MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME III CAPITOLO 208



CCVIII. Maria Ss. rivede il pastore Elia e con Gesù va da Elisa a Betsur.

   4 luglio 1945.

   208.1 «Quasi sicuramente li troveremo se ci rimetteremo sulla via di Ebron per qualche tempo. Ve ne prego. Andate due per due in cerca di essi sui sentieri delle montagne. Da qui alle piscine
   di Salomone, poi da lì a Betsur. Noi vi seguiremo. È la sua zona di pascolo questa», dice il Signore ai dodici, e comprendo che parla dei pastori.
   Gli apostoli si apprestano ad andare ognuno con il compagno preferito, e solo la coppia quasi inseparabile di Giovanni e di Andrea non si unisce, perché tutti e due vanno dall’Iscariota dicendo: «Vengo con te», e Giuda risponde: «Sì, vieni, Andrea. È meglio così, Giovanni. Io e te saremmo due che già conosciamo i pastori. Meglio perciò che tu vada con qualche altro».
   «Con me, allora, il ragazzo», dice Pietro lasciando Giacomo di Zebedeo, che senza proteste va con Tommaso, mentre lo Zelote va con Giuda Taddeo, Giacomo di Alfeo con Matteo, e i due inseparabili Filippo e Bartolomeo per conto loro. Il bambino resta con Gesù e con le Marie.
   La strada è fresca e bella fra monti tutti verdi per diverse colture boschive e prative. Si incontrano greggi che vanno, nella luce bionda dell’aurora, ai pascoli.
   Ad ogni suono di campanaccio Gesù cessa di parlare e guarda, poi chiede ai pastori se Elia, il pastore betlemmita, è in quei luoghi. Comprendo che ormai Elia è detto «il betlemmita». Anche se altri pastori lo sono, egli è per diritto o per scherno «il betlemmita». Ma nessuno lo sa. Rispondono fermando il gregge e cessando di suonare i loro rustici flauti.
   I giovani hanno quasi tutti questi primordiali flauti di canne, cosa che fa andare in estasi Marzjiam, finché un pastore vecchio e buono gli dà quello del nipote dicendo: «Lui se ne farà un altro», e Marjziam se ne va felice col suo strumento a tracolla, anche se per ora non lo sa usare.

   208.2 «Mi piacerebbe tanto incontrarli!», esclama Maria.
   «Li troveremo certo. In questa stagione sono verso Ebron, sempre».
   Il bambino si interessa a questi pastori che hanno visto Gesù bambino e fa mille domande a Maria che spiega tutto, paziente e buona.
   «Ma perché li hanno castigati? Non avevano fatto che bene!», chiede il bambino dopo il racconto delle loro sventure.
   «Perché molte volte l’uomo fa degli errori, accusando gli innocenti del male che in realtà ha fatto un altro. Ma siccome loro sono stati buoni ed hanno saputo perdonare, Gesù li ama tanto. Bisogna sempre sapere perdonare».
   «Ma tutti quei bambini che sono stati uccisi come hanno fatto a perdonare a Erode?».
   «Sono piccoli martiri, Marzjam, e i martiri sono santi. Essi non solo perdonano al loro carnefice, ma lo amano perché egli apre loro il Cielo».
   «Ma loro sono in Cielo?».
   «No, per ora no. Ma sono nel Limbo ad essere gioia dei patriarchi e dei giusti».
   «Perché?».
   «Perché hanno detto, arrivando con la loro anima imporporata di sangue: “Eccoci, noi siamo gli araldi del Cristo Salvatore. Gioite, voi che attendete, perché Egli è già sulla Terra”. E tutti li amano perché portatori di questa buona novella».
   «La buona novella mi ha detto il padre che è anche la Parola di Gesù. Allora quando mio padre andrà al Limbo dopo averla detta sulla Terra, e io anche andrò là, saremo amati noi pure?».
   «Tu non andrai al Limbo, piccino».
   «Perché?».
   «Perché Gesù sarà già tornato ai Cieli e li avrà aperti, e tutti i buoni alla loro morte andranno subito in Cielo».
   «Io sarò buono, lo prometto. E Simone di Giona? Anche lui, eh? Perché non voglio diventare orfano una seconda volta».
   «Anche lui, sta’ certo. Ma in Cielo non si è orfani. Abbiamo Dio. E Dio è tutto. Neppure qui lo siamo. Perché il Padre è sempre con noi».
   «Ma Gesù, in quella bella preghiera, che tu di giorno e la mia mamma di notte mi avete insegnato, dice: “Padre nostro che sei nei Cieli”. Noi non siamo in Cielo ancora. Come dunque siamo con Lui?».
   «Perché Dio è dapertutto, figlio mio. Egli veglia sul bambino che nasce e sul vecchio che muore. L’infante che nasce in questo momento, nel posto più remoto della Terra, ha l’occhio e l’amore di Dio con sé e lo avrà fino alla morte».
   «Anche se è cattivo come Doras?».
   «Anche».
   «Ma può amarlo, Dio che è buono, Doras che è tanto cattivo e fa piangere il vecchio padre?».
   «Lo guarda con sdegno e dolore. Ma se egli si pentisse gli direbbe ciò che disse il padre della parabola al figlio pentito.

   208.3 Tu dovresti pregare perché egli si penta e…».
   «Oh! no, Madre! Io pregherò perché muoia!!!», dice con foga il bambino. Per quanto l’uscita sia poco… angelica, il suo impeto è tale e così sincero che gli altri devono per forza ridere.
   Ma poi Maria riprende la sua dolce serietà di maestra: «No, caro. Ciò non lo devi fare per un peccatore. Dio non ti ascolterebbe e guarderebbe anche te con severità. Noi dobbiamo augurare al prossimo, anche se molto cattivo, il maggior bene. La vita è un bene perché dà modo all’uomo di acquistare meriti agli occhi di Dio».
   «Ma se uno è cattivo acquista peccati».
   «Si prega perché diventi buono».
   Il bambino pensa… ma non gli va molto giù questa lezione sublime e conclude: «Doras non diventerà buono anche se io prego. È troppo cattivo. Neanche se con me pregassero tutti i bambini martiri di Betlemme lo sarebbe. Non sai che… non sai che… che un giorno ha picchiato con una verga di ferro il vecchio padre perché lo ha trovato seduto nell’ora del lavoro? Non poteva alzarsi perché si sentiva male, e lui… lo ha picchiato lasciandolo come morto e poi gli ha dato un calcio nel viso… Io vedevo perché ero nascosto dietro una siepe… Ero andato fin là perché nessuno mi aveva portato pane da due giorni e avevo fame… Ho dovuto scappare per non farmi sentire, perché piangevo a vedere il padre così, con del sangue sulla barba, a terra, come morto… Sono andato piangendo a mendicare un pane… ma quel pane l’ho sempre qui… e ha sapore del sangue e del pianto di mio padre e mio, e di tutti quelli che sono torturati e che non possono amare chi li tortura. Io, Doras, io lo vorrei percuotere perché senta cosa è la percossa, senza pane lo vorrei lasciare perché sappia cosa è la fame, io lo vorrei far lavorare sotto il sole, nel fango, con la minaccia del sorvegliante e senza mangiare, perché sappia cosa è quello che lui dà ai poveri… Io non posso volergli bene perché… perché egli lo uccide il mio vecchio[88] padre, ed io, se non trovavo voi, di chi ero dopo?».
   Il bambino, preso da un convulso di dolore, grida e piange, tremando, stravolto, coi piccoli pugni chiusi a percuotere l’aria non potendo percuotere l’aguzzino. Le donne sono stupite e commosse e cercano di calmarlo. Ma egli è proprio in una crisi di dolore e non sente niente. Urla: «Non posso, non posso amarlo e perdonarlo. Io lo odio, per tutti lo odio, lo odio, lo odio!…». Fa pena e paura.

   208.4 È la reazione della creatura che ha troppo sofferto.
   E Gesù lo dice: «Questo è il più grande delitto di Doras: portare un innocente ad odiare…».
   Ma poi prende in braccio il bambino e gli parla: «Ascolta, Marzjiam. Vuoi tu andare un giorno con la mamma, il padre, i fratellini e il vecchio padre?».
   «Siii…».
   «E allora non devi odiare nessuno. In Cielo non entra chi odia. Non puoi pregare, per ora, per Doras? Ebbene non pregare, ma non odiare. Sai cosa devi fare? Non devi mai voltarti indietro a pensare il passato…».
   «Ma il padre che soffre non è passato…».
   «È vero. Ma guarda, Marzjiam, prova a pregare solo così:
   “Padre nostro che sei nei Cieli, pensa Tu a ciò che è desiderio mio…”. Vedrai che il Padre ti ascolta nel migliore dei modi. Se anche tu uccidessi Doras, che faresti? Perderesti l’amore di Dio, il Cielo, l’unione col padre e la madre e non leveresti dalle pene il vecchio che ami. Tu sei troppo piccino per poterlo fare. Ma Dio lo può. Dillo a Lui. Digli: “Tu lo sai come amo il vecchio padre e come amo tutti quelli che sono infelici. Pensaci Tu che puoi tutto”. Come? Non vuoi predicare la Buona Novella? Ma essa parla di amore e perdono! Come puoi dire ad un altro: “Non odiare. Perdona”, se tu non sai amare e perdonare? Lascia, lascia fare al buon Dio, e vedrai quanto bene Egli predispone. Lo farai?».
   «Sì, perché ti voglio bene».
   Gesù bacia il bambino e lo mette a terra. L’episodio è superato e anche la strada.

   208.5 I tre grandi bacini scavati nella roccia del monte, un’opera veramente grandiosa, splendono nella superficie limpidissima e nella nappa d’acqua che dal primo bacino scende nel secondo più vasto e da questo nel terzo, che è veramente un piccolo lago e che poi la convoglia nelle sue tubazioni verso città lontane. Ma per la umidità del suolo in questa zona, tutto il monte, dalla sorgente alle piscine e da queste al suolo, è di una fertilità bellissima, e fiori più composti di quelli selvaggi ridono per le coste verdi insieme ad erbe profumate e rare. Sembra che qui siano stati seminati dall’uomo i fiori dei giardini e le erbe profumate, che spargono per l’aria, per il sole che le scalda, i loro aromi di cannella, canfora, garofano, lavanda e altri odori piccanti, fragranti, forti, soavi, in una fusione meravigliosa dei migliori odori della terra. Io direi che è una sinfonia di profumi, perché realmente è il poema delle erbe e dei fiori nelle tinte e nelle fragranze.
   Tutti gli apostoli sono seduti all’ombra di un albero carico di grandi fiori bianchi di cui non so il nome – delle enormi campanelle di smalto bianco, pendule – ondeggianti al minimo soffio di vento, e ad ogni ondulio è un’onda di fragranza che si sparge. Non conosco il nome di quest’albero. Nel fiore mi ricorda quell’arbusto che è in Calabria, che là chiamano «bottaro», ma nel fusto no certo, perché questo è un albero alto, dal tronco robusto, non un arbusto.
   Gesù li chiama ed essi accorrono.
   «Abbiamo trovato quasi subito Giuseppe che tornava da un mercato. Questa sera saranno tutti a Betsur. Noi ci siamo riuniti chiamandoci a gran voce e siamo stati qui, al fresco», spiega Pietro.
   «Che bel posto! Pare un giardino! Fra noi si discuteva se era naturale o meno, e c’è chi si ostina in una cosa o nell’altra», dice Tommaso.
   «La terra di Giudea ha di queste meraviglie», dice l’Iscariota, inevitabilmente portato alla superbia da tutto, anche dai fiori e dalle erbe.
   «Sì, ma… io credo che, se per esempio il giardino di Giovanna a Tiberiade venisse abbandonato e divenisse selvaggio, anche la Galilea avrebbe la meraviglia di rose splendide fra le rovine», ribatte Giacomo di Zebedeo.
   «E non sei in errore. In questa zona erano i giardini di Salomone, celebri nel mondo di allora come i suoi palazzi. Forse qui ha sognato il Cantico dei cantici, applicando alla Città santa tutte le bellezze cresciute qui per suo volere», dice Gesù.
   «Allora avevo ragione io!», dice il Taddeo.
   «Avevi ragione. Sai, Maestro? Egli citava l’Ecclesiaste, riunendo l’idea dei giardini a quella dei serbatoi, e terminava dicendo[89]: “Però si accorse che ogni cosa è vanità e niente dura sotto al sole, fuorché la Parola del mio Gesù”», dice l’altro fratello Giacomo.
   «Io ti ringrazio. Ma ringraziamo anche Salomone. Suoi o non suoi gli originari fiori. Certamente sue le vasche che alimentano erbe e uomini. Ne sia benedetto. Andiamo allora fino a quel grande rosaio scapigliato che ha fatto una galleria fiorita da albero ad albero. Lì sosteremo. Siamo quasi a mezza via»…

   208.6 …E il cammino riprende verso l’ora di nona, quando le ombre si allungano da ogni albero di questa zona molto ben coltivata in ogni sua parte. Sembra di passare in un immenso orto botanico, perché ogni specie di pianta da fusto, da frutto, o di bellezza, vi è rappresentata. I lavoratori della terra spesseggiano per ogni dove ma non si interessano della comitiva che passa. Non è la sola, d’altronde. Altri gruppi di ebrei sono sulla strada, di ritorno dalle feste pasquali.
   La strada è abbastanza buona nonostante sia tagliata fra i monti, e i panorami sempre variati levano la monotonia dell’andare. Ruscelli e torrenti fanno virgole di argento liquido e scrivono parole che poi cantano coi loro mille meandri che si intersecano, che si effondono sotto i boschi, o si nascondono sotto caverne e poi ne escono più belli. Sembra che giuochino con le piante ed i sassi come lieti bambini.
   Anche Marzjiam ora, completamente rasserenato, giuoca e tenta suonare il suo strumento per imitare gli uccellini. Ma veramente i suoi non sono canti ma lamenti molto discordi, che mi sembrano assai sgraditi ai più difficili della comitiva, ossia a Bartolomeo per l’età sua e a Giuda di Keriot per molti motivi. Ma nessuno parla chiaramente e il bambino fischia saltellando qua e là. Solo due volte accenna ad un paesello annidato fra i boschi e dice: «È il mio?», e diviene tutto pallido. Ma Simone, che se lo tiene ben vicino, risponde: «Il tuo è molto lontano di qui. Vieni, vieni che vediamo di cogliere quel bel fiore per portarlo a Maria», e lo distrae così.

   208.7 Il tramonto ha inizio quando appare Betsur sulla sua collina, e quasi subito, sulla via secondaria presa per andarvi, ecco i greggi dei pastori e i pastori che accorrono.
   Ma quando Elia vede che c’è anche Maria, alza le braccia con stupore e resta così, non osando credere a se stesso.
   «La pace a te, Elia. Sono proprio io. Ti era stato promesso e a Gerusalemme non fu possibile vederci… Ma non ci pensare. Ora ci vediamo», dice dolcemente Maria.
   «Oh! Madre, Madre!…». Elia non sa che dire. Poi finalmente trova: «Ecco, la mia Pasqua la faccio ora. È lo stesso, e meglio ancora».
   «Ma sì, Elia. Abbiamo venduto bene. Possiamo uccidere un agnellino. Oh! siate ospiti della povera tavola…», prega Levi e anche Giuseppe.
   «Questa sera siamo stanchi. Domani. Udite. Conoscete una certa Elisa, sposa ad Abramo di Samuele?».
   «Sì. È nella sua casa di Betsur. Ma Abramo è morto e lo scorso anno sono morti i suoi figli. Un male di poche ore il primo, né mai si comprese di che è morto. L’altro andò lentamente e nulla fermò il male. Noi le davamo latte di capra novella, perché i medici lo dicevano buono per il malato. Ne beveva tanto, preso da tutti i pastori, perché la povera madre aveva mandato a cercare chiunque avesse una capra di primo latte nel gregge. Ma non servì a nulla. Quando siamo tornati al piano il giovane non si nutriva più. Quando siamo tornati in adar era morto da due lune».
   «Povera amica mia! Mi voleva bene nel Tempio… un poco parente mi era nell’antenato… Era buona… Uscì, per sposare Abramo al quale era promessa dall’infanzia, due anni prima di me, e la ricordo quando venne per l’offerta del primogenito al Signore. Mi fece chiamare, non me sola, ma mi volle da sola poi per più tempo… E ora è sola… Oh! bisogna che mi affretti a consolarla! Voi restate. Vado con Elia ed entrerò sola. Il dolore vuole rispetto intorno a sé…».
   «Neppure Io, Madre?».
   «Tu sempre. Ma gli altri… Neppure tu, piccolino. Sarebbe un dolore. Vieni, vieni, Gesù!».
   «Attendeteci sulla piazza del paese. Cercate un ricovero per la notte. Addio», ordina Gesù a tutti.

   208.8 E soli con Elia, Gesù e la Madre vanno fino ad una vasta casa tutta chiusa e silenziosa, alla quale il pastore bussa col suo bastone. Una serva mette il viso al finestrino chiedendo chi è.
   Maria si fa avanti dicendo: «Maria di Gioacchino e suo Figlio, di Nazaret. Dillo alla tua padrona».
   «È inutile. Non vuole vedere nessuno. Si lascia morire nel pianto».
   «Pròvati».
   «No. So come mi caccia se cerco di distrarla. Non vuole nessuno, vedere nessuno, parlare a nessuno. Solo con il ricordo dei figli parla».
   «Vai, donna. Te lo ordino. Dille: “C’è la piccola Maria di Nazaret, quella che nel Tempio t’era figlia…”. Vedrai che mi vuole».
   La donna se ne va scuotendo il capo.
   Maria spiega al Figlio e al pastore: «Elisa era molto più vecchia di me. Attendeva nel Tempio il ritorno dello sposo, andato in Egitto per affari di eredità, e vi stette perciò fino ad età insolita. Ha quasi dieci anni di più. Le maestre usavano dare alle piccine delle allieve adulte per guidarle… e lei fu la mia compagna-maestra. Era buona e… Ecco la donna».
   Infatti la servente accorre stupita e apre il portone ben largo: «Entra, entra!», dice. E poi a bassa voce: «Te benedetta che la fai uscire da quella stanza».
   Elia si congeda ed entrano Maria col Figlio.
   «Ma quest’uomo, veramente… Per pietà! Ha l’età di Levi…».
   «Lascialo entrare. È mio Figlio e la consolerà più di me». La donna si stringe nelle spalle e li precede per il lungo vestibolo di una bella ma triste casa. Tutto è pulito, ma tutto pare morto…

   208.9 Una donna alta, ma che va curva nelle sue vesti oscure, viene avanti per l’andito in penombra.
   «Elisa! Cara! Sono Maria!», dice Maria correndole incontro e abbracciandola.
   «Maria? Tu… Credevo morta tu pure. Mi era stato raccontato… quando? Non so più!… Ho un vuoto qui nella testa… Mi era stato detto che tu eri morta con molte madri dopo la venuta dei Magi. Ma chi mi ha detto che tu eri la Madre del Salvatore?».
   «I pastori forse…».
   «Oh! i pastori!». La donna ha uno scoppio di pianto angoscioso. «Non lo dire quel nome. Mi ricorda l’ultima speranza per la vita di Levi… Eppure… sì… un pastore mi parlò del Salvatore, ed io ho ucciso mio figlio portandolo al posto dove si diceva che era il Messia, presso il Giordano. Ma non c’era nessuno… e mio figlio è tornato in tempo per morire… La fatica, il freddo… io l’ho ucciso… Ma non ho voluto essere assassina. Mi si diceva che Egli, il Messia, guariva i morbi… e l’ho fatto per quello… Ora mio figlio mi accusa di averlo ucciso…».
   «No, Elisa. Sei tu che lo pensi. Ascolta. Io credo che tuo figlio invece mi ha proprio presa per mano dicendo: “Vieni dalla mia cara mamma. Portale il Salvatore. Io sto meglio qui che sulla Terra. Ma lei sente solo il suo pianto, e non può udire le parole che io le sussurro fra i baci, povera mamma che è come posseduta da un demone che la tenta alla disperazione, perché ci vuole divisi. Mentre, se lei si rassegna e crede che Dio tutto fa per un fine di bene, saremo uniti per sempre, col padre e col fratello. Gesù lo può fare”. Ed io sono venuta… con Lui… Non lo vuoi vedere?…». Maria ha parlato tenendo sempre fra le braccia la sventurata, baciandola sui capelli grigi, e con una dolcezza quale Lei sola la può avere.
   «Oh! fosse vero! Ma perché, perché allora Daniele non è venuto da te, a dirti di venire prima?… Ma chi mi ha detto un tempo che eri morta? Non ricordo… non ricordo… Anche per questo ho aspettato forse troppo a venire dal Messia. Ma avevano detto che era morto Lui, tu, tutti a Betlemme…».
   «Non pensare a chi l’ha detto.

   208.10 Vieni, guarda, qui è mio Figlio. Vieni da Lui. Fa’ contente le tue creature e la tua Maria. Lo sai che soffriamo a vederti così?». E la conduce verso Gesù, che si è messo in un angolo buio e che solo ora si fa avanti, sotto ad un lume che la donna di servizio ha messo su un alto scrigno.
   La povera madre alza il capo… e vedo allora che è l’Elisa che era anche sul Calvario fra le pie donne. Gesù le tende le mani con atto di invito tutto amore. La sventurata lotta un poco, poi gli affida le sue e infine di colpo si abbandona sul petto di Gesù gemendo: «Dimmelo, dimmelo che io non ho colpa della morte di Levi! Dimmelo che essi non sono perduti per sempre! Dimmelo che presto io sarò con loro!…».
   «Sì, sì. Ascolta. Essi sono tripudianti ora che tu sei fra le mie braccia. Presto Io andrò da loro, e che devo loro dire, allora? Che tu non ti rassegni al Signore? Questo devo dire? Le donne d’Israele, le donne di Davide, così forti, così savie, devono avere una smentita in te? No. Tu soffri, ma perché hai sofferto sola. Il tuo dolore e te. Tu e il dolore. Non può sopportarsi allora. Non hai più presenti le parole[90] di speranza su coloro che la morte ci ha presi? “Io vi trarrò dai vostri sepolcri e vi condurrò nella terra di Israele. E voi conoscerete che Io sono il Signore quando avrò aperto le vostre tombe e vi avrò tratti dai vostri sepolcri. Quando avrò infuso in voi il mio spirito avrete vita”. La terra d’Israele, per i giusti addormentati nel Signore, è il Regno di Dio. Io lo aprirò e lo darò a quelli che attendono».
   «Anche al mio Daniele? Anche al mio Levi?… Aveva tanto ribrezzo della morte!… Non poteva pensare di essere lontano dalla sua mamma. Per questo io volevo morire e andare al suo fianco nel sepolcro…».
   «Ma là essi non erano con la loro parte viva. Là erano le cose morte che non potevano udirti. Essi sono nel luogo di attesa…».
   «Ma c’è proprio? Oh! non ti fare scandalo di me. La mia memoria se ne è andata in pianto! Ho il capo pieno del rumore del pianto e del rantolo dei figli. Quel rantolo! Quel rantolo!… Mi ha disciolto il cervello. Non ho che quel rantolo qui dentro…».
   «Ed Io ti ci metterò le parole della vita. Seminerò la Vita, perché Vita Io sono, dove è il fragore della morte. Ricorda il grande Giuda Maccabeo che volle fatto un sacrificio per i morti, rettamente pensando che essi sono destinati a risorgere, e che occorre loro accelerare la pace con opportuni sacrifici. Se Giuda il Maccabeo non fosse stato certo della risurrezione, avrebbe pregato e fatto pregare per i morti? Egli invece, come è scritto[91], pensò che grande ricompensa è riserbata a coloro che muoiono piamente, come certo i tuoi figli fecero… Vedi che dici di sì? Or dunque non disperare. Ma santamente prega per i tuoi morti perché i loro peccati siano annullati prima della mia venuta a loro. Allora, senza un attimo di attesa, verranno con Me in Cielo. Perché Io sono la Via, la Verità e la Vita, e conduco e dico il Vero e do Vita a chi crede al mio Vero e mi segue. Dimmi. I tuoi figli credevano nella venuta del Messia?».
   «Certo, Signore. Lo avevano imparato da me questo credere».
   «E Levi credeva possibile la guarigione per mio volere?».
   «Sì, Signore. Speravamo in Te ma… non è giovato… ed egli è morto sconfortato dopo avere tanto sperato…». Il pianto della donna riprende più calmo ma più desolato, nella sua calma, di quanto non fosse nella furia di prima.
   «Non dire che non è giovato. Chi crede in Me, anche se è morto, vivrà in eterno…

   208.11 La sera scende, donna. Io raggiungo i miei apostoli. Ti lascio la Madre mia…».
   «Oh! resta Tu pure!… Ho paura che, andando via Tu, mi riprenda quel tormento… Comincia appena appena a calmarsi la bufera sotto il suono delle tue parole…».
   «Non temere! Hai Maria con te. Domani verrò di nuovo. Ho alcune cose da dire ai pastori. Posso dire loro di venire presso la tua casa?…».
   «Oh! sì. Ci venivano anche lo scorso anno per il figlio mio… Dietro alla casa è un orto e poi un rustico cortile. Possono andare là, come facevano allora per tenere raccolte le greggi…».
   «Va bene. Verrò. Sii buona. Ricordati che Maria nel Tempio era affidata a te. Io pure te l’affido questa notte».
   «Sì, sta’ quieto. La curerò, la… Dovrò pensare alla sua cena, al suo riposo… Quanto è che non penso a queste cose! Maria, vuoi dormire nella mia stanza come faceva Levi nella sua malattia? Io nel letto del figlio, tu nel mio. E mi sembrerà di risentire il suo respiro leggero… Mi teneva sempre per mano…».
   «Sì, Elisa. E prima parleremo di tante cose».
   «No. Sei stanca. Devi dormire».
   «Tu pure…».
   «Oh! io! Non dormo più da mesi… Piango… piango… Non so fare altro…».
   «Questa sera invece pregheremo e poi andremo nel letto e tu dormirai… Dormiremo con la mano nella mano anche noi due. Va’ pure, Figlio, e prega per noi…».
   «Vi benedico. La pace sia con voi e a questa casa!».
   E Gesù se ne va con la servente, che è di stucco e non fa che ripetere: «Che miracolo, Signore! Che miracolo! Dopo tanti mesi ha parlato, ha pensato… Oh! che cosa!… Dicevano che moriva folle… E ne avevo pena perché è buona».
   «Sì, è buona, e Dio l’aiuterà perciò. Addio, donna. La pace anche a te».
   Gesù esce nella strada semibuia e tutto ha fine.

[88] vecchio, invece disanto, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[89] dicendo, come in: Qoèlet 1, 2-3.
[90] parole, che sono in: Ezechiele 37, 12-14.
[91] come è scritto, in: 2 Maccabei 12, 43-46.