MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 91



XCI. Lezione ai discepoli nell'uliveto presso Nazareth.

   29 gennaio 1945.

   91.1 Vedo Gesù con Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo, Filippo, Tommaso, Bartolomeo, Giuda Taddeo, Simone e Giuda Iscariota e il pastore Giuseppe, uscire dalla sua casa e andare fuori Nazaret. Ma nelle immediate vicinanze, sotto un folto d’ulivi. Dice:
   «Venite a Me intorno. In questi mesi di presenza e di assenza Io vi ho pesati e studiati. Vi ho conosciuti ed ho conosciuto, con esperienza d’uomo, il mondo. Ora Io ho deciso di mandarvi nel mondo. Ma prima devo ammaestrarvi per rendervi capaci di affrontare il mondo con la dolcezza e la sagacia, la calma e la costanza, con la coscienza e la scienza della vostra missione. Questo tempo di furore solare, che vieta ogni lunga peregrinazione per la Palestina, sarà usato da Me per la vostra istruzione e formazione di discepoli. Come un musico ho sentito ciò che in voi è discorde e vengo a mettervi in nota per l’armonia celeste che dovete trasmettere al mondo, in mio nome. Trattengo questo figlio (e accenna Giuseppe) perché delego a lui l’incarico di portare ai suoi compagni le mie parole, perché anche là si formi un nucleo valido che mi annunci non con il solo annuncio del mio essere, ma con le più essenziali caratteristiche della mia dottrina.

   91.2 Per prima cosa vi dico che è assolutamente necessario in voi amore e fusione. Cosa siete voi? Uomini di ogni classe sociale, e di ogni età, e di ogni luogo. Ho preferito prendere coloro che sono vergini di dottrine e cognizioni, perché più facilmente in essi penetrerò con la mia dottrina, ed anche perché – essendo voi destinati ad evangelizzare coloro che saranno nell’assoluta ignoranza del Dio vero – voglio che, ricordando la loro primitiva ignoranza di Dio, non ne abbiano sdegno e con pietà li ammaestrino, ricordando con quanta pietà Io li ho ammaestrati.
   Io sento in voi un’obbiezione: “Noi non siamo dei pagani, anche se senza cultura intellettuale”. No. Non lo siete. Ma non solo voi, sibbene anche quelli che fra voi rappresentano i dotti ed i ricchi, siete avvolti in una religione che, snaturata per troppe ragioni, di religione non ha che il nome. In verità vi dico che molti sono coloro che si gloriano di essere figli della Legge. Ma di essi otto parti su dieci non sono che idolatri che hanno confuso fra nebbie di mille piccole religioni umane la vera, santa, eterna Legge del Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe. Perciò, guardandovi l’un l’altro, tanto voi pescatori umili e senza cultura, come voi che siete mercanti o figli di mercanti, ufficiali o figli di ufficiali, ricchi o figli di ricchi, dite: “Siamo tutti uguali. Tutti abbiamo le stesse manchevolezze e tutti ab bisognamo dello stesso ammaestramento. Fratelli nei difetti personali o nazionali, dobbiamo d’ora in poi divenire fratelli nella conoscenza della Verità e nello sforzo di praticarla”.
   Ecco: fratelli. Voglio che tali vi chiamiate e tali vi vediate. Voi siete come una famiglia sola. Quando è che una famiglia prospera e il mondo l’ammira? Quando è unita e concorde. Se un figlio diviene nemico dell’altro, se un fratello nuoce all’altro, può mai la prosperità di quella famiglia durare? No. Invano il padre di famiglia si sforza a lavorare, a spianare le difficoltà, ad imporsi al mondo. I suoi sforzi restano senza riuscita, perché i beni si sgretolano, le difficoltà aumentano, il mondo deride per questo stato di lite perpetua che spezzetta cuore e sostanze, che unite erano potenti contro il mondo, in un mucchietto di piccoli, piccósi interessi contrari, di cui si approfittano i nemici della famiglia per sempre più accelerarne la rovina. Così non sia mai di voi. Siate uniti. Amatevi. Amatevi per aiutarvi. Amatevi per insegnare ad amare.

   91.3 Osservate. Anche ciò che ci circonda ci insegna questa grande forza. Guardate questa tribù di formiche che accorre tutta verso un luogo. Seguiamola. E scopriremo la ragione del loro non inutile accorrere verso un punto… Ecco qua. Questa loro piccola sorella ha scoperto, con i suoi organi minuscoli e a noi invisibili, un grande tesoro sotto questa larga foglia di radicchio selvatico. È un pezzo di midolla di pane, forse caduta ad un contadino qui venuto a curare i suoi ulivi, a qualche viandante che ha sostato in quest’ombra mangiando il suo cibo, o ad un bambino festoso sull’erba fiorita. Come poteva da sola trascinare nella tana questo tesoro mille volte più grosso di lei? Ed, ecco, ha chiamato una sorella e le ha detto: “Guarda. E corri, presto, a dire alle sorelle che qui c’è cibo per tutta la tribù e per molti giorni. Corri prima che scopra questo tesoro un uccello e chiami i suoi compagni e lo divorino”. E la formichina è corsa, anelante per asperità di terreno, su, giù per ghiaie e steli sino al formicaio e ha detto: “Venite. Una di noi vi chiama. Ha trovato per tutte. Ma da sola non può portarlo qui. Venite”. E tutte, anche quelle che, già stanche di tanto lavoro fatto per tutto il giorno, riposavano per le gallerie della tana, sono corse; anche quelle che stavano ammucchiando le provviste nelle celle di ammasso. Una, dieci, cento, mille…
   Guardate… Afferrano con le branche, sollevano facendo del loro corpo carretto, strascicano puntando le zampine al suolo. Questa cade… l’altra, là, quasi si storpia perché la punta del pane la inchioda in un rimbalzo fra la sua estremità e un sasso; questa ancora, così piccina, una giovinetta della tribù, si ferma spossata… ma pure, ecco, ripreso fiato, riparte. Oh! come sono unite! Guardate: ora il pezzo di pane è tutto abbracciato da esse e va, va, lentamente, ma va. Seguiamolo… Ancora un poco, piccole sorelle, ancora un poco e poi la vostra fatica sarà premiata. Non ne possono più. Ma non cedono. Riposano e poi ripartono… Ecco raggiunto il formicaio. E ora? Ora al lavoro per recidere in briciole la grossa mollica. Guardate che lavoro! Chi taglia e chi trasporta… Ecco finito. Ora tutto è in salvo e, felici, esse scompaiono dentro quella crepa, giù per le gallerie. Sono formiche. Null’altro che formiche. Eppure sono forti perché unite. Meditate su questo.

   91.4 Avete nulla da chiedermi?».
   «Io vorrei chiederti: ma in Giudea non ci torniamo più?», chiede Giuda Iscariota.
   «E chi lo dice?».
   «Tu, Maestro. Hai detto di preparare Giuseppe perché istruisca gli altri in Giudea! Tanto te ne sei avuto a male da non tornare più là?».
   «Che ti hanno fatto in Giudea?», chiede Tommaso curioso; e Pietro, veemente, nello stesso tempo: «Ah! allora avevo ragione a dire che eri tornato sciupato. Che ti hanno fatto i “perfetti” in Israele?».
   «Nulla, amici. Nulla di più di quanto troverò anche qui. Girassi tutta la Terra, avrò da per tutto amici mescolati ai nemici. Ma, Giuda, Io ti avevo pregato di tacere…».
   «È vero, ma… No, non posso tacere quando vedo che Tu preferisci la Galilea alla mia patria. Sei ingiusto, ecco. Anche là hai avuto onori…».
   «Giuda! Giuda… oh! Giuda. Tu sei ingiusto in questo rimprovero. E da te ti accusi, lasciandoti prendere dall’ira e dall’invidia. Io mi ero industriato a far conoscere solo il bene ricevuto nella tua Giudea, e senza mentire avevo potuto, con gioia, dire questo bene per farvi amare, voi di Giudea. Con gioia. Perché per il Verbo di Dio non esiste separazione di re gioni, antagonismi, inimicizie, diversità. Vi amo tutti, o uomini. Tutti… Come puoi dire che preferisco la Galilea, quando ho voluto compiere i primi miracoli[19] e le prime manifestazioni sul suolo sacro del Tempio e della Città Santa e cara ad ogni israelita? Come puoi dire che faccio parzialità se di voi undici discepoli – ossia dieci, perché mio cugino è famiglia, non è amicizia – quattro sono giudei? E se vi unisco i pastori, tutti giudei, tu vedi di quanti di Giuda Io sono amico. Come puoi dire che non vi amo se, Io che so, ho regolato l’andare in modo da dare il Nome mio ad un piccolo d’Israele e di raccogliere lo spirito ad un giusto d’Israele? Come puoi dire che non vi amo, voi giudei, se alla rivelazione della mia Nascita e della mia preparazione alla missione ho voluto due giudei contro un solo di Galilea? Mi rimproveri di ingiustizia. Ma esaminati, Giuda, e vedi se l’ingiusto non sei tu».
   Gesù ha parlato con maestà e dolcezza. Ma, anche non avesse detto di più, sarebbero bastati i tre modi come ha detto: «Giuda» all’inizio del discorso per dare una grande lezione. Il primo «Giuda» era detto dal Dio maestoso che richiama al rispetto, il secondo dal Maestro che insegna con dottrina già paterna, il terzo era preghiera di amico addolorato dal modo dell’amico.
   Giuda ha chinato il capo mortificato, ancora iracondo, reso brutto dal suo affiorare di bassi sentimenti.

   91.5 Pietro non sa tacere. «E almeno chiedi perdono, ragazzo.
   Se ero io al posto di Gesù, non te la cavavi con delle parole! Altro che ingiusto! Sei senza rispetto, bel signorino! È così che vi educano quelli del Tempio? O sei tu non educabile? Perché, se sono loro…».
   «Basta, Pietro. Ho detto Io quanto era da dire. Anche da questo vi darò domani ammaestramento. E ora ripeto a tutti quanto avevo detto a questi in Giudea: non dite a mia Madre che suo Figlio fu maltrattato dai giudei. Già è tutta accorata per aver intuito che ho pena. Rispettate mia Madre. Vive nell’ombra e nel silenzio. Attiva solo in virtù ed orazione per Me, per voi, per tutti. Lasciate che le luci fosche del mondo e le aspre contese restino lungi dal suo asilo fasciato di riserbo e di purezza. Non mettete neppur l’eco dell’odio dove tutto è amore. Rispettatela. Ella è coraggiosa più di Giuditta, e lo vedrete. Ma non forzatela, prima dell’ora, a gustare la feccia che sono i sentimenti dei disgraziati del mondo. Di coloro che non sanno neppur rudimentalmente cosa è Dio e Legge di Dio. Quelli di cui vi parlavo in principio: gli idolatri che si credono sapienti di Dio e che perciò uniscono idolatria a superbia. Andiamo».
   E Gesù si avvia di nuovo verso Nazaret.

[19] i primi miracoli devono qui intendersi quelli delle prime manifestazioni pubbliche di Gesù, che escludono il miracolo, primo in assoluto, operato alle nozze di Cana in Galilea per manifestare la potenza della Madre (come è detto in 52.9).