MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 93



XCIII. Lezione ai discepoli con Maria Santissima nell'orto della casa di Nazareth. Un conforto a Giuda d'Alfeo.

   31 gennaio 1945.

   93.1 Gesù esce nell’orto, che appare tutto lavato dal temporale della sera avanti. E vede sua Madre curva su delle pianticelle. La saluta, raggiungendola. Come è dolce il loro bacio! Gesù la cinge alle spalle col braccio sinistro e se la attira baciandola sulla fronte, al limite dei capelli, e poi si china per essere baciato sulla guancia dalla Madre. Ma quello che completa la soavità dell’atto è lo sguardo che accompagna il bacio. Quello di Gesù tutto amore, pur con quel che di maestoso e protettore che ha; quello di Maria tutto venerazione per quanto sia tutto amore. Quando si baciano così, pare che il più adulto sia Gesù e Lei una figlia giovinetta che riceva dal padre, o dal fratello di molto maggiore, il bacio del mattino.

   93.2 «Hanno avuto danno i tuoi fiori dalla grandine di ieri sera e dal vento della notte?», chiede Gesù.
   «Nessun danno, Maestro. Solo una grande spettinatura nelle fronde», risponde prima di Maria la voce un poco rauca di Pietro.
   Gesù alza il capo e vede Simon Pietro che, con la sola tunica più corta, lavora a raddrizzare dei rami curvati in alto del fico. «Sei già al lavoro?».
   «Eh! noi pescatori dormiamo come i pesci: in ogni ora, in ogni luogo, ma per quel tanto che ci lasciano stare in riposo. E ci si fa l’abitudine. Questa mattina ho sentito cigolare la porta all’alba e mi sono detto: “Simone, Ella già è alzata. Su, svelto! Va’ con le tue grosse mani a darle aiuto”. Lo pensavo che Ella pensasse ai suoi fiori nella notte tutta vento. E non ho sbagliato. Eh! le conosco le donne!… Anche mia moglie si rivolta nel letto come un pesce nella rete, quando c’è tempesta, e pensa alle sue piante… Poveretta! Qualche volta le dico: “Scommetto che ti ruzzoli meno quando è il tuo Simone sbattuto come un fuscello sul lago”. Ma sono ingiusto, perché è una brava moglie. Pare non vero che abbia per madre… Bene: taci, Pietro. Questo non c’entra. Non sta bene mormorare e imprudentemente far sapere ciò che è bontà tacere. Vedi, Maestro, che anche nella mia testa d’asino è entrata la tua parola?».
   Gesù risponde ridendo: «Dici tutto da te. A Me non resta che approvare e ammirare la tua sapienza di agricoltore».
   «Ha già legato tutti i tralci che si erano slegati, puntellato quel pero troppo carico e passato quelle funi sotto quel melograno cresciuto solo da una parte», osserva Maria[21].
   «Già! Pare un vecchio fariseo. Non pende che dove gli fa comodo. E io l’ho lavorato come una vela e gli ho detto: “Non sai che il giusto è nel mezzo? Vieni qui, testone, se no ti schianti per troppo peso”. Ora sono dietro a questo fico. Ma per egoismo. Penso alla fame di tutti: fichi freschi e pane caldo! Ah! neanche l’Antipa ha un pasto così buono! Ma bisogna andare adagio, perché il fico ha rami tenerelli come il cuore di una fanciulla quando dice la sua prima parola d’amore, e io sono pesante, e i fichi più buoni sono in alto. Si sono già asciugati a questo primo sole. Devono essere una delizia.
   Ehi! tu, ragazzo. Non mi guardare solamente. Svegliati! Dàmmi quel cesto».
   Giovanni, che è apparso dal laboratorio, ubbidisce, arrampicandosi anche lui sul grosso fico. Quando i due pescatori scendono, sono usciti dal laboratorio anche Simone Zelote, Giuseppe e Giuda Iscariota. Non vedo gli altri.
   Maria porta del pane fresco, piccoli pani scuri e tondi, e Pietro col suo coltelluccio li apre e sopra vi apre i fichi, e offre prima a Gesù e poi a Maria e agli altri. Mangiano con gusto nell’orto rinfrescato e tutto bello, nel sole di un mattino sereno, anche per la recente pioggia che ha deterso l’aria.
   Pietro dice: «È venerdì… Maestro, domani è sabato…».
   «Non fai una scoperta», osserva l’Iscariota.

   93.3 «No. Ma il Maestro sa che voglio dire…».
   «Lo so. Questa sera andremo al lago, dove hai lasciato la barca, e veleggeremo per Cafarnao. Domani parlerò là».
   Pietro gongola.
   Entrano in gruppo Tommaso, Andrea, Giacomo, Filippo, Bartolomeo e Giuda Taddeo, che certo dormono altrove. Si salutano.

   93.4 Gesù dice: «Rimaniamo qui uniti. Così ci sarà anche un nuovo discepolo. Mamma, vieni».
   Si siedono chi su un sasso, chi su un sediolo, facendo cerchio intorno a Gesù, che si è seduto sul banco di pietra che è contro la casa, avendo al fianco la Madre e ai piedi Giovanni, che ha scelto di stare per terra pur di stare vicino.
   Gesù parla, piano e con maestà come sempre.
   «A che paragonerò la formazione apostolica? Alla natura che ci circonda. Voi vedete. La terra nell’inverno pare morta. Ma dentro ad essa i semi lavorano e le linfe si nutrono di umori, depositandoli nelle fronde sotterranee – così potrei chiamare le radici – per poi averne gran dovizia per le fronde superiori quando è il tempo di fiorire. Anche voi siete paragonabili a questa terra invernale: brulla, spogliata, brutta. Ma su voi è passato il Seminatore ed ha gettato un seme. Presso voi è passato il Coltivatore ed ha fatto gli scassi intorno al vostro tronco piantato nella terra dura, duro e aspro come essa, perché alle radici giungesse nutrimento di umori delle nubi e dell’aria, e lo fortificasse per futuro frutto. E voi avete accolto il seme e lo scasso, perché è in voi buona volontà di fruttificare nel lavoro di Dio.
   Ancora paragonerò la formazione apostolica a quel temporale che ha percosso e piegato, e parve violenza inutile. Ma guardate quanto bene ha fatto. Oggi l’aria è più pura, nuova, senza polvere e afa. Il sole è lo stesso sole di ieri. Ma non ha più quell’ardere che pareva febbre, perché giunge a noi attraverso a strati purificati e freschi. Le erbe, le piante sono sollevate come gli uomini, perché la mondezza, perché la serenità sono cose che allietano. Anche i contrasti servono per giungere ad una più esatta conoscenza e ad una chiarificazione. Altrimenti sarebbero soltanto cattiveria. E che sono i contrasti se non i temporali che provocano le nubi di diversa specie? E queste nubi non si accumulano piano piano nei cuori coi malumori inutili, con le piccole gelosie, con le fumose superbie? Poi viene il vento della Grazia e le unisce, perché scarichino tutti i loro cattivi umori e torni il sereno.
   Ancora la formazione apostolica è simile al lavoro che Pietro faceva stamane per dar gioia a mia Madre: è raddrizzare, legare, sostenere, oppure sciogliere, a seconda delle tendenze e delle necessità, per fare di voi dei “forti” al servizio di Dio. Raddrizzare le idee sbagliate, legare le prepotenze carnali, sostenere le debolezze, tagliare all’occorrenza le tendenze, sciogliere le schiavitù e le timidezze. Voi dovete essere liberi e forti. Come aquile che, lasciato il picco natio, sono solo del volo sempre più alto. Il servizio di Dio è il volo. Le affezioni sono il picco.

   93.5 Uno di voi oggi è triste perché suo padre declina a morte. E vi declina col cuore chiuso alla Verità e al figlio che la segue. Più ancora che chiuso, ostile. Ancor non gli ha detto l’ingiusto: “Vattene” di cui ieri parlavo, autoproclamandosi da più di Dio. Ma il suo cuore serrato e le sue labbra suggellate non sono ancora capaci di dire neppure: “Segui la voce che ti chiama”. Non pretenderebbero, né il figlio, né Io che vi parlo, di sentir dire da quelle labbra: “Vieni e con te venga il Maestro. E Dio sia benedetto per aver scelto nella mia casa un suo servo, creando così una parentela più eccelsa del sangue col Verbo del Signore”. Ma almeno Io, per il suo bene, e il figlio, per ancor più complesso motivo, vorremmo sentire in lui non parole nemiche.
   Ma non pianga questo figlio. Sappia che in Me non vi è rancore né sdegno verso il padre suo. Ma solo pietà. Sono venuto ed ho sostato, pur sapendo l’inutilità della sosta, perché un giorno questo figlio non mi dicesse: “Oh! perché non sei venuto?!”. Sono venuto per dargli la persuasione che tutto è inutile quando il cuore si serra nell’astio. Sono venuto per confortare anche una buona che di questa scissura della famiglia soffre come di un coltello che le separi fasci di fibre. Ma tanto questo figlio che questa buona siano persuasi che in Me non risponde astio ad astio.

   93.6 Io rispetto l’onestà del vecchio credente che è fedele, anche se ha una fede deviata, a ciò che è stata la sua religione sino a quest’ora.
   Tanti ve ne sono in Israele… Per questo vi dico: sarò accettato più dai pagani che dai figli di Abramo. L’umanità ha corrotto l’idea del Salvatore e ne ha abbassato la soprannaturale regalità ad una povera idea di sovranità umana. Io devo fendere la dura scorza dell’ebraismo, penetrare, ferire per giungere al fondo e portare, là dove è l’anima di esso ebraismo, la fecondazione della nuova Legge. Oh! che invero Israele, cresciuto intorno al nocciolo vitale della Legge del Sinai, è divenuto simile ad un mostruoso frutto dalla polpa a strati sempre più fibrosi e duri, protetti all’esterno da un guscio tetragono ad ogni penetrazione, anche alla espulsione del germe, che l’Eterno giudica esser venuto il momento che crei la nuova pianta della fede nel Dio uno e trino. Io, per permettere che la volontà di Dio si compia e l’ebraismo divenga cristianesimo, devo intaccare, perforare, penetrare, fare strada sino al nocciolo e scaldarlo col mio amore, perché si desti e si gonfi, germogli, cresca, cresca, cresca, divenga la pianta potente del cristianesimo, religione perfetta, eterna, divina. E in verità vi dico che l’ebraismo sarà perforabile solo per una parte a cento.
   Perciò non reputo reprobo questo israelita, che non mi vuole e che non vorrebbe darmi il figlio. Perciò dico al figlio: non piangere per la carne ed il sangue che soffrono di sentirsi respinti dalla carne e dal sangue che li generarono. Perciò dico: non piangere neppure per lo spirito. La tua sofferenza lavora più di ogni altra cosa a pro dello spirito tuo e suo, di questo tuo padre che non comprende e non vede.

   93.7 E dico anche: non ti creare dei rimorsi per essere più di Dio che del padre.
   A tutti voi dico: più del padre, della madre, dei fratelli, è Dio. Io sono venuto ad unire non secondo la Terra, la carne e il sangue, ma secondo lo spirito e il Cielo. Perciò devo disunire le carni ed i sangui per prendere meco gli spiriti atti al Cielo sin da questa Terra, per prendere i servi del Cielo. Perciò sono venuto a chiamare i “forti”, a farli ancor più forti, perché di “forti” è fatto il mio esercito di miti. Miti ai fratelli, forti verso il proprio io e l’io del sangue famigliare.
   Non piangere, cugino. Il tuo dolore, Io te lo assicuro, opera presso Dio a pro di tuo padre e dei tuoi fratelli più di ogni parola, non solo tua, ma anche mia. Non entra la parola dove il preconcetto fa barriera, credilo. Ma la Grazia entra. E il sacrificio è calamita di grazia.
   In verità vi dico che quando Io chiamo a Dio non vi è altra ubbidienza più alta di questa. E occorre farla senza neppure arrestarsi a calcolare quanto e come reagiranno gli altri al vostro andare verso Dio. Neppure deve arrestarsi per seppellire il padre. Di questo eroismo ne avrete premio, e premio non per voi soli, ma anche per coloro dai quali vi strappate con urlo di cuore, e la cui parola sovente vi percuote più di una guanciata, perché vi accusa di esser figli ingrati e vi maledice, nel suo egoismo, come ribelli. No. Non ribelli. Santi. I primi nemici dei vocati sono i famigliari. Ma fra amore e amore bisogna sapere distinguere e amare soprannaturalmente. Ossia amare più il Padrone del soprannaturale che i servi di esso Padrone. Amare i parenti in Dio. E non più di Dio».

   93.8 Gesù tace e si alza andando presso al cugino che, a capo chino, frena a fatica il pianto. Lo carezza. «Giuda… Io ho lasciato mia Madre per seguire la mia missione. Questo ti levi ogni dubbio sull’onestà del tuo agire. Se non fosse stato atto buono, l’avrei fatto Io verso la Madre mia che non ha, oltre tutto, altri dopo Me?».
   Giuda si passa la mano di Gesù sul volto e annuisce col capo. Ma non può dire altro.
   «Andiamo noi due, da soli, come quando eravamo bambini e Alfeo giudicava che Io ero il più giudizioso fra i ragazzi di Nazaret. Andiamo a portare al vecchio questi bei grappoli d’uva d’oro. Che non creda che lo trascuro e che gli sono nemico. Anche tua madre e Giacomo ne avranno piacere. Gli dirò che domani Io sarò a Cafarnao e che suo figlio è tutto per lui. Sai, i vecchi sono come i bambini: gelosi. E sospettosi sempre di essere trascurati. Bisogna compatirli…».
   Gesù è scomparso, lasciando nell’orto i discepoli, ammutoliti dalla rivelazione di un dolore e di una incompatibilità fra un padre e un figlio per causa di Gesù. Maria ha accompagnato Gesù sino alla porta, ed ora rientra sospirando con pena.
   Tutto finisce.

[21] osserva Maria è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.