MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 82



LXXXII. A Gerico. L'Iscariota racconta come ha venduto i gioielli di Aglae.

   19 gennaio 1945.

   82.1 La piazza del mercato di Gerico. Ma non di mattina. Solo di sera, in un lungo tramonto caldissimo di piena estate. Del mercato del mattino non restano che i segni, ossia detriti di verdure, mucchi di escrementi, paglia caduta dalle ceste o dalle capezze degli asini, e sbrendoli di cenci… Su tutto le mosche trionfano e da tutto il sole fermenta e fa evaporare fetori e odori di cose poco piacevoli.
   La vasta piazza è vuota. Qualche raro passante, qualche monello rissoso che prende a sassate gli uccelli che sono sulle piante della piazza. Qualche donna diretta alla fontana. E basta.
   Gesù arriva da una strada e si guarda intorno. Non vede ancora nessuno. Pazientemente si addossa ad un tronco e aspetta, trovando modo di parlare ai monelli sulla carità che si inizia da Dio e scende dal Creatore a tutte le creature.
   «Non siate crudeli. Perché volete turbare gli uccelli dell’aria? Hanno nidi lassù. Hanno i loro piccoli figli. Non fanno del male a nessuno. Ci dànno canti e pulizia, mangiando i rifiuti dell’uomo e gli insetti che nuocciono alle messi e alle frutta. Perché ferirli e ucciderli, privando i piccoli dei padri e delle madri, o questi dei piccoli? Sareste contenti che un malvagio entrasse nella vostra casa e ve la distruggesse, o che vi uccidesse i genitori o vi portasse lontano da loro? No, che non lo sareste. E allora perché fare a questi innocenti quello che non vorreste vi fosse fatto? Come potrete un giorno non fare del male all’uomo, se da bambini vi indurite il cuore su creaturine inermi e gentili quali gli uccellini? E non sapete che la Legge dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”? Chi non ama il prossimo non può neppure amare Dio. E chi non ama Dio, co me può andare nella sua Casa e pregarlo? Dio potrebbe dirgli, e lo dice nei Cieli: “Va’ via. Non ti conosco. Figlio tu? No. Non ami i fratelli, non rispetti in loro il Padre che li fece, perciò non sei fratello e figlio, ma un bastardo: figliastro a Dio, fratellastro ai fratelli”. Vedete come ama Lui, il Signore eterno? Nei mesi più freddi fa trovare colmi i fienili perché in essi si annidino i suoi uccellini. In quelli caldi dà ombre di foglie per proteggerli dal sole. Nell’inverno nei campi è il grano appena coperto di terra e facile è scovare il seme e nutrirsene. Nell’estate la sete si allevia colle frutta succose, e i nidi possono farsi ben solidi e caldi coi fili dei fieni e la lana che le pecore lasciano ai rovi. Ed è il Signore. Voi, piccoli uomini, creati come gli uccelli da Lui, fratelli perciò in creazione ad essi, perché volete esser diversi da Lui, credendovi lecito incrudelire su questi piccoli animali? Siate a tutti misericordiosi, non privando del giusto nessuno, né fra gli uomini fratelli, né fra gli animali, vostri servi e amici, e Dio…».
   «Maestro?», chiama Simone. «Giuda sta venendo».
   «…e Dio sarà con voi misericorde, dandovi tutto quanto vi occorre come lo dà a questi innocenti. Andate e portate con voi la pace di Dio».

   82.2 Gesù fende il cerchio dei ragazzi, al quale si erano uniti degli adulti, e va verso Giuda e Giovanni che vengono svelti da un’altra via. Giuda è gongolante. Giovanni sorride a Gesù… ma non pare proprio felice.
   «Vieni, vieni, Maestro. Credo di aver fatto bene. Però vieni con me. Sulla via non si può parlare».
   «Dove, Giuda?».
   «All’albergo. Ho già fissato quattro stanze… oh! roba modesta, non temere. Tanto per potere riposare in un letto dopo tanto disagio in questo calore, e mangiare da uomini e non da uccelli sulla frasca, e parlare anche in pace. Ho venduto molto bene. Vero, Giovanni?».
   Giovanni annuisce[10] senza molto entusiasmo. Ma Giuda è talmente contento della sua opera che non nota né la poca contentezza di Gesù, per la prospettiva di un alloggio comodo, né l’ancor meno entusiastico atteggiamento di Giovanni. E prosegue: «Avendo venduto a più di quanto avevo stimato, ho detto: “È giusto ne levi una piccola somma, cento denari, per i nostri letti e per i nostri pasti. Se siamo sfiniti noi che abbiamo sempre mangiato, Gesù deve essere sfinito del tutto”. Ho il dovere di guardare che non si ammali, il mio Maestro! Dovere d’amore, perché Tu mi ami ed io ti amo… C’è posto anche per voi e per le pecore», dice ai pastori. «Ho pensato a tutto».
   Gesù non dice una parola. Lo segue insieme agli altri. Giungono ad una piazzetta secondaria. Giuda dice: «Vedi quella casa senza finestre sulla via e con quella porticina così stretta da parere una fessura? È la casa del battiloro Diomede. Sembra una povera casa, vero? Ma là dentro è tant’oro da comprare Gerico e… ah! ah!…», Giuda ride maligno…, «e in quell’oro si possono trovare anche molti monili e vasellami e… e anche altre cose di tutte le persone più influenti in Israele. Diomede… oh! tutti fingono di non conoscerlo ma tutti lo conoscono: dagli erodei a… a tutti, ecco. Su quel muro liscio, povero, si potrebbe scrivere: “Mistero e Segreto”. Se parlassero quelle mura! Altro che scandalizzarsi del modo come ho trattato l’affare, Giovanni!… Tu… tu moriresti affogato dallo stupore e dallo scrupolo. Anzi, senti Maestro. Non mi mandare più con Giovanni a certi negozi. Per poco mi fa fallire tutto. Non sa capire a volo, non sa negare, e con un furbo come Diomede bisogna esser svelti e franchi».
   Giovanni mormora: «Dicevi certe cose! Così impensate e così… e così… Sì, Maestro. Non mi mandare più. Non sono capace che di amare, io…».
   «Difficilmente avremo ancora bisogno di simili vendite», risponde Gesù, che è serio.
   «Ecco là l’albergo. Vieni, Maestro. Parlo io perché… ho fatto tutto io».

   82.3 Entrano e Giuda parla col padrone, che fa condurre le pecore in una stalla, e poi conduce personalmente gli ospiti in una stanzetta dove sono due stuoie a letto, dei sedili e un tavolo pronto. Poi si ritira.
   «Parliamo subito, Maestro, mentre i pastori sono intenti a sistemare le pecore».
   «Ti ascolto».
   «Giovanni può dire se sono sincero».
   «Non ne dubito. Fra uomini onesti non deve esser necessario giuramento e testimonianza. Parla».
   «Siamo arrivati a Gerico a sesta. Eravamo sudati come bestie da soma. Non ho voluto dare impressione a Diomede di avere urgente bisogno. E prima sono venuto qui, e mi sono tutto rinfrescato e ho messo veste monda, e così ho voluto facesse lui. Oh! non voleva saperne di farsi ungere e accomodare i capelli… Ma io avevo fatto il mio piano, mentre venivo per via!… Quando era prossimo il vespero ho detto: “Andiamo”. Ormai eravamo riposati e freschi come due ricconi in viaggio di piacere. Quando siamo stati per arrivare da Diomede, ho detto a Giovanni: “Tu assecondami. Non negare e sii svelto a capire”. Ma era meglio se lo lasciavo fuori! Non mi ha aiutato per nulla. Anzi… Per buona sorte io sono svelto per due e ho riparato a tutto.
   Dalla casa usciva il gabelliere. “Bene!”, ho detto. “Se esce quello lì, troveremo denari e quel che voglio per fare paragone”. Perché il gabelliere, usuraio e ladro come tutti i suoi pari, ha sempre monili strappati con minacce e strozzinaggio a quei disgraziati che egli tassa più del lecito, per avere poi molto da godere in crapule e donne. Ed è molto amico di Diomede, che compra e vende oro e carne… Siamo entrati dopo che mi sono fatto conoscere. Dico: entrati. Perché altro è andare nell’androne dove lui finge di lavorare onestamente l’oro, e altro è scendere nel sotterraneo dove egli fa i veri affari. Bisogna esser molto conosciuti da lui per potere ciò. Quando mi ha visto, mi ha detto: “Ancora vuoi vendere oro? Sono momenti brutti e ho poco denaro”. La sua solita canzone. Gli ho risposto: “Non vengo a vendere. Ma a comperare. Hai gioielli per donna? Ma belli, ricchi, preziosi e pesanti, d’oro puro?”. Diomede è rimasto stupito. E ha chiesto: “Vuoi una donna?”. “Non te ne occupare”, gli ho risposto. “Non è per me. È per questo mio amico che è sposo e vuole comperare l’oro per la sua amata”.
   E qui Giovanni ha cominciato a fare il bambino. Diomede, che lo guardava, lo ha visto diventare una porpora e ha detto, da quel vecchio lurido che è: “Eh! il ragazzo, solo a sentire nominare la sposa, va in febbre d’amore. È molto bella la tua donna?”, ha chiesto. Ho dato un calcio a Giovanni per svegliarlo e fargli capire di non fare lo stolto. Ma ha risposto un “sì” così strangolato che Diomede si è insospettito. Allora ho parlato io: “Se bella o meno non ti deve interessare, vecchio. Non sarà mai del numero delle femmine per cui l’inferno ti avrà. È vergine onesta, e presto onesta sposa. Fuori il tuo oro. Io sono il paraninfo ed ho l’incarico di aiutare il giovane… io giudeo e cittadino”. “Lui è galileo, vero?”. Sempre per quei capelli vi tradite! “È ricco?”. “Molto”.
   Allora siamo andati abbasso e Diomede ha aperto cofani e forzieri. Ma di’ il vero, Giovanni! Non pareva d’esser in Cielo davanti a tutte quelle gemme e ori? Collane, serti, bracciali, orecchini, reticelle di oro e pietre preziose per i capelli, forcine, fibbie, anelli… ah! che splendori! Con molto sussiego ho scelto una collana su per giù come quella di Aglae, e anelli, fibbie, bracciali… tutto come quello che avevo nella borsa e in numero uguale. Diomede stupiva e chiedeva: “Ancora? Ma chi è costui? E la sposa chi è? Una principessa?”. Quando ho avuto tutto quel che volevo, ho detto: “Il prezzo?”.
   Oh! che litania di lamenti preparatori sui tempi, sulle tasse, sui rischi, sui ladri! Oh! che altra litania di assicurazioni di onestà! Poi ecco la risposta: “Proprio perché sei te, ti dirò il vero. Senza esagerazioni. Ma meno di questo neppure una dramma. Chiedo dodici talenti d’argento”. “Ladro!”, ho detto. Ho detto: “Andiamo, Giovanni. A Gerusalemme troveremo qualcuno meno ladro di costui”. E ho fatto finta d’uscire. Mi è corso dietro. “Mio alto amico, mio diletto amico, vieni, senti il povero tuo servo. Meno non posso. Non posso proprio. Guarda. Faccio proprio uno sforzo e mi rovino. Lo faccio perché tu mi hai sempre dato la tua amicizia e mi hai fatto fare affari. Undici talenti, ecco. È quello che darei se dovessi comperare questo oro da un che ha fame. Non uno spicciolo meno. Sarebbe come levare il sangue dalle mie vecchie vene”. Vero che diceva così? Faceva ridere e faceva nausea.
   Quando l’ho visto ben fermo sul prezzo ho fatto il colpo. “Vecchio sporco, sappi che non comperare, ma vendere voglio. Questo voglio vendere. Guarda: è bello come il tuo. Oro di Roma e di foggia nuova. Ti andrà a ruba. È tuo per undici talenti. Quanto hai chiesto per questo. Tu ne hai fatto la stima e tu paga”. Uh! allora!… “È un tradimento! Hai tradito la mia stima in te! Tu sei la mia rovina! Non posso dare tanto!”. “L’hai sti mato tu. Paga”. “Non posso”. “Guarda che lo porto ad altri”. “No, amico” e allungava le mani adunche sul mucchio di Aglae. “E allora paga: dodici talenti dovrei volere. Ma mi accontento della tua ultima richiesta”. “Non posso”. “Usuraio! Guarda che qui ho un testimone e ti posso denunciare come ladro…”, e gli ho detto anche altre virtù che non ripeto per questo ragazzo…
   Infine, poiché mi premeva vendere e fare presto, gli ho detto una cosetta, fra me e lui, che non manterrò… Ma che valore ha promessa fatta a un ladro? E ho concluso con dieci talenti e mezzo. Siamo venuti via fra pianti e profferte di amicizia e… di donne. E Giovanni per poco ci piange. Ma che ti importa che ti credano un vizioso? Basta che tu non lo sia. Non sai che il mondo è così e tu sei un aborto del mondo? Un giovane che non sa il sapore della donna? Chi vuoi che ti creda? O se ti credono… oh! io non vorrei pensassero di me ciò che può pensare di te chi ti crede non desideroso di donna.
   Ecco, Maestro. Conta Tu stesso. Avevo un mucchio di denari. Ma sono passato dal gabelliere e gli ho detto: “Riprenditi questa zavorra e rendimi i talenti che ti ha dato Isacco”. Perché avevo saputo anche questo per ultima notizia, ad affare fatto.

   82.4 Però, per ultima cosa, ho detto a Isacco-Diomede: “Ricordati che il Giuda del Tempio non esiste più. Ora sono discepolo di un santo. Fingi perciò di non avermi mai conosciuto, se ti preme il collo”. E per poco glielo torco subito, perché mi ha risposto male».
   «Che ti ha detto?», chiede con indifferenza Simone.
   «Mi ha detto: “Tu discepolo di un santo? Non lo crederò mai, o presto vedrò anche qui il santo a chiedermi una donna”. Mi ha detto: “Diomede è una vecchia sciagura del mondo. Ma tu ne sei quella nuova. Ed io potrei ancora cambiare, perché sono diventato quel che sono da vecchio. Ma tu non cambi. Sei nato così”. Vecchio lurido! Nega il tuo potere, capisci?».
   «E, da buon greco, dice molte verità».
   «Che vuoi dire, Simone? Per me parli?».
   «No. Per tutti. È uno che conosce l’oro e i cuori nella stessa maniera. È un ladro, un lurido di tutti i più luridi commerci. Ma si sente in lui la filosofia dei grandi greci. Conosce l’uomo, animale dalle sette branche di peccato, polipo che strozza il bene, l’onestà, l’amore e tante altre cose, in sé e negli altri».
   «Ma non conosce Dio».
   «E tu glielo vorresti insegnare?».
   «Io. Sì. Perché? Sono i peccatori che hanno bisogno di conoscere Dio».
   «Vero. Però… il maestro deve conoscerlo per insegnarlo».
   «E non lo conosco?».
   «Pace, amici. Vengono i pastori. Non turbiamo il loro animo con querele fra noi. Hai contato il denaro tu? Basta. Porta a termine bene ogni tua azione come hai portato questa e, te lo ripeto, se puoi, in futuro, non mentire neppure per raggiungere una azione buona…».

   82.5 Entrano i pastori.
   «Amici. Qui sono dieci talenti e mezzo. Mancano solo cento denari che Giuda ha tenuto per le spese di alloggio. Prendete».
   «Tutti li dai?», chiede Giuda.
   «Tutti. Non voglio uno spicciolo di quel denaro. Noi abbiamo l’obolo di Dio e di coloro che onestamente cercano Dio… e non ci mancherà mai l’indispensabile. Credilo. Prendete e siate felici, come Io lo sono, per il Battista. Domani andrete verso la sua prigione. Due, ossia Giovanni e Mattia. Simeone con Giuseppe andrà da Elia a riferire e ad istruirsi per il futuro. Elia sa. Poi Giuseppe tornerà con Levi. Il luogo di ritrovo, fra dieci giorni, presso la porta dei Pesci a Gerusalemme, all’ora di prima. E ora mangiamo e prendiamo riposo. Domani, a mattutino, Io parto coi miei. Altro non ho da dirvi per ora. Più tardi saprete di Me».
   E tutto si offusca sulla frazione del pane fatta da Gesù.

[10] annuisce, invece di assente, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.