MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 85



LXXXV. Con Simone Zelote al Tempio, dove sta parlando l'Iscariota, e poi al Getsemani, dove è Giovanni.

    22 gennaio 1945.

   85.1 Gesù è con Simone in Gerusalemme. Fendono la folla di venditori e di ciuchini, che pare una processione per la via, e mentre lo fanno Gesù dice: «Saliamo al Tempio prima di andare al Get-Semmì. Pregheremo il Padre nella sua Casa».
   «Solo quello, Maestro?».
   «Solo quello. Non posso trattenermi. Domani all’alba vi è il convegno alla porta dei Pesci e, se la folla insiste, come posso esser libero di andarvi? Voglio vedere gli altri pastori. Li spargo, veri pastori, per la Palestina, perché chiamino a raccolta le pecore e il Padrone del gregge sia conosciuto almeno di nome, di modo che, quando quel nome Io lo dica, esse sappiano che sono Io il Padrone del gregge e vengano a Me per avere carezze».
   «È dolce avere un Padrone come Te! Le pecore ti ameranno».
   «Le pecore… ma non i capri… Dopo aver visto Giona, andremo a Nazaret e poi a Cafarnao. Simon Pietro e gli altri soffrono di tanta assenza… Andremo a farli felici e a farci felici. Anche l’estate a questo ci consiglia. La notte è fatta per il riposo, e troppo pochi sono quelli che pospongono il riposo alla conoscenza della Verità. L’uomo… oh! l’uomo! Si dimentica troppo di avere un’anima e pensa e si preoccupa solo della carne. Il sole, nel giorno, è violento. Impedisce l’andare e impedisce l’ammaestrare nelle piazze e per le vie. Rende gli spiriti assonnati come i corpi, tanto spossa. E allora… andiamo ad ammaestrare i miei discepoli. Là nella dolce Galilea, verde e fresca d’acque.

   85.2 Ci sei mai stato?».
   «Una volta di passaggio e d’inverno, in una delle mie peregrinazioni penose da un medico all’altro. Mi piacque…».
   «Oh! è bella! Sempre. Nell’inverno e più nelle altre stagioni. Ora, d’estate, ha delle notti così angeliche… Sì, pare proprio che siano fatte per i voli degli angeli, tanto sono pure. Il lago… Il lago, nella sua cerchia di monti più o meno vicini, sembra proprio fatto per parlare di Dio ad anime che cercano Dio. È un pezzo di cielo caduto fra il verde, ed il firmamento non lo abbandona, ma vi si specchia con i suoi astri e li moltiplica così… quasi per presentarli al Creatore sparsi su una lastra di zaffiro. Gli ulivi scendono sin quasi alle onde e son pieni di usignoli. E anche essi cantano la loro lode al Creatore, che li fa vivere in quel luogo tanto dolce e placido.
   E la mia Nazaret! Tutta stesa al bacio del sole, tutta bianca e verde, ridente, fra i due giganti del grande e del piccolo Hermon, e il piedestallo dei monti che sorreggono il Tabor, piedestallo dalle dolci chine tutte verdi, che alzano incontro al sole il loro signore spesso nevoso, ma così bello quando il sole ne fascia la cima, che allora diviene di un alabastro rosato, mentre al lato opposto il Carmelo è di lapislazzuli in certe ore di gran sole, in cui tutte le vene di marmi o di acque, di boschi o di prati, si mostrano coi loro diversi colori, ed è delicata ametista alla prima luce, e di viola-celeste berillo alla sera, ed è un blocco solo di sardonice quando la luna lo mostra tutto nero, sul latteo-argenteo della sua luce. E poi, giù, a meridione, il tappeto fertile e fiorito della piana di Esdrelon.
   E poi… e poi, oh! Simone! Là c’è un Fiore! Un Fiore c’è che vive solitario, olezzando purezza e amore per il suo Dio e per il suo Figlio! C’è mia Madre. Tu la conoscerai, Simone, e mi dirai se c’è creatura simile a Lei, anche in umana grazia, sulla Terra. Bella è, ma tutto è superato da ciò che dal suo interno emana. Se un brutale la dispogliasse d’ogni sua veste, la sfregiasse e la mandasse raminga, Ella ancor apparirebbe Regina e in veste regale, perché la sua santità le farebbe manto e splendore. Tutto può darmi il mondo di male, ma tutto al mondo perdonerò perché per venire al mondo e redimerlo ho avuto Lei, l’umile e grande Regina del mondo, che il mondo ignora, ma per la quale ha avuto il Bene ed ancor più avrà nei secoli.
   Eccoci al Tempio. Osserviamo la forma giudaica del culto. Ma in verità ti dico che la vera Casa di Dio, l’Arca Santa è il suo Cuore, a cui è velo la carne purissima, e su cui sono le virtù a far ricamo».

   85.3 Sono entrati e camminano per il primo ripiano. Passano per un portico, diretti ad un secondo ripiano.
   «Maestro, guarda là Giuda fra quel crocchio di gente. E ci sono anche farisei e sinedristi. Io vado a sentire che dice. Mi lasci?».
   «Vai. Ti attenderò presso il Gran Portico».
   Simone va lesto e si mette in modo da udire ma da non essere visto.
   Giuda parla con grande convinzione: «…e qui ci sono persone che voi tutti conoscete e rispettate, che possono dire chi io ero. Ebbene io vi dico che Egli mi ha mutato. Il primo redento sono io. Molti fra voi venerano il Battista. Egli pure lo venera, e lo chiama “il santo pari ad Elia per missione, ma ancor più grande di Elia”. Ora, se Battista è tale, Costui che il Battista chiama “l’Agnello di Dio”, e sulla sua santità giura di averlo visto incoronare dal Fuoco dello Spirito di Dio mentre una voce dai Cieli lo proclamava “Figlio diletto di Dio che va ascoltato”, non può essere che il Messia. Lo è. Io ve lo giuro. Non sono un rozzo né uno stolto. Lo è. Io l’ho visto nelle opere e ne ho udito la parola. E vi dico: è Lui, il Messia. Il miracolo lo serve come uno schiavo il padrone. Malattie e sventure cadono come cose morte e viene gioia e salute. E i cuori si mutano ancor più dei corpi. Lo vedete da me. Non avete malati, non pene da soccorrere? Se le avete, venite domani all’alba alla porta dei Pesci. Egli vi sarà e vi farà felici. Intanto, ecco, in suo nome ai poveri io do questo soccorso».
   E Giuda distribuisce delle monete a due storpi e a tre ciechi, e per ultimo forza una vecchietta ad accettare le ultime monete.

   85.4 Poi congeda la folla e resta con Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, e altri tre che non conosco.
   «Ah! ora sto bene!», esclama Giuda. «Non ho più nulla. E sono come Egli vuole».
   «In verità non ti conosco più. Credevo fosse uno scherzo.
   Ma vedo che fai sul serio», esclama Giuseppe.
   «Sul serio. Oh! io per il primo non mi riconosco. Sono ancora una belva immonda rispetto a Lui. Ma già sono molto mutato».
   «E non apparterrai più al Tempio?», chiede uno degli a me sconosciuti.
   «Oh! no. Sono del Cristo. Chi lo avvicina, a meno che non sia un aspide, non può che amarlo. E non desidera più che Lui».
   «Non verrà più qui?», chiede Nicodemo[15].
   «Certo che verrà. Ma non ora».
   «Vorrei udirlo».
   «Ha già parlato in questo luogo, Nicodemo».
   «Lo so. Ma io ero con Gamaliele… lo vidi… ma non mi fermai».
   «Che disse Gamaliele, Nicodemo?».
   «Disse: “Qualche nuovo profeta”. Non altro disse».
   «E tu non gli dicesti quello che io ti dissi, Giuseppe? Tu gli sei amico…».
   «Lo dissi. Ma mi rispose: “Abbiamo già il Battista e, secondo le dottrine degli scribi, almeno cent’anni devono essere fra questo e quello per preparare il popolo alla venuta del Re. Io dico che ce ne vogliono meno”, ha soggiunto, “perché il tempo è compiuto ormai”. E ha finito: “Però io non posso ammettere che il Messia si manifesti così… Un giorno ho creduto iniziasse la manifestazione messianica, perché il suo primo bagliore era veramente lampo celeste. Ma poi… un grande silenzio si è fatto ed io penso di essermi sbagliato”».
   «Prova a parlarne ancora. Se Gamaliele fosse con noi e voi con lui…».
   «Non vi ci consiglio», obbietta uno dei tre sconosciuti. «Il Sinedrio è potente, ed Anna lo regge con astuzia e avidità. Se il tuo Messia vuole vivere, gli consiglio di rimanere oscuro. A meno che non si imponga con la forza. Ma allora c’è Roma…».
   «Se il Sinedrio lo udisse, si convertirebbe al Cristo».
   «Ah! Ah! Ah!», ridono i tre sconosciuti e dicono: «Giuda, ti credevamo mutato, ma ancora intelligente. Se è vero quello che tu dici di Lui, come puoi pensare che il Sinedrio lo segua? Vieni, vieni, Giuseppe. È meglio per tutti. Dio ti protegga, Giuda. Ne hai bisogno». E se ne vanno. Giuda resta col solo Nicodemo.

   85.5 Simone si squaglia e va dal Maestro. «Maestro, io mi accuso di aver peccato di calunnia con la parola e col cuore. Quell’uomo mi disorienta. Lo credevo quasi un tuo nemico, e l’ho udito parlare di Te in tal modo che pochi fra noi lo fanno, specie qui dove l’odio potrebbe sopprimere prima il discepolo e poi il Maestro. E l’ho visto dare denaro ai poveri, e cercare di convincere i sinedristi…».
   «Lo vedi, Simone? Sono contento che tu lo abbia visto in tal momento. Lo dirai anche agli altri quando lo accuseranno. Benediciamo il Signore per questa gioia che mi dài, per la onestà tua nel dire: “Ho peccato”, e per l’opera del discepolo che credevi malvagio e non lo è».
   Pregano a lungo, poi escono.
   «Non ti ha visto?».
   «No. Ne sono sicuro».
   «Non gli dire nulla. È un’anima molto malata. Una lode sarebbe simile a cibo dato ad un convalescente di gran febbre di stomaco. Lo farebbe peggiorare, perché si glorierebbe del sapersi notato. E dove entra orgoglio…».    
   «Tacerò.

   85.6 Dove andiamo?».
   «Da Giovanni. Sarà, in quest’ora calda, alla casa dell’Uliveto».
   Vanno lesti, cercando ombra per le vie tutte di fuoco dal gran sole. Superano il sobborgo polveroso, valicano la porta delle mura, escono nell’abbacinante campagna e da questa negli ulivi, dagli ulivi alla casa.
   Nella cucina, fresca e oscura per la tenda messa alla porta, è Giovanni. Sonnecchia, e Gesù lo chiama: «Giovanni!».
   «Tu, Maestro? Ti aspettavo per la sera».
   «Sono venuto prima. Come ti sei trovato, Giovanni?».
   «Come un agnello che ha smarrito il pastore. E parlavo a tutti di Te, perché parlarne era già un poco averti. Ad alcuni parenti ne ho parlato, a conoscenti, ad estranei. Anche ad Anna… E ad uno storpio che mi sono fatto amico con tre denari. Me li avevano dati e li ho dati a lui. E anche ad una povera donna, dell’età di mia madre, che piangeva in un crocchio di donne su una porta. Ho chiesto: “Perché piangi?”. Mi ha detto: “Il medico mi ha detto: ‘Tua figlia è malata di tisi. Rassegnati. Ai primi temporali di ottobre morrà’. Non ho che quella: è bella, buona e ha quindici anni. Doveva andare sposa a primavera e invece del cofano di nozze le devo preparare il sepolcro”. Le ho detto: “Io conosco un Medico che te la può guarire se hai fede”. “Più nessuno la può guarire. Tre medici l’hanno vista. Sputa già sangue”. “Il mio”, ho detto, “non è un medico come i tuoi. Non cura con le medicine. Ma col suo potere. È il Messia…”. Una vecchietta allora ha detto: “Oh! credi, Elisa! Io conosco un cieco che ha visto per Lui!”, e la madre allora è passata dalla sfiducia alla speranza e ti attende… Ho fatto bene?
   Non ho fatto che questo».
   «Hai fatto bene. E a sera andremo dai tuoi amici. Giuda lo hai più visto?».
   «Più, Maestro. Ma mi ha mandato cibi e denari, che ho dato ai poveri. E mi ha mandato a dire che li usassi pure, perché erano suoi».
   «È vero. Giovanni, domani andiamo verso la Galilea…».
   «Ne sono lieto, Maestro. Penso a Simon Pietro. Chissà come ti attende! Passiamo anche da Nazaret?».
   «Anche, e vi sostiamo in attesa di Pietro, Andrea e di tuo fratello Giacomo».
   «Oh! restiamo in Galilea?».
   «Vi restiamo per qualche tempo».
   Giovanni ne è felice. E sulla sua felicità cessa tutto.

[15] chiede Nicodemo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.