MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 87



LXXXVII. Con pastori e discepoli presso Doco. Isacco resta in Giudea.

   25 gennaio 1945.

   87.1 «E io ti dico, Maestro, che sono più buoni gli umili. Questi a cui mi rivolsi ebbero derisione o noncuranza. Oh! i piccoli di Jutta!».
   Isacco parla a Gesù. Sono tutti a crocchio sull’erba del margine fluviale. Isacco pare dia il resoconto delle sue fatiche.
   Giuda interviene e, caso raro, chiama a nome il pastore: «Isacco, io penso come te. Perdiamo tempo e fede a loro contatto. Io ci rinuncio».
   «Io no. Ma ne soffro. Rinuncerò solo se il Maestro lo dice. Sono abituato da anni a soffrire per fedeltà alla verità. Non potevo mentire per ingraziosirmi i potenti. E sai quante volte vennero per burlarsi di me, nella mia stanza di infermo, promettendomi – oh! certo false promesse! – aiuti se avessi detto che avevo mentito e che Tu, Gesù, non eri Tu il neonato Salvatore?! Ma io non potevo mentire. Mentire sarebbe stato rinnegare la mia gioia, sarebbe stato uccidere la mia speranza unica, sarebbe stato respingerti, o Signore mio! Respingere Te! Nel buio della mia miseria, nello squallore della mia infermità, avevo sempre un cielo sparso di stelle: il volto di mia madre, unica gioia della mia vita di orfano, il volto di una sposa che non fu mai mia e alla quale serbai l’amore anche oltre la morte. Queste le due stelle minori. E poi due stelle più grandi, pari a purissime lune: Giuseppe e Maria, sorridenti ad un Neonato e a noi poveri pastori, e fulgido, al centro del mio cielo del cuore, il volto tuo, innocente, soave, santo, santo, santo. Non potevo respingere questo mio cielo! Non volevo levarmi la sua luce che più pura non vi è. La vita piuttosto avrei respinto, e fra i tormenti, che respingerti, mio ricordo benedetto, mio Gesù Neonato!».
   Gesù posa la sua mano sulla spalla di Isacco e sorride. Giuda parla ancora: «E allora tu insisti?».
   «Io insisto. Oggi, domani e domani ancora. Qualcuno verrà».
   «Quanto durerà il lavoro?».
   «Non so. Ma credi. Basta non guardare avanti né indietro.
   Fare giorno per giorno. E, se a sera si è fatto con utile, dire: “Grazie, mio Dio”; se senza utile, dire: “Spero nel tuo aiuto per domani”».
   «Sei saggio».
   «Non so neppure che voglia dire ciò. Ma faccio nella mia missione quello che ho fatto nella mia malattia. Quasi trent’anni di infermità non sono un giorno!».
   «Eh! lo credo! Io non ero ancora nato e tu già eri infermo».
   «Ero infermo. Ma non li ho mai contati quegli anni. Non ho mai detto: “Ecco, torna nisam ed io non rifiorisco con le rose. Ecco, torna tisri ed io ancora qui languo”. Andavo avanti, parlando a me e ai buoni di Lui. Mi accorgevo che gli anni passavano, perché i piccoli di un giorno venivano a portarmi i loro dolci di nozze e quelli delle nascite dei loro piccini. Ora, se guardo indietro[17], ora che sono da vecchio tornato giovane, che vedo del passato? Nulla. È passato».
   «Nulla qui. Ma in Cielo è “tutto” per te, Isacco, e quel tutto ti attende», dice Gesù.

   87.2 E poi, parlando a tutti: «Bisogna fare così. Lo faccio anche Io. Andare avanti. Senza stanchezze. La stanchezza è ancora una radica della superbia umana. E così la fretta. Perché ci si nausea delle sconfitte, perché ci si inquieta delle lentezze? Perché l’orgoglio dice: “A me dire di no? Con me tanta attesa? Questa è mancanza di rispetto per l’apostolo di Dio”. No, amici. Guardate tutto il creato e pensate a Chi lo fece. Meditate sul progredire dell’uomo e pensate alla sua origine. Pensate a quest’ora che si compie e calcolate quanti secoli l’hanno preceduta. Il creato è opera di calma creazione. Il Padre non fece disordinatamente tutto. Ma fece per successivi tempi il creato. L’uomo è opera di un progredire paziente, l’uomo attuale, e sempre più progredirà nel sapere e nel potere. Questi poi saranno santi o non santi a seconda del suo volere. Ma l’uomo non si fece dotto di un subito. I Primi, espulsi dal Giardino, dovettero imparare tutto, lentamente, continuamente. Imparare persino le cose più semplici: che il chicco del grano è più buono sfarinato e poi impastato e poi cotto. E imparare come sfarinarlo e come cuocerlo. Imparare come fare accesa la legna. Imparare come si fa una veste guardando il vello degli animali. Come una tana osservando le fiere. Come un giaciglio osservando i nidi. Imparare a curarsi con le erbe e le acque osservando le bestie che con esse si curano per istinto. Imparare a viaggiare per deserti e per mari studiando le stelle, domando i cavalli, imparando l’equilibrio nelle acque, a lui insegnato da un guscio di noce galleggiante sull’onda di un rio. Quante sconfitte prima di riuscire! Ma riuscì. E andrà oltre. Non sarà più felice per questo, perché, più che nel bene, si farà esperto nel male. Ma progredirà. La Redenzione non è opera paziente? Decisa nei secoli dei secoli, e oltre decisa, ecco che viene ora che i secoli l’hanno preparata. Tutto è pazienza. Perché essere impazienti, allora? Non poteva Dio far tutto in un baleno? Non poteva l’uomo, dotato di ragione, uscito dalle mani di Dio, saper tutto in un baleno? Non potevo Io venire all’inizio dei secoli? Tutto poteva essere. Ma nulla deve essere violenza. Nulla. La violenza è sempre contraria all’ordine; e Dio, e ciò che da Dio viene, è ordine. Non vogliate essere da più di Dio».

   87.3 «Ma allora quando sarai conosciuto?».
   «Da chi, Giuda?».
   «Ma dal mondo!».
   «Mai».
   «Mai? Ma non sei il Salvatore?».
   «Lo sono. Ma il mondo non vuole essere salvato. Solo nella misura da uno a mille mi vorrà conoscere, e nella misura da uno a diecimila mi seguirà realmente. E dico ancora molto.
   Non sarò conosciuto neppure dai miei più intimi».
   «Ma, se ti sono intimi, ti conosceranno».
   «Sì, Giuda. Mi conosceranno come Gesù, l’israelita Gesù.
   Ma non mi conosceranno come Quello che sono. In verità vi dico che non sarò conosciuto da tutti i miei intimi. Conoscere vuol dire amare con fedeltà e virtù… e vi sarà chi non mi conoscerà».
   Gesù ha la sua mossa di rassegnato sconforto, che sempre ha quando annuncia il futuro tradimento: apre le mani e le tiene così, volte all’infuori, col volto accorato che non guarda né gli uomini né il cielo, ma solo il suo futuro destino di Tradito.
   «Non lo dire, Maestro», supplica Giovanni.
   «Noi ti seguiamo per sempre più conoscerti», dice Simone e a lui fanno coro i pastori.
   «Come una sposa ti seguiamo e ci sei più caro di essa; più gelosi di Te che di una donna noi siamo. Oh! no. Noi ti conosciamo già tanto che non possiamo più misconoscerti. Lui (e Giuda indica Isacco) dice che rinnegare il tuo ricordo di Neonato sarebbe stato per lui più atroce di perdere la vita. E non eri che un neonato. Noi ti abbiamo Uomo e Maestro. Noi ti udiamo e vediamo le tue opere. Il tuo contatto, il tuo alito, il tuo bacio sono la nostra continua consacrazione e la nostra continua purificazione. Solo un satana potrebbe rinnegarti dopo esser stato tuo intimo!».
   «È vero, Giuda. Ma vi sarà».
   «Guai a lui! Sarò il suo giustiziere», esclama Giovanni di Zebedeo[18].
   «No. Lascia al Padre la giustizia. Sii il suo redentore. Il redentore di quest’anima che tende a Satana.

   87.4 Ma salutiamo Isacco. La sera è venuta. Io ti benedico, servo fedele. Sai allora che Lazzaro di Betania è nostro amico e che vuole aiutare i miei amici. Io vado. Tu resti. Arami il terreno arido di Giuda.
   Poi verrò. Tu sai, al bisogno, dove trovarmi. La mia pace a te», e Gesù benedice e bacia il suo discepolo.

[17] indietro è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[18] esclama Giovanni di Zebedeo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.