MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 137



CXXXVII. Ritorno all'Acqua Speciosa e scontro con i farisei che hanno aggredito e scacciato la "velata".

   15 aprile 1945.

   137.1 Gesù traversa insieme ai suoi apostoli i campi piatti dell’Acqua Speciosa. La giornata è piovosa e il luogo deserto. Deve essere verso mezzogiorno, perché quella larva di sole che esce ogni tanto da dietro il sipario bigio delle nuvole scende a perpendicolo.
    Gesù parla con l’Iscariota, al quale dà l’incarico di andare al paese per gli acquisti più urgenti.
    Quando resta solo lo raggiunge Andrea e, sempre timido, dice piano: «Mi ascolti, Maestro?».
    «Sì. Vieni con Me, avanti», e allunga il passo, seguito dall’apostolo, dilungandosi di qualche metro dagli altri.
    «La donna non c’è più, Maestro!», dice accorato Andrea. E spiega: «L’hanno percossa ed è fuggita. Era ferita e sanguinava. Il fattore l’ha vista. Sono andato avanti dicendo che andavo a vedere se non c’erano insidie, ma era perché volevo andare subito da lei. Speravo tanto di portarla alla Luce! Ho tanto pregato in questi giorni per questo!… Ora è fuggita! Si perderà. Sapessi dove è, la raggiungerei… Non direi questo agli altri, ma a Te sì, perché mi capisci. Sai che non c’è senso in questa ricerca, ma solo desiderio – oh! tanto grande da essere un tormento – di portare in salvo una mia sorella…».
    «Lo so, Andrea, e ti dico: anche così come sono andate le cose, il tuo desiderio si compirà. Non è mai perduta la preghiera fatta in tal senso. Dio la usa ed ella si salverà».
    «Tu lo dici? Oh! il mio dolore si fa più dolce!».

   137.2 «Non vorresti sapere che ne è di lei? Non ti importa neppure di non essere tu quello che me la condurrai? Non chiedi come farà?». Gesù sorride dolcemente, con tutto un brillare di luce nelle pupille azzurre chinate sull’apostolo che gli cammina al fianco. Uno di quei sorrisi e di quegli sguardi che costituiscono uno dei segreti di Gesù per conquistare i cuori.
    Andrea coi suoi dolci occhi castani lo guarda e dice: «Mi basta di sapere che venga a Te. Poi, io o un altro, che fa? Come farà? Questo Tu lo sai e a me non necessita di saperlo. Ho tutto nella tua assicurazione e sono felice».
    Gesù gli passa il braccio dietro le spalle e se lo attira a Sé in un abbraccio affettuoso che porta all’estasi il buon Andrea. E parla tenendolo così: «Questo è il dono del vero apostolo. Vedi, amico mio, la tua vita e quella degli apostoli futuri sarà sempre fatta così. Qualche volta saprete di essere i “salvatori”. Ma il più delle volte salverete senza sapere di avere salvato le persone che più vorreste salvare. Solo in Cielo vedrete venirvi incontro, o salire al Regno eterno, i vostri salvati. E il vostro giubilo di beati aumenterà per ogni salvato. Qualche volta lo saprete dalla Terra. Sono le gioie che vi do per infondervi un vigore ancor maggiore per nuove conquiste. Ma beato quel sacerdote che non necessiterà di questi sproni per fare il proprio dovere! Beato quello che non si accascia per non vedere trionfi e dice: “Non faccio più nulla perché non ho soddisfazione”. La soddisfazione apostolica, tenuta come unico incentivo al lavoro, mostra non formazione apostolica, avvilisce l’apostolato, cosa spirituale, a livello di un comune lavoro umano. Non bisogna mai cadere nell’idolatria del ministero. Non siete voi quelli che devono essere adorati. Ma il Signore Iddio vostro. A Lui solo la gloria dei salvati. A voi l’opera di salvazione, rimettendo al tempo del Cielo la gloria di essere stati dei “salvatori”.

   137.3 Ma mi dicevi che il fattore l’ha vista. Racconta».
    «Tre giorni dopo che eravamo partiti, sono venuti dei farisei a cercarti. Non ci hanno trovato, è naturale. Hanno girato il paese e le case della campagna mostrandosi ansiosi di Te. Ma nessuno lo ha creduto. Si sono messi all’albergo, sbrattandolo superbamente da tutti quelli che c’erano perché, dicevano, non volevano contatti con estranei ignoti che potevano anche profanarli. E tutti i giorni andavano alla casa. Dopo qualche giorno hanno trovato la poverina, che andava sempre là perché forse sperava trovarti e avere la sua pace. E l’hanno fatta fuggire inseguendola fino al suo ricovero nella stalla del fattore. Subito non l’hanno aggredita, perché egli era venuto fuori coi figli, e armati di randelli. Ma poi, a sera, quando lei è uscita, sono tornati ed erano insieme ad altri e, quando ella fu alla fonte, a sassate l’hanno presa chiamandola “meretrice” e additandola all’obbrobrio del paese. E poiché lei fuggiva, l’hanno raggiunta, malmenata, le hanno strappato il velo e il mantello perché tutti la vedessero e ancora l’hanno picchiata, imponen dosi con la loro autorità al sinagogo perché la maledicesse per farla lapidare e maledicesse Te che l’avevi portata in paese. Ma lui non lo ha voluto fare e ora attende l’anatema del Sinedrio. Il fattore l’ha strappata alle mani di quei manigoldi e l’ha soccorsa. Ma nella notte lei se ne è andata lasciando un bracciale con una parola scritta su un brandello di pergamena. Ha scritto: “Grazie. Prega per me”. Il fattore dice che è giovane e bellissima, benché molto pallida e magra. L’ha cercata per le campagne perché era molto ferita. Ma non l’ha trovata. E non sa come possa essere andata lontano. Forse è morta così, in qualche posto… e non si è salvata…».
    «No».
    «No? Non è morta? O non si è perduta?».
    «La volontà di redenzione è già assoluzione. Anche fosse morta, sarebbe perdonata, perché ha cercato la Verità mettendosi sotto i piedi l’Errore. Ma non è morta. Sale le prime pendici del monte della redenzione. Io la vedo… Curva sotto il suo pianto di pentimento; ma il pianto la fa sempre più forte, mentre il peso decresce. Io la vedo. Procede incontro al Sole. Quando avrà salito tutta la china, ella sarà nella gloria del SoleDio. Sale… Aiutala col tuo pregare».
    «Oh! mio Signore!». Andrea è quasi esterrefatto di potere aiutare un’anima alla sua santificazione.
    Gesù sorride più dolce ancora. Dice: «Bisognerà aprire le braccia e il cuore al perseguitato sinagogo e andare a benedire il buon fattore. Andiamo dai compagni. A dirlo loro».

   137.4 Ma mentre, rifacendo il cammino già fatto, raggiungono i dieci che si sono fermati in disparte comprendendo che Andrea è in colloquio segreto col Maestro, viene di corsa l’Iscariota. Pare un farfallone che scorra sul prato, tanto corre veloce col mantello che gli svolazza dietro e facendo con le braccia una vera giostra di segni.
    «Ma che ha?», chiede Pietro. «È diventato matto?».
    Prima che nessuno possa rispondergli l’Iscariota, giunto vicino, può gridare, col fiato mozzo: «Fermo, Maestro. Ascoltami prima di andare alla casa… Insidia c’è. Oh! che vigliacchi!…», e corre. Eccolo giunto: «O Maestro! Non si può più andare là! I farisei sono in paese e tutti i giorni vanno alla casa. Ti aspettano per nuocerti. Mandano via chi viene a cercarti. Con anatemi orrendi li spauriscono. Che vuoi fare? Qui saresti perseguitato e la tua opera resa nulla… Uno di loro mi ha visto e mi ha aggredito. Un brutto vecchio nasuto che mi conosce, perché è uno degli scribi del Tempio. Perché ci sono anche degli scribi. Mi ha aggredito afferrandomi con le sue zampe unghiute e insultandomi con la sua voce di falco. Finché ha insultato me e mi ha graffiato, guarda… (e mostra un polso e una guancia decorati di chiari segni di unghie) l’ho lasciato fare. Ma quando ha sbavato su Te, l’ho preso per il collo…».
    «Ma Giuda!», urla Gesù.
    «No, Maestro. Non l’ho strozzato. Gli ho solo impedito di bestemmiarti e poi l’ho lasciato andare. Ora è là che muore di paura per il pericolo corso… Ma noi andiamo via, te ne prego.
    Tanto, nessuno potrebbe più venire a Te…».
    «Maestro!».
    «Ma è un orrore!».
    «Giuda ha ragione».
    «Come iene all’agguato sono!».
    «Fuoco del cielo che scendesti su Sodoma, a che non torni?».
    «Ma sai che sei stato bravo, ragazzo? Peccato che non c’ero anche io; ti avrei aiutato».
    «Oh! Pietro! se c’eri anche tu, quel falchetto aveva per sempre perduto le penne e la voce».
    «Ma come hai fatto a… a non andare fino in fondo?».
    «Mah!… Un lampo nella mente, il pensiero venuto da chissà qual fondo di cuore: “Il Maestro condanna la violenza”, e mi sono fermato, avendone un urto ancor più profondo di quello che avevo ricevuto dal muro contro cui mi aveva gettato lo scriba quando mi aveva aggredito. Ne ho avuto i nervi come spezzati… tanto che dopo non avrei avuto più forza di infierire. Che fatica vincersi!…».
    «Sei proprio stato bravo! Vero, Maestro? Non esprimi il tuo pensiero?».
    Pietro è tanto felice dell’atto di Giuda che non vede come Gesù sia passato dal luminoso viso di prima ad un volto severo, che gli scurisce lo sguardo e gli serra la bocca che pare farsi più sottile.
    La apre per dire: «Io dico che sono più disgustato del vostro modo di pensare che della condotta dei giudei. Loro sono dei disgraziati nelle tenebre. Voi, che siete con la Luce, siete duri, vendicativi, mormoratori, violenti, approvatori dell’atto brutale come loro. Vi dico che mi date la prova di essere sempre quelli che eravate quando mi vedeste per la prima volta. E ne ho dolore. Riguardo ai farisei sappiate che Gesù Cristo non fugge. Voi ritiratevi. Io li affronto. Non sono un vile. Quando avrò parlato con loro e non li avrò persuasi, mi ritirerò. Non si deve dire che Io non ho cercato con ogni mezzo di attirarli a Me. Sono essi pure figli di Abramo. Io faccio il mio dovere fino in fondo. La loro condanna deve essere causata unicamente dalla loro mala volontà e non da una mia trascuranza verso loro».
    E Gesù va verso la casa, che mostra il suo tetto basso oltre una riga di alberi spogli. Gli apostoli lo seguono a capo basso, parlando piano fra loro.

   137.5 Eccoli alla casa. Entrano nella cucina in silenzio. E si dànno da fare intorno al focolare. Gesù si assorbe nel suo pensiero.
    Stanno per prendere il cibo quando un gruppo di persone si mostra alla porta. «Eccoli», bisbiglia l’Iscariota.
    Gesù si alza subito e va verso di loro. È imponente tanto che il gruppetto arretra per un attimo. Ma il saluto di Gesù li rassicura: «La pace sia con voi. Che volete?».
    Allora i vili credono di poter tutto osare e arrogantemente intimano: «In nome della Legge santa ti ordiniamo di lasciare questo luogo, Tu, turbatore delle coscienze, violatore della Legge, corruttore delle tranquille città di Giuda. Non temi la punizione del Cielo, Tu scimmiottatore del Giusto che battezza al Giordano, Tu che proteggi le meretrici? Via dalla terra santa di Giuda! Che il tuo alito non giunga da qui entro la cinta della città sacra».
    «Io nulla faccio di male. Insegno come rabbi, guarisco come taumaturgo, caccio i demoni come esorcista. Queste categorie sono pure in Giuda. E Dio, che le vuole, le fa rispettare e venerare da voi. Io non chiedo venerazione. Chiedo solo di lasciarmi fare del bene a coloro che hanno infermità nella carne, nella mente o nello spirito. Perché me lo vietate?».
    «Tu sei un posseduto. Vattene».
    «L’insulto non è una risposta. Io vi ho chiesto perché me lo vietate, mentre agli altri lo permettete».
    «Perché sei un posseduto e scacci i demoni e fai miracoli con l’aiuto dei demoni».
    «E i vostri esorcisti allora? Con l’aiuto di chi lo fanno?».
    «Con la loro vita santa. Tu sei un peccatore. E per aumentare la tua potenza ti servi delle peccatrici, perché nel connubio si aumenta il possesso della forza demoniaca. La nostra santità ha purificato la zona dalla tua complice. Ma non permettiamo che Tu resti qui, per non attirare altre femmine».
    «Ma è casa vostra questa?», chiede Pietro che è venuto vicino al Maestro con aspetto poco raccomandabile.
    «Non è casa nostra. Ma tutto Giuda e tutto Israele è nelle mani sante dei puri di Israele».
    «Che sareste voi!», termina l’Iscariota, venuto anche lui sull’uscio e che termina con una risata beffarda. E poi chiede: «E l’altro amico vostro dove è? Trema ancora? O vergognosi, andatevene! E subito. Altrimenti vi farò pentire di…».
    «Silenzio, Giuda. E tu, Pietro, torna al tuo posto.

   137.6 Udite voi, farisei e scribi. Per il vostro bene, per pietà dell’anima vostra, Io vi prego di non combattere il Verbo di Dio. Venite a Me. Io non vi odio. Capisco la vostra mentalità e la compatisco. Ma vi voglio portare ad una mentalità nuova, santa, capace di santificarvi e darvi il Cielo. Ma credete che Io sia venuto per combattervi? Oh! no! Io sono venuto per salvarvi. Sono venuto per questo. Vi prendo sul cuore. Vi chiedo amore e intelletto. Appunto perché siete i più sapienti in Israele, dovete comprendere più di tutti la verità. Siate anima e non corpo. Volete che Io ve ne supplichi in ginocchio? La posta è tale – l’anima vostra – che sotto i piedi mi metterei per conquistarla al Cielo, sicuro che il Padre non reputerebbe errore il mio umiliarmi. Dite! Dite una parola a Me che attendo!».
    «Maledizione, diciamo».
    «Va bene. È detto. Andate pure. Io pure andrò». E Gesù volge le spalle tornando al suo posto.
    Curva il capo sul tavolo e piange. Bartolomeo chiude la porta perché nessuno dei crudeli che lo hanno insultato, e che se ne stanno andando con minacce e bestemmie al Cristo, veda questo pianto.
    Un lungo silenzio, poi Giacomo d’Alfeo carezza sul capo il suo Gesù e dice: «Non piangere. Noi ti amiamo. Anche per loro».
    Gesù alza il volto e dice: «Non piango per Me. Piango per loro che si uccidono, sordi ad ogni invito».
    «Che faremo ora, Signore?», chiede l’altro Giacomo.
    «Andremo in Galilea. Domani mattina partiremo».
    «Non oggi, Signore?».
    «No. Devo salutare i buoni del luogo. E voi verrete con Me».