MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 97



XCVII. La chiamata di Matteo.

   4 febbraio 1945. […].

   97.1 Quasi subito dopo vedo questo.
   Ancora la piazza del mercato di Cafarnao. Ma in un’ora più calda, in cui il mercato è già finito e sulla piazza sono solo degli sfaccendati che parlano e dei bambini che giuocano.
   Gesù, in mezzo al suo gruppo, viene dal lago verso la piazza, carezzando bambini che gli corrono incontro e interessandosi alle loro confidenze.
   Una bambina mostra un grande sgraffio sanguinante sulla fronte e accusa il fratellino di averglielo fatto.
   «Perché hai fatto male alla sorella? Non sta bene».
   «Non l’ho fatto apposta. Volevo cogliere quei fichi e ho preso un bastone. Ma era troppo pesante e mi è cascato addosso a lei… Li coglievo anche per lei».
   «È vero, Giovanna?».
   «È vero».
   «Vedi allora che tuo fratello non ti ha voluto fare del male.
   Voleva anzi darti una gioia. Perciò ora fate subito pace e vi date un bacio. I buoni fratellini, e anche i buoni bambini, non devono conoscere mai il rancore. Su…».
   I due bambini piangenti si baciano. Piangono tutti e due: una per il dolore dello sgraffio, l’altro per il dolore di aver dato dolore.
   Gesù sorride davanti a quel bacio condito di lacrimoni. «Oh!
   ecco! Ora, perché vedo che siete buoni, i fichi ve li raccolgo Io. E senza bastone».
   Sfido io! Alto come è, e col braccio così lungo, arriva senza fatica a farlo. Coglie e distribuisce.
   Accorre una donna: «Prendi, prendi, Maestro. Ora ti porto del pane».
   «No. Non è per Me. È per Giovanna e Tobiolo. Ne avevano voglia».
   «E avete disturbato il Maestro per questo? Oh! che indiscreti! Perdona, Signore».
   «Donna, c’era da fare una pace… e l’ho fatta con l’oggetto stesso della guerra: i fichi. Ma i bambini non sono mai indiscreti. A loro piacciono i dolci fichi e a Me… piacciono le loro dolci anime innocenti. Mi levano tanto amaro…».
   «Maestro… sono i signori quelli che non ti amano. Ma noi, popolo, ti vogliamo bene. E loro sono pochi, mentre noi siamo tanti…».
   «Lo so, donna. Grazie del tuo conforto. La pace sia con te.
   Addio, Giovanna! Addio, Tobiolo! Siate buoni. Senza farvi del male e senza volervi del male. Non è vero?».
   «Sì, sì, Gesù», rispondono i due bambinelli.

   97.2 Gesù si incammina e dice sorridendo: «Oh! ora che con l’aiuto dei fichi si è messo sereno dove erano nubi, andiamo a… Dove dite che andiamo?».
   Gli apostoli non sanno. Chi dice un luogo, chi l’altro. Ma Gesù scrolla sempre il capo e ride.
   Pietro dice: «Io rinuncio. A meno che Tu non lo dica… Ho delle idee nere, oggi. Tu non lo hai visto. Ma quando sbarcavamo c’era Eli, il fariseo. Più verde del solito! E ci guardava in un modo!».
   «Lascialo guardare».
   «Eh! per forza. Ma ti assicuro, Maestro, che per far pace con quello lì non bastano due fichi!».
   «Cosa ho detto alla mamma di Tobiolo? “Ho fatta pace con lo stesso oggetto della guerra”. E così cercherò di fare pace riverendo, posto che secondo loro li ho offesi, i notabili di Cafarnao. Così anche qualcun’altro sarà contento».
   «Chi?».
   Gesù non risponde alla domanda e continua: «Non riuscirò, probabilmente, perché manca la volontà, in loro, di fare pace. Ma udite: se in tutte le contese il più prudente sapesse cedere e, in luogo di accanirsi a voler ragione, conciliasse, magari spartendo a metà quello che, anche voglio ammettere, fosse suo di diritto, sarebbe sempre meglio e più santo. Non sempre uno nuoce col partito preso di nuocere. Delle volte fa male senza volere. Pensate sempre questo e perdonate. Eli e gli altri credono di servire Dio con giustizia agendo come fanno. Con pazienza e costanza, e tanta umiltà e buona grazia, cercherò di farli persuasi che un nuovo tempo è venuto e che Dio, ora, vuole essere servito a seconda che Io insegno. La furbizia dell’apostolo è la buona grazia, l’arma la costanza, la riuscita l’esempio e la preghiera per i convertendi».

   97.3 Sono giunti sulla piazza. Gesù va diritto verso il banco delle gabelle, dove Matteo sta tirando i suoi conti e verificando le monete, che suddivide per categorie, mettendole in sacchetti di diverso colore e collocandoli in un forziere di ferro, che due servi attendono di trasportare altrove.
   Appena l’ombra gettata dall’alto corpo di Gesù si allunga sul banco, Matteo alza il capo per vedere chi è il ritardatario pagatore. Pietro, intanto, dice, tirando Gesù per una manica: «Non c’è nulla da pagare, Maestro. Che fai?».
   Ma Gesù non gli dà retta. Guarda fisso Matteo, che si è subito alzato in piedi con atto reverente. Un altro sguardo trapanante. Ma questo non è lo sguardo del giudice severo dell’altra volta. È uno sguardo di chiamata e di amore. Lo avviluppa, lo satura di amore. Matteo diventa rosso. Non sa che fare, che dire…
   «Matteo, figlio di Alfeo, l’ora è suonata. Vieni. Seguimi!», impone Gesù maestosamente.
   «Io? Maestro, Signore! Ma sai chi sono? Per Te, non per me lo dico…».
   «Vieni. Seguimi, Matteo, figlio d’Alfeo», ripete più dolce.
   «Oh! come posso aver trovato grazia presso Dio? Io… Io…».
   «Matteo, figlio di Alfeo, Io ti ho letto il cuore. Vieni, seguimi». Il terzo invito è una carezza.
   «Oh! subito, mio Signore!» e Matteo, piangente, esce da dietro il banco, senza neppur occuparsi di raccogliere le monete sparse sul banco, di chiudere il cofano. Nulla.
   «Dove andiamo, Signore?», chiede quando è presso a Gesù.
   «Dove mi porti?».
   «A casa tua. Vuoi ospitare il Figlio dell’uomo?».
   «Oh!… ma… ma che diranno quelli che ti odiano?».
   «Io ascolto quel che si dice in Cielo, e là si dice: “Gloria a Dio per un peccatore che si salva!”, e il Padre dice: “In eterno la Misericordia si alzerà nei Cieli e si librerà sulla Terra e, poiché di un eterno amore, di un perfetto amore Io ti amo, ecco che anche a te uso misericordia”. Vieni. E, con la mia venuta, oltre che il cuore ti si santifichi la casa».
   «Già purificata l’ho, per una speranza che avevo nell’anima mia… ma che la ragione non poteva credere che fosse vera…
   Oh! io coi tuoi santi…», e guarda i discepoli.
   «Sì. Coi miei amici. Venite. Vi unisco. E siate fratelli».
   I discepoli sono talmente stupefatti che non hanno ancor trovato modo di dir parola. Hanno camminato in gruppo dietro a Gesù e Matteo nella piazza tutta sole, e ormai assolutamente vuota di popolo, per un breve tratto di strada che arde in un sole abbacinante. Non c’è un vivente per le strade. Solo il sole e la polvere.

   97.4 Entrano in casa. Una bella casa dal largo portone che si apre sulla via. Un bell’atrio ombroso e fresco, oltre il quale si vede un ampio cortile messo a giardino.
   «Entra, Maestro mio! Portate acqua e bevande».
   I servi accorrono col richiesto. Matteo esce a dare ordini mentre Gesù e i suoi si rinfrescano. Poi torna.
   «Ora vieni, Maestro. La sala è più fresca… Ora verranno amici… Oh! voglio sia fatta gran festa! È la mia rigenerazione… È la mia… è la mia circoncisione vera, questa… Tu mi hai circonciso il cuore col tuo amore… Maestro, sarà l’ultima festa… Ora non più feste per il pubblicano Matteo. Non più feste di questo mondo… Solo la festa interna dell’essere redento e di servire Te… di essere amato da Te… Quanto ho pianto… Quanto, in questi mesi… Sono quasi tre mesi che piango… Non sapevo come fare… volevo venire… Ma come venire da Te, Santo, con la mia anima sporca?…».
   «Tu la lavavi col pentimento e con la carità. Per Me e per il prossimo. Pietro? Vieni qui».
   Pietro, che ancora non ha parlato tanto è sbalordito, viene avanti. I due uomini, ugualmente anziani, bassotti, tarchiati, sono di fronte, e Gesù è fra l’uno e l’altro, sorridente, bello.
   «Pietro, tu mi hai chiesto tante volte chi era lo sconosciuto della borsa portata da Giacomo. Eccolo, lo hai di fronte».
   «Chi? Questo lad… Oh! perdona, Matteo! Ma chi lo poteva pensare che eri tu? e che proprio tu, nostra disperazione per la tua usura, fossi capace di strapparti tutte le settimane un pezzo di cuore dando quel ricco obolo?».
   «Lo so. Vi ho ingiustamente tassati. Ma ecco, io mi inginocchio davanti a voi tutti e vi dico: non mi cacciate! Egli mi ha accolto. Non siate da più di Lui nella severità».
   Pietro, che si trova ai piedi Matteo, lo alza di colpo, di peso, rudemente e affettuosamente: «Su, su. Non a me né agli altri. A Lui chiedi perdono. Noi… va’ là, su per giù siamo tutti ladri come te… Oh! l’ho detto! Maledetta lingua! Ma sono fatto così: quel che penso dico, quel che ho in cuore ho sul labbro. Vieni, che facciamo patto di pace e di amore», e bacia sulle guance Matteo.
   Anche gli altri lo fanno, più o meno affettuosamente. Dico così perché Andrea è sostenuto, per la sua timidezza, e Giuda Iscariota è gelido. Pare che abbracci un fascio di rettili, tanto il suo abbraccio è scostante e breve.

   97.5 Matteo esce, sentendo rumore.
   «Però, Maestro», dice Giuda Iscariota, «mi pare che ciò non sia prudente. Già ti accusano i farisei di qui, e Tu… Un pubblicano fra i tuoi! Un pubblicano dopo una meretrice!… Hai deciso di rovinarti? Se così è, dillo che…».
   «Che noi ce la filiamo, vero?», termina Pietro ironico.
   «E chi parla con te?».
   «Lo so che tu non parli con me, ma io, invece, parlo con la tua signora anima, con la tua purissima anima, con la tua sapiente anima. Lo so che tu, membro del Tempio, senti fetore di peccato in noi, poveri, che del Tempio non siamo. Lo so che tu, completo giudeo, amalgama di fariseo, sadduceo ed erodiano, mezzo scriba e briciola di esseno – ne vuoi altre di nobili parole? – ti senti male fra noi, come uno splendido agone capitato in una rete piena di ghiozzi. Ma che ci vuoi fare? Egli ci ha presi e noi… ci restiamo. Se ti senti male… va’ via tu. Respireremo meglio tutti. Anche Lui, che, lo vedi?, è sdegnato per me e per te. Per me perché manco di pazienza e anche… sì, anche di carità, ma più con te che non capisci nulla, con tutta la tua tela di nobili attributi, e che non hai carità, non umiltà, non rispetto. Nulla hai, ragazzo. Ma solo un gran fumo… e voglia Dio sia fumo innocuo».
   Gesù ha lasciato che Pietro parlasse rimanendo ritto, severo, con le braccia conserte, la bocca ben serrata e gli occhi…
   poco raccomandabili. Alla fine dice: «Hai detto tutto, Pietro?
   Anche tu hai purificato il tuo cuore dal lievito che c’era dentro? Bene hai fatto. Oggi è Pasqua d’Azzimi per un figlio di Abramo. La chiamata del Cristo è come il sangue dell’agnello sulle vostre anime, e dove essa è non scenderà più la colpa. Non scenderà se colui che la riceve ad essa è fedele. Liberazione è la mia chiamata e va festeggiata senza lieviti di sorta».
   A Giuda non una parola. Pietro tace mortificato.
   «L’ospite torna», dice Gesù. «E con degli amici. Non mostriamo ad essi altro che virtù. Chi non riesce a tanto esca. Non siate pari a farisei, che opprimono con comandi che loro per primi non osservano».

   97.6 Rientra Matteo con altri uomini, e il convito ha luogo. Gesù è al centro, tra Pietro e Matteo. Parlano di molte cose e Gesù con pazienza spiega a questo e a quello[30] quanto vogliono. Vi sono anche lamenti sui farisei che li sprezzano.
   «Ebbene, venite a chi non vi sprezza. E poi agite in modo che i buoni, almeno, non vi possano sprezzare», risponde Gesù.
   «Tu sei buono. Ma sei solo!».
   «No. Questi sono come Me, e poi… c’è il Padre Iddio che ama chi si pente e vuole tornare suo amico. E mancasse all’uomo ogni cosa, ma restasse il Padre, non sarebbe già piena la gioia dell’uomo?».
   Il convito è ai dolciumi quando un servo fa un cenno al padrone di casa e gli dice qualche cosa.
   «Maestro: Eli, Simone e Gioachino chiedono di entrare e parlarti. Li vuoi vedere?».
   «Certo».
   «Ma… i miei amici sono pubblicani».
   «Ed essi vengono per vedere proprio questo. Lasciamolo loro vedere. Non servirebbe il nasconderlo. Non servirebbe per il bene, ché il male aumenterebbe l’episodio sino a dire che qui erano anche meretrici. Entrino».

   97.7 Entrano i tre farisei, si guardano intorno con un riso cattivo e stanno per parlare.
   Ma Gesù, che si è alzato e andato loro incontro insieme a Matteo, li precede. Mette una mano sulla spalla di Matteo e dice: «O veri figli di Israele, Io vi saluto e vi do una grande notizia che certo farà giubilante il vostro cuore di perfetti israeliti, che sospira all’osservanza della Legge da parte di tutti i cuori per dare gloria a Dio. Ecco: Matteo, figlio di Alfeo, da oggi non è più il peccatore, lo scandalo di Cafarnao. Una pecora rognosa di Israele si è sanata. Giubilate! Dietro a lui altre pecore peccatrici si saneranno e la vostra città, della cui santità tanto vi interessate, diverrà gradita al Signore come santa. Egli lascia tutto per servire Dio. Date il bacio di pace all’israelita sviato che torna nel seno di Abramo».
   «E vi torna coi pubblicani? In gaio convito? Oh! invero che è una conversione propizia! Guarda là, Eli, quello è Giosia, il procacciatore di femmine».
   «E quello Simon d’Isacco, l’adultero».
   «E quello? Ecco Azaria, il biscazziere nella cui bisca romani e giudei giuocano, rissano, si ubbriacano e vanno a donne».
   «Ma, Maestro. Sai almeno chi sono costoro? Lo sapevi?».
   «Lo sapevo».
   «E voi, allora, voi di Cafarnao, voi discepoli, perché lo avete permesso? Mi fa stupore, Simone di Giona!».
   «E tu, Filippo, noto anche qui, e tu Natanaele! Ma io trasecolo! Tu, vero israelita! Come mai hai permesso che il tuo Maestro mangiasse coi pubblicani e i peccatori?».
   «Ma non c’è dunque più ritegno in Israele».
   I tre sono scandalizzati del tutto.
   Gesù dice: «Lasciate in pace i miei discepoli. Io l’ho voluto. Io solo».
   «Eh! già! si capisce. Quando si vuol fare i santi e non lo si è, si cade presto in errori imperdonabili!».
   «E quando si allevano al non rispetto i discepoli – e ancor mi brucia la risata irriverente di costui, giudeo e del Tempio, a me Eli il fariseo! – non si può che esser senza rispetto per la Legge. Si insegna ciò che si sa».
   «Ti sbagli, Eli. Vi sbagliate tutti. Si insegna ciò che si sa. È vero. Ed Io, che so la Legge, la insegno a chi non la sa: ai peccatori, perciò. Voi… vi so già padroni della vostra anima. I peccatori non lo sono. Io ricerco la loro anima, la ridò loro, perché a loro volta me la portino, così come è: malata, ferita, sporca, ed Io la curi e mondi. Sono venuto per questo. Sono i peccatori che hanno bisogno del Salvatore. Ed Io vengo a salvarli. Comprendetemi… e non mi odiate senza ragione».
   Gesù è dolce, persuasivo, umile… Ma i tre sono tre ispidi cardi tutti aculei… ed escono con mosse di disgusto.
   «Sono andati… Ora ci criticheranno dovunque», mormora Giuda Iscariota.
   «E lasciali fare! Fa’ solo che il Padre non ti abbia a criticare. Non esser mortificato, Matteo, né voi, suoi amici. La coscienza ci dice: “Non fate del male”. Basta così».
   Gesù si risiede al suo posto e tutto ha fine.

[30] a questo e a quello, invece di a Tizio e Caio, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.