MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 213



CCXIII. A Keriot una profezia di Gesù e l'inizio della predicazione apostolica.

   [9 luglio 1945.]

   213.1 L’interno della sinagoga di Keriot. Allo stesso posto dove fu steso al suolo Saul[102], morto dopo aver visto la gloria futura del Cristo. E su questo posto, in gruppo serrato dal quale emergono Gesù e Giuda – i due più alti, entrambi sfavillanti nel volto, uno per il suo amore, l’altro per la gioia di vedere che la sua città è sempre fedele al Maestro e che si fa onore con la pompa delle onoranze – sono i notabili di Keriot e poi, più lontano da Gesù, ma fitti come semi in un sacchetto, i cittadini, a far piena la sinagoga dove non si respira nonostante le porte aperte. E, per fare onore, per sentire il Maestro, finiscono che fanno tutti una bella confusione e un rumore che non fa sentire nulla.
   Gesù sopporta e tace. Ma gli altri si inquietano e fanno gesti e urlano: «Silenzio!». Ma l’urlo si perde nel frastuono come un grido gettato su una spiaggia in tempesta.
   Giuda non fa storie. Sale su un alto scanno e picchia le lampade, che pendono a grappolo, fra di loro. Il metallo cavo suona e le catenelle crepitano fra di loro come strumenti musicali. La gente si cheta e si può, finalmente, sentire parlare Gesù.
   Dice al sinagogo: «Dàmmi il decimo rotolo di quello scaffale»; e, avutolo, lo scioglie e lo porge al sinagogo dicendo: «Leggi il 4° capitolo della storia, II° dei Maccabei».
   Il sinagogo ubbidiente legge. E le vicende di Onia e gli errori di Giasone e i tradimenti e i furti di Menelao passano così davanti al pensiero dei presenti. Il capitolo è terminato. Il sinagogo guarda Gesù che ha ascoltato attentamente.

   213.2 Gesù fa cenno che basta così e poi si volge al popolo:
   «Nella città del mio carissimo discepolo Io non avrò le solite parole di ammaestramento. Sosteremo qui qualche giorno ed Io voglio che sia lui che ve le dice. Perché da qui voglio che si inizi il diretto contatto, il continuo contatto fra gli apostoli e il popolo. È stato deciso nell’alta Galilea e là ebbe un primo bagliore. Ma l’umiltà dei miei discepoli li fece poi ritirare nell’ombra, perché temono di non saper fare e di usurpare il mio posto. No. Devono fare, faranno bene e aiuteranno il loro Maestro. Qui perciò, congiungendo in un unico amore i confini galileo-fenici con le terre di Giuda, le più meridionali, di confine verso i paesi del sole e delle arene, deve avere inizio la vera predicazione apostolica. Perché il Maestro non basta più ai bisogni delle folle. E perché è giusto che gli aquilotti lascino il nido e facciano i primi voli mentre ancora il Sole è con loro e l’ala robusta di Lui li regge.
   Perciò Io, in questi giorni, sarò l’amico vostro e il vostro conforto. Essi saranno la parola e andranno spargendo il seme che ho loro dato. Io non avrò perciò parole di pubblico ammaestramento, ma vi darò una cosa privilegiata. Una profezia. Vi prego di ricordarvela per i tempi futuri, quando l’evento più orrendo dell’Umanità avrà offuscato il sole e, nelle tenebre, potranno i cuori essere tratti in giudizi d’errore. Non voglio che voi siate indotti in errore, voi che dal primo momento foste buoni con Me. Non voglio che il mondo possa dire: “Keriot fu nemica del Cristo”. Giusto Io sono. Non posso permettere che la critica, astiosa o innamorata di Me, possa, ognuna per il pungolo del suo sentimento, accusarvi di colpe verso di Me. Come non si può da numerosa famiglia pretendere una uguale santità nei figli, così non la si può pretendere per una popolosa città. Ma sarebbe forte anticarità dire per un figlio malvagio o per un cittadino non buono: “Tutta la famiglia o tutta la città è anatema”.
   Udite dunque, ricordate poi, siate fedeli sempre, e come Io vi amo tanto da volervi difendere da una accusa ingiusta, così voi sappiate amare gli incolpevoli. Sempre. Quali che siano. Quale che sia la loro parentela coi colpevoli.

   213.3 Ora udite. Verrà un tempo che in Israele vi saranno delatori del tesoro e della patria i quali, nella speranza di farsi amici gli stranieri, parleranno male del vero Sommo Sacerdote, accusandolo di alleanza coi nemici d’Israele e di atti malvagi verso i figli di Dio. E per giungere a questo saranno capaci di commettere delitti addossandone le responsabilità all’Innocente. E verrà il tempo, sempre in Israele, in cui, più ancora che ai tempi di Onia, un infame, tramando di essere lui il Pontefice, andrà dai potenti in Israele e li corromperà con l’oro, ancor più infame, di mendaci parole, e intanto sviserà la verità dei fatti, non parlerà contro le colpe, ma anzi, perseguendo i suoi indegni scopi, si volgerà a corrompere i costumi per avere più facile presa sugli animi privati dell’amicizia con Dio: tutto per giungere al suo scopo. E riuscirà. Oh! certo! Poiché, se nella stessa dimora sul monte Moria non sono i ginnasi dell’empio Giasone, in realtà essi sono nei cuori degli abitatori del monte che per franchigia sono disposti a vendere ciò che è ben più di un terreno, ma è la loro stessa coscienza. I frutti dell’antico errore si vedono ora, e chi ha occhi per vedere vede ciò che avviene là dove dovrebbe essere carità, purezza, giustizia, bontà, religione santa e profonda. Ma se sono frutti che già fanno tremare, i frutti nati dai semi di questi non solo saranno oggetto di tremore ma di maledizione divina.
   Ed eccoci alla vera profezia. In verità vi dico che da colui che ha carpito il posto e la fiducia, mediante un giuoco lungo e astuto, sarà dato, per denaro, nelle mani dei nemici il Sommo Sacerdote, il vero Sacerdote. Tratto in inganno con proteste d’affetto, indicato ai carnefici con un atto d’amore, Egli sarà ucciso senza riguardo alla giustizia.
   Quali accuse saranno fatte al Cristo, poiché di Me Io parlo, per giustificare il diritto di ucciderlo? Quale sorte sarà serbata a coloro che questo faranno? Una sorte immediata di orrenda giustizia. Una sorte non individuale ma collettiva per i complici del traditore. Una sorte più lontana e ancor più orrenda di quella dell’uomo che il rimorso porterà a coronare il suo animo di demonio dell’ultimo delitto contro se stesso. Perché quello in un attimo avrà fine. Quest’ultimo castigo sarà lungo, tremendo. Trovatelo nelle frasi: “e acceso di sdegno ordinò che Andronico fosse spogliato della porpora e ucciso nel luogo dove aveva commesso empietà contro Onia”. Sì, la razza sacerdotale sarà colpita nei figli oltreché negli esecutori. E il destino della massa complice leggetelo in queste[103]: “La voce di questo sangue grida a Me dalla Terra. Or dunque tu sarai maledetto…”. E sarà detta da Dio a tutto un popolo che non avrà saputo tutelare il dono del Cielo. Perché, se è vero che Io sono venuto per redimere, guai a coloro che saranno assassini e non redenti, fra questo popolo che ha per prima redenzione la mia Parola.
   Ho detto. Ricordatevelo. E quando sentirete dire che Io sono un malfattore, dite: “No. Egli lo ha detto. Questo è il segnato che si compie ed Egli è la Vittima uccisa per i peccati del mondo”»…

   213.4 La sinagoga si svuota e tutti parlano e gesticolano sulla profezia e sulla stima che Gesù ha di Giuda. Quelli di Keriot sono esaltati dall’onore dato loro dal Messia scegliendo il luogo di un apostolo, e proprio dell’apostolo di Keriot, per iniziare il magistero apostolico e anche per il dono della profezia.
   Per quanto sia triste, è un grande onore averla avuta e con le parole di amore che la precedono… Nella sinagoga restano Gesù e il gruppo degli apostoli; anzi passano nel giardinetto che è fra la sinagoga e la casa del sinagogo. Giuda si è seduto e piange.
   «Perché piangi? Non ne vedo il motivo…», dice l’altro Giuda.
   «Ma, ecco. Quasi quasi farei anche io come lui. Avete sentito? Ora bisogna parlare noi…», dice Pietro.
   «Ma un poco lo abbiamo già fatto sul monte. Sempre meglio faremo. Tu e Giovanni siete stati subito capaci», dice Giacomo di Zebedeo per rincuorare.
   «Il peggio è per me… ma Dio mi aiuterà. Non è vero, Maestro?», interroga Andrea.
   Gesù, che scorreva dei rotoli che si era portati con Sé, si volta e dice: «Cosa dicevi?».
   «Che Dio mi aiuterà quando dovrò parlare. Cercherò di ripetere le tue parole il meglio che posso. Ma mio fratello ha paura e Giuda piange».
   «Piangi? Perché?», domanda Gesù.
   «Perché veramente io ho peccato. Andrea e Tommaso lo possono dire. Io ho fatto maldicenza su Te, e Tu mi benefichi chiamandomi “carissimo discepolo” e volendomi maestro qui… Quanto amore!…».
   «Ma non lo sapevi che ti amavo?».
   «Sì. Ma… Grazie, Maestro. Non mormorerò mai più, perché veramente io sono le tenebre e Tu sei la Luce».
   Ritorna il sinagogo invitandoli nella sua casa, e nell’andare dice: «Penso alle tue parole. Se ho ben compreso, in Keriot, come hai trovato un prediletto, il nostro Giuda di Simone, profetizzi di trovarvi un indegno. Ciò mi accora. Meno male che Giuda compenserà l’altro…».
   «Con tutto me stesso», dice Giuda che si è ripreso.
   Gesù non parla, ma guarda i suoi interlocutori e fa un gesto aprendo le braccia come per dire: «Così è».

[102] dove fu steso al suolo Saul, in 78.8.
[103] in queste, cioè nelle parole che si leggono in: Genesi 4, 10-11, mentre le altre citazioni sono da: 2 Maccabei 4, come è detto all’inizio.