MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 84



LXXXIV. L'incontro con Lazzaro di Betania.

   21 gennaio 1945.

   84.1 Una chiarissima aurora estiva. Più che aurora, già infanzia di giorno, perché il sole è già fuori da ogni limite d’orizzonte e sale sempre più, ridente alla terra ridente. Non vi è stelo che non rida con un luccichio di rugiade. Pare che gli astri notturni si siano polverizzati divenendo ori e gemme per tutti gli steli, per tutte le fronde; persino per i sassi sparsi al suolo, le cui scagliette silicee, bagnate dalla guazza, paiono cipria di diamanti o polvere d’oro.
   Gesù e Simone camminano lungo una stradetta che si allontana facendo un V dalla via maestra. Vanno verso dei magnifici frutteti e campi di lino alto quanto un uomo, già prossimo alla segatura. Altri campi, più lontani, mostrano solo un grande rosseggiare di papaveri fra il giallore delle stoppie.

   «Siamo già nei possessi dell’amico mio. Vedi, Maestro, che la distanza stava nella prescrizione della Legge. Mai mi sarei permesso inganno con Te. Dietro quel pometo è la cinta del giardino, in essa è la casa. Ti ho fatto venire da questa scorciatoia appunto per stare nel miglio prescritto».
   «È molto ricco il tuo amico!».
   «Molto. Ma non felice. La sua casa ha possessi anche altrove».
   «È fariseo?».
   «Il padre non lo era[12]. Lui… è molto osservante. Ti ho detto: un vero israelita».
   Camminano ancora un poco. Ecco un alto muro; poi, oltre questo, piante e piante, dalle quali appena emerge la casa. Il terreno qui fa una piccola elevazione, ma non tale da permettere che l’occhio penetri nel giardino, tanto vasto[13] che noi lo chiameremmo parco.
   Girano l’angolo. Il muro prosegue uguale, lasciando cadere dal suo sommo rami scapigliati di rose e gelsomini tutti olezzanti e splendidi nelle loro corolle rugiadose.

   84.2 Ecco il cancello pesante di ferro lavorato. Simone batte col pesante battente di bronzo.
   «L’ora è molto mattutina per entrare, Simone», obbietta Gesù.
   «Oh! il mio amico si alza al primo sole, non trovando conforto che nel suo giardino o fra i libri. La notte è per lui tormento. Non tardare oltre, Maestro, a dargli la tua gioia».
   Un servo apre il cancello.
   «Aseo, ti saluto. Di’ al tuo padrone che Simone lo Zelote è venuto, col suo Amico».
   Il servo parte di corsa, dopo averli fatti entrare dicendo: «Il vostro servo vi saluta. Entrate, ché la casa di Lazzaro è aperta agli amici».
   Simone, pratico del luogo, piega non verso il viale centrale, ma verso un sentiero che fra siepi di rose va verso una pergola di gelsomini.
   Infatti è da lì che dopo poco si avanza Lazzaro. Sempre magro e pallido, come sempre l’ho visto, alto, dai capelli corti e non folti né ricci, dalla barbetta rada e appena limitata al basso del mento. Veste di lino candidissimo e cammina a fatica, come chi ha male alle gambe.
   Quando vede Simone fa un gesto di affettuoso saluto e poi, come può, corre verso Gesù e si getta a ginocchio, curvandosi sino al suolo per baciare l’orlo della veste di Gesù, dicendo: «Io non sono degno di tanto onore. Ma, poi che la tua santità si umilia sino alla mia miseria, vieni, mio Signore, entra, e sii padrone nella mia povera casa».
   «Alzati, amico. E ricevi la mia pace».
   Lazzaro si alza e bacia le mani di Gesù e lo guarda con venerazione non scevra da curiosità. Camminano verso la casa.
   «Quanto ti ho aspettato, Maestro! Ogni alba dicevo: “Oggi verrà”, e ogni sera dicevo: “E anche oggi non l’ho visto!”».
   «Perché mi attendevi con tanta ansia?».
   «Perché…

   84.3 che attendiamo noi di Israele se non Te?».
   «E tu credi che Io sia l’Atteso?».
   «Simone non ha mai mentito, né è un ragazzo che si esalti per delle nubi menzognere. L’età e il dolore lo hanno fatto maturo come un sapiente. E poi… anche egli non ti avesse conosciuto per la verità del tuo essere, le tue opere avrebbero parlato e ti avrebbero detto “Santo”. Chi fa le opere di Dio deve essere uomo di Dio. E Tu le fai. E le fai in modo che dice quanto Tu sei l’Uomo di Dio. Egli, l’amico mio, è venuto a Te per nomea di miracolo, e miracolo ebbe. E di altri miracoli so che la tua via è segnata. Perché non credere allora che Tu sei l’Atteso? Oh! è così dolce credere ciò che è buono! Tante cose non buone dobbiamo fingere di credere buone, per amor di pace, per inutilità di poterle mutare; tante parole subdole che paiono adulazioni, lodi, benignità, e sono invece sarcasmo e biasimo, veleno coperto di miele, dobbiamo mostrare di credere pur sapendole veleno, biasimo e sarcasmo… dobbiamo farlo perché… non si può fare altrimenti e siamo deboli contro tutto un mondo che è forte, e siamo soli contro tutto un mondo che ci è contro nemico… Perché, allora, aver difficoltà a credere ciò che è buono? Del resto, i tempi sono maturi e i segni dei tempi ci sono. Quanto ancora potrebbe mancare, a fare quadrato il credere e inintaccabile dal dubbio, lo mette la nostra volontà di credere e di placarci il cuore nella certezza che l’attesa è finita e che il Redentore c’è, c’è il Messia… Colui che renderà pace ad Israele e ai figli di Israele, Colui che… ci farà morire senza affanno, sapendoci redenti, e vivere senza quel pungolo di nostalgie per i nostri morti… Oh! i morti! Perché rimpiangerli se non perché, non avendo più i figli, non hanno ancora il Padre e Dio?».
   «È molto che ti è morto il padre?».
   «Tre anni, e sette che mi è morta la madre… Ma non li rimpiango più da qualche tempo… Anche io vorrei essere dove spero che siano in attesa del Cielo».
   «Non avresti allora a ospite il Messia».
   «È vero. Ora io sono da più di loro, perché ti ho… e il cuore si placa per questa gioia.

   84.4 Entra, Maestro. Concedimi l’onore di fare della mia casa la tua. Oggi è sabato e non posso farti onore convitando amici…».
   «Non lo desidero. Oggi sono tutto per l’amico di Simone e mio».
   Entrano in una bella sala, dove dei servi sono pronti a riceverli. «Vi prego seguirli», dice Lazzaro. «Vi potrete rinfrescare prima del pasto mattutino». E mentre Gesù e Simone vanno in altro luogo, Lazzaro dà ordini ai servi. Comprendo che la casa è ricca, e signorile oltre che ricca…
   …Gesù beve latte che Lazzaro gli vuole assolutamente servire personalmente prima di sedersi per il pasto mattutino.
   Sento Lazzaro volgersi a Simone e dirgli: «Ho trovato l’uomo che è disposto ad acquistare i tuoi beni, e al prezzo che il tuo intendente ha fatto come giusto. Non leva una dramma».
   «Ma è disposto ad osservare le mie clausole?».
   «È disposto. Accetta tutto pur di essere in quelle terre. Ed io ne sono contento, perché almeno so con chi confino. Però, come tu vuoi rimanere assente alla vendita, così pure egli vuole rimanerti sconosciuto. Ed io ti prego di cedere a questo suo desiderio».
   «Non vedo motivo di non farlo. Tu, amico mio, mi farai le veci… Tutto sarà bene quello che fai. Mi basta solo che il mio servo fedele non sia messo sulla via… Maestro, io vendo, e per mio conto sono felice di non avere più nulla che mi leghi ad una qualsiasi cosa che non sia il tuo servizio. Ma ho un vecchio servo fedele, l’unico che è rimasto dopo la mia sventura e che, già te l’ho detto, mi ha sempre aiutato nella segregazione, curando i miei beni come i propri, facendoli anzi passare, con l’aiuto di Lazzaro, per propri, per salvarmeli e potermi sovvenire con essi. Ora non sarebbe giusto io lo rendessi senza casa, adesso che vecchio è. Ho deciso che una piccola casa, ai margini dei beni, resti sua, e che parte della somma gli sia data per suo sostentamento futuro. I vecchi, sai? Sono come l’edera. Vissuti sempre in un posto, troppo soffrono ad esserne strappati. Lazzaro lo voleva con lui, perché Lazzaro è buono. Ma ho preferito fare così. Soffrirà meno il vecchio…».
   «Anche tu sei buono, Simone.

   84.5 Se tutti fossero giusti come te, più facile sarebbe la mia missione…», osserva Gesù.
   «Trovi il mondo restio, Maestro?», chiede Lazzaro.
   «Il mondo?… No. La forza del mondo: Satana. Se esso non fosse padrone dei cuori e li tenesse in sua possessione, Io non troverei resistenza. Ma il Male è contro al Bene, ed Io devo vincere in ognuno il male per mettervi il bene… e non tutti vogliono…».
   «È vero! Non tutti vogliono! Maestro, che parole trovi per chi è colpevole, per convertirlo, per piegarlo? Parole di rampogna severa, come quelle che empiono la storia di Israele verso i colpevoli, e l’ultimo a usarle è il Precursore, oppure parole di pietà?».
   «Amore uso, e misericordia. Credi, Lazzaro, che su chi è caduto ha più potere uno sguardo d’amore che una maledizione».
   «E se l’amore è deriso?».
   «Insistere ancora. Insistere sino all’estremo. Lazzaro, conosci quelle terre in cui il suolo traditore inghiotte gli incauti?».
   «Sì. Ho letto, poiché nel mio stato molto leggo, e per passione e per trascorrere le lunghe ore di insonnia, ho letto di esse. So che ve ne sono nella Siria e nell’Egitto, ed altre presso i Caldei. E so che esse sono come ventose. Aspirano quando hanno preso. Un romano dice che sono bocche dell’Inferno, abitate da mostri pagani. È vero?».
   «Non è vero. Non sono che speciali formazioni del suolo terrestre. L’Olimpo non c’entra. L’Olimpo cesserà di essere creduto ed esse ci saranno ancora, e il progredire dell’uomo non potrà che dare una più veridica spiegazione del fatto ma non eliminare il fatto. Ora Io ti dico: come hai letto di esse, avrai pure letto come si possa salvare colui che in esse è caduto».
   «Sì, con un canapo lanciato, con un palo, anche un ramo.
   Talora poca cosa basta a dare a colui che affonda quel minimo per sorreggersi, e più, quel tanto da star calmo, senza dibattersi in attesa di maggiori soccorsi».
   «Ebbene. Il colpevole, il posseduto è uno che è assorbito dall’ingannevole suolo coperto di fiori alla superficie e che sotto è mobile fango. Credi tu che, se uno sapesse cosa è mettere anche un atomo di sé in possesso di Satana, lo farebbe? Ma non sa… e dopo… O lo paralizza lo stupore e il veleno del Male, o lo fa impazzire e, per sfuggire al rimorso di essersi perduto, colui si dibatte, si appiglia ad altro fango, suscita pesanti onde col suo moto inconsulto, e queste sempre più affrettano il suo perire. L’amore è il canapo, il filo, il ramo di cui tu parli. Insistere, insistere… finché è afferrato… Una parola… un perdono… un perdono più grande della colpa… tanto per fermare la discesa e attendere il soccorso di Dio… Lazzaro, sai che potere ha il perdono? Porta Dio in aiuto del soccorritore…

   84.6 Tu leggi molto?».
   «Molto. Né so se faccio bene. Ma la malattia e… e altre cose mi hanno privato di molte delizie dell’uomo… e ora non ho che la passione dei fiori e dei libri… Delle piante e anche dei cavalli… So che mi si critica. Ma posso io andare nei miei possessi, in questo stato (e scopre delle enormi gambe tutte fasciate), a piedi o anche a cavallo di una mula? Devo usare un carro, e rapido anche. Perciò ho preso dei cavalli e mi ci sono affezionato, lo dico. Ma se Tu mi dici che è male… li mando a vendere».
   «No, Lazzaro. Non sono queste le cose che corrompono.
   Corrompe quello che turba lo spirito e lo allontana da Dio».
   «Ecco, Maestro. Questo vorrei sapere. Io leggo molto. Non ho che questo conforto. Mi piace sapere… credo che in fondo sia meglio sapere che fare il male, sia meglio leggere che… che fare altre cose. Ma io non leggo solo le pagine nostre. Mi piace conoscere anche il mondo degli altri, e Roma e Atene mi attirano. Ora io so quanto male venne ad Israele quando si corruppe con gli Assiri e l’Egitto, e quanto male fecero a noi i governi ellenizzanti. Non so se un privato possa fare a sé lo stesso male che Giuda[14] fece a se stesso e a noi suoi figli. Ma Tu che ne pensi? Voglio Tu mi ammaestri. Tu che non sei un rabbi, ma sei il Verbo sapiente e divino».
   Gesù lo guarda fissamente, per qualche minuto, uno sguardo penetrante e nello stesso tempo lontano. Pare che, trapassando il corpo opaco di Lazzaro, Egli ne scruti il cuore e, passando oltre ancora, veda chissà che… Parla infine: «Ne hai turbamento, di quello che leggi? Ti stacca da Dio e dalla sua Legge?».
   «No, Maestro. Mi spinge invece a confronti fra il nostro vero e la falsità pagana. Confronto e medito le glorie di Israele, i suoi giusti, i patriarchi, i profeti, e le losche figure delle storie altrui. Paragono la nostra filosofia, se così si può chiamare la Sapienza che parla nei testi sacri, con la povera filosofia greca e romana, in cui sono faville di fuoco ma non la sicura fiamma che arde e splende nei libri dei nostri Saggi. E dopo, con ancora maggior venerazione, mi inchino con lo spirito ad adorare il nostro Dio parlante in Israele attraverso atti, persone e scritti nostri».
   «E allora continua a leggere… Ti servirà conoscere il mondo pagano… Continua. Puoi continuare. Manca in te il fermento del male e della cancrena spirituale. Perciò puoi leggere e senza paura. L’amore vero che hai al tuo Dio rende sterili i germi profani che la lettura può spargere in te. In tutte le azioni dell’uomo vi è possibilità di bene o di male. A seconda che si compiono. Amare non è peccato se si ama santamente. Lavorare non è peccato se si lavora quando è giusto. Guadagnare non è peccato se ci si accontenta dell’onesto. Istruirsi non è peccato se, per l’istruzione, non si uccide l’idea di Dio in noi. Mentre è peccato anche servire l’altare, se lo si fa per utile proprio. Ne sei persuaso, Lazzaro?».
   «Sì, Maestro. Avevo chiesto questo ad altri, e mi hanno finito di sprezzare… Ma Tu mi dài luce e pace. Oh! se tutti ti udissero!… Vieni, Maestro. Fra i gelsomini è rezzo e silenzio. Dolce è riposare in attesa della sera fra le loro fresche ombre».
   Escono e tutto ha fine.

[12] non lo era. Il non è stato aggiunto sul testo autografo con scrittura che non sembra di MV, ed è nella copia dattiloscritta che MV rileggeva.
[13] vasto, invece di bello, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[14] Giuda è il nome del regno che poi fu chiamato Giudea. Il male, cui Lazzaro accenna, fu opera di due suoi re empi, come si narra in: 2 Re 21; 2 Cronache 33.