altri sono sparsi fra la folla. Sale anche Marta e si siede per terra ai piedi di Gesù, guardando verso la sua casa che appare oltre il frutteto.
    «Il mondo è dei cattivi. Il Paradiso è dei buoni. Questa è la verità e la promessa. E su questa si appoggi la nostra sicura forza. Il mondo passa. Il Paradiso non passa. Se essendo buono uno se lo conquista, egli in eterno lo gode. E allora? Perché turbarsi di ciò che fanno i cattivi? Ricordate i lamenti di Giobbe? Sono gli eterni lamenti di chi è buono e oppresso; perché la carne geme, ma gemere non dovrebbe, e più è conculcata più si dovrebbero alzare le ali dell’anima nel giubilo del Signore.
    Credete voi che siano felici quelli che felici paiono perché col modo lecito, e più con l’illecito, hanno pingui granai e colmi i tini e traboccano d’olio i loro otri? No. Sentono il sapore del sangue e delle lacrime altrui in ogni loro cibo e il giaciglio pare loro irto di pruni, tanto su esso sentono urlanti i rimorsi. Depredano i poveri e spogliano gli orfani, derubano il prossimo per fare ammasso, opprimono chi è da meno di loro in potenza e in perversità. Non importa. Lasciateli fare. Il loro regno è di questo mondo. E alla loro morte che resta? Nulla. Se non si vuole chiamare tesoro il cumulo di colpe che seco portano e col quale a Dio si presentano. Lasciateli fare. Sono i figli delle tenebre, i ribelli alla Luce, e non possono seguire i luminosi sentieri di essa. Quando Dio fa brillare la stella del mattino, essi la chiamano ombra di morte e come tale la credono contaminata e preferiscono camminare al bagliore sudicio del loro oro e del loro odio, che fiammeggia soltanto perché le cose d’inferno brillano del fosforo degli eterni laghi di perdizione…».

   135.7 «Mia sorella, Gesù… oh!». Lazzaro scorge Maria che scivola dietro una siepe del frutteto di Lazzaro per giungere il più vicino possibile. Va curva. Ma la sua testa bionda brilla come oro contro il bosso oscuro.
    Marta fa per alzarsi. Ma Gesù le preme una mano sulla testa e deve rimanere dove è. Gesù eleva ancora di più la sua voce.
    «Che dire di questi infelici? Dio ha dato loro tempo di fare penitenza ed essi se ne abusano per peccare. Ma non li perde di vista Iddio, anche se pare che lo faccia. E il momento viene in cui, o perché, come fulmine che penetra anche nel masso, l’amore di Dio squarcia il loro duro cuore, o perché la somma dei delitti porta l’onda del loro fango fin nelle loro fauci e nelle loro nari – ed essi sentono, oh! che finalmente sentono!, lo schifo di quel sapore e di quel fetore che è ripugnanza agli altri e che fa colmo il loro cuore – viene il momento che ne hanno nausea e sorge un movimento di desiderio al bene.
    L’anima allora grida[92]: “E chi mi darà di ritornare come nei tempi di prima, quando ero in amicizia a Dio? Quando la sua luce splendeva nel mio cuore e al suo raggio io camminavo? Quando davanti alla mia giustizia taceva ammirato il mondo, e chi mi vedeva mi diceva beato? Il mondo beveva il mio sorriso e le mie parole erano accolte come parole di angelo e balzava d’orgoglio il cuore nel petto dei miei famigliari. Ed ora che sono? Derisione ai giovani, orrore agli anziani, io faccio il soggetto delle loro canzoni, e lo sputo del loro disprezzo mi riga il volto”. Sì, così parla in certe ore l’anima dei peccatori, dei veri Giobbe, perché non vi è miseria più grande di questa, di uno che ha perduto in eterno l’amicizia di Dio e il suo Regno. E devono fare pietà. Solo pietà.
    Sono povere anime che hanno, per ozio o per sventatezza, perduto l’eterno Sposo. “Di notte, nel mio letto, cercai l’amor dell’anima mia e non lo trovai”. Infatti nella tenebra non si può distinguere lo sposo, e l’anima pungolata dall’amore, irriflessiva perché fasciata dalla notte spirituale, cerca e vuol trovare un refrigerio al suo tormento. Crede trovarlo con qualunque amore. No. Uno solo è l’amore dell’anima: è Dio. Vanno, queste anime che l’amore di Dio pungola, cercando amore. Basterebbe volessero in loro la luce, e amore avrebbero a loro consorte. Vanno come malate, cercando a tentoni amore, e trovano tutti gli amori, tutte le sozze cose che l’uomo ha così battezzate, ma non trovano l’amore; perché l’amore è Dio e non è l’oro, il senso, il potere.
    Povere, povere anime! Se, meno oziose, fossero sorte al primo invito dello Sposo eterno, a Dio che dice: “Seguimi”, a Dio che dice: “Aprimi”, non sarebbero giunte ad aprire l’uscio, coll’impeto del loro amore destato, quando lo Sposo deluso già è lontano. Scomparso… E non avrebbero profanato quell’impeto santo di un bisogno di amore, in una fanghiglia che fa schifo all’animale immondo tanto è inutile e cosparsa di triti triboli, che non erano fiori ma solo aculei che straziano e non coronano. E non avrebbero conosciuto gli scherni delle guardie di ronda, di tutto il mondo che, come Dio, ma per opposti motivi, non perde di vista il peccatore e lo posteggia per deriderlo e per criticarlo. Povere anime picchiate, spogliate, ferite da tutto il mondo! Solo Dio non si unisce a questa lapidazione di uno scherno impietoso. Ma fa cadere le sue lacrime per medicare le ferite e rivestire di diamantina veste la sua creatura. Sempre sua creatura… Solo Dio… e i figli di Dio col Padre.
    Benediciamo il Signore. Egli ha voluto che per i peccatori Io qui avessi a tornare per dirvi: “Perdonate. Sempre perdonate. Fate di ogni male un bene. Fate di ogni offesa una grazia”. Non vi dico “fate” solo. Vi dico: ripetete il mio gesto. Io amo e benedico i nemici perché per essi ho potuto tornare a voi, amici miei.
    La pace sia su tutti voi».
    La gente agita veli e ramaglie verso Gesù e poi si allontana piano piano.

   135.8 «L’avranno vista quella impudente?».
    «No, Lazzaro. Ella era dietro la siepe e ben nascosta. Noi potevamo vederla perché qui in alto. Gli altri no».
    «Ci aveva promesso di…».
    «Perché non doveva venire? Non è una figlia di Abramo ella pure? Voglio da voi, fratelli, e da voi, discepoli, giuramento di non farle capire nulla. Lasciatela fare. Mi deriderà? Lasciatela fare. Piangerà? Lasciatela fare. Vorrà rimanere? Lasciatela fare. Vorrà fuggire? Lasciatela fare. È il segreto del Redentore e dei redentori: avere pazienza, bontà, costanza e preghiera. Nulla più. Ogni gesto è di troppo presso certe malattie… Addio, amici. Io resto a pregare. Voi andate ognuno al suo compito. E Dio vi accompagni».
    E tutto ha fine.

[92] grida, come in: Giobbe 29; 30, 1-10. La citazione successiva è da: Cantico dei cantici 3, 1.