MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 214



CCXIV. La madre di Giuda si confida con la Madre di Gesù, giunta a Keriot con Simone Zelote.

   10 luglio 1945.

   214.1 Gesù è per andare a mensa nella bella casa di Giuda insieme a tutti i suoi. E dice alla madre di Giuda, venuta dalla sua casa di campagna per ospitare degnamente il Maestro: «No, madre, anche tu devi stare con noi. Qui siamo come una famiglia. Non è il banchetto freddo e compassato degli ospiti casuali. Io ti ho preso un figlio e voglio che tu mi prenda come un figlio, così come Io ti prendo come una madre, perché ne sei ben degna. Non è vero, amici, che così ci sentiremo tutti più contenti e più a nostro agio?».
   Gli apostoli e le due Marie annuiscono con calore. E la madre di Giuda, con un grande luccichio nelle pupille, deve sedersi fra suo figlio e il Maestro, che ha di fronte le due Marie con Marziam al centro.
   La servente porta le vivande e Gesù offre e benedice e poi spartisce, perché su questo la madre di Giuda è inflessibile. E spartisce sempre cominciando da lei, cosa che sempre più commuove la donna e inorgoglisce Giuda, e nello stesso tempo lo fa pensoso.
   I discorsi vertono su diversi argomenti, e Gesù cerca interessarne la madre di Giuda e di affiatarla con le due discepole.

   214.2 Molto a questo serve Marziam, che dichiara che lui vuole già molto bene anche alla madre di Giuda «perché si chiama Maria come tutte le donne che sono buone».
   «E a quella che ci aspetta là sul lago non vorrai bene, cattivello?», chiede Pietro semiserio.
   «Oh! molto bene, se sarà buona».
   «Per questo ne puoi essere sicuro. Lo dicono tutti e lo devo dire anche io che, se è sempre stata mansueta con sua madre e con me, è proprio segno che è buona. Ma non si chiama Maria, figlio. Ha uno strambo nome, perché il padre le mise quello della cosa che gli aveva dato ricchezza e Porfirea la volle chiamare. La porpora è bella e preziosa. Mia moglie non è bella, ma è preziosa per la sua bontà. E io le ho voluto bene perché era tanto quieta, casta, silenziosa. Tre virtù… eh! non sono facili a trovarsi! L’avevo sbirciata fin da quando era una fanciulla. Scendevo a Cafarnao col pesce e la vedevo alle reti, oppure alla fonte, o anche nell’orto di casa lavorare e tacere, e non era la svagata farfalla che vola qua e là, e neppure la sventata gallinella che gira l’occhio per ogni chicchiricchì di gallo. Non alzava mai il capo anche se sentiva voci d’uomo e quando io, innamorato della sua bontà e delle sue splendide trecce, le sue uniche bellezze, e anche… sì, e anche impietosito per la sua condizione di schiava in famiglia, le ho rivolto i primi saluti – allora aveva sedici anni – lei ha risposto a mala pena, calando ancora di più il suo velo e ritirandosi ancora di più in casa. Eh! ce n’è voluto per capire se non le parevo un orco e per mandare avanti il paraninfo!… Ma non me ne pento. Potevo girare tutta la Terra, ma un’altra così non la trovavo. Non è vero, Maestro, che è buona?».
   «Molto buona. E sono sicuro che Marziam l’amerà anche se non si chiama Maria. Non è vero, Marziam?».
   «Sì. Quella si chiama “mamma”, e le mamme sono buone e si amano».

   214.3 Poi Giuda racconta quanto ha fatto nella giornata. Comprendo che è andato lui ad avvisare la madre della loro venuta, e che poi ha iniziato a parlare nelle campagne di Keriot avendo a compagno Andrea. Dice poi: «Domani vorrei veniste tutti, però. Non voglio brillare da me. Andremo, per quanto si può, un giudeo e un galileo. Io con Giovanni, per esempio, e Simone con Tommaso. Se venisse l’altro Simone! Però voi due (e accenna ai figli di Alfeo) potete andare da voi. Ho detto anche a chi non lo voleva sapere che siete i fratelli del Maestro. E anche voi due (e accenna Filippo e Bartolomeo) potete andare insieme. Ho detto che Natanaele è un rabbi venuto al seguito del Maestro. È cosa che fa impressione. E… rimanete voi tre. Ma appena viene lo Zelote si potrà fare una coppia di più. E poi ci alterneremo perché voglio vi conoscano tutti…». Giuda è pieno di brio. «Ho parlato sul decalogo, Maestro, cercando di illustrare specialmente le parti in cui so che questa zona più manca…».
   «Non avere la mano pesante, Giuda. Te ne prego. Abbi sempre presente che ottiene di più la dolcezza che l’intransigenza e che sei uomo tu pure. Perciò esaminati e rifletti come è facile anche a te cascare e come ti irriti per rimproveri troppo aperti», dice Gesù mentre la madre di Giuda piega la testa avvampando nel volto.
   «Non temere, Maestro. Mi sforzo di imitare Te in tutto.
   Però, nel paese che vediamo anche da quella porta (mangiano a porte aperte e si vede un bell’orizzonte da questa camera sopraelevata) vi è un infermo che vorrebbe guarire. E non lo si può trasportare. Potresti venire con me?».
   «Domani, Giuda. Domani mattina senza fallo. E se vi sono altri malati ditemelo o conducetemeli».
   «Vuoi proprio beneficare la mia patria, Maestro?».
   «Sì. Perché non si dica che sono stato ingiusto verso chi non mi ha fatto del male. Benefico anche i malvagi! Perché allora non i buoni di Keriot? Voglio lasciare un ricordo indelebile di Me…».
   «Ma come? Non torniamo più qui?».
   «Ci torneremo ancora, ma…».

   214.4 «Ecco la Madre, la Madre con Simone!», trilla il bambino che vede Maria e Simone salire la scala che conduce alla terrazza su cui è la stanza.
   Tutti si alzano in piedi e vanno incontro ai due che giungono. Rumore di esclamazioni, di saluti, di sedili smossi. Ma nulla distrae Maria dal salutare per primo Gesù e poi la madre di Giuda, che si è profondamente inchinata e che Maria invece rialza e abbraccia come fosse una cara amica ritrovata dopo un’assenza.
   Rientrano nella stanza e Maria di Giuda ordina alla servente nuovi cibi per i sopraggiunti.
   «Ecco, Figlio, il saluto di Elisa», dice Maria e dà un piccolo rotolo a Gesù, che lo apre e legge, dicendo poi: «Lo sapevo. Ne ero certo. Grazie, Mamma. Per Me e per Elisa. Tu sei veramente la Salute degli infermi!».
   «Io? Tu, Figlio. Non io».
   «Tu; e sei il mio più grande aiuto». Poi si volge agli apostoli e alle discepole e dice: «Elisa scrive: “Torna, mia Pace. Ti voglio non solo amare, ma servire”. E così abbiamo levato dalla angoscia, dalla melanconia una creatura, e ci siamo guadagnati una discepola. Ci torneremo, sì».
   «Vuole conoscere anche le discepole. Viene lentamente, ma senza soste. Povera cara! Ha ancora dei momenti di smarrimento pauroso. Vero, Simone? Un giorno volle provare ad uscire con me, ma vide un amico del suo Daniele… e faticammo molto a calmare il suo pianto. Ma Simone è così bravo! E mi ha suggerito, posto che mostra il desiderio di ritornare nel mondo, ma che il mondo di Betsur è troppo pieno di ricordi per lei, di chiamare Giovanna. È andato lui a chiamarla. Era tornata, dopo le feste, a Bètér presso i suoi splendidi roseti di Giudea. Dice Simone che gli è sembrato un sogno, attraversando quelle colline tutte a roseto, che gli pareva d’essere nel Paradiso. È venuta subito. Lei può capire e compatire una madre che piange i figli! Elisa le si è molto affezionata ed io sono venuta. Giovanna la vuole persuadere ad uscire da Betsur e ad andare nel suo castello. E ci riuscirà, perché è dolce come una colomba ma ferma come un granito nei suoi voleri».
   «Andremo a Betsur nel ritorno e poi ci separeremo. Voi discepole resterete con Elisa e Giovanna per qualche tempo. Noi andremo per la Giudea e ci ritroveremo a Gerusalemme per la Pentecoste»…

   214.5 …Maria Ss. e Maria madre di Giuda sono insieme. Non nella casa di città, ma in quella di campagna. Sono sole. Gli apostoli con Gesù sono fuori, le discepole col bambino sono per lo splendido pometo e si sentono le loro voci unite al rumore di panni sbattuti sui lavatoi. Forse fanno il bucato mentre il bambino giuoca.
   La madre di Giuda, seduta in una stanza in penombra a fianco di Maria, parla alla stessa: «Questi giorni di pace rimarranno come un dolce sogno in me. Troppo brevi! Troppo!
   Comprendo che non si deve essere egoisti e che è giusto che voi andiate da quella povera donna e da tanti altri infelici. Ma se potessi! Se potessi fermare il tempo, o venire con voi!… Ma non posso. Non ho parenti all’infuori di mio figlio e devo curare i beni della casa…».
   «Comprendo… Separarti dal figlio ti è dolore. Noi madri vorremmo sempre essere con i figli. Ma noi li diamo per una ben grande ragione e non li perdiamo. Neppure la morte ce li leva i figli, se sono loro, e se siamo noi, in grazia agli occhi di Dio. Ma noi li abbiamo ancora sulla Terra, anche se la volontà di Dio li strappa al nostro seno per darli al mondo per il suo bene. Possiamo sempre raggiungerli, e anche l’eco delle loro opere ci dà come una carezza al cuore, perché le loro opere sono il profumo della loro anima».

   214.6 «Cosa è tuo Figlio per te, Donna?», chiede piano Maria di Giuda.
   E Maria Ss., sicura, risponde: «È la mia gioia».
   «La tua gioia!!!…», e poi uno scoppio di pianto mentre la madre di Giuda si curva su se stessa come per nascondere questo pianto. Tocca quasi con la fronte i ginocchi tanto si curva su se stessa.
   «Perché piangi, mia povera amica? Perché? Dillo a me. Io sono felice nella mia maternità, ma so capire anche le madri non felici…».
   «Sì. Non felici! E io ne sono una. Tuo Figlio è la tua gioia… Il mio è il mio dolore. Lo è stato almeno. Ora, da quando è con tuo Figlio, meno mi affligge. Oh! fra tutti quelli che pregano per la tua santa Creatura, acciò abbia bene e trionfo, non ce ne è una, dopo te, beata, che preghi quanto questa infelice che ti parla… Dimmi il vero: che pensi tu di mio figlio? Siamo due madri, l’una di fronte all’altra; fra noi è Dio. E parliamo dei nostri figli. Tu non puoi che trovare facile parlare del tuo. Io… io devo far forza a me stessa per parlarne. Ma pure quanto bene, o quanto dolore, mi può venire da questo parlarne! E anche se è dolore sarà sempre un sollievo averne parlato… Quella donna di Betsur fu quasi folle per la morte dei figli, non è vero? Ma io ti giuro che delle volte ho pensato e penso, guardando il mio Giuda bello, sano, intelligente, ma non buono, non virtuoso, non dritto di animo, non sano di sentimenti, che preferirei piangerlo morto piuttosto che saperlo… che saperlo molto inviso a Dio. Tu, dimmi, che pensi di mio figlio? Sii schietta. È più di un anno che questa domanda mi brucia il cuore. Ma a chi chiedere? Ai cittadini? Essi non sapevano ancora che il Messia era e che Giuda voleva andare con Lui. Io lo sapevo. Me lo aveva detto venendo qui dopo la Pasqua, esaltato, violento, come sempre quando lo prende un capriccio e come sempre sprezzante dei consigli di sua madre. Ai suoi amici di Gerusalemme? Una santa prudenza e una pia speranza me ne trattenevano. Non volevo dire a quelli, che io non posso amare perché tutto sono fuorché santi: “Giuda segue il Messia”. E speravo che il capriccio cadesse come tanti altri, come tutti, costando magari lacrime e desolazioni, come per più di una fanciulla che qui e altrove egli innamorò di sé e poi mai prese per sposa. Non sai che ci sono luoghi dove egli non va più perché potrebbe incontrare un giusto castigo? Anche l’essere del Tempio fu un capriccio. Non sa ciò che si vuole. Mai. Suo padre, Dio lo perdoni, lo ha guastato. Io non ho mai avuto voce presso i due uomini della mia casa. Ho solo dovuto piangere e riparare con umiliazioni d’ogni sorta… Quando è morta Joanna – e, benché nessuno lo dicesse, io so che morì di dolore quando, dopo aver aspettato per tutta la sua giovinezza, Giuda dichiarò che egli non voleva moglie, mentre poi era noto che a Gerusalemme aveva mandato amici ad interrogare una donna ricca e con empori fino a Cipro per la figlia sua – io ho dovuto piangere molto, molto per i rimproveri della madre della fanciulla morta, come se io fossi complice del figlio mio. No. Non lo sono. Ma non sono nulla presso di lui. Lo scorso anno, quando fu qui il Maestro, compresi che Egli aveva capito… e fui per parlare. Ma è doloroso, doloroso è per una madre dover dire: “Temi di mio figlio. È un avido, un duro di cuore, un vizioso, un superbo, un instabile”. E questo è. Io… io prego perché un miracolo, Lui che ne fa tanti, tuo Figlio lo faccia sul mio Giuda… Ma tu, tu, dimmi: che pensi di lui?».

   214.7 Maria, che è sempre rimasta zitta e con espressione di pietoso dolore davanti a questo lamento materno, al quale non può il suo animo retto dare smentita, dice piano: «Povera madre!… Che penso? Sì, tuo figlio non è l’anima limpida di Giovanni, né il mite Andrea, né il fermo Matteo che si è voluto cambiare ed è cambiato. È… instabile, sì, è così. Ma pregheremo tanto per lui, io e te. Non piangere. Forse nel tuo amore di madre, che vorrebbe potersi gloriare del figlio, tu lo vedi più deforme di quanto non sia…».
   «No! No! Io vedo giusto e ho tanta paura».
   La stanza è piena del pianto della madre di Giuda, e nella penombra biancheggia il volto di Maria, fatto più pallido da questa confessione materna che acuisce tutti i sospetti della Madre del Signore.
   Ma Ella si domina. Attira a sé la madre non felice e la carezza mentre questa, rotte le dighe di ogni ritegno, narra confusamente, affannosamente, tutte le durezze, le esigenze, le violenze di Giuda, e termina: «Io arrossisco per lui quando mi vedo fatta segno ad atti di amore di tuo Figlio! Io non glielo chiedo. Ma sono sicura che, oltre che per la sua bontà, Egli lo fa per dire, con l’atto, a Giuda: “Ricordati che così si tratta la madre”. Ora, ora pare tutto buono… Oh! fosse vero! Aiutami, aiutami con la preghiera, tu che sei santa, perché mio figlio non sia un indegno della grande grazia che Dio gli ha concesso! Se non mi vuole amare, se non sa essere riconoscente a me, che l’ho partorito e allevato, non è nulla. Ma che sappia amare, realmente, Gesù; che sappia servirlo con fedeltà e riconoscenza. Se ciò non deve essere, allora… allora Dio gli levi la vita. Preferisco averlo nel sepolcro,… lo avrei finalmente, perché da quando ebbe la ragione ben poco fu mio. Morto, anziché cattivo apostolo. Posso pregare così? Che dici tu?».
   «Prega il Signore che faccia per il meglio. Non piangere più. Ho visto meretrici e gentili ai piedi del Figlio mio, e con essi pubblicani e peccatori. Divenuti tutti agnelli per la sua Grazia. Spera, Maria, spera. Le pene delle madri salvano i figli, non lo sai?…».
   E con questa pietosa domanda cessa ogni cosa.