MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 225



CCXXV. Il paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del Figlio di Dio.

   21 luglio 1945.

   225.1 Gesù è in Gerusalemme e precisamente nei pressi dell’Antonia. Con Lui sono tutti gli apostoli meno l’Iscariota. Molta folla si affretta al Tempio. Sono in veste di festa tutti, tanto gli apostoli come gli altri pellegrini, e penso perciò siano i giorni di Pentecoste. Molti mendicanti si mescolano alla gente, lamentando le loro miserie con delle nenie pietose e dirigendosi ai posti migliori, presso le porte del Tempio o ai crocevia da cui la folla viene verso di esso. Gesù passa beneficando questi miserabili, dei quali è cura fare l’esposizione integrale delle loro miserie oltre che la narrazione delle stesse.
   Ho l’impressione che Gesù sia già stato al Tempio, perché sento che gli apostoli parlano di Gamaliele che ha fatto mostra di non vederli, nonostante che Stefano, uno dei suoi uditori, gli segnalasse il passaggio di Gesù.
   Sento anche che Bartolomeo chiede ai compagni: «Che avrà voluto dire quello scriba con la frase: “Un gruppo di montoni da basso macello”?».
   «Avrà parlato di qualche suo affare», risponde Tommaso.
   «No. Indicava noi. L’ho visto bene. E poi! La seconda frase era conferma della prima. Ha detto sarcastico: “Fra poco l’agnello sarà lui pure da tosa e poi da macello”».
   «Sì, ho sentito io pure», conferma Andrea.
   «Già! Ma a me brucia la voglia di tornare indietro e chiedere al compagno dello scriba che cosa sa di Giuda di Simone», dice Pietro.
   «Ma nulla sa! Questa volta Giuda non c’è perché veramente ammalato. Noi lo sappiamo. Forse ha realmente troppo sofferto del viaggio fatto. Noi siamo più robusti. Lui è vissuto qui, comodo. Si stanca», risponde Giacomo di Alfeo.
   «Sì, noi lo sappiamo. Ma quello scriba ha detto: “Manca il camaleonte al gruppo”. Il camaleonte non è quello che cambia colore tutte le volte che vuole?», chiede Pietro.
   «Sì, Simone. Ma certo hanno voluto dire per i suoi abiti sempre nuovi. Ci tiene. È giovane. Va compatito…», concilia lo Zelote.
   «È vero anche questo. Però!… Che frasi curiose!», conclude Pietro.
   «Sembra sempre che minaccino», dice Giacomo di Zebedeo.
   «È che noi sappiamo di essere minacciati e sentiamo minacce anche dove non ce ne sono…», osserva Giuda Taddeo.
   «E vediamo colpe anche dove non esistono», termina Tommaso.
   «Eh! già! Il sospetto è brutto… Chissà come sta oggi Giuda? Intanto si gode quel paradiso, con quegli angeli… Ci starei anche io ad ammalarmi per avere tutte quelle delizie!», dice Pietro; e Bartolomeo gli risponde: «Speriamo che guarisca presto. È necessario terminare il viaggio perché il caldo incalza».
   «Oh! le cure non gli mancano, e poi… ci pensa il Maestro se mai», assicura Andrea.
   «Aveva molta febbre quando lo abbiamo lasciato. Non so come gli sia venuta, così…», dice Giacomo di Zebedeo; e Matteo gli risponde: «Come viene la febbre! Perché deve venire. Ma non sarà nulla. Il Maestro non è per nulla impensierito. Se avesse visto del brutto non avrebbe lasciato il castello di Giovanna».

   225.2 Infatti Gesù non è per nulla impensierito. Parla con Marziam e con Giovanni, andando avanti e dando elemosine. Certo spiega al bambino molte cose, perché vedo che gli indica questo e quello. È diretto verso la fine delle mura del Tempio all’angolo nord-est. Là vi è molta folla che si dirige verso un luogo molto porticato, che precede una porta che sento chiamare “del Gregge”.
   «Questa è la Probatica, la piscina di Betseida. Ora guarda bene l’acqua. Vedi come è ferma ora? Fra poco vedrai che ha come un movimento e si alza, toccando quel segno umido. Lo vedi? Allora scende l’angelo del Signore, l’acqua lo sente e lo venera come può. Egli porta l’ordine all’acqua di guarire l’uomo pronto a tuffarsi in essa. Vedi quanta gente? Ma troppi si distraggono e non vedono il primo movimento dell’acqua; oppure i più forti, senza carità, respingono i più deboli. Non ci si deve mai distrarre davanti ai segni di Dio. Occorre tenere l’anima sempre vigilante, perché non si sa mai quando Dio si mostri o mandi il suo angelo. E non si deve mai essere egoisti, neanche per salute. Molte volte, per stare a litigare su chi tocca prima o chi ne ha maggiore bisogno, questi infelici perdono il beneficio della venuta angelica».
   Gesù spiega paziente a Marziam, che lo guarda coi suoi occhi ben spalancati, attenti, e intanto tiene d’occhio anche l’acqua.
   «Si può vedere l’angelo? Mi piacerebbe».
   «Levi, pastore della tua età, lo vide. Guarda bene anche tu e sii pronto a lodarlo».
   Il bambino non si distrae più. I suoi occhi sono sull’acqua e sopra l’acqua, alternativamente, e non sente più nulla, non vede più altro. Gesù intanto guarda quel piccolo popolo di infermi, ciechi, storpi, paralitici, che aspettano. Anche gli apostoli osservano attentamente. Il sole fa giuochi di luce sull’acqua e invade da re i cinque ordini di portici che circondano le piscine.
   «Ecco, ecco!», trilla Marziam. «L’acqua cresce, si muove, splende! Che luce! L’angelo!»,… e il bambino si inginocchia.
   Infatti nel moto del liquido nella vasca, che pare accrescersi per un flutto subitamente immesso che lo gonfi, elevandolo verso il bordo, l’acqua splende come uno specchio messo al sole. Un bagliore abbacinante per un attimo.
   Uno zoppo è pronto a tuffarsi nell’acqua per uscirne dopo poco con la gamba, già rattratta da una grande cicatrice, perfettamente guarita. Gli altri si lamentano e litigano col risanato, dicendo che infine lui non era impossibilitato al lavoro mentre loro sì. E la zuffa continua.

   225.3 Gesù si volge intorno e vede un paralitico sul suo lettuccio che piange piano. Gli va vicino, si curva e lo carezza domandandogli: «Piangi?».
   «Sì. Nessuno pensa mai a me. Sto qui, sto qui, tutti guariscono, io mai. Sono trentotto anni che giaccio sul dorso, ho consumato tutto, mi sono morti i miei, ora sono di peso ad un parente lontano che mi porta qui al mattino, mi riprende alla sera… Ma come gli pesa farlo! Oh! vorrei morire!».
   «Non ti desolare. Tanta pazienza e fede hai avuto! Dio ti esaudirà».
   «Lo spero… ma vengono momenti di sconforto. Tu sei buono. Ma gli altri… Chi è guarito potrebbe, in ringraziamento a Dio, stare qui a soccorrere i poveri fratelli…».
   «Dovrebbe farlo, infatti. Ma non avere rancore. Essi non ci pensano. Non è malanimo il loro. È la gioia di essere guariti che li rende egoisti. Perdonali…».
   «Tu sei buono. Tu non faresti così. Io mi sforzo a trascinarmi con le mani fino là, quando la vasca è mossa. Ma sono sempre preceduto da un altro, e presso l’orlo non ci posso stare; sarei calpestato. E anche stessi là, chi mi calerebbe? Se ti avevo visto prima lo chiedevo a Te…».
   «Vuoi proprio guarire? Allora alzati! Prendi il tuo letto e cammina!».
   Gesù si è rialzato per dare il comando e pare che, alzandosi, alzi anche il paralitico, perché questo sorge in piedi e poi fa uno, due, tre passi, quasi incredulo, dietro a Gesù che se ne va, e visto che cammina proprio ha un grido che fa volgere tutti.
   «Ma chi sei? In nome di Dio, dimmelo! L’angelo del Signore, forse?».
   «Io sono da più di un angelo. Il mio nome è Pietà. Va’ in pace».
   Tutti si affollano. Vogliono vedere. Vogliono parlare. Vogliono guarire. Ma accorrono le guardie del Tempio, che credo sorvegliassero anche la piscina, e respingono quel vociante assembramento minacciando castighi.
   Il paralitico prende la sua barellina – due stanghe su due paia di piccole ruote e un telo sdruscito inchiodato sulle stanghe – e se ne va felice, urlando a Gesù: «Ti ritroverò. Non dimenticherò il tuo nome e il tuo volto».

   225.4 Gesù, mescolandosi alla folla, se ne va in un altro senso, verso le mura.
   Ma non ha ancora superato l’ultimo portico che giungono, come spinti da una furia di vento, un gruppo di giudei delle caste peggiori, tutti accumunati nel desiderio di dire insolenze a Gesù. Cercano, guardano, scrutano. Ma non riescono a capire bene di che si tratta, e Gesù se ne va mentre questi, delusi, dietro indicazioni delle guardie, assalgono il povero e felice risanato e lo rimproverano: «Perché porti via questo letto? È sabato. Non ti è lecito».
   L’uomo li guarda e dice: «Io non so niente. So che quello che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina”. Questo so».
   «Sarà certo un demonio, perché ti ha ordinato di violare il sabato. Come era? Chi era? Giudeo? Galileo? Proselite?».
   «Non lo so. Era qui. Mi ha visto piangere e mi è venuto vicino. Mi ha parlato. Mi ha guarito. Se ne è andato con un bambino per mano. Credo suo figlio, perché è in età di avere un figlio di quel tempo».
   «Un bambino? Allora non è Lui!… Come ha detto di chiamarsi? Non glielo hai chiesto? Non mentire!».
   «Mi ha detto che si chiama Pietà».
   «Sei uno stolto! Quello non è un nome!».
   L’uomo si stringe nelle spalle e se ne va.
   Gli altri dicono: «Era certo Lui. Lo hanno visto nel Tempio gli scribi Ania e Zaccheo».
   «Ma Lui non ha figli!».
   «Eppure è Lui. Era coi discepoli».
   «Ma Giuda non c’era. È quello che conosciamo bene. Gli altri… possono essere gente qualunque».
   «No. Erano loro».
   E la discussione continua mentre i portici si riaffollano di malati…
   […].

   225.5 Gesù rientra nel Tempio da un altro lato, quello del lato ovest che è quello che fronteggia il più della città. Gli apostoli lo seguono. Gesù si guarda intorno e vede finalmente ciò che cerca, Gionata, che a sua volta lo cerca.
   «Sta meglio, Maestro. La febbre cala. Tua Madre dice che spera potere venire entro il prossimo sabato».
   «Grazie, Gionata. Sei stato puntuale».
   «Non molto. Mi ha trattenuto Massimino di Lazzaro. Ti sta cercando. È andato al portico di Salomone».
   «Vado a raggiungerlo. La pace sia con te, e porta la mia pace alla Madre e alle discepole, oltre che a Giuda».
   E Gesù va svelto verso il portico di Salomone, dove infatti trova Massimino.
   «Lazzaro ha saputo che sei qui. Ti vuol vedere per dirti una grande cosa. Verrai?».
   «Senza dubbio. E presto. Puoi dire che mi attenda in settimana».
   Anche Massimino se ne va dopo poche altre parole.
   «Andiamo a pregare ancora, poiché siamo tornati fin qui», dice Gesù e va verso l’atrio degli Ebrei.
   Ma presso il medesimo incontra il paralitico guarito, che è andato a ringraziare il Signore. Il miracolato lo scorge fra la folla e lo saluta con gioia, e gli racconta quanto è accaduto alla piscina dopo la sua partenza. E termina: «Mi ha poi detto uno, che si è stupito di vedermi qui sano, chi Tu sei. Tu sei il Messia. È vero?».
   «Lo sono. Ma anche tu fossi stato guarito dall’acqua, o da un altro potere, avresti sempre lo stesso dovere verso Dio. Quello di usare la salute per buone opere. Tu sei guarito. Va’ dunque con buone intenzioni a riprendere le attività della vita. E non peccare mai più. Che Dio non ti abbia a punire più ancora. Addio. Va’ in pace».
   «Io sono vecchio… non so nulla… Ma vorrei seguirti per servirti, e per sapere. Mi vuoi?».
   «Non respingo nessuno. Pensaci però prima di venire. E se sei deciso vieni».
   «Dove? Non so dove vai…».
   «Per il mondo. Dovunque troverai dei discepoli che ti guideranno a Me. Il Signore ti illumini per il meglio».
   Gesù ora va al suo posto e prega…

   225.6 Io non so se il guarito vada spontaneamente dai giudei o se questi, essendo alla posta, lo fermino per chiedergli se quello che gli ha ora parlato è colui che lo ha miracolato. So che l’uomo parla coi giudei e poi se ne va, mentre questi vengono presso la scala da dove deve scendere Gesù per passare negli altri cortili e uscire dal Tempio. Senza salutarlo, quando Gesù giunge gli dicono: «Dunque Tu continui a violare il sabato, nonostante tutti i rimproveri che ti vengono fatti? E vuoi che ti si rispetti come inviato di Dio?».
   «Inviato? Più ancora, come Figlio. Perché Dio mi è Padre. Se non mi volete rispettare, astenetevene. Ma Io non cesserò di compiere la mia missione per questo. Non c’è un attimo in cui Dio cessi di operare. Anche ora il Padre mio opera, ed Io pure opero, perché un buon figlio fa ciò che fa il padre suo, e perché per operare sulla Terra Io sono venuto».
   Della gente si avvicina per udire la disputa. Fra essa vi sono persone che conoscono Gesù, altre che ne sono state beneficate, altre che lo vedono per la prima volta; alcuni lo amano, altri lo odiano, molti sono incerti. Gli apostoli fanno nucleo col Maestro. Marziam ha quasi paura e fa un visetto prossimo al pianto.
   I giudei, una mescolanza di scribi, farisei e sadducei, gridano alto il loro scandalo: «Tu osi! Oh! Si dice Figlio di Dio! Sacrilegio! Dio è Colui che è, e non ha figli! Ma chiamate Gamaliele! Ma chiamate Sadoc! Adunate i rabbi, che odano e confutino».
   «Non vi agitate. Chiamateli e vi diranno, se è vero che sanno, che Dio è uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Verbo, ossia il Figlio del Pensiero, è venuto, secondo che era profetizzato, per salvare Israele e il mondo dal Peccato. Il Verbo sono Io. Sono il Messia predetto. Nessun sacrilegio perciò se do al Padre il nome di Padre mio.

   225.7 Voi vi inquietate perché Io faccio miracoli, perché con ciò attiro a Me le folle e le convinco. Voi mi accusate di essere un demonio perché opero prodigi. Ma Belzebù è per il mondo da secoli e, in verità, non gli mancano gli adoratori devoti… Perché allora egli non fa ciò che Io faccio?».
   La gente bisbiglia: «È vero! È vero! Nessuno fa ciò che Egli fa».
   Gesù continua:
   «Io ve lo dico: è perché Io so ciò che egli non sa e posso ciò che egli non può. Se Io faccio opere di Dio è perché Io sono suo Figlio. Da sé uno non può arrivare a fare se non ciò che ha veduto fare. Io, Figlio, non posso fare se non ciò che ho veduto fare dal Padre essendo Uno con Lui nei secoli dei secoli, non dissimile nella natura né nel potere. Tutte le cose che fa il Padre le faccio Io pure che sono suo Figlio. Né Belzebù né altri possono fare ciò che Io faccio, perché Belzebù e gli altri non sanno ciò che Io so. Il Padre ama Me, suo Figlio, e mi ama senza misura così come Io lo amo. Perciò mi ha mostrato e mi mostra tutto quanto Egli fa, acciò Io faccia ciò che Egli fa, Io sulla Terra, in questo tempo di Grazia, Egli in Cielo, da prima che il Tempo fosse per la Terra. E mi mostrerà opere sempre maggiori acciò Io le faccia e voi ne restiate meravigliati. Il suo Pensiero è inesauribile nel pensare. Io lo imito essendo inesauribile nel compiere ciò che il Padre pensa e col pensiero vuole.

   225.8 Voi ancora non sapete quanto l’Amore crei inesauribilmente. Noi siamo l’Amore. E non vi è limitazione per Noi, né vi è cosa che non possa essere applicata sui tre gradi dell’uomo: l’inferiore, il superiore, lo spirituale. Infatti, così come il Padre risuscita i morti e rende loro la vita, ugualmente Io, Figlio, posso dare la vita a quelli che voglio, e anzi, per l’amore infinito che il Padre ha per il Figlio, mi è concesso non solo di rendere vita alla parte inferiore, ma bensì anche vita alla superiore liberando il pensiero dell’uomo e il suo cuore dagli errori mentali e dalle male passioni, e alla parte spirituale rendendo allo spirito la sua libertà dal peccato, perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, essendo il Figlio Colui che col proprio sacrificio ha comperato l’Umanità per redimerla; e ciò il Padre fa per giustizia, perché a Colui che paga con sua moneta è giusto sia dato, e perché tutti onorino il Figlio come già onorano il Padre.
   Sappiate che, se separate il Padre dal Figlio o il Figlio dal Padre e non vi ricordate dell’Amore, voi non amate Dio come va amato, con verità e sapienza, ma commettete un’eresia perché date culto a uno solo mentre Essi sono una mirabile Trinità. Perciò chi non onora il Figlio è come non onorasse il Padre, perché il Padre, Dio, non accetta che una sola parte di Sé sia adorata, ma vuole sia adorato il suo Tutto. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato per pensiero perfetto di amore. Nega dunque che Dio sappia fare opere giuste. In verità vi dico che chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è colpito da condanna, ma passa da morte a vita, perché credere in Dio e accettare la mia parola vuol dire infondere in sé la Vita che non muore.
   Sta venendo l’ora, anzi per molti è già venuta, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l’avrà sentita risuonare vivificatrice in fondo al cuore vivrà.

   225.9 Che dici, tu, scriba?».
   «Dico che i morti non odono più nulla, e che Tu sei folle».
   «Il Cielo ti persuaderà che così non è, e che il tuo sapere è nullo rispetto a quello di Dio. Voi avete talmente umanizzato le cose soprannaturali che non date più alle parole altro che un significato immediato e terreno. Avete insegnato l’Haggadda su formole fisse, vostre, senza sforzarvi a comprendere le allegorie nella loro verità, e ora, nel vostro animo stanco di essere pressato da una umanità trionfante sullo spirito, non credete più neppure a ciò che insegnate. E questa è la ragione per cui non potete più lottare contro le forze occulte.
   La morte di cui Io parlo non è quella della carne, ma dello spirito. Verranno coloro che odono con le orecchie la mia parola e l’accolgono nel loro cuore e la mettono in pratica. Costoro, anche se morti nello spirito, riavranno vita, perché la mia Parola è Vita che si infonde. Ed Io la posso dare a chi voglio, perché in Me è perfezione di Vita, perché come il Padre ha in Sé la Vita perfetta così pure il Figlio ebbe dal Padre la Vita, in Se stesso, perfetta, completa, eterna, inesauribile e trasfondibile. E con la Vita il Padre mi ha dato il potere di giudicare, perché il Figlio del Padre è il Figlio dell’uomo, e può e deve giudicare l’uomo. E non vi meravigliate di questa prima risurrezione, quella spirituale, che Io opero con la mia Parola. Ne vedrete di più forti ancora, più forti per i vostri sensi pesanti, perché in verità vi dico che non vi è cosa più grande della invisibile ma reale risurrezione di uno spirito. Presto viene l’ora in cui i sepolcri saranno penetrati dalla voce del Figlio di Dio e tutti quelli che sono in essi la udranno. E coloro che fecero il bene ne usciranno per andare alla risurrezione della Vita eterna, e quanti fecero il male alla risurrezione della condanna eterna.
   Questo Io non dico di fare e non farò da Me stesso, per mio solo volere, ma per volere del Padre unito al mio. Io parlo e giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è retto perché non cerco il mio volere, ma il volere di Colui che mi ha mandato. Io non sono separato dal Padre. Io sono in Lui ed Egli è in Me, ed Io conosco il suo pensiero e lo traduco in parola ed in azione.

   225.10 Quanto Io dico per rendere testimonianza a Me stesso non può essere accettabile al vostro spirito incredulo, che non vuole vedere in Me altro che l’uomo simile a voi tutti. Anche un altro ve ne è che testifica per Me, e che voi dite di venerare come grande profeta. Io so che la sua testimonianza è vera. Ma voi, voi che dite di venerarlo, non accettate la sua testimonianza perché è disforme al vostro pensiero che mi è nemico. Voi non accettate la testimonianza dell’uomo giusto, del Profeta ultimo di Israele perché, in ciò che vi piace, dite che egli non è che un uomo e può sbagliare. Voi avete mandato ad interrogare Giovanni, sperando che dicesse di Me ciò che voi desideravate, ciò che di Me voi pensate, ciò che voi di Me volete pensare. Ma Giovanni ha reso testimonianza di verità e voi non l’avete potuta accettare. Poiché il Profeta dice che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, voi, nel segreto dei cuori, perché temete le folle, dite che il Profeta è un folle come lo è il Cristo. Io pure, però, non ricevo testimonianza dall’uomo, sia pure il più santo di Israele. Io vi dico: egli era la lampada ardente e luminosa, ma voi avete per poco voluto godere della sua luce. Quando questa luce si è proiettata su Me, per farvi conoscere il Cristo per ciò che Egli è, voi avete lasciato che la lampada fosse messa sotto al moggio, e prima ancora avevate drizzato fra essa e voi un muro, per non vedere nella sua luce il Cristo del Signore.
   Io sono grato a Giovanni della sua testimonianza, e grato gliene è il Padre. E Giovanni avrà gran premio per questa sua testimonianza, ardendo anche per questo in Cielo, il primo sole che vi splenderà di tutti gli uomini lassù, ardendo come arderanno tutti quelli che sono stati fedeli alla Verità e affamati di Giustizia. Ma Io però ho una testimonianza maggiore a quella di Giovanni. E questa testimonianza sono le mie opere. Perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere Io faccio, ed esse testificano che il Padre mi ha mandato dandomi ogni potere. E così è il Padre stesso che mi ha mandato, Colui che rende testimonianza in mio favore. Voi non ne avete mai sentito la Voce, né visto il Volto. Ma Io l’ho visto e lo vedo, l’ho udita e la odo. Voi non avete dimorante in voi la sua Parola, perché non credete a Colui che Egli ha mandato.
   Voi investigate la Scrittura perché credete di ottenere, per la sua conoscenza, la Vita eterna. E non vi accorgete allora che sono proprio le Scritture che parlano di Me? E come mai allora continuate a non volere venire a Me per avere la Vita? Io ve lo dico: è perché quando qualche cosa è contraria alle vostre inveterate idee voi la respingete. Vi manca l’umiltà. Non potete giungere a dire: “Ho sbagliato. Costui, o questo libro, dice giusto e io sono in errore”. Così avete fatto con Giovanni, così con le Scritture, così con il Verbo che vi parla. Non potete più vedere e capire perché siete fasciati di superbia e rintronati dalle vostre voci.

   225.11 Credete voi che Io parli così perché Io voglia essere da voi glorificato? No, sappiatelo, Io non cerco e non accetto gloria dagli uomini. Quello che Io cerco e voglio è la vostra salvezza eterna. Questa è la gloria che cerco. La mia gloria di Salvatore, che non può esserci se Io non ho dei salvati, che aumenta più salvati Io ho, che mi deve essere data dagli spiriti salvati e dal Padre, Spirito purissimo.
   Ma voi non sarete salvati. Vi ho conosciuto per quello che siete. Voi non avete in voi amore di Dio. Siete senza amore. E perciò non venite all’Amore che vi parla e non entrerete nel Regno dell’Amore. Là voi siete degli sconosciuti. Non vi conosce il Padre, perché voi non conoscete Me che sono nel Padre. Non mi volete conoscere. Io sono venuto in nome del Padre mio e voi non mi ricevete, mentre siete pronti a ricevere chiunque viene in nome proprio, purché dica ciò che a voi piace. Dite di essere spiriti di fede? No. Non lo siete. Come potete credere, voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria dei Cieli che da Dio solo procede? La gloria che è Verità, non giuoco di interessi che si fermano sulla Terra e carezzano solo l’umanità viziosa dei degradati figli di Adamo.
   Io non vi accuserò al Padre. Non ve lo pensate. Vi è già chi vi accusa. Quel Mosè in cui voi sperate. Egli vi rimprovererà di non credere in lui poiché non credete in Me, perché egli di Me ha scritto[116] e voi non mi riconoscete secondo quanto egli di Me ha lasciato scritto. Voi non credete alle parole di Mosè che è il grande su cui giurate. Come potete allora credere alle mie, a quelle del Figlio dell’uomo, nel quale non avete fede? Umanamente parlando ciò è logico. Ma qui siamo nel campo dello spirito, e sono in confronto le vostre anime. Dio le osserva alla luce delle mie opere e confronta le azioni che fate con ciò che Io sono venuto a insegnare. E Dio vi giudica.
   Io me ne vado. Per molto non mi troverete. E credete pure che questo non è un trionfo. Ma è un castigo. Andiamo».
   E Gesù fende la folla, in parte muta, in parte bisbigliante approvazioni che la paura dei farisei trattiene a bisbiglio, e se ne va.

[116] ha scritto, come in: Deuteronomio 18, 15-19.