MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 99



XCIX. A Tiberiade nella casa di Cusa.

   6 febbraio 1945.

   99.1 Vedo la bella e nuova città di Tiberiade. Che sia nuova e ricca me lo dice tutto il suo insieme, che ha un piano regolatore più ordinato di quello delle altre città palestinesi e presenta un insieme armonico e civile come neppure lo ha Gerusalemme. Bei viali e vie diritte, munite già di un sistema di fognature per cui non stagnano acque e immondezze per le strade, vaste piazze con fontane, fatte di larghi bacini di marmo le più belle. Palazzi già arieggianti allo stile di Roma con porticati ariosi. Da alcuni portoni aperti in quest’ora mattutina l’occhio vede ampi vestiboli, peristili di marmo decorati di tende preziose, di sedili, di tavolini; quasi tutti hanno al centro un cortile lastricato di marmo, con una fonte a zampillo, e vasche di marmo piene di piante in fiore. Insomma è una imitazione dell’architettura di Roma, abbastanza bene copiata e riccamente scimmiottata.
   Le case più belle sono nelle vie più prossime al lago. Le tre prime, parallele al medesimo, sono veramente signorili. La prima, lungo il viale che segue la dolce curva del lago, è addirittura splendida. L’ultima parte di essa è un seguito di ville che hanno la facciata principale sulla via posteriore, e verso il lago hanno degli opulenti giardini che scendono sino ad esser lambiti dalle onde. Quasi tutte hanno un piccolo porticciuolo, in cui sono barche da diporto con baldacchini preziosi e sedili porpurei.
   Gesù pare sia sceso dalla barca di Pietro non nel porto di Tiberiade, ma in qualche altro luogo, forse dei sobborghi, e viene avanti per il viale lungo lago.
   «Sei mai stato a Tiberiade, Maestro?», chiede Pietro.
   «Mai».
   «Eh! l’Antipa ha fatto le cose bene, e in grande, per adulare Tiberio! È un bel venduto, quello lì!…».
   «Mi pare più città di riposo che di commerci».
   «I commerci sono dall’altra parte. Ma ha anche molto commercio. È ricca».
   «Queste case? Palestinesi?».
   «Sì e no. Molte sono di romani, ma molte… eh! sì! Per quanto piene di statue e simili fole, sono di ebrei». Pietro sospira e mormora: «…ci avessero levato solo l’indipendenza…
   ma ci hanno levato la fede… Più pagani di loro stiamo diventando!…».
   «Non per colpa loro, Pietro. Loro hanno le loro abitudini e non ci forzano a farle nostre. Ma siamo noi che ci vogliamo corrompere. Per utile, per moda, per servilismo…».
   «Dici bene. Ma il primo è il Tetrarca…».

   99.2 «Maestro, siamo giunti», dice il pastore Giuseppe. «Questa è la casa dell’intendente d’Erode».
   Sono fermi al limite del viale, dove questo presenta una biforcazione per cui il viale diviene la seconda delle vie, mentre le ville restano fra questa e il lago. La casa indicata è la prima, bellissima, tutta avvolta in un giardino fiorito. Fragranze e rami di gelsomini e rose si spargono fino sul lago.
   «E qui sta Gionata?».
   «Qui, mi hanno detto. È l’intendente dell’intendente. Lui è capitato bene. Cusa non è cattivo, ed è giusto nel riconoscere i meriti del suo intendente. È uno dei pochi della corte che sia un onesto. Vado a chiamarlo?».
   «Va’».
   Giuseppe va all’alto portone e bussa. Accorre il portinaio. Confabulano fra loro. Vedo che Giuseppe ha una mossa di disappunto e che il portinaio mette fuori la sua testa grigia e guarda Gesù, e poi chiede qualche cosa alla quale Giuseppe annuisce. Parlano ancora fra loro.
   Poi Giuseppe viene verso Gesù, che ha atteso pazientemente all’ombra di un albero. «Gionata non c’è. È sull’Alto-Libano.
   È andato a portare in quell’aria fresca e pura Giovanna di Cusa, molto malata. Dice il servo che è andato lui perché Cusa è a corte e non può venire via dopo lo scandalo della fuga di Giovanni il Battezzatore, e la malata peggiorava e il medico diceva che qui sarebbe morta.

   99.3 Però il servo dice di entrare a riposarti. Gionata ha parlato del Messia bambino e anche qui sei, di nome, conosciuto e atteso».
   «Andiamo». Il gruppo si muove.
   Il portinaio, che ha sbirciato, vede e chiama altri servi e spalanca il portone, fino allora socchiuso, e corre incontro a Gesù con vero rispetto. «Spargi, Signore, la tua benedizione su noi e su questa triste casa. Entra. Oh! come Gionata se ne dorrà di non esserci! Era la sua speranza: vederti. Entra, entra, e con Te i tuoi amici».
   Nell’atrio sono servi e serve di ogni età. Tutti rispettosamente proni nel saluto e pur curiosi. Una vecchietta piange in un angolo.
   Gesù entra e benedice col suo gesto e il suo saluto di pace. Gli offrono ristoro. Gesù siede su un sedile e tutti gli si fanno intorno.
   «Vedo che non vi sono ignoto», osserva Gesù.
   «Oh! Gionata ci ha allevati col tuo racconto. È buono Gionata. Lui dice di esserlo solo perché il bacio che ti ha dato lo ha fatto buono. Ma è anche perché lo è».
   «Io ho dato e ho ricevuto baci… ma, come tu dici, solo nei buoni questi aumentarono la bontà. Ora è assente? Ero venuto per lui».
   «L’ho detto: è sul Libano. Là ha degli amici… È l’ultima speranza per la giovane padrona; se questo non giova…».

   99.4 La vecchierella nel suo angolo piange più forte. Gesù la guarda interrogativamente.
   «È Ester, la nutrice della padrona. Piange perché non si può rassegnare a perderla».
   «Vieni, madre. Non piangere così», invita Gesù. «Vieni qui presso a Me. Non è detto che malattia voglia dire morte!».
   «Oh! è morte! è morte! Da quando ebbe quell’unico parto infelice, ella mi muore! Le adultere hanno parti segreti e pur vivono, e lei, lei buona, onesta, cara, tanto cara, deve morire!».
   «Ma che ha, ora?».
   «Febbre che la consuma… È come una lampada che arde a gran vento… ogni giorno più forte e lei più debole. Oh! io volevo andare con lei. Ma Gionata ha voluto serve giovani, perché ella è priva di forze e va mossa di peso ed io non sono più buona… Buona di quello, no… ma di amarla, sì… Io l’ho raccolta dal seno di sua madre… ero serva sposa io pure, e avevo da un mese avuto un figlio, ed io le ho dato latte, perché la madre, debole, non poteva… io da madre le ho fatto quando fu orfana e appena sapeva dir “mamma”. Mi sono fatta canuta e rugosa vegliandola nelle sue malattie… io l’ho vestita da sposa, io l’ho condotta nel talamo… io ho sorriso alle sue speranze di madre… io ho pianto con lei sul nato, morto… Tutti i sorrisi e lacrime della sua vita ho raccolto… Tutti i sorrisi e i conforti del mio amore le ho dato… e ora ella muore e non mi ha vicina…».
   La vecchia fa pena. Gesù la accarezza, ma non giova.
   «Ascolta, madre. Hai fede?».
   «In Te? Sì».
   «In Dio, donna. Puoi credere che Dio può tutto?».
   «Lo credo, e credo che Tu, suo Messia, lo puoi. Oh! già si parla nella città del tuo potere! Quell’uomo lì (e accenna a Filippo) tempo fa parlava dei tuoi miracoli presso la sinagoga. E Gionata gli chiese: “Dove è il Messia?”, e lui ha detto: “Non so”. Gionata mi disse allora: “Fosse qui, io te lo giuro, ella si sanerebbe”. Ma Tu non eri qui… e lui è andato via con lei… e ora ella morirà…».
   «No. Abbi fede. Dimmi proprio quel che hai nel cuore: puoi credere che ella non morrà per la tua fede?».
   «Per la mia fede? Oh! se vuoi quella, eccotela. Anche la vita prenditi, la mia vecchia vita… solo fammela veder sanata».
   «Io sono la Vita. Do vita e non morte. Tu le hai dato la vita, un giorno, col latte del tuo seno, ed era povera vita che poteva finire. Ora con la tua fede le dài una vita senza fine. Sorridi, madre».
   «Ma lei non c’è…». La vecchia è fra la speranza e il timore.
   «Lei non c’è, e Tu sei qui…».
   «Abbi fede. Ascolta. Io ora vado a Nazaret per qualche giorno. Ho anche là degli amici malati… Poi andrò al Libano. Se Gionata torna entro sei giorni, mandalo a Nazaret, da Gesù di Giuseppe. Se non viene, andrò Io».
   «Come lo troverai?».
   «Mi guiderà l’arcangelo di Tobia. Tu fortificati nella fede.
   Non ti chiedo che questo. Non piangere più, madre».
   La vecchia, invece, piange più forte. È ai piedi di Gesù e tiene il capo sulle ginocchia divine, baciando e lacrimando sulla mano benedetta.
   Gesù, con l’altra, l’accarezza e, posto che altri servi dolcemente la rampognano di sfinirsi nel pianto, Egli dice: «Lasciatela fare. Ora è pianto di sollievo. Le fa bene. Siete contenti tutti che la padrona risani?».
   «Oh! è tanto buona! Quando uno è così, non è padrone, è un amico e lo si ama. Noi l’amiamo. Credilo».
   «Vi leggo in cuore. Siate voi pure sempre più buoni. Io vado. Non posso attendere. Ho la barca. Vi benedico».
   «Torna, Maestro, torna ancora!».
   «Tornerò. Più e più volte. Addio. La pace a questa casa e a voi tutti».
   Gesù esce con i suoi, accompagnato dai servi che lo acclamano.

   99.5 «Sei più conosciuto qui che a Nazaret», osserva tristemente il cugino Giacomo.
   «Questa casa è preparata da uno che ha avuto fede vera nel Messia. Per Nazaret Io sono il legnaiuolo… Nulla più».
   «E… e noi non abbiamo la forza di predicarti per quel che sei…».
   «Non l’avete?».
   «No, cugino. Non siamo eroici come i tuoi pastori…».
   «Lo credi, Giacomo?». Gesù sorride guardando il suo cugino che tanto assomiglia al suo padre putativo, così di un bruno castano negli occhi e nei capelli, e colorito nel volto brunetto, mentre Giuda è più pallido nella cornice della barba nerissima e dei capelli ondulati e ha i suoi occhi di un azzurro quasi violaceo, che vagamente ricordano quelli di Gesù. «Ebbene, Io ti dico che non ti conosci. Tu e Giuda siete due forti».
   I cugini crollano il capo.
   «Vi persuaderete che non erro».
   «Andiamo proprio a Nazaret?».
   «Sì. Voglio parlare a mia Madre e… e fare ancora qualche altra cosa. Chi vuole venire, venga».
   Tutti vogliono venire. I più contenti sono i cugini: «È per il padre e la madre, capisci?».
   «Capisco. Passeremo da Cana e poi andremo là».
   «Da Cana? Oh! allora andremo da Susanna. Ci darà uova e frutta per il padre, Giacomo».
   «E certo anche del suo buon miele. Egli lo ama tanto!».
   «E lo nutre».
   «Povero padre! Soffre tanto! Come pianta sradicata si sente mancare la vita… e non vorrebbe morire…». Giacomo guarda Gesù. Con muta preghiera… Ma Gesù non mostra di vederlo.
   «Giuseppe pure morì così, di dolori, vero?».
   «Sì», risponde Gesù. «Ma egli soffriva meno perché era rassegnato».
   «E poi aveva Te».
   «Anche Alfeo potrebbe avere Me…».
   I cugini sospirano mesti, e tutto ha fine.