MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME III CAPITOLO 209



CCIX. La fecondità del dolore nel discorso di Gesù presso la casa di Elisa a Betsur.

   5 luglio 1945.

   209.1 La notizia che Elisa si è persuasa ad uscire dalla sua melanconia tragica si deve essere sparsa per il paese, tanto che quando Gesù, seguito da apostoli e discepoli, va verso la casa, attraversando il paese, molta gente lo osserva attentamente e anche interroga questo o quel pastore per avere spiegazioni su di Lui, su come mai è venuto, su chi sono quelli che sono con Lui, e chi è il bambino, e chi le donne, e che medicina ha dato a Elisa per trarla dalle oscurità della pazzia così subito, non appena apparso, e che farà, e che dirà… E chi più ha voglia di mettere domande ne metta… Ultima a farsi è la domanda: «Non si potrebbe venire noi pure?», al che i pastori rispondono: «Questo non lo sappiamo.
   Bisogna chiederlo al Maestro. Andateci».
   «E se ci tratta male?».
   «Egli non tratta male neppure i peccatori. Andate, andate.
   Ne avrà piacere».

   209.2 Un gruppo di persone – donne e uomini per lo più molto adulti, dell’età di Elisa – si consultano e poi vanno avanti, si avvicinano a Gesù, che parla con Pietro e Bartolomeo, e chiamano un poco incerti: «Maestro…».
   «Che volete?», domanda Bartolomeo.
   «Parlare col Maestro per chiedere…».
   «La pace venga a voi. Quali domande volete farmi?».
   Quelli si rinfrancano davanti al suo sorriso e dicono: «Siamo tutti amici di Elisa, della sua casa. Abbiamo sentito che ella è guarita. Vorremmo vederla. E sentire Te. Possiamo venire?».
   «A sentire Me certo. A vedere lei no, amici. Mortificate l’amicizia e anche la curiosità. Perché c’è anche questa. Abbiate rispetto per un grande dolore che non va turbato».
   «Ma non è guarita?».
   «Si volge alla Luce. Ma quando cessa la notte viene di un subito il meriggio? E quando si accende un focolare spento la fiamma viene subito forte? Lo stesso è per Elisa. E se un vento intempestivo si avventa sulla fiammella che sorge, non la spegne forse? Abbiate perciò prudenza. La donna è tutta una ferita. Anche l’amicizia potrebbe esasperarla, perché ha bisogno di riposo, di silenzio, di una solitudine non più tragica come era quella di ieri, ma di una solitudine rassegnata, per ritrovare se stessa…».
   «Allora quando mai la vedremo?».
   «Più presto che non vi pensiate. Perché ormai è messa nella scia della salute. Ma se sapeste cosa è uscire da quelle tenebre! Sono peggio della morte. E chi ne esce, in fondo, ha vergogna di esservi stato e che il mondo lo sappia».
   «Sei medico?».
   «Sono il Maestro».
   Sono giunti davanti alla casa.
   Gesù si volge ai pastori: «Andate nel cortile. Venga pure con voi chi vuole. Ma che nessuno faccia rumore e non oltrepassi il cortile. Vegliate anche voi», dice agli apostoli, «perché ciò avvenga. E voi (parla a Salome e a Maria d’Alfeo) badate che il bambino non faccia chiasso. Addio».
   E bussa alla porta mentre gli altri scantonano per una viuz209.3 za e vanno dove devono.

   209.3 La servente apre. Gesù entra fra gli inchini ripetuti della servente.
   «Dove è la tua padrona?».
   «Con tua Madre… e, pensa! è scesa nel giardino! Una cosa!
   Una cosa! E ieri sera è venuta nella stanza dei pasti… Piangeva, ma c’è tornata. Io avrei voluto prendesse anche il cibo invece del goccio di latte solito, ma non ci sono riuscita!».
   «Lo prenderà. Non insistere. Sii paziente anche nel tuo amore per la padrona».
   «Sì, Salvatore. Farò tutto quello che dici».
   Io credo infatti che, se Gesù dicesse alla donna di fare le cose più strane, ella le farebbe senza discutere, tanto è persuasa che Gesù è Gesù e che tutto quanto fa è bene.
   Intanto lo accompagna in un vasto orto-giardino pieno di piante da frutta e di fiori. Ma se le piante da frutto hanno pensato da loro a vestirsi di foglie e a fiorire, a legare i frutticini ed a crescerli, le povere piante da fiore, non più curate da oltre un anno, sono divenute un bosco nano e intricato, dove le piante più deboli e basse di fusto soffocano sotto il peso delle più forti. Aiuole, sentieri, tutti annullati in un unico caotico groviglio. Solo nel fondo, dove le necessità della servente hanno seminato insalate e legumi, vi è un poco di ordine.
   Maria è con Elisa sotto una scapigliatissima pergola che lascia cadere fino a terra tralci e viticci. Gesù si ferma e guarda la sua giovane Madre che, con arte finissima, sveglia e dirige la mente di Elisa a cose ben diverse di quanto erano fino ad ieri i pensieri della desolata.
   La servente va dalla padrona e dice: «È venuto il Salvatore».
   Le donne si volgono venendo verso di Lui, l’una col suo dolce sorriso, l’altra col suo viso stanco e smarrito.
   «La pace a voi. Bello questo giardino…».
   «Era bello…», dice Elisa.
   «E fertile la terra. Guarda quante belle frutta si avviano a maturare! E quanti fiori questi rosai! E là? Sono gigli?».
   «Sì, intorno ad una vasca dove tanto giocavano i miei bambini. Ma allora era ordinata… Ora è tutto rovinato qui. E non mi pare più il giardino dei miei figli».
   «In pochi giorni tornerà come prima. Ti aiuterò io. Vero, Gesù? Tu mi lasci per qualche giorno, qui con Elisa. Abbiamo tanto da fare…».
   «Tutto quanto tu vuoi Io lo voglio». Elisa lo guarda e mormora: «Grazie».
   Gesù la carezza sulla testa canuta e poi si accomiata per andare dai pastori.

   209.4 Le donne restano nel giardino, ma dopo poco, quando si sente la voce di Gesù, che saluta i presenti, spargersi nell’aria quieta, Elisa, come attirata da una forza irresistibile, si accosta lentamente ad una siepe molto alta, oltre la quale è il cortile.
   Gesù parla prima ai tre pastori. È proprio vicino alla siepe, avendo di fronte gli apostoli e quei cittadini di Betsur che lo hanno seguito. Le Marie col bambino sono sedute in un angolo. Gesù dice: «Ma siete obbligati da contratto oppure potete liberarvi dall’impegno in ogni tempo?».
   «Ecco, veramente siamo servi liberi. Ma lasciarlo subito, ora che le greggi richiedono tante cure e che è difficile trovare pastori, non ci sembra bello».
   «Bello non è. Ma non è necessario subito. Ve lo dico in tempo perché provvediate con giustizia. Vi voglio liberi. Per unirvi ai discepoli e darmi aiuto…».
   «Oh! Maestro!…». I tre sono in estasi dalla gioia. «Ma saremo capaci?», dicono poi.
   «Non ne ho dubbio. Allora è inteso. Non appena lo potete fare, vi unite a Isacco».
   «Sì, Maestro».
   «Andate pure fra gli altri.

   209.5 Dirò due parole alla gente».
   E lasciati i pastori si volge alla folla.
   «La pace sia con voi.
   Ieri ho sentito parlare due grandi sventurati. L’uno all’aurora della vita, l’altra al tramonto: due anime che piangevano la loro desolazione. Ed ho pianto nel mio cuore con loro, vedendo quanto dolore è sulla Terra e come solo Dio lo può sollevare. Dio! La conoscenza esatta di Dio, della sua grande, infinita bontà, della sua costante presenza, delle sue promesse. Ho visto come l’uomo può essere torturato dall’uomo e come può essere travolto dalla morte in desolazioni, sulle quali lavora Satana per aumentare il dolore e per creare rovine. Mi sono detto allora: “Non devono i figli di Dio soffrire di questa tortura nelle torture. Diamo la conoscenza di Dio a chi la ignora, ridiamola a chi l’ha dimenticata sotto bufere di dolore”. Ma anche ho visto che da Me solo non basto più agli infiniti bisogni dei fratelli. E ho deciso di chiamare molti, in numero sempre più grande, perché tutti coloro che hanno bisogno del conforto della conoscenza di Dio lo possano avere.
   Questi dodici sono i primi. Come secondi Me sono capaci di condurre a Me, e perciò al conforto, tutti coloro che piegano sotto pesi troppo grandi di dolore. In verità Io ve lo dico: venite a Me, voi tutti che siete addolorati, disgustati, col cuore ferito, stanchi, ed Io condividerò il vostro dolore e vi darò pace. Venite, attraverso ai miei apostoli, attraverso ai miei discepoli e discepole che ogni giorno si aumentano di nuovi volonterosi. Troverete il conforto nei vostri dolori, la compagnia nelle vostre solitudini, l’amore dei fratelli a farvi dimenticare l’odio del mondo; troverete, alto su tutti, consolatore sopra tutti, compagno perfetto, l’amore di Dio. Non dubiterete più di niente. Non direte mai più: “Tutto è finito per me!”. Ma direte: “Tutto per me ha inizio in un mondo soprannaturale che abolisce le distanze e annulla le separazioni”, per cui i figli orfani saranno riuniti coi genitori assurti al seno d’Abramo, e i padri e le madri, le spose e i vedovi, ritroveranno i figli perduti e il perduto consorte.

   209.6 In questa terra di Giudea, ancora prossima a Betlemme di Noemi[92], Io vi ricordo che l’amore solleva dal dolore e rende gioia. Guardate, voi che piangete, la desolazione di Noemi dopo che la sua casa rimase senza uomini. Udite le sue parole di sconfortato commiato ad Orfa e a Rut: “Tornatevene alla casa di vostra madre. Il Signore usi misericordia con voi come voi l’avete usata a quelli che sono morti e con me…”. Udite le sue stanche insistenze. Non sperava più nulla dalla vita colei che un tempo era Noemi la bella e che ora era la tragica Noemi spezzata dal dolore, ma solo tornare, per morire, nei luoghi in cui era stata felice nel tempo della sua giovinezza fra l’amore del marito e i baci dei figli. Diceva: “Andate, andate. Inutile venire con me… Io sono come una morta… La mia vita non è più qui, ma là, nell’oltre vita dove essi sono. Non sacrificate più la vostra giovinezza al fianco di una cosa che muore. Perché realmente io sono ‘una cosa’. Tutto m’è indifferente. Dio tutto mi ha preso… Sono un’angoscia. E farei la vostra angoscia… ed essa mi peserebbe sul cuore. E il Signore me ne chiederebbe ragione, Lui che mi ha già tanto percossa, perché tenere voi, vive, presso me morta, sarebbe egoismo. Andate dalle vostre madri…”.
   Ma Rut rimase a sorreggere la dolente vecchiaia. Rut aveva compreso che ci sono dolori sempre più grandi del proprio, e che il suo di giovane vedova era più lieve di quello della donna che aveva perduto, oltre che il marito, i due figli; così come il dolore dell’orfano bambino, che si vede costretto a vivere mendicando, senza mai più carezze, senza più consigli buoni, è ben più grande di quello della madre orbata dei figli; così come il dolore di chi, per un complesso di motivi, giunge all’odio contro l’uman genere e vede in ogni uomo un nemico da cui deve difendersi e temere, è ancora più grande degli altri dolori, perché coinvolge non solo carne e sangue e mente, ma lo spirito con i suoi doveri e diritti soprannaturali, e lo porta a perdersi.
   Quante madri senza figli per i figli senza madre vi sono nel mondo! Quante vedove senza prole vi sono per essere pietose alle vecchiezze solitarie! Quanti vi sono, fatti privi di amori perché siano tutti per gli[93] infelici, con il loro bisogno di amare e combattere così l’odio, dando, dando, dando amore all’umanità infelice, che sempre più soffre perché sempre più odia!

   209.7 Il dolore è croce, ma è anche ala. Il lutto spoglia ma per rivestire. Sorgete, voi che piangete! Aprite gli occhi, uscite dagli incubi, dalle tenebre, dagli egoismi! Guardate… Il mondo è la landa dove si piange e muore. E grida: “aiuto!” il mondo, per le bocche degli orfani, dei malati, dei soli, dei dubbiosi, per le bocche di quelli che un tradimento, che una crudeltà fanno prigionieri del rancore. Andate a questi che gridano. Dimenticatevi fra i dimenticati! Guarite fra i malati! Sperate fra i disperati! Il mondo è aperto alle buone volontà di servire Dio nel prossimo e di conquistarsi il Cielo: l’unione con Dio e la riunione con coloro che piangiamo. Qui è la palestra. Là è il trionfo.
   Venite. Imitate Rut presso tutti i dolori. Dite voi pure: “Io sarò con voi fino alla morte”. E se anche vi risponderanno, queste sventure che si credono insanabili: “Non chiamatemi più Noemi, ma chiamatemi Mara perché Dio mi ha colmata d’amarezze”, persistete. Ed Io in verità vi dico che un giorno, per il vostro persistere, queste sventure esclameranno: “Sia benedetto il Signore che mi ha levata dall’amarezza, dalla desolazione, dalla solitudine, per opera di una creatura che ha saputo far fruttificare il suo dolore in bene. Dio la benedica in eterno perché ella è la mia salvatrice”.
   L’atto buono di Rut presso Noemi, pensatelo, dette al mondo il Messia, perché da David di Isai, da Isai di Obed, viene il Messia, come Obed da Booz, Booz da Salmon, Salmon da Nahasson, Nahasson da Aminadab, Aminadab da Aram, Aram da Esron, Esron da Fares sono venuti, per popolare i campi di Betlemme preparando gli antenati del Signore. Ogni atto buono è origine a grandi cose. Quali voi non vi pensate. E lo sforzo di uno sul proprio egoismo può provocare un’onda tale d’amore che è capace di salire, salire, tenendo fra la sua limpidezza colui che l’ha provocata, sino a portarlo ai piedi dell’altare, al cuore di Dio.
   Dio vi dia pace».
   E Gesù, senza tornare nel giardino dalla porticina aperta fra la siepe, veglia acciò nessuno si accosti alla siepe, oltre la quale viene un lungo pianto… Solo quando tutti quelli di Betsur se ne sono andati, si allontana coi suoi senza turbare quel pianto salutare…

[92] Noemi, la cui storia, insieme con quella di Rut, è nel brevissimo libro di Rut.
[93] per gli (invece di degli) e il successivo amare (invece di amore) sono correzioni nostre per rendere più comprensibile il significato della frase.