MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 89



LXXXIX. Commiato da Giona, che Simone Zelote pensa di affrancare. Arrivo di Gesù a Nazareth.

   27 gennaio 1945.

   89.1 Appena appena un baluginare di luce. Sulla porta di un misera capanna, e dico così perché chiamarla casa è troppo onore, sono Gesù coi suoi e con Giona e altri miseri contadini come lui. È l’ora del commiato.
   «Non ti vedrò più, mio Signore?», chiede Giona. «Tu ci hai portato la luce nel cuore. La tua bontà ha fatto di queste giornate una festa che durerà per tutta la vita. Ma Tu lo hai visto come siamo trattati. Il giumento ha più cure di noi. E la pianta è più umanamente trattata. Essi sono denaro. Noi siamo solo macine che diamo denaro. E andiamo usati sinché uno muore per eccesso d’uso. Ma le tue parole sono state tante carezze d’ali. Il pane ci è parso più abbondante e buono, poiché Tu con noi lo gustavi, questo pane che egli non dà ai suoi cani. Torna a spezzarlo con noi, Signore. Solo perché sei Tu, oso dire questo. Per chiunque altro sarebbe offesa offrirti un ricovero ed un cibo che sdegna il mendico. Ma Tu…».
   «Ma Io trovo in essi un profumo e un sapore celesti, perché vi è in essi fede e amore. Verrò, Giona. Verrò. Resta al tuo posto, tu legato come animale alle stanghe. Il tuo posto sia la tua scala di Giacobbe. E invero dal Cielo a te vanno e vengono gli angeli, attenti a raccogliere tutti i tuoi meriti e portarli a Dio. Ma Io verrò a te. A sollevare il tuo spirito. Rimanetemi tutti fedeli. Oh! Io vorrei darvi pace anche umana. Ma non posso. Vi devo dire: soffrite ancora. E ciò è triste per Uno che ama…».
   «Signore, se Tu ci ami, non è più soffrire. Prima non avevamo nessuno che ci amasse… Oh! se potessi, io almeno, vedere tua Madre!».
   «Non ti angustiare. Io te la condurrò. Quando più dolce è la stagione, verrò con Lei. Non incorrere in castighi disumani per fretta di vederla. Sappila attendere come si attende il sorgere di una stella, della prima stella. Ella ti apparirà d’improvviso, proprio come fa la stella vespertina che ora non c’era e subito dopo palpita nel cielo. E pensa che anche da ora Ella effonde i suoi doni d’amore su te. Addio, voi tutti. La mia pace vi sia tutela contro le durezze di chi vi angustia. Addio, Giona. Non piangere. Hai atteso tanti anni, con fede paziente. Io ti prometto ora un’attesa ben breve. Non piangere. Non ti lascerò solo. La tua bontà ha asciugato il mio pianto puerile. Non basta la mia ad asciugare il tuo?».
   «Sì… ma Tu vai… e io resto…».
   «Amico, Giona, non farmi partire accasciato dal peso di non poterti sollevare…».
   «Non piango, Signore… Ma come farò a vivere senza più vederti, ora che so che sei vivo?».
   Gesù carezza ancora il vecchio disfatto e poi si stacca. Ma, ritto sul limite della misera aia, apre le braccia benedicendo la campagna. Poi si avvia.
   «Che hai fatto, Maestro?», chiede Simone che ha notato l’insolito gesto.
   «Ho messo un sigillo su tutte le cose. Perché i satana non possano, nuocendo ad esse, nuocere a quegli infelici. Non potevo nulla di più…».

   89.2 «Maestro… andiamo avanti più svelti. Ti vorrei dire una cosa che non fosse udita».
   Si staccano ancor più dal gruppo e Simone parla.
   «Vorrei dirti che Lazzaro ha ordine di usare la somma per soccorrere tutti coloro che in nome di Gesù ad esso ricorrono. Non potremmo affrancare Giona? Quell’uomo è sfinito e non ha più che la gioia di averti. Diamogliela. La sua opera, lì, che vuoi che sia? Libero, sarebbe il tuo discepolo in questa pianura così bella e così desolata. Qui i più ricchi in Israele hanno terre opime e le spremono con usura crudele, esigendo dai lavoratori il cento per uno. Lo so da anni. Qui poco potrai sostare, perché qui impera la setta farisaica e non credo ti sarà mai amica. I più infelici in Israele sono questi lavoratori oppressi e senza luce. Tu l’hai udito, neppure per la Pasqua hanno pace e preghiera, mentre i duri padroni, con grandi gesti e studiate manifestazioni, si mettono in prima fila fra i fedeli. Avranno almeno la gioia di sapere che Tu ci sei, di udire, ripetute da uno che non ne altererà uno iota, le tue parole. Se credi, Maestro, dà ordini, e Lazzaro farà».
   «Simone, Io avevo compreso perché tu ti spogliavi di tutto.
   Non mi è ignoto il pensiero dell’uomo. E ti ho amato anche per questo. Facendo felice Giona, fai felice Gesù.

   89.3 Oh! come mi angustia vedere soffrire chi è buono! La mia condizione di povero e spregiato dal mondo non mi angustia che per questo. Giuda, se mi udisse, direbbe: “Ma non sei Tu il Verbo di Dio? Ordina, e le pietre diverranno oro e pane per i miseri”. Ripeterebbe l’insidia di Satana. Ben Io voglio sfamare le fami. Ma non come Giuda vorrebbe. Ancora siete troppo informi per capire la profondità di quanto dico. Ma a te lo dico: se Dio a tutto provvedesse, commetterebbe furto verso i suoi amici. Li priverebbe della facoltà di essere misericordiosi e di ubbidire perciò al comandamento d’amore. I miei amici devono avere questo segno di Dio, in comune con Lui: la santa misericordia che è di opere e di parole. E le infelicità altrui danno modo ai miei amici di esercitarla. Hai compreso il pensiero?».
   «È profondo. Lo medito. E mi umilio, comprendendo quanto sono ottuso e quanto grande è Dio, che ci vuole con tutti i suoi attributi più dolci per dirci suoi figli. Dio mi si svela, nella sua molteplice perfezione, da ogni luce che Tu mi getti nel cuore. Di giorno in giorno, come uno che procede in luogo sconosciuto, io aumento la cognizione di questa immensa Cosa che è la Perfezione che ci vuole chiamare “figli”, e mi pare di salire come un’aquila o di immergermi come un pesce in due profondità senza confine quali sono il cielo e il mare, e sempre più salgo e mi immergo, né mai tocco limite. Ma che è dunque Dio?».
   «Dio è l’irraggiungibile Perfezione, Dio è la compiuta Bellezza, Dio è l’infinita Potenza, Dio è l’incomprensibile Essenza, Dio è l’insuperabile Bontà, Dio è l’indistruttibile Compassione, Dio è l’immisurabile Sapienza, Dio è l’Amore divenuto Dio. È l’Amore! È l’Amore! Tu dici che più conosci Dio nella sua perfezione e più ti pare di salire o immergerti in due profondità senza confine, di azzurro senz’ombre… Ma, quando tu capirai cosa è l’Amore divenuto Dio, non salirai, non ti immergerai più nell’azzurro, ma in un gorgo incandescente di fiamme, e sarai aspirato verso una beatitudine che ti sarà morte e vita. Dio lo avrai, con completo possesso, quando, per la tua volontà, sarai riuscito a comprenderlo e a meritarlo. Allora ti fisserai nella sua perfezione».
   «O Signore!»… Simone è sopraffatto.

   89.4 Si fa il silenzio. La strada viene raggiunta. Gesù sosta in attesa degli altri.
   Quando il gruppo si riunisce, Levi si inginocchia: «Dovrei lasciarti, Maestro. Ma il tuo servo ti fa una preghiera. Portami da tua Madre. Costui è orfano come me. Non negare a me ciò che a lui dài perché veda un volto di madre…».
   «Vieni. Quanto in nome di mia Madre si chiede, in nome di mia Madre Io do»…

   89.5 …Gesù è solo. Cammina velocemente fra boschi di ulivi carichi di ulivette già ben formate. Il sole, per quanto verso il tramonto, dardeggia oltre la cupola grigio-verde delle piante preziose e pacifiche, ma non buca l’intrico dei rami che con minu ti occhiellini di luce. La via maestra, invece, incassata fra due prode, è un nastro di polverosa incandescenza abbacinante.
   Gesù procede e sorride. Raggiunge un balzo… e sorride ancor più vivamente. Ecco là Nazaret… pare tremolare nel sole, tanto l’incandescenza del sole la stringe. Gesù scende ancor più veloce. Raggiunge la via, ora, senza curarsi del sole. Pare che voli, tanto va lesto, col mantello, che si è messo a riparo sul capo, che si gonfia e palpita ai lati e dietro a Lui. La via è deserta e silenziosa sino alle prime case. Lì qualche voce di bimbo o di donna si sente venire dagli interni e dagli orti, che spenzolano sin sulla via le fronde dei loro alberi. Gesù ne approfitta, di queste chiazze d’ombra, per sfuggire all’implacabile sole. Svolta per una stradetta che per metà è nell’ombra. Lì vi sono donne che si affollano ad un pozzo fresco. Lo salutano quasi tutte e con voci acute di ben tornato.
   «La pace a voi tutte… Ma fate silenzio. Voglio fare una sorpresa a mia Madre».
   «Sua cognata è andata via ora con una brocca fresca. Ma deve tornare. Sono rimaste senz’acqua. La sorgiva è asciutta o si sperde nel suolo ardente prima di giungere al tuo orto. Non sappiamo. Maria d’Alfeo lo diceva ora. Eccola che viene».
   La madre di Giuda e Giacomo viene con un’anfora sul capo e una per mano. Non vede subito Gesù e grida: «Così faccio più presto. Maria è tutta triste, perché i suoi fiori muoiono di sete. Sono ancora quelli di Giuseppe e di Gesù, e le pare che le si strappi il cuore a vederli languire».
   «Ma ora che vede Me…», dice Gesù apparendo da dietro il gruppo.
   «Oh! il mio Gesù! Te benedetto! Lo vado a dire…».
   «No. Vado Io. Dàmmi le anfore».
   «La porta è solo accostata. Maria è nell’orto. Oh! come sarà felice! Parlava di Te anche stamane. Ma con questo sole! Venire! Sei tutto sudato! Sei solo?».
   «No. Con amici. Ma sono venuto avanti. Per vedere prima la Mamma. E Giuda?».
   «È a Cafarnao. Vi va spesso…». Maria non dice altro. Ma sorride, mentre asciuga col suo velo il volto bagnato di Gesù.

   89.6 Le brocche sono pronte. Gesù se ne carica due a bilico sulle spalle, usando la sua cintura, e l’altra la porta con la mano.
   Va, svolta, giunge alla casa, spinge la porta, entra nella stanzetta che pare scura rispetto al gran sole esterno, alza piano la tenda che fa riparo alla porta dell’orto, osserva.
   Maria è ritta presso un rosaio, volgendo le spalle alla casa, e compassiona la pianta assetata. Gesù posa la brocca a terra, e il rame suona battendo contro un sasso. «Già qui, Maria?», dice la Mamma senza voltarsi. «Vieni, vieni. Guarda questo rosaio! E questi poveri gigli. Morranno tutti se non li soccorriamo. Porta anche delle cannucce per sorreggere questo stelo che cade».
   «Tutto ti porto, Mamma».
   Maria si volge di scatto. Resta per un secondo ad occhi sbarrati, poi con un grido corre a braccia tese verso il Figlio, che ha già aperto le sue e l’attende con un sorriso tutto amore.
   «Oh! Figlio mio!».
   «Mamma! Cara!».
   L’espansione è lunga, soave, e Maria è tanto felice che non vede, non sente quanto sia accaldato Gesù. Ma poi si sovviene: «Perché, Figlio, in tale ora? Sei di porpora e sudi come una spugna. Vieni, vieni dentro. Che la Mamma ti asciughi e rinfreschi. Ora ti porto una veste nuova e sandali mondi. Ma Figlio! Figlio! Perché in giro con questo sole? Muoiono le piante per il calore e Tu, mio Fiore, vai in giro!».
   «Per venire prima da te, Mamma!».
   «Oh! caro! Hai sete? Certo l’hai. Ora ti preparo…».
   «Sì, del tuo bacio, Mamma. Delle tue carezze. Lasciami stare così, col capo sulla tua spalla, come quando ero piccino…
   Oh! Mamma! Come mi manchi!».
   «Ma dimmi di venire, Figlio, ed io verrò. Che ti è mancato per la mia assenza? cibo a Te gradito? vesti fresche? letto ben fatto? Oh! dimmelo, mia Gioia, che t’è mancato. La tua serva, o Signor mio, cercherà di provvedere».
   «Nulla che tu non fossi…».
   Gesù, che è rientrato tenuto per mano dalla Mamma e che si è seduto sulla cassapanca presso la parete, avendo di fronte Maria che cinge con le braccia, stando col capo contro il suo cuore e baciandola di tanto in tanto, ora la guarda fissa. «Lascia che Io ti guardi. Che mi empia la vista di te, Mamma mia santa!».
   «Prima la veste. È male stare così bagnato. Vieni».
   Gesù ubbidisce.

   89.7 Quando torna in una veste fresca, il colloquio riprende, soave.
   «Sono venuto con discepoli e amici. Ma li ho lasciati nel bosco di Melca. Verranno domani all’aurora. Io… non potevo più attendere. La mia Mamma!…», e le bacia le mani. «Maria di Alfeo si è ritirata per lasciarci soli. Anche lei ha capito la mia sete di te. Domani… domani sarai tu dei miei amici ed Io dei nazareni. Ma questa sera tu sei l’Amica mia ed Io il tuo. Ti ho portato… oh! Mamma, ho trovato i pastori di Betlemme. E ti ho portato due di essi: sono orfani e tu sei la Madre. Di tutti. E più degli orfani. E ti ho portato anche uno che ha bisogno di te per vincere se stesso. E un altro che è un giusto e che ha pianto. E poi Giovanni… E ti ho portato il ricordo di Elia, di Isacco, Tobia ora Mattia, Giovanni e Simeone. Giona è il più infelice. Ti porterò a lui. L’ho promesso. Altri li cercherò ancora.
   Samuele e Giuseppe sono nella pace di Dio».
   «Fosti a Betlemme?».
   «Sì, Mamma. Vi ho portato i discepoli che avevo meco. E ti ho portato questi fioretti, nati fra le pietre della soglia».
   «Oh!». Maria prende gli steli disseccati e li bacia. «E Anna?».
   «È morta nella strage di Erode».
   «Oh! misera! Ti amava tanto!».
   «I betlemmiti hanno molto sofferto. E non sono stati giusti coi pastori. Ma hanno molto sofferto…».
   «Ma con Te furono buoni allora!».
   «Sì. Per questo vanno compatiti. Satana è invidioso di quella loro bontà e li aizza al male. Sono stato anche a Ebron. I pastori, perseguitati, …».
   «Oh! fino a tanto?!».
   «Sì. Furono aiutati da Zaccaria, e per lui ebbero padroni e pane, anche se duri padroni. Ma sono anime di giusti, e delle persecuzioni e delle ferite si sono fatti pietre di santità. Li ho radunati. Ho guarito Isacco e… e ho dato il mio Nome ad un piccino… A Jutta, dove Isacco languiva e da dove risorse, vi è ora un gruppo innocente che si chiama Maria, Giuseppe e Jesai…».
   «Oh! il tuo Nome!».
   «E il tuo, e quello del Giusto. E a Keriot, patria di un discepolo, un fedele israelita mi morì sul cuore. Di gioia di avermi avuto…

   89.8 E poi… oh! quante cose ho da dirti, mia perfetta Amica, Madre soave! Ma per prima, Io te ne prego, chiedo da te tanta pietà per quelli che verranno domani. Ascolta: mi amano… ma non sono perfetti. Tu, Maestra di virtù… oh! Madre, aiutami a farli buoni… Io li vorrei tutti salvare…».
   Gesù è scivolato ai piedi di Maria. Ora Lei appare nella sua maestà di Madre.
   «Figlio mio! Che vuoi che faccia la tua povera Mamma più di Te?».
   «Santificarli… La tua virtù santifica. Te li ho portati apposta. Mamma… un giorno ti dirò: “Vieni”, perché allora sarà urgente santificare gli spiriti, perché Io trovi in loro volontà di redenzione. E Io solo non potrò… Il tuo silenzio sarà attivo come la mia parola. La tua purezza aiuterà la mia potenza. La tua presenza terrà indietro Satana… e tuo Figlio, Mamma, troverà forza nel saperti vicina. Verrai, non è vero, mia dolce Madre?».
   «Gesù! Caro! Figlio! Non ti sento felice… Che hai, Creatura del mio cuore? Fu duro con Te il mondo? No? Mi è sollievo crederlo… ma… Oh! sì. Verrò. Dove Tu vuoi. Come Tu vuoi. Quando Tu vuoi. Anche ora, sotto al sole, sotto le stelle come nel gelo e fra i piovaschi. Mi vuoi? Eccomi».
   «No. Ora no. Ma un giorno… Come è dolce la casa! E la tua carezza! Lasciami dormire così, col capo sui tuoi ginocchi. Sono tanto stanco! Sono sempre il tuo Figliolino…».
   E Gesù realmente si addormenta, stanco e spossato, seduto sulla stuoia, col capo in grembo alla Madre che lo carezza sui capelli, beata.