MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 215



CCXV. A Betginna parlano Filippo e Andrea. Guarigione della figlia lunatica dell’albergatore.

   11 luglio 1945.

   215.1 Non vedo né il ritorno a Betsur, né i roseti di Bètér che ho tanto desiderato di vedere. Gesù è solo con gli apostoli. Non c’è neppure Marziam, rimasto certo con la Madonna e le discepole. Il luogo è molto montagnoso, ma anche molto ricco di vegetazione con boschi di conifere, meglio, di alberi da pinoli, e l’odore delle resine si spande per ogni dove, balsamico e vitalizzatore. E attraverso questi monti verdi Gesù cammina, voltando le spalle all’oriente, insieme ai suoi.
   Sento che ragionano di Elisa, che è apparsa molto mutata e persuasa a seguire Giovanna nella sua tenuta di Bètér, e della bontà di Giovanna. E che parlano anche del nuovo giro da fare, andando verso le fertili pianure che precedono la marina. E nomi di glorie passate riaffiorano, suscitando racconti, domande, spiegazioni e discussioni bonarie.
   «Quando saremo sulla cima di questo monte vi mostrerò dall’alto tutte le zone che vi interessano. Potrete da esse trarre pensieri per le vostre parole al popolo».
   «Ma come facciamo, mio Signore? Io non sono buono», geme Andrea, e a lui si associano Pietro e Giacomo. «Siamo i più disgraziati noi!».
   «Oh! per questo! Anche io non sono di meglio. Fosse oro e argento potrei parlarne, ma di queste cose…», dice Tommaso.
   «E io? che ero io?», chiede Matteo.
   «Ma tu non hai paura del pubblico, tu sai discutere», ribatte Andrea.
   «Ma su altre cose…», replica Matteo.
   «Eh! già!… Ma… Insomma tu sai già quello che vorrei dire, e fa’ conto che te lo abbia detto. Il fatto è che tu vali più di noi», dice Pietro.
   «Ma miei cari. Non c’è bisogno di andare nel sublime. Dite semplicemente quello che pensate, con la vostra convinzione. Credete che quando uno è convinto persuade sempre», dice Gesù.
   Ma Giuda di Keriot supplica: «Dàcci molti spunti Tu. Un’idea ben data può servire a molte cose. Questi posti sono rimasti senza una parola su di Te, io credo. Perché nessuno mostra di conoscerti».
   «È perché qui c’è ancora molto vento che viene dal Moria… Sterilisce…», risponde Pietro.
   «È perché non si è seminato. Ma noi semineremo», ribatte l’Iscariota sicuro, reso felice dai primi successi.

   215.2 La vetta del monte è raggiunta. Un ampio panorama si 215.2 apre di là, ed è bello vederlo stando all’ombra delle folte piante che incoronano la cima, così variato e solare, un accavallarsi di catene che vanno in ogni senso come marosi pietrificati di un oceano corso da venti contrari e poi, come in un golfo quieto, tutto placarsi in una luminosità senza termine che prelude a una vasta pianura in cui si erge, solitario come un faro all’imboccatura di un porto, un monticello.
   «Ecco. Questo paese che corre così sulla cresta, quasi per godersi tutto il sole, e dove sosteremo, è come il perno di una raggiera di luoghi storici[104]. Venite qui. Ecco là (al settentrione)
   Gerimot. Vi ricordate Giosuè? La sconfitta dei re che vollero assalire il campo d’Israele, fatto forte dell’alleanza coi Gabaoniti. E vicino Betsames, la città sacerdotale di Giuda, in cui fu restituita l’arca dai filistei con i voti in oro imposti dagli indovini e sacerdoti al popolo per avere liberazione dai flagelli che tormentavano i colpevoli filistei. Ed ecco là, tutta nel sole, Saraà patria di Sansone, e un poco più a oriente Timnata, dove egli prese moglie e fece tante prodezze e tante sciocchezze. E là Azeco e Soco già campo filisteo. Più giù ancora è Szanoe, una delle città di Giuda. E qui, voltatevi, ecco la valle del Terebinto dove Davide si batté con Golia. E là è Maceda dove Giosuè sconfisse gli Amorrei. Voltatevi ancora. Vedete quel solitario monte in mezzo alla pianura che un tempo fu dei filistei? Là è Get, patria di Golia e luogo di rifugio per Davide presso Achis per fuggire l’ira folle di Saul, e dove il re saggio si finse pazzo perché il mondo preserva i folli contro i savi. Quell’orizzonte aperto sono le pianure della fertilissima terra dei filistei. Noi andremo per là, fino a Ramlè. Ed ora entriamo in Betginna. Tu, proprio tu, Filippo, che mi guardi così implorante, andrai con Andrea per il paese. Noi sosteremo, intanto che voi andate, presso la fontana o nella piazza del paese».
   «Oh! Signore! Non ci mandare soli! Vieni anche Tu!», pregano i due.
   «Andate, ho detto. L’ubbidienza vi sarà più di aiuto che la mia muta presenza».

   215.3 …E dunque Filippo e Andrea vanno, a caso, per il paese finché trovano un molto minuscolo albergo, più stallazzo che albergo, e dentro vi sono dei sensali che contrattano agnelli con dei pastori. Entrano e si fermano interdetti nel mezzo del cortile circondato da portici molto rustici.
   Accorre l’albergatore: «Che volete? Alloggio?».
   I due si consultano con lo sguardo, uno sguardo molto sbigottito. Molto probabilmente, di quanto avevano prefisso di dire non trovano più neppure una parola. Ma è proprio Andrea che si riprende per primo e risponde: «Sì, alloggio per noi e per il Rabbi di Israele».
   «Quale rabbi? Ce ne sono tanti! Ma sono molto signori. Non vengono in paesi di poveri a portare la loro sapienza ai poveri. Sono i poveri che devono andare da loro, e ancora è grazia se ci sopportano vicino!».
   «Il Rabbi di Israele è uno solo. Ed Egli viene proprio a portare la Buona Novella ai poveri, e più poveri e più peccatori sono e più li cerca e li avvicina», risponde dolcemente Andrea.
   «Ma allora non farà denaro!».
   «Non ne cerca delle ricchezze. È povero e buono. La sua giornata è piena quando può salvare un’anima», risponde ancora Andrea.
   «Hum! È la prima volta che sento che un rabbi è buono e povero. Il Battista è povero ma è severo. Tutti gli altri sono severi e ricchi, avidi come sanguisughe. Avete udito voi? Venite qui, voi che girate il mondo. Questi uomini dicono che c’è un maestro povero, buono, che viene a cercare i poveri e i peccatori».
   «Ah! deve essere quello che veste di bianco come un essenita. L’ho visto anche tempo fa a Gerico», dice un sensale.
   «No. Quello è solo. Deve essere quello di cui parlava Toma, perché si era trovato per caso a parlare di lui con dei pastori del Libano», risponde un alto pastore nerboruto.
   «Sì, proprio! E viene fin qui se era sul Libano! Per i tuoi occhi di gatto!», esclama un altro.
   Mentre l’oste parla e ascolta con i suoi clienti, i due apostoli sono rimasti lì, in mezzo al cortile, come due pioli.

   215.4 Infine un uomo dice: «Ehi! voi! Venite qui! Chi è? Da dove viene questo che dite?».
   «È Gesù di Giuseppe, di Nazaret», dice serio Filippo, e sta come chi attende di essere schernito.
   Ma Andrea aggiunge: «È il predetto Messia. Io ve ne scongiuro, per il vostro bene, ascoltatelo. Voi avete nominato il Battista. Ebbene, io ero con lui, e lui ci indicò Gesù che passava dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Quando Gesù scese al battesimo nel Giordano, si aprirono i Cieli e una Voce gridò: “Ecco il mio Figlio diletto nel quale Io mi sono compiaciuto”, e l’Amore di Dio scese come una colomba a splendere sul suo capo».
   «Lo vedi? È proprio il Nazareno! Ma dite un poco, voi che vi dite suoi amici…».
   «Amici no, apostoli, discepoli siamo, e mandati da Lui per annunciarne l’arrivo, perché chi ha bisogno di salvezza vada a Lui», corregge Andrea.
   «Va bene. Ma dite un poco. È proprio come lo dicono alcuni, ossia un santo più santo del Battista, o è un demonio come lo dicono gli altri? Voi che ci state insieme, perché se siete discepoli ci starete insieme, dite un poco e con sincerità. È vero che è lussurioso e crapulone? Che ama le meretrici e i pubblicani? Che è negromante e nella notte evoca gli spiriti per sapere i segreti dei cuori?».
   «Ma perché chiedi a questi uomini questo? Chiedi piuttosto se è vero che è buono. Questi due se ne avranno a male e se ne andranno dicendo al Rabbi le nostre male ragioni e ne saremo maledetti. Non si sa mai!… Dio o diavolo che sia, è sempre meglio trattarlo bene».
   Questa volta è Filippo che parla: «Vi possiamo rispondere con sincerità, perché nulla di brutto è da tenere occulto. Egli, il Maestro nostro, è il Santo fra i santi. La sua giornata passa nelle fatiche dell’ammaestramento. Instancabile va di luogo in luogo, cercando i cuori. La sua notte la passa pregando per noi. Non sdegna la tavola e l’amicizia, ma non per utile proprio bensì per avvicinare chi altrimenti sarebbe non accostabile. Non respinge pubblicani e meretrici. Ma solo per redimerli. Segna la sua via di miracoli di redenzioni e di miracoli sulle malattie. Gli ubbidiscono i venti ed il mare. Ma non ha bisogno di alcuno per operare prodigi, né di evocare spiriti per conoscere i cuori».
   «E come può?… Hai detto che gli ubbidiscono i venti ed il mare. Ma sono cose senza ragione. Come può comandare loro?», chiede l’oste.
   «Rispondimi, uomo: secondo te è più difficile comandare al vento e al mare, o alla morte?».
   «Per Geové! Ma alla morte non si comanda! Al mare si può buttare dell’olio, si può opporre le vele, si può, saggiamente, non andare su esso. Al vento si possono opporre i serrami delle porte. Ma la morte non si comanda. Non c’è olio che la calmi. Non c’è vela che, messa alla nostra navicella, la faccia tanto rapida da distanziare la morte. E non ci sono serrami per essa. Quando vuol venire passa, anche se son dati i chiavistelli. Eh! nessuno comanda a questa regina!».
   «Eppure il Maestro nostro la comanda. Non solo quando è vicina. Ma anche quando ha già preso. Un giovane di Naim era per essere messo nella bocca orrenda del sepolcro, ed Egli disse: “Io te lo dico: alzati!” e il giovane tornò vivo. Naim non è fra gli iperborei. Potete andare e vedere».
   «Ma così? Alla presenza di tutti?».
   «Sulla via, alla presenza di tutta Naim».

   215.5 Oste e clienti si guardano in silenzio. Poi l’oste dice: «Ma le farà per gli amici, eh! quelle cose lì?».
   «No, uomo. Per tutti quelli che credono in Lui e non ad essi soli. È la Pietà sulla Terra, credilo. Nessuno si volge a Lui per niente. Udite, voi tutti. Non vi è alcuno fra voi che soffra e pianga per malattie di famiglia, per dubbi, per rimorsi, per tentazioni, per ignoranze? Rivolgetevi a Gesù, il Messia della Buona Novella. Egli è qui, oggi. Domani sarà altrove. Non lasciate passare senza utile la Grazia del Signore che passa», dice Filippo che si è sempre fatto più sicuro.
   L’oste si arruffa i capelli, apre e chiude la bocca, si tormenta le frange della cintura… infine dice: «Io provo!… Ho una figlia. Fino alla scorsa estate stava bene. Poi divenne lunatica. Sta come una belva muta in un angolo, sempre lì, e a fatica la madre la può vestire e imboccare. I medici dicono che le si è arso il cervello per troppo sole, altri per un triste amore. Il popolo dice che è indemoniata. Ma come, se è una giovinetta mai uscita di qui?! Dove lo ha preso questo demonio? Che dice il tuo Maestro? Che il demonio può prendere anche un innocente?».
   Filippo risponde sicuro: «Sì, per tormentare i parenti e portarli in disperazione».
   «E… Lui li guarisce i lunatici? Devo sperare?».
   «Devi credere», dice svelto Andrea. E racconta il miracolo dei geraseni terminando: «Se quelli, che erano legione in cuori di peccatori, fuggirono così, come non fuggirà quello penetrato a forza nel cuore giovinetto? Io te lo dico, uomo: a chi spera in Lui l’impossibile diviene facile come il respirare. Io ho visto le opere del mio Signore e testimonio del suo potere».
   «Oh! allora chi di voi lo va a chiamare?».
   «Io stesso, uomo. Attendimi tosto». E Andrea va lesto, mentre Filippo resta a parlare.

   215.6 Quando Andrea vede Gesù, fermo sotto un androne per fuggire il sole implacabile che empie la piazzetta del paese, gli corre incontro dicendo: «Vieni, vieni, Maestro. La figlia dell’alberghiere è lunatica. Il padre ti implora la sua guarigione».
   «Ma mi conosceva?».
   «No, Maestro. Abbiamo cercato di farti conoscere…».
   «E lo avete fatto. Quando uno giunge a credere che Io possa guarire un male senza rimedio, è già avanti nella fede. E voi avevate paura di non sapere fare. Che avete detto?».
   «Non te lo saprei neppur dire. Abbiamo detto quello che pensiamo di Te e le tue opere. Soprattutto abbiamo detto che Tu sei l’Amore e la Pietà. Ti conosce così male il mondo!!!».
   «Ma voi mi conoscete bene. E questo basta».

   215.7 Il piccolo albergo è raggiunto. Tutti i clienti sono sulla porta, curiosi, e in mezzo con Filippo è l’oste che continua a monologare fra sé.
   Quando vede Gesù gli corre incontro: «Maestro, Signore, Gesù… io… io credo, io credo tanto che Tu sei Tu, che sai tutto, che vedi tutto, che conosci tutto, che puoi tutto, tanto lo credo che ti dico: abbi pietà della mia figlia benché io abbia molte colpe sul cuore. Non sulla mia creatura il castigo per essere stato disonesto nel mio mestiere. Non sarò più esoso, lo giuro. Tu vedi il mio cuore col suo passato e col suo pensiero di ora. Perdono e pietà, Maestro, ed io parlerò di Te a tutti che vengono qui nella mia casa…». L’uomo è in ginocchio.
   Gesù gli dice: «Alzati e persevera nei sentimenti di ora.
   Conducimi da tua figlia».
   «È in una stalla, Signore. L’afa fa di lei una ancor più malata. E non vuole uscire».
   «Non importa. Andrò Io da lei. Non è l’afa. È che il demonio mi sente venire».
   Entrano nel cortile e da esso in una stalla oscura, e tutti gli altri dietro.
   La fanciulla, spettinata, sparuta, si agita nell’angolo più oscuro e come vede Gesù urla: «Indietro, indietro! Non mi disturbare. Tu sei il Cristo del Signore, io un tuo percosso. Lasciami stare. Perché sempre vieni sui miei passi?».
   «Esci da costei. Vattene. Lo voglio. Rendi a Dio la tua preda e taci!».
   Un urlo straziante, uno scatto, un afflosciarsi di corpo sulla paglia… e poi, calme, tristi, stupite, le domande: «Dove sono? Perché qui? Chi sono costoro?», e l’invocazione: «Mamma!» della giovinetta che si vergogna d’essere senza velo, con una veste lacerata, davanti agli occhi di molti estranei.
   «Oh! Signore eterno! Ma è guarita!…»; e, strano a vedersi nel rubicondo e colorito oste, un pianto da bambino… È felice, e piange non sapendo che baciare le mani di Gesù, mentre la madre piange, fra la corona degli stupiti figlioletti, e bacia la sua primogenita liberata dal demonio.
   I presenti sono tutti un vocio e altri accorrono per vedere il prodigio. La corte è piena.
   «Resta, Signore. Viene la sera. Sosta sotto il mio tetto».
   «Siamo in tredici, uomo».
   «Foste anche trecento sarebbe nulla. So ciò che vuoi dire.
   Ma Samuele avido e disonesto è morto, Signore. È andato via anche il mio demonio. Ora c’è il nuovo Samuele. E farà ancora l’alberghiere. Ma da santo. Vieni, vieni con me, che ti onori come un re, come un dio. Quale sei. Oh! benedetto il sole di oggi che mi ti ha portato»…

[104] luoghi storici, dove avvennero i fatti narrati in: Giosuè 10; Giudici 13-16; 1 Samuele 4-6; 17; 18; 27.