MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 138



CXXXVIII. Commiato dal fattore dell'Acqua Speciosa e dal sinagogo Timoneo, che diviene discepolo.

   16 aprile 1945.

   138.1 «Signore, io non ho fatto che il mio dovere verso Dio, verso il mio padrone e verso l’onestà di coscienza. Quella donna io l’ho sorvegliata in questo tempo che era mia ospite e l’ho vista sempre onesta. Sarà anche stata una peccatrice. Ora non lo è. Perché devo indagare su un passato sul quale ella ha messo una cancellatura per annullarlo? Io ho figli giovanotti e non brutti. Lei non ha mai mostrato il suo volto, veramente bello, né fatto udire la sua parola. Posso dire che ho sentito il tono della sua voce d’argento quando urlò per la ferita. Altrimenti ella, quel poco che chiedeva, e sempre a me o alla moglie mia, lo sussurrava dietro il velo, e così piano che quasi non si capiva. Vedi anche come fu prudente. Quando temette che la sua presenza potesse nuocere, se ne andò… Io le avevo promesso difesa e aiuto. Ma lei non se ne valse. No. Così non fanno le donne perdute! Io pregherò per lei, come lei ha chiesto, e anche senza questo ricordo. Tienilo, Signore. Fanne elemosina e a suo bene. Fatta da Te, le varrà certo pace».
    Il fattore parla rispettosamente a Gesù. È un bell’uomo dal volto onesto e dal corpo tarchiato. Dietro lui sono sei giovinottoni simili al padre, sei volti schietti e intelligenti, e vi è la moglie, una donnina sottile e tutta dolcezza, che ascolta il suo uomo come ascolterebbe un dio, annuendo di continuo col capo.
    Gesù prende il bracciale d’oro e lo passa a Pietro dicendo: «Per i poveri». Poi si rivolge al fattore: «Non tutti hanno la tua rettezza in Israele. Tu sei sapiente, perché distingui il bene dal male e segui il bene senza valutare l’utilità umana di farlo.
    In nome dell’eterno Padre Io benedico te, i tuoi figli, la tua sposa, la tua casa. Conservatevi sempre in queste disposizioni di spirito e il Signore sarà sempre con voi, e avrete la vita eterna. Io ora vado. Ma non è detto che mai più ci si riveda. Io tornerò e voi potrete sempre venire a Me. Per quanto avete fatto per Me e per quella povera creatura, Dio vi dia la sua pace».
    Il fattore, i figli, ultima la donna, si inginocchiano e baciano i piedi di Gesù, che dopo un ultimo gesto di benedizione si allontana insieme ai discepoli, dirigendosi verso il paese.

   138.2 «E se ci sono ancora quei brutti esseri?», chiede Filippo.
    «Non si può impedire a nessuno di andare per le vie della terra», risponde Giuda d’Alfeo.
    «No. Ma noi per loro siamo “anatema”».
    «Oh! lasciali fare! Te ne preoccupi?».
    «Io non me ne preoccupo altro che perché il Maestro non vuole le violenze. E loro, che lo sanno, se ne avvalgono», brontola Pietro fra la barba. E certo crede che Gesù, che parla con Simone e l’Iscariota, non senta.
    Ma Gesù sente e si volta per metà severo, per metà sorridente e dice: «Tu credi che Io vincerei facendo violenza? Ma questo è un povero sistema umano e che serve, temporaneamente, per vittorie umane. Quanto tempo dura la sopraffazione? Finché da se stessa genera nei sopraffatti delle reazioni che, riunendosi, formano una violenza maggiore, che abbatte la sopraffazione preesistente. Io non voglio un regno temporaneo. Io voglio un regno eterno: il Regno dei Cieli. Quante volte ve l’ho detto? Quante ve lo dovrò dire? Lo capirete mai? Sì. Verrà il momento che lo capirete».
    «Quando, Signor mio? Io ho fretta di capire per essere meno ignorante», dice Pietro.
    «Quando? Quando sarete macinati come il grano fra le pietre del dolore e del pentimento. Potreste, anzi dovreste capire prima. Ma per fare questo dovreste spezzare la vostra umanità e lasciare libero lo spirito. E questa forza su voi stessi non la sapete fare. Ma capirete… capirete. E allora, anche, capirete che non potevo usare violenza, mezzo umano, a stabilire il Regno dei Cieli: il Regno dello spirito. Ma intanto non abbiate paura. Quegli uomini che vi dànno pensiero non ci faranno nulla. A loro basta di avermi cacciato».
    «Ma non era più facile fare avvisare il sinagogo di venire dal fattore o di attenderci sulla via maestra?».
    «Oh! che uomo prudente è oggi il mio Tommaso! Ma no che non era facile. O meglio: era più facile, ma non era giusto. Egli ha mostrato eroismo per Me e nella sua casa fu insolentito per causa mia. È giusto che Io, nella sua casa, lo vada a consolare».
    Tommaso si stringe nelle spalle e non parla più.

   138.3 Ecco il paese, vasto ma molto rurale con case fra dei frutteti, ora spogli, e con molti ovili. Deve essere un posto atto alla pastorizia, perché vi è un grande belare da tutte le parti per greggi che vanno o vengono dai pascoli della pianura. La solita crocevia di vie che ha, nel luogo dove si incrocia, la piazza con la fontana al centro. E lì è la casa del sinagogo.
    Apre una donna anziana, che ha chiari segni di pianto sul volto. Pure, vedendo il Signore, ha un moto di gioia e si prostra con una benedizione.
    «Alzati, madre. Sono venuto per dirvi addio. Dove è tuo figlio?».
    «È là…», e accenna una stanza in fondo alla casa. «Sei venuto a consolarlo? Io non sono capace…».
    «È dunque sconsolato? Si duole di avermi difeso?».
    «No, Signore. Ma è preso da uno scrupolo. Ma Tu l’udrai.
    Lo chiamo».
    «No. Vado Io. Voi attendete qui. Andiamo, donna».
    Gesù fa i pochi metri del vestibolo, spinge l’uscio, entra nella stanza, si avvicina piano ad un uomo seduto, curvo verso terra, assorto in dolorose meditazioni.
    «La pace a te, Timoneo».
    «Signore! Tu!».
    «Io. Perché tanto triste?».
    «Signore… io… Mi hanno detto che ho peccato. Mi hanno detto che sono anatema. Io mi esamino. E non mi pare d’esserlo. Ma loro sono i santi d’Israele, ed io il povero sinagogo. Certo hanno ragione. Ora io non oso più alzare lo sguardo al volto corrucciato di Dio. E ne avrei tanto bisogno in quest’ora! Io lo servivo con vero amore e cercavo di farlo conoscere. Ora sarò privato di questo bene, perché il Sinedrio certo mi maledice».
    «Ma il dolore quale è? Di non essere più il sinagogo, o di essere impossibilitato a parlare di Dio?».
    «Ma è questo, Maestro, che mi dà dolore! Penso che Tu dica se mi spiace di non essere sinagogo per l’utile e l’onore che se ne trae. Di questo non mi curo. Non ho che mia madre e che è nativa di Aera, dove ha una piccola casa. Il tetto per lei e di che vivere per lei c’è. Per me… sono giovane. Lavorerò. Ma non oserò mai più parlare di Dio, io che ho peccato».
    «Perché hai peccato?».
    «Dicono che sono complice del… O Signore! Non mi fare dire!…».
    «No. Io lo dico. Non lo dico neppure. Io e te sappiamo le loro accuse ed Io e te sappiamo che non sono vere. Perciò tu non hai peccato. Io te lo dico».
    «Allora io posso ancora alzare lo sguardo all’Onnipotente?
    Ti posso…».
    «Che, figlio?». Gesù è tutto dolcezza mentre si curva sull’uomo, che si è arrestato bruscamente come intimorito.
    «Che? Il Padre mio lo cerca il tuo sguardo, lo vuole. Ed Io voglio il tuo cuore e il tuo pensiero. Sì, il Sinedrio ti colpirà. Io ti apro le braccia e dico: “Vieni”. Vuoi essere un mio discepolo? Io vedo in te quanto è necessario per essere un operaio del Padrone eterno. Vieni alla mia vigna…».

   138.4 «Ma dici davvero, Maestro? Madre… ma senti? Io sono felice, madre mia! Io… benedico questo dolore perché mi ha dato questa gioia. Oh! facciamo gran festa, madre. E poi io andrò col Maestro e tu tornerai alla tua casa. Vengo subito, Signor mio, che hai annullato ogni mio timore, e dolore, e paura di Dio».
    «No. Tu attenderai la parola del Sinedrio. Con cuore sereno e senza livore. Tu al tuo posto, finché a quel posto sei lasciato. Poi mi raggiungerai a Nazaret o a Cafarnao. Addio. La pace sia con te e con la madre tua».
    «Non ti fermi nella mia casa?».
    «No. Verrò nella casa di tua madre».
    «È paese poco fedele».
    «Gli insegnerò fedeltà. Addio, madre. Sei felice, ora?». Gesù la carezza, come sempre fa con le donne anziane alle quali, noto, dà quasi sempre il nome di “madre”.
    «Felice, Signore. Avevo allevato un maschio al Signore. Il Signore me lo prende per servo del suo Messia. Ne sia benedetto il Signore. Benedetto Te che sei il suo Messia. Benedetta l’ora che qui sei venuto. Benedetta la mia creatura chiamata al tuo servizio».
    «Benedetta sia la madre santa come Anna d’Elcana. La pace sia con voi».
    Gesù esce, seguito dai due. Raggiunge i discepoli, saluta ancora e poi incomincia il ritorno verso la Galilea.