MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 95



XCV. Giacomo d'Alfeo accolto tra i discepoli. Gesù parla presso il banco di Matteo.

   2 febbraio 1945.

   95.1 È una mattina di mercato in Cafarnao. La piazza è piena di venditori di ogni e più disparata merce.
   Gesù, che arriva nella stessa venendo dal lago, vede venirgli incontro i cugini Giuda e Giacomo. Si affretta alla loro volta e, dopo averli abbracciati con affetto, chiede premurosamente: «Vostro padre? Che è avvenuto?».
   «Nulla di nuovo per la sua vita», risponde Giuda.
   «E allora, perché sei venuto? Ti avevo detto: “resta”».
   Giuda abbassa il capo e tace. Ma quello che esplode, ora, è Giacomo: «È per colpa mia che egli non ti ha ubbidito. Sì. Per colpa mia. Ma io non ho potuto sopportare ancora. Tutti contro. E perché? Faccio forse del male ad amarti? Lo facciamo forse? Mi aveva fin qui trattenuto uno scrupolo di fare male. Ma ora che so, ora che Tu lo hai detto che sopra Dio neppure il padre è, allora io non ho più sopportato. Oh! ho cercato di essere rispettoso, di fare capire le ragioni, di raddrizzare le idee. Ho detto: “Perché mi combattete? Se è il Profeta, se è il Messia, perché volete che il mondo dica: ‘La sua famiglia gli fu nemica. In un mondo che lo seguiva essa mancò’? Perché, se è l’infelice che voi dite, non dobbiamo essere noi di famiglia presso la sua demenza, per impedirle di essergli nociva e di esserci nociva?”. O Gesù, così dicevo per ragionare umanamente, come loro ragionavano. Ma Tu lo sai che io e Giuda non ti crediamo folle. Tu lo sai che vediamo in Te il Santo di Dio. Tu lo sai che sempre ti abbiamo guardato come la nostra Stella maggiore. Ma non ci hanno voluto capire. Neanche più ascoltare ci hanno voluto. Ed io sono venuto via. Fra la scelta, o Gesù o la famiglia, ho scelto Te. Eccomi, se appena mi vuoi. Se poi non mi vorrai, allora sarò il più infelice degli uomini, perché non avrò più nulla. Non la tua amicizia e non l’amore della famiglia».
   «A questo siamo? O Giacomo mio, mio povero Giacomo!
   Non avrei voluto vederti soffrire così, perché ti amo. Ma se il Gesù-Uomo con te piange, il Gesù-Verbo per te giubila. Vieni. Io sono certo che la gioia di esser portatore di Dio fra gli uomini aumenterà di ora in ora il tuo gaudio sino a raggiungere la piena estasi nell’ora estrema della Terra e nella eterna del Cielo».

   95.2 Gesù si volge e chiama i suoi discepoli, che si erano fermati prudentemente qualche metro lontano. «Venite, amici. Il mio cugino Giacomo è ora dei miei amici e perciò vostro amico.
   Quanto ho desiderato quest’ora, questo giorno per lui, il mio perfetto amico d’infanzia, il mio buon fratello di giovinezza!».
   I discepoli fanno festa al nuovo venuto e a Giuda che da giorni non vedevano.
   «Ti avevamo cercato a casa… ma eri sul lago».
   «Sì, sul lago per due giorni con Pietro e gli altri. Pietro ha avuto buona pesca. Non è vero?».
   «Sì, e ora, questo mi spiace, dovrò dare tante didramme a quel ladro là…», e accenna il gabelliere Matteo, che ha il banco assediato da gente che paga per il suolo, credo, o per le derrate.
   «Sarà tutto in proporzione, dico. Più peschi e più paghi, ma anche più guadagni».
   «No, Maestro. Più pesco e più guadagno. Ma, se faccio peso doppio di pesca, quello là non mi fa pagare il doppio. Mi fa dare il quadruplo… Sciacallo!».
   «Pietro! Ebbene, andiamo proprio là vicino. Voglio parlare.
   Vi è gente sempre presso quel banco di gabella».
   «Sfido io!», borbotta Pietro. «Gente e maledizioni».
   «Ebbene, Io andrò a mettervi benedizioni. Chissà che un poco di onestà non entri nel gabelliere».
   «Stai pure tranquillo che la tua parola non passerà per la sua pelle di coccodrillo».
   «Vedremo».
   «Che gli dirai?».
   «Nulla direttamente. Ma parlerò in modo che vada anche a lui».
   «Dirai che è ladro tanto chi assalta sulle strade come chi scortica i poveri che lavorano per avere il pane, non per le femmine e le ebbrezze?».
   «Pietro, vuoi parlare tu per Me?».
   «No, Maestro. Non saprei parlare bene».
   «E con l’acre che hai dentro faresti male a te e a lui».

   95.3 Sono giunti presso al banco della gabella. Pietro fa per pagare. Gesù lo ferma e dice: «Dammi le monete. Pago Io, oggi». Pietro lo guarda stupito e poi dà una borsa di pelle con dei soldi.
   Gesù aspetta il suo turno e, quando è di fronte al gabelliere, dice: «Pago per otto corbe di pesce di Simone di Giona. Le corbe eccole là, ai piedi dei garzoni. Verifica, se credi. Ma fra onesti non dovrebbe che bastare la parola. E credo tu mi creda tale. Quanto è la tassa?».
   Matteo, che era seduto al suo banco, al punto in cui Gesù dice: «Credo che tu mi creda tale», si alza in piedi. Basso e già anzianotto, su per giù come Pietro, mostra però il viso stanco del gaudente ed una palese confusione. Sta a capo chino sul principio, poi lo alza e guarda Gesù. E Gesù lo guarda fisso, serio, dominandolo con tutta la sua imponente statura.
   «Quanto?», ripete Gesù dopo un poco.
   «Non vi è tassa per il discepolo del Maestro», risponde Matteo. E a voce più bassa aggiunge: «Prega per l’anima mia».
   «La porto in Me, perché raccolgo i peccatori. Ma tu… perché non la curi?». E Gesù gli volge le spalle subito dopo, tornando a Pietro che è trasecolato di stupore. Anche altri sono trasecolati. Bisbigliano, ammiccano…

   95.4 Gesù si pone addossato ad un albero, a un dieci metri da Matteo, e inizia a parlare.
   «Il mondo è paragonabile ad una grande famiglia i cui componenti fanno mestieri diversi e tutti necessari. Vi sono gli agricoltori, i pastori, i vignaiuoli, i carpentieri, i pescatori, i muratori, gli operai del legno e del ferro, e poi gli scrivani, i soldati, gli ufficiali destinati a speciali missioni, i medici, i sacerdoti. Di tutto c’è. Non potrebbe il mondo esser fatto di una sola classe. Tutte necessarie, tutte sante, se tutte fanno ciò che devono con onestà e giustizia. Come si può giungere a questo se Satana tenta da tante parti? Pensando a Dio che tutto vede, anche le opere più nascoste, e alla sua legge che dice: “Ama il tuo prossimo come ti ami, non fargli ciò che non vorresti a te fatto, non rubare in nessun modo”.
   Dite, o voi che mi udite: quando uno muore, porta forse seco le borse dei suoi denari? E anche se fosse così stolto da volerle seco nel sepolcro, le può forse usare nell’altra vita? No. Le monete divengono metalli corrosi sulla putredine di un corpo disfatto. Ma la sua anima altrove sarebbe nuda, più povera del Giobbe beato, priva del più piccolo quattrino, anche se qui e nella tomba essa avesse lasciato talenti e talenti. Anzi, udite, udite! Anzi in verità vi dico che con le ricchezze difficilmente si acquista il Cielo, ma anzi generalmente con esse si perde il Cielo, anche se ricchezze onestamente avute o per eredità o per guadagno, perché pochi sono i ricchi che sanno usare giustamente delle ricchezze.
   Che occorre allora per avere questo Cielo benedetto, questo riposo nel seno del Padre? Occorre non essere avidi di ricchezze. Non avidi nel senso di volerle ad ogni costo, anche mancando ad onestà e amore. Non avidi nel senso che, avendole, si amino più del Cielo e del prossimo, negando carità al prossimo che è bisognoso. Non avidi per quanto le ricchezze possono dare, ossia donne, piaceri, ricca mensa, vesti di sfarzo che sono offesa a chi ha freddo e fame. Vi è, sì, vi è una maniera[25] per cambiare le monete ingiuste del mondo in valuta che vale nel Regno dei Cieli. Ed è la santa furbizia di fare delle ricchezze umane, sovente ingiuste o causa di ingiustizia, delle ricchezze eterne. Ossia guadagnare con onestà, rendere ciò che ingiustamente si ebbe, usare dei beni con parsimonia e distacco, sapendosene separare, perché prima o poi essi ci lasciano – oh! pensare questo! – mentre il bene compiuto non mai più ci lascia.
   Tutti vorremmo esser detti “giusti” e tali esser creduti, e come tali premiati da Dio. Ma come può Dio premiare chi solo ha nome di giusto ma non ha le opere? Come può dire: “Ti perdono”, se vede che il pentimento è solo verbale, ma non accompagnato da vero mutamento di spirito? Non vi è pentimento finché dura l’appetito per l’oggetto per cui peccammo. Ma quando uno si umilia, quando uno si mutila del membro morale di una mala passione, che può chiamarsi donna o oro, dicendo: “Per Te, Signore, non più di questo”, ecco allora che veramente è pentito. E Dio lo accoglie dicendo: “Vieni, mi sei caro come un innocente ed un eroe”».
   Gesù ha finito. Se ne va senza neppure voltarsi verso Matteo, che è venuto presso il cerchio degli ascoltatori sin dalle prime parole.

   95.5 Quando sono presso la casa di Pietro, la moglie di lui corre incontro a dire al marito qualcosa. Pietro fa cenno a Gesù di venirgli vicino. «C’è la madre di Giuda e Giacomo. Vuol parlare con Te, ma non vuole esser vista. Come facciamo?».
   «Così. Io entro in casa come per riposare e voi tutti andate a distribuire l’obolo ai poveri. Tieni anche le monete della tassa non voluta. Va’».
   Gesù fa un cenno di commiato a tutti, mentre Pietro li arringa per persuaderli ad andare con lui.
   «Dove è la madre, donna?», chiede Gesù alla moglie di Pietro.
   «Sulla terrazza, Maestro. Vi è ombra ancora e fresco. Sali pure. Vi è anche più libertà che in casa».
   Gesù sale per la scaletta. In un angolo, sotto la folta pergola di vite, seduta su una panchetta messa presso il parapetto, tutta vestita di scuro, col velo molto calato sul volto, è Maria d’Alfeo. Piange piano, senza rumore.
   Gesù la chiama: «Maria! Zia cara!».
   Lei alza un povero viso angosciato e tende le mani: «O Gesù! Quanto dolore è nel mio cuore!».
   Gesù le è presso. La forza a stare seduta. Ma Lui resta in piedi col suo mantello ancor drappeggiato addosso, tenendo una mano sulle spalle della zia e l’altra fra le mani di lei. «Che hai? Perché tanto pianto?».
   «Oh! Gesù! Sono scappata di casa dicendo: “Vado a Cana a cercare uova e vino per il malato”. Presso Alfeo è tua Madre che cura come Lei sa fare, e sono tranquilla. Ma in realtà sono venuta qui. Ho corso per tutte le notti[26] per giungere qui più presto. E non ne posso più… Ma la fatica è nulla. È il dolore del cuore che mi fa male!… Il mio Alfeo… il mio Alfeo… i miei figli… oh! perché fra quelli di un sangue tanta differenza, e questa essere come le due pietre di una macina per stritolare il cuore di una madre? Sono con Te Giuda e Giacomo? Sì? Allora sai… Oh! Gesù! Il mio Alfeo perché non comprende? Perché muore? Perché vuol morire così? E Simone e Giuseppe? Perché, perché non con Te ma contro di Te?».
   «Non piangere, Maria. Io non ho rancore per loro. L’ho detto anche a Giuda. Io capisco e compatisco. Se è per questo che piangi, non piangere più».
   «Per questo, sì, perché ti offendono. Per questo e poi, e poi, e poi… perché non voglio che lo sposo mio muoia a Te nemico. Dio non lo perdonerà… e io… oh! non lo avrò più neppur nell’altra vita…».
   Maria è proprio angosciata. Piange a grossi lacrimoni sulla mano sinistra che Gesù le ha abbandonata, ed ogni tanto la bacia, e alza il suo povero volto straziato.
   «No», dice Gesù. «No. Non dire così. Io perdono. E se perdono Io…».

   95.6 «Oh! vieni, Gesù. Vieni a salvargli l’anima e il corpo. Vieni… Dicono anche, per accusarti, già dicono che hai levato due figli ad un padre che muore, e lo dicono per Nazaret, capisci? Ma dicono anche: “Fa da per tutto miracoli e nella sua casa non li sa fare”, e perché ti difendo dicendo: “Che può, se l’avete cacciato quasi coi vostri rimproveri, se non credete?”, mi contendono».
   «Hai detto bene: se non credete. Come posso fare dove non si crede?».
   «Oh! Tu puoi tutto! Io credo per tutti! Vieni. Fa’ un miracolo… per la tua povera zia…».
   «Non posso». Gesù è mestissimo nel dirlo. Ritto in piedi, stringendo al suo petto la testa della piangente, pare confessi la sua impotenza alla natura serena, pare chiamarla testimone della sua pena di non potere per decreto eterno.
   La donna piange più forte.
   «Ascolta, Maria. Sii buona. Io ti giuro che se potessi, se fosse bene farlo, lo farei. Oh! strapperei al Padre questa grazia, per te, per mia Madre, per Giuda e Giacomo e anche, sì, anche per Alfeo, Giuseppe e Simone. Ma non posso. Tu ora hai tanto male al cuore e non puoi capire la giustizia di questo mio non potere. Te la dico, ma non la capirai lo stesso. Quando fu l’ora del transito di mio padre, e tu sai se era giusto e se mia Madre lo amava, Io non lo trassi a vita ancora. Non è giusto che la famiglia in cui un santo vive sia esente dalle inevitabili sventure della vita. Se così fosse, Io dovrei essere eterno sulla Terra, eppure presto morrò, né Maria, la santa Madre mia, potrà strapparmi alla morte. Non posso. Quel che posso è questo. E lo farò». Gesù si è seduto e si è preso il capo della parente sulla spalla. «Questo farò. Prometterti, per questo dolore, la pace al tuo Alfeo, assicurarti che non ne sarai divisa, darti la mia parola che la nostra famiglia sarà riunita nel Cielo, ricomposta in eterno e che, fin che Io viva ed oltre, infonderò sempre alla mia cara parente tanta pace, tanta forza, sino a fare di lei una apostola presso tante povere donne che più facile sarà a te, donna, avvicinare. Sarai la mia diletta amica in questo tempo di evangelizzazione. La morte, non piangere, la morte di Alfeo ti libera dai doveri maritali e ti eleva a quelli più sublimi di un mistico sacerdozio femminile, tanto necessario presso l’altare della gran Vittima e presso tanti pagani, che piegheranno più l’animo davanti all’eroismo santo delle donne discepole che non a quello dei discepoli. Oh! che il tuo nome, zia cara, sarà come una fiamma nel cielo cristiano… Non piangere più. Va’ in pace. Forte, rassegnata, santa. Mia Madre… fu vedova prima di te… e ti conforterà come Lei sa. Vieni. Non voglio tu parta sola sotto questo sole. Pietro ti accompagnerà con la barca sino al Giordano e di lì a Nazaret con un asinello. Sii buona».
   «Benedicimi, Gesù. Dammi forza Tu».
   «Sì, ti benedico e ti bacio, zia buona». E la bacia teneramente, tenendola ancora a lungo contro il suo cuore sinché la vede calmata.

[25] una maniera, invece di una moneta, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[26] per tutte le notti è lettura incerta sul testo autografo, soprattutto per la parola le, che potrebbe leggersi anche due, o tre, avendo MV sovrapposto ad essa più correzioni. Poiché sul testo autografo è chiara la forma plurale, sembra arbitraria, anche se forse più realistica, la trascrizione dattiloscritta: per tutta la notte.