MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 201



CCI. L’esame della maggiore età di Margziam.

   26 giugno 1945.

   201.1 Deve essere la mattina del mercoledì perché la comitiva degli apostoli e delle donne, preceduta da Gesù e Maria col piccolo fra di loro, si avvicina alla porta dei Pesci. Con loro è anche Giuseppe d’Arimatea che, fedele alla parola data, è andato loro incontro.
   Gesù cerca con lo sguardo il milite Alessandro, ma non lo vede.
   «Neanche oggi vi è. Vorrei sapere che ne è stato…».
   Ma la folla è tanta che non c’è modo di rivolgersi ai soldati, e sarebbe forse anche imprudente, perché i giudei sono più intransigenti che mai nella imminenza della festa e con il rancore per la cattura del Battista, di cui fanno complice anche Pilato e i suoi satelliti. Comprendo tutto questo per gli epiteti e i battibecchi che continuamente si accendono alla porta fra i militi e i cittadini, e gli insulti… pittoreschi e non parlamentari che scoppiettano ad ogni momento come il fuoco di una girandola perpetua.
   Le donne di Galilea ne sono scandalizzate e si avvolgono più strette che mai nei loro veli e nei loro mantelli. Maria arrossisce, ma procede sicura, dritta come una palma, guardando suo Figlio, il quale, di suo, non tenta neppure di cercare di fare ragionare gli esaltati ebrei né di consigliare pietà ai soldati verso gli ebrei. E dato che qualche epiteto poco bello va anche al gruppo dei galilei, Giuseppe d’Arimatea viene avanti, presso Gesù, e la folla, che lo conosce, tace per rispetto di lui.
   La porta dei Pesci è finalmente superata e questo fiume di popolo che a ondate si riversa in città, mescolato ad asini e a mandre, si dilaga per le vie…

   201.2 «Eccoci, Maestro!», saluta Tommaso che è con Filippo e Bartolomeo al di là della porta.
   «Giuda non c’è?», «Perché qui?», chiedono in diversi.
   «No. Noi siamo qui dal primo mattino per tema che Tu anticipassi la venuta. Ma lui non si è visto. Io ieri l’ho incontrato, era con Sadoc lo scriba, sai, Giuseppe? Quello vecchio, magro, con la verruca sotto l’occhio. E c’erano anche altri… giovani, questi. Gli ho gridato: “Ti saluto, Giuda”. Ma non mi ha risposto fingendo di non conoscermi. Ho detto: “Ma che ha costui?” e gli sono andato dietro per qualche metro. Si è separato da Sadoc, col quale pareva un levita, e se ne è andato con gli altri della sua età che… non erano certo dei leviti… E ora non c’è… E lo sapeva che avevamo deciso di venire qui!».
   Filippo non dice nulla. Bartolomeo stringe le labbra fino ad annullarle quasi per fare barriera al giudizio che gli sale dal cuore.
   «Bene, bene! Andiamo lo stesso! Non piangerò di certo per la sua assenza», dice Pietro.
   «Attendiamo ancora per un poco. Può essere stato trattenuto per via», dice serio Gesù.
   Si addossano al muro dalla parte dell’ombra, le donne in gruppo, gli uomini in un altro gruppo.
   Sono tutti in vesti solenni. Pietro, poi, è proprio di lusso. Sfoggia un copricapo nuovissimo, candido come neve e tenuto da un gallone ricamato in rosso e oro. Ha la sua migliore veste color granata scurissimo, abbellita da una cintura nuova come è il gallone del copricapo, e da essa pende il coltello a guaina come un pugnale, dalla impugnatura bulinata e il fodero di ottone tutto traforato, attraverso al quale luccica il ferro tersissimo della lama. Anche gli altri sono su per giù tutti così armati. Solo Gesù è senza armi, in veste di lino candidissima e col mantello azzurro fiordaliso, che certo Maria gli ha tessuto nell’inverno. Marjziam è vestito di un rosso pallido con un gallone in tinta più scura al collo, alla balza e ai polsi, e uguale gallone ricamato è all’altezza della cintura e ai bordi del mantello, che però il bambino tiene piegato sul braccio, e se lo carezza contento, alzando di tanto in tanto un visetto per metà ridente e per metà preoccupato… Anche Pietro ha in mano un involto che tiene con cura.

   201.3 Passa del tempo… e Giuda non viene.
   «Non si è degnato…», brontola Pietro e forse direbbe di più, ma l’apostolo Giovanni dice: «Forse ci aspetta alla porta Dorata…».
   Vanno al Tempio. Ma Giuda non c’è.
   Giuseppe d’Arimatea non pazienta oltre. Dice: «Andiamo». Marjziam diventa un poco pallido e bacia Maria dicendo:
   «Prega!… prega!…».
   «Sì, caro. Non avere paura. Sai tanto bene…».
   Marjziam si attacca allora a Pietro. Stringe nervosamente la mano di Pietro e, non sentendosi ancora sicuro, vorrebbe la mano di Gesù.
   «Io non vengo, Marjziam. Vado a pregare per te. Ci vedremo dopo».
   «Non vieni? Perché, Maestro?», dice stupito Pietro.
   «Perché è meglio così…». Gesù è molto serio, direi triste. E termina: «Giuseppe, che è giusto, non può che approvare il mio atto».
   Infatti Giuseppe non ribatte parola e col suo silenzio, e con un sospiro eloquente, conferma.
   «Allora… andiamo…». Pietro è un poco afflitto.
   Marjziam si attacca allora a Giovanni. E vanno, preceduti da Giuseppe che è di continuo salutato con profondi inchini. Con loro vanno Simone e Tommaso. Gli altri restano con Gesù.

   201.4 Entrano nella sala dove entrò a suo tempo Gesù. Un giovane, che sta scrivendo in un angolo, si alza di scatto vedendo Giuseppe e si piega fino a terra.
   «Dio sia con te, Zaccaria. Va’ a chiamare sollecitamente Asrael e Giacobbe».
   Il giovane parte per tornare quasi subito con due rabbini, sinagoghi, scribi, che so? Due arcigni personaggi che spianano il loro sussiego solo davanti a Giuseppe. Dietro di loro entrano altri otto meno imponenti. Si siedono lasciando in piedi i postulanti, il d’Arimatea incluso.
   «Che vuoi, Giuseppe?», chiede il più anziano.
   «Presentare alla vostra sagacia questo figlio di Abramo che ha compito il tempo prescritto per entrare nella Legge e reggervisi da solo».
   «Tuo parente?», e guardano stupiti.
   «In Dio tutti parenti. Ma il fanciullo è orfano, e questo uomo, della cui onestà io mi faccio mallevadore, lo ha preso per suo, acciò il suo talamo non resti privo di discendenza».
   «Chi è l’uomo? Risponda di suo».
   «Simone di Giona, di Betsaida di Galilea, coniugato senza prole, pescatore per il mondo, figlio della Legge per l’Altissimo».
   «E tu, galileo, ti assumi questa paternità? Perché?».
   «È detto[69] nella Legge di avere amore all’orfano e alla vedova. Lo faccio».
   «Può mai conoscere costui la Legge al punto di meritare di… Ma tu, fanciullo, rispondi. Chi sei?».
   «Jabé Marjziam di Giovanni, delle campagne di Emmaus, nato dodici anni or sono».
   «Giudeo dunque. È egli lecito che un galileo lo curi? Scrutiamo le leggi».
   «Ma che sono? Lebbroso o maledetto?». Il sangue di Pietro inizia a bollire.
   «Taci, Simone. Io parlo per lui. Vi ho detto che mi faccio di quest’uomo mallevadore. Lo conosco come fosse della mia casa. L’Anziano Giuseppe non proporrebbe mai una cosa contraria alla Legge e neppure alle leggi. Vogliate esaminare il fanciullo con giustizia e sollecitudine. Il cortile è pieno di fanciulli che attendono l’esame. Non siate lenti, per amore di tutti».
   «Ma chi lo prova che il fanciullo è dodicenne e riscattato dal Tempio?».
   «Lo puoi provare con le scritture. Noiosa ricerca ma che si può fare. Fanciullo, mi hai detto essere il primogenito?».
   «Sì, signore. Puoi vederlo perché fui sacro al Signore e riscattato con le dovute decime».
   «Cerchiamo allora queste notizie…», dice Giuseppe.
   «Non serve», rispondono asciutti i due cavillosi.

   201.5 «Vieni qui, fanciullo. Di’ il Decalogo». E il bambino lo dice sicuro.
   «Dàmmi quel rotolo, Giacobbe. Leggi se sai».
   «Dove, rabbi?».
   «Dove vuoi. Dove ti cade l’occhio», dice Asrael.
   «No. Qui. Dàmmi», dice Giacobbe. E apre fino a un punto il rotolo e poi dice: «Qui».
   «“Allora egli disse loro in segreto: ‘Benedite il Dio del Cielo e dategli lode dinanzi a tutti i viventi, perché Egli ha usato con voi la sua misericordia. Certo è bene tenere nascosto il segreto del re, ma è però onorifico rivelare…’”».
   «Basta! Basta! Cosa sono queste?», chiede Giacobbe indicando le frange del suo mantello.
   «Le frange sacre, signore: le portiamo per ricordarci dei precetti del Signore altissimo».
   «È lecito ad un israelita nutrirsi di ogni carne?…», chiede Asrael.
   «No, signore. Ma solo di quelle che sono dichiarate monde».
   «Dimmi i precetti…».
   E docile il bambino attacca le litanie dei: «Non farai…».
   «Basta, basta! per essere un galileo sa persino troppo. Uomo, tocca a te giurare che il figlio è maggiorenne».
   Pietro, col miglior garbo di cui ancora dispone dopo tante sgarberie, pronuncia il suo discorsetto paterno: «Come voi avete osservato, il figlio mio, giunto alla età prescritta, è capace di guidarsi conoscendo la Legge, i precetti, le consuetudini, le tradizioni, le cerimonie, le benedizioni, le preghiere. Perciò, come avete constatato, può da me e da lui essere chiesta la maggiore età. Veramente ciò doveva essere detto prima da me; ma qui sono state violate, e non da noi galilei, le consuetudini, e fu interrogato il fanciullo prima del padre. Ma ora io vi dico: posto che lo avete ritenuto capace, da questo momento io non sono più responsabile delle sue azioni, né presso Dio né presso gli uomini».
   «Passate nella sinagoga».
   Il piccolo corteo passa nella sinagoga fra i volti arcigni dei rabbi che Pietro ha messo a posto.
   Ritto di fronte ai leggii e alle lampade, Marjziam subisce il taglio dei capelli, che dalle spalle vengono raccorciati fino alle orecchie, e poi Pietro, che ha aperto il suo fagottino, ne leva una bella cintura di lana rossa, ricamata in giallo oro, e la stringe alla vita del fanciullo, e poi, mentre i sacerdoti legano alla fronte e al braccio delle striscioline di cuoio, Pietro si affanna ad appuntare al mantello, che Marziam gli ha passato, le frange sacre. Ed è ben commosso Pietro quando intona la lode al Signore!…

   201.6 La cerimonia è finita. Sgusciano fuori svelti e Pietro dice:
   «Meno male! Non mi reggevo più! Hai visto, Giuseppe? Neppure hanno compito il rito. Non importa. Tu… tu, figlio mio, hai chi ti consacra… Andiamo a prendere un agnellino per il sacrificio di lode al Signore. Un agnellino caro come te. Io ti ringrazio, Giuseppe! Di’ anche tu “grazie” a questo grande amico. Senza di te ci trattavano male del tutto».
   «Simone, io sono contento di essere stato utile ad un giusto tuo pari, e ti prego di venire nella mia casa di Bezeta per il banchetto. Con te tutti, è naturale».
   «Andiamo a dirlo al Maestro. Per me… troppo onore!», dice umile Pietro, ma sfavilla di gioia.
   Riattraversano le corti e gli atri fino al cortile delle donne, dove Marjziam è felicitato da tutte, e poi gli uomini passano nell’atrio degli israeliti dove è Gesù coi suoi. Si riuniscono tutti, in una composta comunione di felicità, e mentre Pietro va a sacrificare l’agnello si avviano per portici e cortili sino alla prima cinta.

   201.7 Come è felice Pietro col suo bambino, perfetto israelita ormai! Tanto da non vedere la ruga che taglia la fronte di Gesù. Tanto da non rilevare il silenzio piuttosto opprimente dei compagni. È soltanto nella sala della casa di Giuseppe – quando il bambino, alla richiesta di rito su quanto vuol fare in futuro, dichiara: «Sarò pescatore come il padre mio» – che, fra le lacrime, Pietro si sovviene e comprende… «Però… Giuda ci ha messo una goccia di veleno in questa festa… E Tu sei crucciato, Maestro… e gli altri sono tristi per questo. Perdonate tutti se io non ho visto prima… Ah! quel Giuda!…».
   Il suo sospiro credo sia in tutti i cuori… Ma Gesù, per levare il veleno, si sforza di sorridere e dice: «Non te ne crucciare, Simone. Non manca che tua moglie alla festa… e Io pensavo anche a lei, così buona e sacrificata sempre. Ma presto avrà la sua gioia, inaspettata e chissà come bene accolta. Pensiamo al buono che è nel mondo. Vieni. Sicché Marjziam ha risposto per bene? Lo sapevo in anticipo…».
   Giuseppe rientra dopo avere dato ordini ai servi. «Io vi ringrazio tutti», dice, «per avermi ringiovanito con questa cerimonia e per farmi l’onore di avere nella mia casa il Maestro, sua Madre, le parenti, e voi, cari condiscepoli. Venite nel giardino. Vi è aria, e i fiori…»; e tutto ha fine.

[69] È detto, in: Esodo 22, 21-23; Deuteronomio 14, 28-29; 16, 11; 24, 17-21; 26, 1213; 27, 19; Isaia 1, 17. Più volte nell’opera (per esempio in 229.3 e 557.6) è ricordato il dovere di amare e soccorrere l’orfano e la vedova. La prescrizione dell’Esodo sarà citata testualmente in 335.14.