MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 94



XCIV. Guarigione della Bella di Corazim. Gesù parla nella sinagoga di Cafarnao.

   1 febbraio 1945.

   94.1 Gesù esce dalla casa della suocera di Pietro insieme ai suoi discepoli, meno Giuda Taddeo. Lo vede per primo un ragazzo e dà l’avviso anche a chi non lo vuole sapere.
   Gesù, che va sulla riva del lago e si siede sul bordo della barca[22] di Pietro, è subito attorniato da cittadini che lo festeggiano per il suo ritorno e gli fanno mille domande, alle quali Gesù risponde con la sua insuperabile pazienza, sorridente e placido come se tutto quel cicaleccio fosse un’armonia celeste.
   Viene anche l’arcisinagogo. Gesù si alza per salutarlo. Il loro reciproco saluto è pieno di orientale rispetto.
   «Maestro, posso attenderti per l’istruzione al popolo?».
   «Senza dubbio, se tu e il popolo lo desiderate».
   «Lo abbiamo desiderato per tutto questo tempo. Essi lo possono dire». Il popolo infatti lo dice con un nuovo gridio.
   «E allora, a metà del vespro sarò da te. Ora andate tutti.
   Devo andare a trovare un che mi vuole».
   La gente si allontana a malincuore, mentre Gesù con Pietro e Andrea va con la barca sul lago. Gli altri discepoli restano a terra.

   94.2 La barca veleggia per breve tratto e poi i due pescatori la spingono in un piccolo seno fra due basse colline, che paiono essere state in origine una sola, franata al centro per erosione di acque o moto tellurico, formando un minuscolo fiordo che, per non essere norvegese, non ha abeti, ma solo scapigliati ulivi, nati non si sa come su quelle pareti scoscese, fra massi franati e scheggioni affioranti, e intreccianti le loro fronde, contorte dai venti del lago che qui devono lavorare non poco, fino a formare come un tetto sotto cui spuma un torrentello bizzoso, tutto rumore perché tutto cascate, tutto spuma perché casca di metro in metro, ma in realtà un vero nanerottolo fra i corsi d’acqua.
   Andrea salta in acqua per tirare la barca il più possibile contro la sponda e legarla ad un tronco, mentre Pietro lega la vela e assicura un’asse per far ponte a Gesù. «Però», dice, «ti consiglierei a scalzarti, levarti la veste e fare come noi. Quel matto lì (e accenna al torrentello) fa bollire l’acqua del lago e non è sicuro il ponte con quel rollio».
   Gesù ubbidisce senza discutere. A terra si rimettono i sandali e Gesù anche la lunga veste. Gli altri due restano con le corte sottovesti scure.

   94.3 «Dove è?», chiede Gesù.
   «Si sarà inselvata, sentendo delle voci. Sai… con quel che ha addosso e indietro…».
   «Chiamala».
   Pietro urla forte: «Sono il discepolo del Rabbi di Cafarnao.
   E c’è il Rabbi. Vieni fuori».
   Nessuno dà segno di vita.
   «Non si fida», spiega Andrea. «Un giorno ci fu chi la chiamò dicendo: “Vieni, ché c’è cibo”, e poi la prese a sassate. Noi l’abbiamo vista allora per la prima volta, perché, io almeno, non me la ricordavo quando era la Bella di Corazim».
   «E che avete fatto allora?».
   «Le abbiamo gettato un pane e del pesce e uno straccio, un pezzo di vela rotta che tenevamo per asciugarci, perché era nuda. Poi siamo fuggiti per non contaminarci».
   «Come siete tornati allora?».
   «Maestro… Tu eri via e noi si pensava che fare per farti conoscere sempre più. Abbiamo pensato a tutti i malati, a tutti i ciechi, storpi, muti… e anche a lei. Abbiamo detto: “Proviamo”. Sai… molti… oh! per colpa nostra certo, ci hanno dato dei pazzi e non ci hanno voluto ascoltare. Altri invece ci hanno creduto. A lei ho parlato proprio io. Sono venuto solo con la barca e per più notti di luna. La chiamavo, le dicevo: “Sul sasso, ai piedi dell’ulivo, è pane e pesce. Vieni sicura”, e me ne andavo. Lei doveva aspettare di vedermi scomparire per venire, perché non la vedevo mai. La sesta volta la vidi ritta sulla riva, proprio lì dove sei. Mi aspettava… Che orrore! Non scappai pensando a Te… Mi disse: “Chi sei? Perché hai pietà?”. Ho detto: “Perché sono discepolo della Pietà”. “Chi è?”. “È Gesù di Galilea”. “E vi insegna ad avere pietà di noi?”. “Di tutti”. “Ma sai chi sono?”. “Sei la Bella di Corazim, ora la lebbrosa”. “E anche per me vi è pietà?”. “Lui dice che la sua pietà è su tutti, e noi, per esser come Lui, la dobbiamo avere per tutti”. Qui, Maestro, la lebbrosa ha bestemmiato senza volere. Ha detto: “Allora anche Lui deve essere stato un grande peccatore”. Le ho detto: “No. È il Messia, il Santo di Dio”. Volevo dirle: “Sii maledetta per la tua lingua”, ma non ho detto che quello perché ho pensato: “Nella sua rovina ella non può pensare alla misericordia divina”. Allora si è messa a piangere e ha detto: “Oh! se è il Santo non può, non può avere pietà della Bella. Per la lebbrosa potrebbe… ma per la Bella no. Ed io che speravo…”. Ho chiesto: “Che speravi, donna?”. “La guarigione… tornare nel mondo… fra gli uomini… morire mendicante, ma fra gli uomini…, non come belva in covo di belve alle quali faccio orrore”. Le ho detto: “Mi giuri che, se torni nel mondo, sarai onesta?”. E lei: “Sì. Dio mi ha colpita giustamente per il mio peccare. Il pentimento è in me. L’anima mia porta la sua espiazione, ma abborre il peccato in eterno”. Mi è sembrato allora di poterle promettere in tuo nome salvezza. Mi ha detto: “Torna, torna ancora… Parlami di Lui. Che la mia anima lo conosca prima del mio occhio…”. E venivo a parlarle di Te, come so…».
   «E Io vengo a dare la salvezza alla prima convertita del mio Andrea» (perché è Andrea che ha sempre parlato, mentre Pietro è andato su per il torrente, saltando di sasso in sasso e chiamando la lebbrosa).

   94.4 Infine ella mostra il suo orrido volto fra le fronde di un ulivo. Vede ed ha un grido.
   «E scendi dunque», esclama Pietro. «Non ti voglio lapidare! Là, lo vedi? C’è il Rabbi Gesù».
   La donna si lascia ruzzolare sul pendio, dico così tanto scende veloce, e giunge ai piedi di Gesù prima che Pietro torni presso il Maestro. «Pietà, Signore!».
   «Puoi credere che Io te la possa dare?».
   «Sì, perché sei santo e perché io sono pentita. Io sono il Peccato, ma Tu sei la Misericordia. Il tuo discepolo è stato il primo ad avere misericordia di me ed è venuto a darmi pane e fede. Mondami, Signore, prima l’anima della carne. Perché io sono tre volte impura e, se una mondezza devi darmi, una sola, ecco, ti chiedo quella dell’anima mia peccatrice. Prima di aver udito le tue parole, che egli mi ripeteva, io dicevo: guarire per tornare fra gli uomini. Ora che so, dico: esser perdonata per avere vita eterna».
   «E perdono ti do. Null’altro che questo, però…».
   «Che Tu sia benedetto! Vivrò nella pace di Dio nella mia tana… libera… oh! libera dai rimorsi e dalle paure. Più paura la morte ora che sono perdonata! Più paura Dio ora che Tu mi hai assolta!».

   94.5 «Vai al lago e lavati. Sta’ dentro finché ti chiamo».
   La donna, miserrima larva di donna scheletrita, corrosa, dalle chiome spettinate, dure, canute, si alza dal suolo e scende nell’acqua del lago, si immerge insieme al suo sbrendolo di veste che ben poco copre.
   «Perché l’hai mandata a lavarsi? È vero che il suo fetore ammorba, ma… non capisco», dice Pietro.
   «Donna, esci e vieni qui. Prendi quel telo che è su quel ramo» (è il telo usato da Gesù per asciugarsi dopo il breve guado da barca a terra).
   La donna emerge ubbidiente, nuda affatto, essendosi spogliata del suo straccio nell’acqua, per prendere il telo asciutto. Il primo ad urlare è Pietro che la guarda, mentre Andrea, più schivo, le volta le spalle. Ma all’urlo del fratello si volta e urla a sua volta. La donna, che aveva gli occhi tanto fissi su Gesù da non occuparsi d’altro, a quegli urli, a quelle mani che l’accennano, si guarda… E vede che, con la veste stracciata, è rimasta nel lago anche la sua lebbra. Non corre, come sarebbe da pensarsi. Si accascia, raggomitolandosi sulla riva, vergognosa della sua nudità, emozionata al punto che rimane incapace d’altro che non sia piangere con un lamento lungo e sfinito, che è più straziante di qualunque grido.
   Gesù si avvia… la raggiunge… le getta addosso il telo, la carezza appena sul capo, le dice: «Addio. Sii buona. Hai meritato, per la sincerità del tuo pentimento, la grazia. Cresci nella fede del Cristo. E ubbidisci alla legge della purificazione».
   La donna piange sempre, sempre, sempre… Solo quando sente lo struscio dell’asse che Pietro ritira sulla barca, alza il capo, tende le braccia e grida: «Grazie, Signore. Grazie, benedetto. Oh! benedetto, benedetto!…».
   Gesù le fa un gesto di addio prima che la barca svolti lo sperone del piccolo fiordo e scompaia…

   94.6 …Gesù, ora con tutti i discepoli, entra nella sinagoga di Cafarnao dopo aver attraversato la piazza e la via che ivi conducono. La notizia del nuovo miracolo deve essere già corsa, perché vi è molto sussurrio e molti commenti.
   Proprio sul limitare della porta della sinagoga vedo il futuro apostolo Matteo. Se ne sta lì, mezzo dentro e mezzo fuori, non so se vergognoso o se seccato da tutti gli ammicchi di cui è fatto segno e anche da qualche epiteto poco piacevole che gli viene indirizzato. Due impaludati farisei raccolgono studiatamente i loro ampli manti, come avessero paura di raccattare la peste sfiorando con essi il vestimento di Matteo.
   Gesù, entrando, lo fissa per un attimo e per un attimo sosta. Ma Matteo china il capo e basta.
   Pietro, appena passati oltre, dice piano a Gesù: «Sai chi è quell’uomo arricciato, profumato più di una femmina? È Matteo, il nostro esattore… Che ci viene a fare qui? È la prima volta. Forse non ha trovato i compagni, e le compagne soprattutto, con i quali passa il sabato, spendendo in orgie quel che ci succhia in tasse duplicate e triplicate per averne per il fisco e per il vizio».
   Gesù guarda Pietro così severamente che Pietro diventa rosso come un papavero e china il capo, fermandosi, in modo che da primo diventa l’ultimo nel gruppo apostolico.

   94.7 Gesù è al suo posto. Dopo dei canti e delle preghiere fatti col popolo, si volta per parlare. L’archisinagogo gli chiede se vuole qualche rotolo, ma Gesù risponde: «Non occorre. Ho già il soggetto». E inizia[23]:
   «Il grande re d’Israele, Davide di Betlemme, dopo aver peccato pianse, nella contrizione del suo cuore, gridando a Dio il suo pentimento e chiedendo da Dio perdono. Davide aveva avuto lo spirito oscurato dalla caligine del senso, e questo gli aveva impedito di più vedere il volto di Dio e di comprenderne la parola.
   Il volto, ho detto. Nel cuore dell’uomo è un punto che si ricorda del volto di Dio, il punto più eletto, quello che è il nostro Sancta Sanctorum, quello da cui vengono le sante ispirazioni e le sante decisioni, quello che profuma come un altare, splende come un rogo, canta come sede di serafini. Ma quando il peccato fuma in noi, ecco che quel punto si offusca tanto che cessa la luce, il profumo, il canto, e solo resta puzzo di pesante fumo e sapor di cenere. Ma quando torna la luce, perché un servo di Dio seco la porta all’oscurato, ecco che allora costui vede la sua bruttezza, la sua condizione inferiore, e inorridito di sé esclama come re Davide: “Abbi pietà di me, Signore, secondo la tua grande misericordia, e per la tua infinita bontà lavami dal mio peccato”, e non dice: “Non posso esser perdonato, perciò insisto nel peccare”. Ma dice: “Io sono umiliato, contrito io sono, ma, te ne prego, Tu che sai come nella colpa sono nato, di aspergermi e mondarmi perché pari a neve delle cime io ritorni”. Ma dice ancora: “Non di arieti e di bovi sarà il mio olocausto, ma la contrizione vera del cuore. Perché io so che questa Tu vuoi da noi e non la disprezzi”.
   Questo diceva Davide dopo il peccato e dopo che il servo del Signore, Natan, lo ebbe fatto pentito. Questo, a più ragione, devono dire i peccatori, ora che il Signore non manda ad essi un suo servo, ma il Redentore stesso, il suo Verbo, il quale, giusto e dominatore non solo degli uomini, ma anche[24] dei superi e degli inferi, è sorto fra il suo popolo come la luce dell’aurora, che al levarsi del sole al mattino brilla senza nubi.

   94.8 Avete già letto come l’uomo, preda a Mammona, sia più debole di un etico morente, anche se avanti era il “forte”. Sapete come Sansone fu nulla dopo aver ceduto al senso. Io voglio che voi conosciate la lezione di Sansone, figlio di Manue, destinato a vincere i filistei, oppressori d’Israele. Condizione prima per esser tale era che sin dal suo concepimento fosse tenuto vergine da ciò che stuzzica il senso basso e fa connubio di viscere d’uomo con carni immonde: ossia vino e sicera e carni grasse, che accendono i lombi di un fuoco impuro. Condizione seconda: che per essere il liberatore fosse sacro al Signore sin dall’infanzia, e tale restasse per continuo nazareato. Sacro è colui che non solo esternamente ma internamente santo si conserva. Allora Dio è con lui.
   Ma la carne è carne, e Satana è Tentazione. E Tentazione prende strumento, per combattere Dio in un cuore e nei suoi santi decreti, con la carne che eccita l’uomo: con la donna. Ecco allora tremare la forza del “forte” ed esso divenire un debole che sciupa la dote datagli da Dio. Ora ascoltate: Sansone venne legato con sette corde di nervi freschi, con sette corde nuove, fissato al suolo con sette trecce dei suoi capelli. E sempre egli aveva vinto. Ma non si tenta invano il Signore neppure nella sua bontà. Non è lecito. Egli perdona, perdona, perdona. Ma esige volontà di uscire dal peccato per continuare a perdonare. Stolto chi dice: “Signore, perdono” e poi non fugge ciò che lo induce a continuo peccato! Sansone, vittorioso tre volte, non fugge Dalila, il senso, il peccato, e annoiato a morte, dice il Libro, ed essendogli venuto meno l’animo, dice il Libro, svelò il segreto: “La mia forza è nelle mie sette trecce”.
   Non vi è nessuno fra voi che, stanco della grande stanchezza del peccato, senta venirgli meno l’animo, perché nulla accascia quanto la mala coscienza, e stia per darsi vinto al Nemico? No, chiunque tu sia, no, non lo fare. Sansone dette alla Tentazione il segreto di vincere le sue sette virtù: le sette simboliche trecce, le sue virtù, ossia la sua fedeltà di nazareo; si addormentò stanco sul seno della donna e fu vinto. Cieco, schiavo, impotente, per aver rifiutato la fede al suo voto. Né tornò il “forte”, il “liberatore” che quando, nel dolore di un pentimento vero, ritrovò la sua forza…
   Pentimento, pazienza, costanza, eroismo, e poi, o peccatori, Io vi prometto di essere i liberatori di voi stessi. In verità vi dico che non vi è battesimo che valga, né vi è rito che serva, se non vi è pentimento e volontà di rinunciare al peccato. In verità vi dico che non vi è peccatore tanto peccatore, che non possa far rinascere col suo pianto le virtù che il peccato ha strappate dal suo cuore.

   94.9 Oggi una donna, una colpevole d’Israele, punita da Dio per il suo peccato, ha ottenuto misericordia per il suo pentimento. Misericordia, ho detto. Meno ne avranno coloro che per essa non ne ebbero e sulla già punita infierirono senza pietà. Costoro non avevano lebbra di colpa in loro? Ognun si esamini… e abbia pietà per averne. Io vi tendo la mano per questa pentita che torna fra i vivi dopo una segregazione di morte. Simone di Giona, non Io, ritirerà l’obolo per la pentita, che sulle soglie della vita torna alla Vita vera. E non mormorate, voi grandi. Non mormorate. Io non ero quando ella era la Bella. Ma voi eravate. Altro non dico».
   «Ci accusi di esser stati suoi amanti?», chiede astioso uno dei due vecchi.
   «Ognuno abbia di fronte il suo cuore e le sue azioni. Io non accuso. Parlo in nome della Giustizia. Andiamo». E Gesù esce coi suoi.
   Ma Giuda Iscariota viene trattenuto dai due che pare lo conoscano alquanto. Odo che dicono: «Anche tu sei con Lui? È santo realmente?».
   L’Iscariota ha uno di quei suoi disorientanti scatti: «Vi auguro di giungere almeno a capire la sua santità».
   «Ma ha guarito in sabato, intanto».
   «No. Ha perdonato in sabato. E che giorno più atto al perdono del sabato? Non mi date nulla per la redenta?».
   «Non diamo il nostro denaro alle meretrici. È offerto al Tempio santo».
   Giuda fa una risata irriverente e li pianta in asso, raggiungendo il Maestro che sta rientrando nella casa di Pietro, il quale gli sta dicendo: «Ecco, il piccolo Giacomo, appena fuor dalla sinagoga, mi ha dato oggi due borse in luogo di una, e sempre per incarico di quello sconosciuto. Ma chi è, Maestro? Tu lo sai… Dimmelo».
   Gesù sorride: «Te lo dirò quando avrai imparato a non mormorare su nessuno».
   E tutto ha fine.

[22] che va sulla riva del lago e si siede sul bordo della barca è correzione di MV, su una copia dattiloscritta, dell’originale: che è sulla riva del lago, seduto sul bordo della barca.
[23] inizia commentando il peccato e il pentimento di Davide (narrati in: 2 Samuele 11-12; Salmo 51) e prosegue commentando la storia di Sansone (riportata in: Giudici 13-16). Di Davide, a parte le semplici citazioni del suo nome, si parla ancora in: 215.2 - 217.3 - 263.2 - 337.2 - 389.2 - 394.2 - 447.2 - 558.1 - 580.3 - 588.6 632.33. Sansone viene ancora menzionato in: 104.4 - 215.2 - 218.3 - 376.9/10 467.9 - 625.1.
[24] anche è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.