MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 211



CCXI. Ritorno ad Ebron, patria del Battista.

   7 luglio 1945.

   211.1 Sono tutti seduti in cerchio in un boschetto presso Ebron e mangiano parlando fra di loro.
   Giuda, ora che è sicuro che Maria andrà da sua madre, è tornato nelle migliori disposizioni di spirito, e cerca di cancellare il ricordo dei suoi malumori presso i compagni e le donne con mille cortesie. Deve essere andato lui per acquisti in paese e racconta che lo ha trovato molto cambiato dallo scorso anno:
   «La notizia della predicazione e dei miracoli di Gesù è arrivata fin qui. E la gente ha cominciato a riflettere su tante cose. Lo sai, Maestro, che da queste parti è un possesso di Doras? E anche la moglie di Cusa ha qui, su questi monti, delle terre e un castello proprio suo, di dote sua. Si vede che un poco lei e un poco i contadini di Doras, perché ci deve essere qui qualcuno di quelli di Esdrelon, hanno preparato il terreno. Lui, Doras, ordina il silenzio. Ma loro!… Credo che neanche di fronte al tormento tacerebbero. Ha fatto stupore la morte del vecchio fariseo, sai? E la salute ottima di Giovanna, che è venuta qui avanti Pasqua. Ah! e poi, a servire Te c’è stato anche l’amante di Aglae. Lo sai che lei è scappata dopo poco che noi passammo di qui? E lui ha fatto il demonio su molti innocenti per vendicarsi. Così che la gente ha finito col pensare a Te come a un vendicatore degli oppressi e ti desidera. Voglio dire i migliori…».
   «Vendicatore degli oppressi! Infatti lo sono. Ma soprannaturalmente. Nessuno vede giusto di quelli che mi vedono con lo scettro e la scure in mano, come re e giustiziere secondo lo spirito della Terra. Ma certo che Io sono venuto a liberare dalle oppressioni. Del peccato, la più grave, delle malattie, delle desolazioni; dalle ignoranze e dall’egoismo. Molti impareranno che non è giusto opprimere perché la sorte ha messo in alto. Ma che invece si deve usare questo alto per sollevare chi è in basso».
   «Lazzaro lo fa e anche Giovanna. Ma sono due contro centinaia…», dice desolatamente Filippo.
   «I fiumi non sono larghi alla sorgente come lo sono all’estuario. Poche gocce, un filo d’acqua, ma poi… Vi sono fiumi che sembrano mari alla foce».
   «Il Nilo, eh?! Tua Madre mi raccontava quando andaste in Egitto. Mi diceva sempre: “Un mare, credi, un mare verde-azzurro. Vederlo nelle piene è proprio un sogno!”, e mi raccontava delle piante che parevano sorgere dall’acqua, e poi di tutto quel verde che pareva nascere dall’acqua quando essa si ritirava…», dice Maria d’Alfeo.
   «Ebbene, Io ve lo dico. Come alla sorgente il Nilo è un filo d’acqua e poi diviene quel gigante che è, così il filino, per ora, di grandezza che si piega con amore e per amore sui minimi diverrà in seguito una moltitudine. Giovanna, Lazzaro, Marta per ora, e poi quanti, quanti!». Gesù pare vedere questi che saranno misericordiosi ai fratelli, e sorride, assorto nella sua visione.

   211.2 Giuda confida che il sinagogo voleva venire con lui, ma che lui non si è fidato di prendere la decisione di suo: «Ti ricordi, Giovanni, come ci ha cacciati[96] lo scorso anno?».
   «Lo ricordo… Ma diciamolo al Maestro».
   E Gesù, interrogato, dice che entreranno in Ebron. Se li vorranno, li chiameranno e si fermeranno; se no, passeranno senza fermarsi. «Così vedremo anche la casa del Battista. Di chi è ora?».
   «Di chi la vuole, credo. Sciammai è andato via e non è più tornato. Ha ritirato servi e mobili. I cittadini, per vendicarsi dei suoi soprusi, hanno sfondato il muro di cinta, e la casa è di tutti. Il giardino almeno. Si riuniscono là per venerare il loro Battista. Si dice che Sciammai sia stato assassinato. Non so perché… pare per donne…».
   «Qualche putrida trama della corte, certo!…», mormora Natanaele fra la barba.

   211.3 Si alzano e vanno verso Ebron, verso la casa del Battista.
   Mentre stanno per raggiungerla, ecco dei cittadini in gruppo serrato. Si fanno avanti un poco incerti, curiosi e impacciati. Ma Gesù li saluta con un sorriso. Si rinfrancano, si dividono, e dal gruppo viene fuori il sinagogo scortese dello scorso anno.
   «La pace a te!», saluta subito Gesù. «Ci permetti di sostare nella tua città? Sono con tutti i miei discepoli prediletti e con le madri di alcuni di essi».
   «Maestro, ma Tu non hai rancore per noi, per me?».
   «Rancore? Non lo conosco, né so perché lo dovrei avere».
   «L’anno scorso io ti ho offeso…».
   «Hai offeso lo Sconosciuto, credendoti in diritto di farlo.
   Poi hai compreso e te ne sei doluto di averlo fatto. Ma questo è il passato. E come il pentimento annulla la colpa così il presente annulla il passato. Ora per te Io non sono più lo Sconosciuto. Che sentimenti hai dunque per Me?».
   «Di rispetto, Signore. Di… desiderio…».
   «Desiderio? Che vuoi da Me?».
   «Conoscerti più che io non ti conosca».
   «Come? In che modo?».
   «Attraverso la tua parola e la tua opera. Qui è giunta notizia di Te, della tua dottrina, del tuo potere, ed è stato detto che Tu non sei estraneo nella liberazione del Battista. Tu non lo odiavi dunque, non cercavi di soppiantarlo il nostro Giovanni!… Egli stesso non ha negato che è per Te che egli rivide la valle del santo Giordano. Noi siamo stati da lui, parlandogli di Te, e ci ha detto: “Voi non sapete ciò che avete respinto. Dovrei maledirvi, ma vi perdono perché Egli mi ha insegnato a perdonare e ad essere mite. Però, se non volete essere anatema al Signore e a me suo servo, amate il Messia. E non abbiate dubbi. La sua testimonianza è questa: spirito di pace, amore perfetto, sapienza superiore a qualsiasi altra, dottrina celeste, mitezza assoluta, potenza su ogni cosa, umiltà totale, castità angelica. Non vi potete sbagliare. Quando respirerete pace presso un uomo che si dice Messia, quando beverete amore, l’amore che da Lui emana, quando passerete dalle vostre tenebre nella Luce, quando vedrete redimersi i peccatori e sanarsi le carni, allora dite: ‘Questo è veramente l’Agnello di Dio!’”. Noi sappiamo che le tue opere sono quelle che dice il nostro Giovanni. Perciò perdonaci, amaci, dàcci ciò che il mondo aspetta da Te».
   «Sono qui per questo. Vengo da tanto lontano per dare anche alla città di Giovanni ciò che do ad ogni luogo che mi accoglie. Dite ciò che desiderate da Me».
   «Abbiamo noi pure malati, e ignoranti siamo. Specie in ciò che è amore e bontà siamo ignoranti. Giovanni, nel suo amore totale di Dio, ha mano di ferro e parola di fuoco, e vuole piegare tutti come un gigante piega uno stelo d’erba. Molti cadono in sconforto perché l’uomo è più peccatore che santo. È difficile essere santi!… Tu… si dice che non pieghi ma sollevi, che non cauterizzi ma metti balsami, che non stritoli ma carezzi. Si sa che sei paterno coi peccatori e che sei potente sulle malattie, quali che siano, anche e soprattutto quelle del cuore. I rabbi non lo sanno più fare».

   211.4 «Portatemi i vostri malati e poi radunatevi in questo giardino abbandonato e profanato dal peccato dopo che fu fatto tempio per la Grazia che vi abitò».
   Gli ebroniti partono in tutte le direzioni come rondini e resta il sinagogo, che entra con Gesù e i discepoli oltre la cinta del giardino, andando all’ombra di un pergolato intricato di rose e di viti, cresciute a loro beneplacito. Fanno presto a ritornare gli ebroniti. E con loro è un paralitico in barella, una giovane cieca, un mutolino e due malati di non so che, che vengono accompagnati sorreggendoli.
   «La pace a te», saluta Gesù ad ogni malato che viene. E poi la dolce domanda: «Che volete che vi faccia?». E il coro dei lamenti di questi infelici, in cui ognuno vuole dire la storia propria.
   Gesù, che era seduto, si alza e va dal mutolino, a cui bagna le labbra con la sua saliva e dice la grande parola: «Apriti». E così la dice bagnando le palpebre senza taglio della cieca con il dito bagnato di saliva. E poi dà la mano al paralitico e gli dice:
   «Sorgi!»; infine impone le mani ai due malati dicendo: «Guarite, nel nome del Signore!».
   E il mutolino, che prima mugolava, dice nettamente: «Mamma!», mentre la giovane sbatte le dissigillate palpebre alla luce e fa solecchio delle dita allo sconosciuto sole, e piange e ride, e guarda ancora, stringendo gli occhi perché è non abituata alla luce, le fronde, la terra, le persone, specie Gesù. Il paralitico scende sicuro dalla barella, e i suoi pietosi portatori sollevano la stessa vuota per fare capire ai lontani che la grazia è fatta, mentre i due malati piangono di gioia e si inginocchiano a venerare il Salvatore loro. La folla è in un urlio frenetico di osanna.
   Tommaso, che è vicino a Giuda, lo guarda così intensamente e con una così chiara espressione che quello gli risponde: «Ero stolto, perdona».

   211.5 Cessato il gridio, Gesù inizia a parlare.
   «“Il Signore parlò a Giosuè dicendo: ‘Parla ai figli di Israele e di’ loro: Separate le città pei fuggiaschi, delle quali vi parlai per mezzo di Mosè, affinché vi si possa rifugiare chi avrà involontariamente ucciso uno, e possa così sottrarsi all’ira del prossimo parente, del vendicatore del sangue’”. Ed Ebron è una di queste. È sempre detto: “E i seniori della città non consegneranno l’innocente a chi lo cerca per ucciderlo, ma lo accoglieranno e gli daranno da abitare e vi resterà fino al giudizio e finché non muore il sommo sacerdote d’allora; dopo di che potrà rientrare nella sua città e nella sua casa”.
   In questa legge[97] è già contemplato e ordinato l’amore misericordioso verso il prossimo. Questa legge ha imposto Iddio, perché non è lecito condannare senza udire l’accusato, né è lecito uccidere in momento d’ira. Può dirsi anche per i delitti e le accuse morali questa cosa. Non è lecito accusare se non si conosce, né giudicare se non si è udito l’accusato. Ma oggi alle accuse e alle condanne per le colpe solite o per le credute colpe se ne è aggiunta una nuova serie: quella che si rivolge e che si fa contro coloro che vengono in nome di Dio. Nei secoli si è ripetuta contro i Profeti, ora si torna a ripetere contro il Precursore del Cristo e contro il Cristo.
   Voi lo vedete. Attirato con inganno fuori dal territorio di Sichem, il Battista attende la morte nelle prigioni di Erode, perché egli mai si piegherà alla menzogna e al compromesso, e potrà essere spezzata la sua vita e recisa la sua testa ma non si potrà spezzargli la sua onestà e recidere la sua anima dalla Verità, servita fedelmente in tutte le sue diverse forme, divine, soprannaturali o morali che siano. E ugualmente si perseguita il Cristo, con doppia e decupla furia, perché Egli non si limita a dire: “Non ti è lecito” ad Erode, ma tuona questo: “Non ti è lecito” là dovunque Egli entrando trova peccato o sa che è peccato, senza escludere nessuna categoria, in nome di Dio e per l’onore di Dio.

   211.6 Come mai può essere questo? Non vi sono più servi di Dio in Israele? Sì, che vi sono. Ma sono “idoli”.
   Nella lettera di Geremia[98] agli esuli sono dette, fra le tante cose, queste. E su esse vi richiamo la mente, perché ogni parola del Libro è insegnamento che, dal momento in cui lo Spirito la fa scrivere per un fatto presente, si riferisce ad un fatto che verrà in futuro. È dunque detto: “…Entrati che sarete in Babilonia voi vedrete degli dèi d’oro, d’argento, di pietra, di legno… Guardate di non imitare il fare degli stranieri, di non avere paura, di non temerli… Dite in cuor vostro: ‘Bisogna adorare Te solo, o Signore’”.
   E la lettera enumera le particolarità di questi idoli che hanno lingua fatta da artefice e non se ne servono per rimproverare i loro falsi sacerdoti, che li spogliano per rivestire dell’oro dell’idolo le meretrici, salvo poi levare l’oro, profanato dal sudore della prostituzione, per rivestire l’idolo; di questi idoli che la ruggine o la tignola possono rodere e che sono puliti e ordinati solo se l’uomo lava loro la faccia e li riveste, mentre non possono da sé fare nulla neppure se hanno scettro o scure in mano.
   E termina il Profeta: “Perciò non li temete”. E continua: “Inutili come vasi rotti sono questi dèi. I loro occhi sono pieni della polvere smossa dai piedi di chi entra nel tempio e sono tenuti ben serrati: come in un sepolcro o come chi ha offeso il re, perché chiunque li può spogliare dei loro vestimenti preziosi. Non vedono la luce delle lampade, perciò sono nel tempio come travi, e le lampade non servono che ad affumicarli, mentre civette, rondini e altri uccelli volano sul loro capo e lo svirgolano di escrementi, e i gatti si fanno un nido nelle loro vesti e le lacerano. Perciò non vanno temuti, sono cose morte. Neanche l’oro serve loro, è una mostra, e se non è ripulito non brillano, così come non hanno sentito niente quando furono fatti. Il fuoco non li ha destati. Furono comperati a prezzi favolosi. Vengono portati dove l’uomo vuole perché sono vergognosamente impotenti… Perché dunque sono chiamati dèi? Perché sono adorati con offerte e con una pantomima di cerimonie false, non sentite da chi le fa, non credute da chi le vede. Se viene loro fatto del male o del bene non ricambiano, sono incapaci di eleggere o detronizzare un re, non possono rendere le ricchezze né il male, non possono salvare un uomo dalla morte e salvare il debole dal prepotente. Non hanno pietà delle vedove e degli orfani. Sono simili a pietre della montagna …”.
   La lettera dice su per giù così.

   211.7 Ecco. Noi pure abbiamo degli idoli, non più dei santi, nelle file del Signore. Per questo può il male erigersi contro il bene. Il male che svirgola di sterco l’intelletto e il cuore dei non più santi, e fa nido sulle loro false vesti di bontà.
   Non sanno parlare più le parole di Dio. È naturale! Hanno una lingua fatta dall’uomo e parlano parole di uomo, quando non parlano parole di Satana, e non sanno che fare rimproveri folli agli innocenti e ai poveri, tacendo però là dove vedono corruzione potente. Perché tutti corrotti sono, e non possono l’un l’altro accusarsi delle stesse colpe. Avidi, non per il Signore, ma per Mammona, lavorano accettando l’oro della lussuria e del delitto, barattandolo, derubando, presi da una frenesia che travolge ogni limite e ogni cosa. Ogni polvere si annida su loro, fermenta su loro, e se mostrano faccia pulita, l’occhio di Dio vede un ben sporco cuore. La ruggine dell’odio e il verme del peccato li rode, né loro sanno intervenire per salvarsi. Agitano le maledizioni come scettri e scuri, ma non sanno di essere maledetti. Chiusi nel loro pensiero e nel loro livore, come cadaveri in un sepolcro o prigionieri in carcere, vi stanno, aggrappandosi alle sbarre per tema che una mano li levi di là, perché là questi morti sono ancora qualcosa: mummie, non più di mummie dall’aspetto umano ma dal corpo ridotto a legno arido, mentre fuori sarebbero oggetti sorpassati dal mondo che cerca la Vita, che ha bisogno della Vita come il bambino della mammella, e che vuole chi gli dà Vita e non fetori di morte.
   Stanno nel Tempio, sì, e il fumo delle lampade – degli onori – li affumica, ma la luce non scende in essi; e tutte le passioni si annidano in loro come uccelli e gatti, mentre il fuoco della missione non dà loro il mistico tormento di essere arsi dal fuoco di Dio. Sono refrattari all’Amore. Il fuoco della carità non li accende, così come la carità non li veste dei suoi aurei splendori. La carità duplice nella forma e nella sorgente: carità di Dio e di prossimo la forma; carità da Dio e da uomo la sorgente. Perché Dio si allontana dall’uomo che non ama, e perciò questa prima sorgente cessa; e si allontana l’uomo dall’uomo malvagio, e cessa anche la seconda sorgente. Tutto è levato dalla Carità all’uomo senza amore. Si lasciano comperare con prezzo maledetto e si lasciano portare dove l’utile e il potere vuole.
   No. Non è lecito! Non vi è moneta per comperare la coscienza, e specie quella dei sacerdoti e dei maestri. Non è lecito avere acquiescenza con le cose forti della Terra quando esse vogliono portare in atti contrari alle cose ordinate da Dio. Questa è impotenza spirituale, ed è detto[99]: “L’eunuco non entrerà nell’assemblea del Signore”. Se dunque non può essere del popolo di Dio l’impotente di natura, può mai essere suo ministro l’impotente di spirito? Perché in verità vi dico che molti sacerdoti e maestri sono ormai afflitti da colpevole eunuchismo, essendo mutilati della loro virilità spirituale. Molti. Troppi!

   211.8 Meditate. Osservate. Confrontate. Vedrete che molti idoli abbiamo e pochi ministri del Bene che è Dio. Ecco perché può farsi che le città rifugio non siano più rifugio. Nulla più è rispettato in Israele, e i santi muoiono perché i non santi li hanno odiosi.
   Ma Io vi invito: “Venite!”. Io vi chiamo in nome del vostro Giovanni che langue perché fu santo, che è colpito perché mi precede e perché ha tentato di levare le sozzure dalle vie dell’Agnello. Venite a servire Iddio. Il tempo è vicino. Non siate impreparati alla Redenzione. Fate che la pioggia cada sopra il terreno seminato. Altrimenti per nulla sarà effusa. Voi, voi di Ebron, alla testa dovete essere! Qui siete convissuti con Zaccaria e Elisa: i santi che hanno meritato dal Cielo Giovanni; e qui Giovanni ha sparso il profumo della Grazia con la sua vera innocenza di pargolo, e dal suo deserto vi ha inviato gli incensi anticorruttori della sua Grazia divenuta prodigio di penitenza. Non deludete il vostro Giovanni. Egli ha portato l’amore del prossimo ad un livello quasi divino, onde ama l’ultimo abitatore del deserto come ama voi suoi concittadini; ma certo che egli per voi impetra la Salute. E la Salute è seguire la Voce del Signore e credere nella sua Parola. Da questa città sacerdotale venite in massa al servizio di Dio. Io passo e vi chiamo. Non siate inferiori alle meretrici, alle quali basta una parola di misericordia per lasciare la via percorsa prima e venire sulla via del Bene.
   Mi è stato chiesto al mio arrivo: “Ma Tu non ci serbi rancore?”. Rancore? Oh! no! Amore vi serbo! E serbo la speranza di vedervi nelle mie schiere di popolo. Del popolo che Io conduco a Dio, nel novello esodo verso la vera Terra Promessa: il Regno di Dio, oltre il Mare Rosso dei sensi e i deserti del peccato, liberi dalle schiavitù di ogni genere, alla Terra eterna, pingue di delizie, satura di pace… Venite! Questo è l’Amore che passa. Chi vuole può seguirlo, perché ad essere accolti da Lui altro non occorre che buona volontà».

   211.9 Gesù ha finito in un silenzio attonito. Sembra che molti soppesino le parole udite, le saggino, le gustino, le confrontino.
   Mentre questo avviene, e Gesù stanco e accaldato si siede, parlando con Giovanni e Giuda, ecco un clamore oltre la cinta del giardino. Grida confuse e poi più chiare: «C’è il Messia?
   C’è?», e avutane conferma ecco portare avanti uno storpio che sembra un S tanto è contorto.
   «Oh! è Masala!».
   «Ma troppo storpio è! Che spera?».
   «Ecco sua madre! L’infelice!».
   «Maestro, il marito la respinse per quell’aborto d’uomo che è il figlio, e lei vive qui di carità. Ma ormai è vecchia, e poco più vivrà…».
   L’aborto d’uomo, è detto bene, è ora davanti a Gesù. Non può nemmeno vederlo in viso tanto è curvo e contorto. Sembra una caricatura di uomo-scimpanzè, o di un cammello umanizzato.
   La madre, vecchia e misera, non parla neppure, geme solo:
   «Signore, Signore… io credo…».
   Gesù mette le sue mani sulle spalle sbilenche dell’uomo che gli giunge appena alla vita, alza il volto al Cielo e tuona: «Alzati e cammina nelle vie del Signore», e l’uomo ha una scossa e poi scatta ritto come il più perfetto uomo. Così subitanea la mossa che pare che si siano spezzate delle molle che lo trattenevano in quella anomala positura. Ora arriva alle spalle di Gesù, lo guarda e poi piomba in ginocchio, con la madre, baciando i piedi del suo Salvatore.
   Quello che succede fra la folla non si dice… E nonostante ogni volontà contraria, Gesù è costretto a sostare in Ebron, perché la gente è pronta a fare barriera alle uscite per impedirgli l’andare.
   Entra così nella casa del vecchio sinagogo, così mutato dallo scorso anno…

[96] ci ha cacciati, in 77.8.
[97] questa legge, cui si riferisce la citazione che precede (da: Giosuè 20, 1-6), riguarda le città di rifugio, dove trovava asilo l’omicida involontario, che in tal modo veniva sottratto alla legge della vendetta (cui accennerà il Taddeo in 566.8, ultime righe, forse riferendosi a Genesi 9, 6 e ad alcuni dei passi che richiamiamo più sotto). Le città di rifugio erano sei, tra le quali Ebron (come qui) e Cedes (come in 342.1.2.7.9). Facevano parte delle 48 città levitiche, nelle quali dimoravano i leviti. Le prescrizioni che riguardano le une e le altre sono in: Esodo 21, 12-13; Numeri 35; Deuteronomio 4, 41-43; 19, 1-13; Giosuè 20-21.
[98] lettera di Geremia, che è in: Baruc 6.
[99] è detto, in: Deuteronomio 23, 2.